Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi
Ricorda la storia  |      
Autore: Rosie Bongiovi    25/07/2012    3 recensioni
One-shot sull'unico, inimitabile ed insostituibile bassista dei Bon Jovi, Alec John Such.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ad Alec John Such. Lo spirito, il principio, La rockstar dei Bon Jovi.

 

E' successo tutto così velocemente.

Ci ho messo un po' per accorgermi di quello che stava accadendo attorno a me e, poi, quando ho capito.. Tutto mi è sembrato ingiusto.
Sì, ingiusto.
Amo (o amavo?) vivere. Non ho mai voluto sprecare nessun attimo della mia esistenza. Sono (o ero?) più uno da carpe diem che da "rimanda a domani quello che non ti va di fare oggi". Cogliere l'attimo fuggente è (o era?) il mio forte. Anche se, per mettere a tacere i miei pensieri, a volte mi ritrovavo a consolarmi con una bottiglia di brandy o qualche altro superalcolico. 
Comunque sia, non sono qui per raccontare la mia giornata tipo. Le cose, oggi, le cose sono andate in maniera un po' differente.. 
Nessun concerto, nessun impegno. Una giornata di completo e totale relax, all'insegna della nullafacenza. Così, tanto per non crogiolarmi nella noia e finire per diventare una sottospecie di protesi del divano, mi sono trascinato di fronte all'armadio di camera mia, tirando fuori una canottiera bianca, la solita vecchia giacca di pelle nera, che profumava di tabacco, dei blue-jeans ed i miei inseparabili stivaletti dello stesso colore della canotta. Mi sono vestito celermente: fuori c'era bel tempo, avevo voglia di andarmene in giro e prendere una boccata d'aria fresca, tipicamente primaverile.
Mi sono guardato allo specchio, mettendomi un po' di gel tra i capelli neri e dando un'occhiata al mio pizzetto. Aveva ricevuto parecchie critiche dai miei amici, ma alle ragazze piaceva. Ragione in più per tenerlo con me, no?  
Ho preso le chiavi della mia moto, appoggiate sulla cassettiera della mia camera. Successivamente sono uscito, chiudendomi la porta di ciliegio alle spalle. Sono andato in garage ed ho tirato fuori la mia moto rossa fiammante, impeccabile come il primo giorno in cui l'ho acquistata.
Ho sorriso, poi sono partito, senza badare - come sempre - ai limiti di velocità. 
Credo che non ci sia nulla di meglio che sentire il vento che ti scompiglia i capelli e si insinua sotto ai tuoi abiti, raggiungendo ed accarezzando dolcemente la pelle. Inizi a sentire i brividi, dati dall'adrenalina e dalla sensazione di stare sfidando il mondo, andando alla velocità della luce, sfidando ogni regola e superando ogni limite. Provi questo piccolo senso di onnipotenza, concedendoti attimi che rimarranno per sempre impressi nella tua memoria, emozioni che non dimenticherai nemmeno nell'aldilà. 
Non hai nessuna meta, vuoi semplicemente mettere alla prova te stesso, sicuro del fatto che dimostrerai di essere una sorta di divinità in terra e che non temi niente e nessuno.
E così hai imboccato la solita strada, quella strada che non hai mai percorso con attenzione per renderti conto di dove portasse. I cartelloni erano solo un elemento inutile dell'orizzonte da ammirare e davanti al quale stupirsi. 

80 all'ora.

Hai osservato l'asfalto, ridendo sguaiatamente. 
Hai presente quando senti un grande tuffo al cuore, come quando sei sulle montagne russe? 

90 all'ora.

O quando ti lasci cadere nel vuoto, affidandoti solo ed esclusivamente al paracadute, sfidando ogni legge, sfidando ogni limite. 

100 all'ora.

O quando da bambino combatti ogni legge di gravità e salti giù da 8 gradini, col rischio di provocare un broncio perenne sul viso di tua madre, sfidando ogni legge, sfidando ogni limite. 

120 all'ora.

O quando, molto più semplicemente, vedi un film horror e percepisci quello strano solletico alla bocca dello stomaco, che ti porta all'esasperazione e alla nausea. Eppure è piacevole, non capisci nemmeno il motivo. Senti di stare sfidando ogni legge, di stare sfidando ogni limite.
140 all'ora.

