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Autore: E u r eka    25/07/2012    3 recensioni
La tela del quadro era tutta rovinata, la cornice consumata. Gli incanti di protezione apposti attorni agli oggetti erano infranti, caduti insieme a tante altre cose. Eppure rimanevano gli ingranaggi. Nascosti dalla polvere, ma vividi, ora più che mai. Liberi delle loro maschere. Non c’era senso di dignità più grande se non nell’abbraccio materno di Narcissa alle sue spalle od orgoglio più completo e feroce se non nella presa di Lucius, nelle mani posate come grossi ragni pallidi rispettivamente sul braccio del figlio e della moglie. Non c’era infelicità più grande nella menzogna.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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polvere

Da leggere con le pinze, va trattato con delicatezza e preso con le dovute distanze. Da non confondersi con distacco, eh! Credo che quello, assieme all’indifferenza e alla pigrizia, siano i nemici mortali di ogni buon lettore e fic-writer. Chiusi i convenevoli e ottemperati i miei doveri di ospite, vi auguro una buona lettura.


 

 

Polvere

 

 

 

 

 

 

 

Malfoy Manor era un dedalo di stanze vuote e ragnatele che parevano esalare in un’eco di solitudine ristagni di morte. I padroni di quel maniero d’ombra e ossa erano scomparsi ormai da anni e nessuno ne reclamava più il possesso. Appartenevano a un tempo immemore che i più si rifiutavano di ricordare e che altri, i più coraggiosi, i puri di cuore, avevano deciso di non dimenticare mai perché era là che aveva conosciuto gloria il lato nobile del loro animo, là che era nato quanto di più antico e prezioso per un uomo, specie se debole e codardo: una coscienza.
Non è mai troppo tardi per cambiare e per decidere di diventare qualcun’altro.
Lo spettro di una voce, a rincorrersi sui pavimenti dalle lastre discostate, si univa agli spifferi gelidi che attraversavano le pareti e i vetri rotti delle finestre intarsiate come profili argentati e immateriali di fantasmi, si infilava nella sua mente in pertugi piccoli fatti apposta per dita minuscole di bambino.
Era una voce quella, il tono che celava un sorriso nascosto poco e male, che suonava fuoriposto. Era fuori luogo sentirla, soprattutto se rimbombava tra quelle mura, gentile e pacata come era sempre stata ad ascoltarla osservando l’uomo cui era appartenuta quando era ancora vivo.

Il cambiamento in nessun caso può rivelarsi indolore, rivelò un’altra voce e questa se possibile, questa aveva un suono che gli risultava ancora più doloroso. L’altra era un pugno in pieno viso, non troppo forte, ma abbastanza da fargli provare una fitta di sofferenza acuta e pulsante. Gli aveva riempito la testa di immagini fastidiose, memorie assillanti. Quella sapeva tormentarlo senza fare nulla in particolare. Se avesse dovuto spiegarlo a parole, Draco non ne sarebbe stato in grado. Non era rimpianto, non era dolore né tantomeno amarezza. Era qualcosa di più. Tutte quelle sensazioni e contemporaneamente qualcosa in più. Qualcosa che lo torturava e lo distruggeva, che lo aveva fatto in tutti quegli anni e non avrebbe mai smesso.
Una scelta sbagliata. Era questo ad aver procurato quel buco dentro di lui. Una concatenazione di scelte sbagliate. A trent’anni e sentendosene addosso tanti di più, in piedi in un salone grigio che aveva visto tempi e persone migliori, Draco Malfoy fissava con occhi cupi il quadro di quella che era stata la sua famiglia. C’era suo padre, alto e distinto, l’allure di un cobra e di un maledetto o di entrambe le cose, come quel serpente che si mordeva la coda in eterno senza trovar pace alla sua ingordigia; c’era sua madre, bella e distaccata come le nuvole in primavera, volubile e fragile eppure fiera, lo sguardo magnetico che aveva ereditato, il germe di determinazione nell’iride che in altri era stato follia e poi rovina e morte. E infine c’era lui: un bambino pallido e inamidato nei vestiti della festa, col volto appuntito di un folletto e gli occhi luminosi, il sorriso sincero seppur teso.

Ero un bambino felice? O ho rovinato tutto? Di chi è la colpa?
La tela del quadro era tutta rovinata, la cornice consumata. Gli incanti di protezione apposti attorni agli oggetti erano infranti, caduti insieme a tante altre cose. Eppure rimanevano gli ingranaggi. Nascosti dalla polvere, ma vividi, ora più che mai. Liberi delle loro maschere. Non c’era senso di dignità più grande se non nell’abbraccio materno di Narcissa alle sue spalle od orgoglio più completo e feroce se non nella presa di Lucius, nelle mani posate come grossi ragni pallidi rispettivamente sul braccio del figlio e della moglie. Non c’era infelicità più grande nella menzogna.

Non avrei mai potuto essere nessun altro. Non volevo essere nessun altro. Perché essere migliore d’altronde? Per chi?
Le dita scivolarono lungo la trama del dipinto, a rincorrere d'impulso pensieri e ricordi; quando se ne accorse, le serrò a pugno ridendo di se stesso. I ricordi erano una trappola pericolosa. Era sempre stato così e lo sarebbe stato sempre.  

*

Si risvegliò al rumore attutito di passi e si voltò appena verso la fonte del suono. Un uomo era entrato nel salone. Era in penombra e perciò Draco non poteva scorgerne con esattezza i tratti del volto, ma gli occhi scintillavano come quelli di un gatto ed erano inequivocabilmente verdi. C’era una sola persona nel Mondo Magico che avesse occhi di un verde così brillante e fastidioso e appartenevano proprio all’ultima che lui si sarebbe aspettato di incontrare o che avrebbe desiderato vedere. La speranza è l’ultima a morire, si disse.
Harry Potter. Anche il solo pensarlo era sgradevole.
- Che sei venuto a fare? –
Nel silenzio narcotico del salone polveroso, parve quasi che avesse urlato.
- Sapevo di trovarti qui. Questa rimane casa tua dopotutto, almeno di nome se non nei fatti. – Potter accompagnò alla spiegazione una scrollata di spalle e Draco intimò con ostilità: - Rispondi alla domanda, Potter. –
Il modo strascicato in cui le parole gli erano uscite, le labbra serrate in un’espressione a metà tra il biasimo e il disgusto, il fatto che nel pronunciarle i capelli biondi, lunghi e scarmigliati, gli fossero finiti come intralcio davanti al viso affilato, tutto questo servì a far riaffiorare nella memoria di entrambi il profilo di un’altra persona, imprimendovelo a fuoco. Un naso adunco e uno sguardo severo e inflessibile, qualcuno che aveva rivestito un ruolo significativo nelle vite di entrambi e che rappresentava l’unico punto in comune tra mille altri di contrasto.
- Rispondi, – ripeté una seconda volta, quando la mancanza di una replica gli divenne insostenibile.
- Sono venuto a prenderti. –
A giudicare dal tono utilizzato, Potter aveva tutta l’aria di sentirsi un martire. Sembrava che l’essere messo alle strette, inoltre, gli risultasse fastidioso quasi quanto lo era per lui la sua stessa presenza lì. Draco annuì e corrugò la fronte, lo sguardo fisso alla cornice tarlata del ritratto. Non poteva dire di non esserlo aspettato. Era talmente scontato in fondo da risultare perfino banale. – In qualità di Auror? E con quali accuse se mi è lecito chiedere? –
Questo sembrò stupire l’altro. Ma cosa si aspettava? Che facesse fuoco e fiamme cercando di darsi alla macchia?  