Chiudi gli occhi, solo per un piccolo, minuscolo, insignificante, terribile secondo, per poi pentirti con tutto te stesso della decisione che hai appena preso, un errore madornale che ti segnerà a vita, distruggendo ogni briciolo di speranza che ti è rimasta in questo strano, pazzo, incomprensibile, inesplicabile mondo. Chiudi gli occhi per assaporare qualcosa che si avvicina vagamente alla gloria, alla soddisfazione, alla vittoria.
E ti ritrovi a terra. Alzi la testa, controvoglia, sentendola pesante come un'incudine di ferro, come un camion, come una bombola dell'ossigeno, una grossa tanica di benzina, pronta a darti fuoco. 
Guardi la canottiera che hai deciso di indossare.
Ma non era bianca? pensi, dopo esserti reso conto che è inzuppata da un liquido rosso.
Rosso come una Ferrari, rosso come un cartello stradale, rosso come il mantello di qualche supereroe, rosso come una rosa, rosso come il divano del tuo soggiorno.
Rosso come il sangue.
E poi riappoggi il cranio sull'asfalto, accorgendoti che hai utilizzato tutte le forze che ti erano ancora concesse.
Senti in lontananza il suono di alcuni pneumatici che frenano sull'asfalto. Dai tubi di scappamento esce un odore che non ti è per niente nuovo, e che si mischia con l'aroma agrodolce di quel liquido rosso che ha macchiato la tua canotta. 
"Cos'è successo? Chiamate un'ambulanza!". 
Vorresti che quelle voci si interrompessero immediatamente, subito dopo lo schiocco delle dita della mano destra. Provi, ma realizzi di non riuscire a comandarle, e ti senti impotente, incapace addirittura di controllare parte del tuo stesso corpo.
"Stanno arrivando. C'è un medico qui? C'è un medico?".
Fate silenzio, ho solo bisogno di chiudere gli occhi, dormire e buttare a lavare questa stupida maglietta, dici tra te e te, ma non vorresti nemmeno pensare, perché le parole rimbombano nella tua mente, causandoti un terribile mal di testa.
Sotto di te si sta sgretolando qualcosa. Che sia il suolo? Inizi a cadere. Eppure non volevi buttarti, cosa è successo?
Stai precipitando ad una velocità paragonabile a quella di un missile. 
Atterri e ti risvegli in una sala insopportabilmente bianca.
Bianca come una rosa, bianca come un foglio, bianca come una nuvola, bianca come la panna montata, bianca come le tende che tua madre stirava il sabato pomeriggio e che avevano un profumo buono.
Bianca come la canottiera che indossavi, e che ora riesce solo a ricordarti quel dolore atroce che ti ha assalito, mettendoti ko senza il minimo ritegno.
Vedi dei visi familiari attorno a te, sui quali ci sono delle espressioni preoccupate.
Non vi preoccupate. Come sta la mia giacca di pelle?, vorresti chiedere, ma la gola fa troppo male e riesci semplicemente a schioccare la lingua, impastata come quando apri gli occhi la mattina.
"Alec.. Alec, ma che cosa è successo?" domanda uno di quei quattro ragazzi di fronte a te. I suoi capelli sono spettinati e biondi, parecchio gonfi. Cerchi di ricordarti chi sia e fai fatica a collegare un nome a quell'immagine. Quando ci sei riuscito, tenti ancora di dargli delle risposte, ma il tuo cervello non collabora e non intende comandare nessun organo, nessun osso, nessun muscolo. Nonostante questo, però, il dolore lo senti.
Fa male, fa terribilmente male.
Tenti di capire da che parte venga, perciò rivolgi lo sguardo verso il tuo braccio. Sta pulsando ed è ricoperto da qualcosa di bianco. 
E' gesso, ti suggerisce la tua mente stanca, che chiede ancora riposo come quando eri adagiato sull'asfalto. 
"Non riesce a parlare.. Credo che siano gli antidolorifici" esordisce un'altra voce, stavolta appartenente ad un giovane parecchio alto, dai capelli castani ed un'aria preoccupata. 
Ma cosa sono quelle facce? Non siamo mica ad un funerale.. Però ti assale un dubbio: e se fossi uno spirito? No, impossibile. C'è troppo bianco qui. Ai funerali tutto è nero ed il silenzio è sovrano, ogni tanto interrotto da dei singhiozzi e da parole appena sussurrate.
"Alec, andrà tutto bene. Ci siamo noi con te". Si aggiunge una terza voce grave, quella di un ragazzo dai capelli neri, legati in una coda bassa. 
Tu ci credi, credi fermamente a quelle parole. Ti affidi a loro, come se fossero la cosa più preziosa che possiedi in questo istante. Ti aggrappi ad esse, esattamente come uno scalatore si aggrappa alla roccia, come un naufrago si stringe ad un pezzo di legno galleggiante. 
"Riposati ora. La tua giacca di pelle sta bene" un'ultima voce raggiunge i tuoi timpani e tiri un sospiro di sollievo, un gesto involontario che ti fa sentire immediatamente meglio.
E chiudi gli occhi, con il cuore più leggero, dopo aver sfidato ogni legge, dopo aver sfidato ogni limite.

 

Nota dell'autrice

Credo che non ci sia molto da aggiungere.. Se non:

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bon Jovi / Vai alla pagina dell'autore: Rosie Bongiovi