Interdetto, Potter fece un passo in avanti. Ciò facendo si portò alla luce e quello spostamento permise a lui di osservare distintamente i lineamenti familiari eppure sconosciuti dell’uomo in cui gli anni l’avevano costretto a trasformarsi. Il tempo era stato impietoso quasi quanto lo era stato con lui, constatò spassionatamente. Quasi, perché Potter a differenza sua non aveva trascorso gli ultimi anni in una cella buia, a litigare con le cimici e senza altra compagnia che uno spicchio di cielo sprangato e un silenzio angosciante. Piccole rughe gli circondavano la bocca e davano l’impressione costante che stesse serrando la mandibola. Un vezzo che era stato di un Auror famoso come lo era ormai lui in campo lavorativo, altrettanto benvisto prima di crollare dagli allori di un prestigio conquistato col sangue e colle vite caracollanti di altri mille volte più miserrimi. Fili grigi sulle tempie, troppi per la sua età e troppo pochi considerati gli orrori visti all’alba della gioventù.
Al pensiero Draco si rabbuiò impercettibilmente.   
Potter si grattò la cicatrice sulla fronte, in un gesto che era evidentemente un’abitudine, con perplessità. – Sei appena uscito di prigione, - fece notare dunque, - e non mi risulta che le condizioni ad Azkaban siano migliorate a tal punto da farti desiderare di tornarci così presto. Quindi, a meno che nelle ultime ore tu non abbia organizzato una rapina alla Gringott, ucciso qualcuno o commesso qualche reato a danni di terzi che possa valerti l’immediato arresto, il ché lasciatelo dire sarebbe più che strano ad appena un giorno dalla tua scarcerazione, anzi più da idiota, non vedo quali accuse ti aspetti che ti declami. –
- Mi stai dicendo… che non sei venuto qui ad arrestarmi? –
Potter scosse il capo e si permise persino un sorriso di difficile interpretazione. – Sì, è così. –
Il dubbio cedette il posto al fastidio. – E allora che diavolo vuoi? – sbottò Draco.
- Gentile come ricordavo. –
- Scusa, – ribatté a denti stretti. – I dissennatori ti privano di ogni volontà in proposito. –
La bocca di Potter si contorse in una specie smorfia per qualche istante. – Non che ci fosse molto da prosciugare prima, – mormorò rassegnato, più rivolto a se stesso e Draco gli scoccò uno sguardo furente. - Guarda che ti ho sentito –
- Malfoy, - invocò stancamente Potter e si massaggiò il naso, come per scongiurare un mal di testa incipiente. – Ti prego. Sono qui per portarti via. –
O Potter era un plateale idiota o davvero pensava che quel che diceva avesse senso. Maledendo tra sé e sé tutti i Maghi più famosi, Draco masticò un’imprecazione.
- E io ti sarei davvero grato, Potter, - quasi ringhiò, - se tu mi dicessi dove, ma soprattutto per quale dannato motivo io dovrei seguirti e cosa ti abbia spinto a credere che l’avrei fatto senza porti domande semplici come un elementare perché. –
- Accidenti ad Hermione, – mormorò Potter sovrappensiero, - ha sempre, sempre ragione. –
Bastò un attimo perché lui decifrasse quei borbottii. La Granger. Ma certo. Un idiota per volta non bastava, ovvio. A differenza di anni prima, però, quella riflessione non era pregna di avversione. Al contrario. Era un’osservazione stanca, usurata nel modo in cui solo una constatazione fatta ordinariamente può diventare. Fatta più per consuetudine che per reale convinzione. 
- E va bene, – disse Potter. Si passò una mano nella chioma fin troppo bistrattata per appiattirla ed ottenne, com’era inevitabile aspettarsi dato l’individuo in questione, il risultato opposto che fu quello di gonfiarli. – Ti porto a casa mia, d’accordo? – concluse senza guardarlo direttamente. 
- Casa tua? – ripeté Draco. Sapeva di avere un’espressione allibita e non si curò di nasconderla. – E che vengo a farci io a casa tua? –
- Mi sembra chiaro, no? – Potter gli piantò in faccia gli occhi sgranati al limite. Ostentò un’improbabile meraviglia, come se realmente non capisse in quale modo una qualunque persona dotata di intelletto o di una minima percezione comune potesse davvero attardarsi a riflettere prima di piegarsi a fare quel che lui aveva stabilito che si facesse. Alzò le spalle, minimizzando. - A viverci naturalmente, – spiegò con facilità.
Quella risposta noncurante e assurda stroncò ogni precedente idea sulla più che plausibile idiozia dell’altro, rendendola quindi tanto assodata e indiscussa da far sentire Draco persino sin troppo intelligente. 
- Sei per caso impazzito? – esplose. - Perché se è uno scherzo, Potter, sappilo, non è divertente. Per niente. È rivoltante e un sacco di altri aggettivi che ora mi sfuggono, ma non divertente. Anche per i miei standard. –
- Che sono piuttosto bassi bisogna dirlo. –
La condiscendenza di Potter avrebbe schiantato la pazienza di un Santo. Nessuna sorpresa che avesse già mandato a rotoli la sua. Piuttosto era sorprendente il fatto che non trovasse alcuna ragione degna di nota per rispondergli con la stessa verve del passato. Tutto ciò che voleva era che lui scomparisse dalla sua vista per ritornare ad essere inghiottito dalla polvere e dai rimorsi.
- Vattene. – Un ordine secco, impietoso, sbrigativo.
- Mi dispiace, ma non posso. –
A giudicare dall’aria serafica, comunque, Potter sembrava tutt’altro che dispiaciuto.
- Perché? –
- Tempo fa, ho fatto una promessa. – Potter si trascinò fino ad una poltrona sgangherata, di fronte al monumentale camino di marmo che rappresentava l’unico oggetto rimasto intatto nella stanza, e vi si lasciò cadere sopra con un tonfo. Draco rimase in attesa che quella si schiantasse al suolo da un momento all’altro, ma le sue speranze vennero disattese. Tipico, pensò cupamente.   
- Che genere di promessa? – chiese spazientito.
- È stato poco dopo la fine della guerra, – rispose Potter. - Ho promesso a me stesso che non avrei mai più lasciato indietro nessuno. –
- Io non sono chiunque altro. – Draco assottigliò lo sguardo nell’avanzare quella considerazione. - Nel caso tu non lo avessi notato sono tutto fuorché quello. -   
Potter annuì. - Lo so bene. –
- Allora perché lo fai? Perché non hai già imboccato la porta? –
- Te l’ho già detto, mi pare. –
- E a me pare di aver detto che esigo una risposta sensata. –
- In tutti questi anni non sei cambiato affatto, eh? – Sul volto di Potter comparve l’ombra di un sorriso che Draco non sarebbe stato capace di ricambiare neanche volendo.
- Sono otto anni, Sfregiato, non una vita, – ribatté, ampiamente infastidito. - Sono cambiati solo i miei gusti in fatto di cibo. Nulla di più. –
- Beh, sempre meglio di niente. Se verrai ad abitare da noi avresti dovuto comunque abituarti alla cucina di Hermione. –
Draco trasalì. Equivocando la sorpresa provocata da quanto aveva appena detto e fraintendendone le cause, Potter si affrettò ad aggiungere a sua discolpa: - Sono suo marito, non un bugiardo. So riconoscere i lati buoni di Hermione e ne ha molti, ma per quanto riguarda le sue doti culinarie… - si strinse nelle spalle con naturalezza, - avevo le idee chiare in proposito ben prima di sposarla. È Molly, la signora Weasley, sai, a cucinare il più delle volte. Abita con noi da un paio d’anni e… –
- Perché mi stai dicendo tutto questo? – l’interruppe e lo fissò duramente.
Potter gli riservò un’occhiata altrettanto sfacciata e seria. Limpida in qualche modo, tanto da risultare snervante. - Per renderti chiara la situazione familiare con cui sarai costretto a confrontarti nel caso tu decidessi di accettare la mia proposta. –
- Una seconda Tana piena di babbanofili, mezzosangue e traditori del proprio sangue, – Draco sbuffò con derisione. - Chi non accetterebbe? –
- Malfoy, - lo riprese lui, - i tempi sono cambiati. I vecchi giochi e le regole che li accompagnavano caduti. Non serve più che tu finga di rivestire una certa parte se non la senti davvero tua. –
- Hai mai preso in considerazione l’ipotesi che io sia davvero così, Potter? – replicò con stizza. -  Crescendo tra assassini e folli si diventa pari a loro. –
- Non lo sei adesso né lo sei mai stato. – Potter scosse il capo con esasperante risolutezza.
- Sembri piuttosto sicuro per uno che si è quasi beccato un Cruciatus dal sottoscritto. –
- Mi fido del giudizio di chi ha cercato di proteggerti. –
- Che vai farneticando? –  Draco strabuzzò gli occhi, sbigottito. Di fronte a lui Potter era una statua di sale, stordito dalla sua stessa determinazione. - Parlo di Silente e di Severus Piton, – dichiarò in un tono che avrebbe dovuto essere chiarificatore, lo sguardo acceso del fervido credente. - Entrambi hanno cercato di proteggerti sin da Hogwarts, tutelandoti come meglio hanno potuto. –
- Sembra che il loro meglio non sia stato sufficiente allora, – fece presente Draco sarcasticamente. - Eccomi qui, - proseguì tagliente, allargando le braccia come per meglio mostrarsi alla vista dell’altro, - fresco di galera, mangiamorte e ladro. A detta di alcuni anche patricida. –
- Non è stato il loro meglio a non bastare. È stato il tuo a mancare, che tu non ci abbia neppure provato a mostrare il tuo lato più onesto. – Potter gli puntò contro l’indice con una tale foga che Draco riuscì a reprimere a stento l’impulso di estrarre la bacchetta e staccarglielo con una fattura ben piazzata.     
- Cosa diavolo ti fa credere di avere il diritto di venire qui a sputare sentenze come se sapessi ogni cosa? Tu non sai niente, niente, né di me né di quello che ho passato. Cosa pensi che abbia spinto quei due ad aiutarmi, poi? – socchiuse gli occhi, serrandoli fino a sentirseli bruciare. - Te lo dico io: pietà. Quella e un briciolo di giustizia. –
- Non è stata pietà. Era compassione e riconoscimento. Si rivedevano in te, eri il ricordo della loro adolescenza spezzata a torturarli. Eri le loro scelte sbagliate, gli errori della loro gioventù, il loro passato. Eri tutte queste cose, Draco, rappresentavi tutto questo, insieme alla possibilità di rimediarvi facendo in modo che tu, a differenza loro, ne uscissi salvo, incorrotto. –
- E io te lo ripeto, Potter. Hanno fatto male i conti. –
Potter scosse ancora una volta la testa con un’ostinazione divenuta logorante per i suoi nervi. - È qui che ti sbagli. Loro non hanno fallito. Il fatto stesso che io sia qui è la riprova che non abbiano fallito e il motivo che mi ha portato a chiederti di tornare a vivere e di farlo nella mia famiglia. Sai come me la sono procurata questa? – Potter si sbottonò il polsino della camicia. La arrotolò fino al gomito e gli mostrò quello che era un lembo di pelle frastagliato e ricucito alla bell’e meglio. In quel pasticcio di carne dentellata da cicatrici più piccole un segno correva lungo tutto l’avambraccio, di un rosso fuoco e vivo, quasi la lama o l’incantesimo che aveva praticato il taglio l’avesse inciso appena poche ore prima e non anni, com’era da presupporsi visti i tempi di pace che imperavano. Suo malgrado, Draco ne fu impressionato. Storse il naso, tuttavia, mostrandosi disgustato e ne respinse la vista voltando il viso dall’altra parte.      
- Una ferita di guerra, immagino, – sminuì con un movimento vago della mano. - Una cicatrice in più da sfoggiare per l’Eroe. –
- Sì e no. – Potter gli sorrise incoraggiante, come se si fosse atteso quella reazione e anzi, l’avesse addirittura prevista. - Ma puoi indovinare quando me la sia procurata almeno. È stato il giorno della cattura, – spiegò con fare inspiegabilmente complice, - quello in cui tu più di tutti hai dimostrato di avere una coscienza. Non ho mai capito perché avessi mentito, cosa ti avesse spinto a fingere di non avermi riconosciuto. – D’un tratto assunse un’aria inquieta. Alla luce fioca del pomeriggio, fatta per lo più di rigagnoli di un vacuo azzurro, e visto di profilo, Potter poteva quasi passare per un uomo raziocinante. 
- Non fingevo, Potter, – disse Draco seccamente. Si passò una mano tra i capelli troppo lunghi e fece per scostarseli dalla fronte, ma era inutile. Li aveva appena gettati indietro che già quelli pendevano davanti e gli finivano sugli occhi, sporchi. Troppo sporchi. Un tempo erano stati come lino tra le dita e di un colore slavato che risultava pressoché bianco. Dello stesso tipo di suo padre. Storse la bocca al ricordo di allora e lo ricacciò giù come un boccone aspro. - Avevi la faccia gonfia come quella di un bolide, - continuò e si sforzò di produrre un ghigno convincente.
- Ma hai riconosciuto Ron ed Hermione e anche se dici di no, so che avevi riconosciuto anche me. Te l’ho letto negli occhi. – Potter si alzò e sotto il suo sguardo infastidito prese a passeggiare avanti e indietro, come in un monologo da teatro, tutto preso dal suo discorso. - Quello che non riuscivo a capire era il perché, - ammise e si voltò a fissarlo con insistenza, - cosa avesse potuto spingerti a mentire quando sapevi benissimo che consegnando me tutto sarebbe potuto finire. Voldemort avrebbe vinto e tu e la tua famiglia avreste ottenuto la vita che volevate, tutto ciò per cui avevate combattuto. È stata Hermione ad aprirmi gli occhi al riguardo. –
- E come avrebbe fatto? Sentiamo, – lo invitò Draco e incrociò le braccia al petto per impedirgli di notare il tremolio convulso che gli aveva attaccato a tradimento le mani al sentir pronunciare apertamente quel nome.
- Raccontandomi la verità. – Potter si bloccò a pochi passi da lui, incontrando ancora una volta il suo sguardo, sicuro di quel che affermava. - Mi ha detto di come le hai salvato la vita. –
- Io non ho fatto proprio nulla. –
- Sì che lo hai fatto invece. E salvando lei hai salvato anche me e così facendo l’intero mondo magico. Silente e Piton avevano ragione a salvarti, anche se naturalmente non credo fossero così lungimiranti. –
- Blateri, Potter. Io non ho salvato la Granger e questa conversazione non ha alcun senso. – Draco si mosse per dargli le spalle nel gesto definitivo del commiato, deciso a concludere lì quella farsa una volta per tutte. Potter non fece un passo in avanti né diede mostra di avere l’intenzione di fermarlo in alcun modo. Non con la forza almeno.
- Hermione dice che dopo aver visto morire Ginny… - sussurrò ad occhi bassi e con voce rotta e vulnerabile. Parole quelle che, più di ogni altro incantesimo di prietrificamento borbottato a mezze labbra, lo raggiunsero e servirono a tirarlo all’indietro, come una molla che dopo la tensione della trazione torni a rilassarsi in una posa rimpiccolita e minuscola. - Che dopo quello in te sia improvvisamente scattato qualcosa. Qualcosa che ti ha convinto a salvarla, che ti ha spinto a liberare me, Ron e gli altri dal sotterraneo. –
- Non so di che… - iniziò contorcendosi sul posto per non voltarsi del tutto. Tutto pur di non con concedergli la vittoria, anche se piccola e vacua come quella dell’aver ottenuto la propria attenzione.
- So che sei stato tu a sbloccare la porta, - Potter lo interruppe con fermezza, lo sguardo insondabile, – che sei stato tu a fare in modo che ritrovassimo le bacchette. Hermione ti deve la vita e dal momento che io devo la mia a lei, in questo modo anch’io sono in debito con te. –
- È questo il motivo quindi? – proruppe Draco irritato e si girò completamente. Si sentiva inasprito dal disprezzo e dal disgusto. Se per Potter o se stesso, tuttavia, non era sicuro. - Un debito da ripagare? Ti senti in dovere di contraccambiare? Non l’ho fatto certo perché tu mi ricompensassi della mia buona azione. –
- Allora perché? – Ancora uno sguardo di disponibilità quello di Potter, aperto al dialogo e alla comprensione. Da agnello sgozzato, insomma.
- Non c’è un perché, – ribatté alterato. - L’ho fatto, sì, ma non sono tenuto a dire a te o a nessun’altro cosa mi abbia spinto. -    
Questo finalmente parve ottenere un riscontro negativo in San Potter, il paciere della risolutezza.  
- Dovresti imparare che ad una gentilezza o ad una richiesta di pace non si replica mai con un rifiuto. Solo con un “sì, ti sono grato”, – sbottò e per la prima volta il suo volto rivelava segni di cedimento e seccatura.
Draco gli riservò un sorriso soddisfatto e glaciale. - Piuttosto quando l’inferno gelerà, Potter. –
Lo vide indurire l’espressione e contrarre le mani a pugno, nascondendole poi tra le falde del mantello. - E solo a quella condizione io ti lascerei marcire in questo mausoleo, – minacciò.  
- Santo Potter e il cuore impavido da sciocco grifondoro, – lo schernì.   
- Cos’è a trattenerti qui oltre l’odio per me? Casa mia… - riattaccò lui, già pronto a ricominciare con la sua tiritera.
Draco fece una smorfia nauseata. - Non dire “diventerebbe anche tua” o giuro che potrei dar di stomaco sulle tue scarpe, – avvertì.  
- Potrebbe esserlo, – ribatté Potter. Draco gli lanciò un’occhiata di palese scetticismo.
– Davvero, – insistette di fronte a quella dimostrazione di diffidenza. - O invece essere una sorta di… - si sbracciò alla ricerca del termine adatto. Parve trovarlo. - … ostello, ecco. Certo, naturalmente dovresti tenere questa versione del mio invito per te soltanto, specie con Hermione nei paraggi, ma per il resto credo che potremmo riuscire a trovare un compromesso. Non dico che sarà tutto rose e fiori, ma val la pena tentare, no? O questo o un centro di riabilitazione, – concluse facendo spallucce.
Draco ebbe un travaso di bile. Respirò a boccate ampie e deglutì a fatica. - Un cosa? – riuscì quindi a biascicare in una pallida imitazione di collera sdegnata. 
- Deduco tu non ne sia al corrente. – Potter si studiò le unghie con simulata noncuranza. 
- Se sapessi qualcosa di sicuro non sarei qui a chiederlo a te, ti pare? – digrignò i denti.
- Giusto. Beh, per farla breve secondo il nuovo regime ministeriale gli ex… - lo guardò in tralice, prima di proseguire come nulla: - … detenuti sono tenuti secondo l’ordinanza della nuova legge in vigore dal … -
- Taglia corto e arriva al punto, Potter. –
- Ci stavo arrivando, – disse lui risentito e gli scoccò un’occhiata indignata. - Ecco, dicevo, sono tenuti a… trascorrere un periodo di tempo da determinarsi al momento della scarcerazione in un’apposita struttura per la reintegrazione completa nella comunità. –
- Stai scherzando, spero, – pronunciò Draco a fatica e spalancò gli occhi.
- Niente affatto. –
- Mi stai dicendo che dopo otto anni ad Azkaban non sono ancora libero? - 
- È la legge. –
- La legge è stupida e inutile o meglio, lo è il mago che l’ha legalizzata. Chi è stato tra parentesi? Vorrei segnarmi il nome così da mandargli un bulbo di Tranello del  Diavolo quando ne avrò l’occasione. –
- Percy tentava solo di operare nella maniera più appropriata, – lo riprese Potter, accigliato.
- Un Weasley, avrei dovuto aspettarmelo. – Draco arcuò le sopracciglia affettando sorpresa. - Chi altri avrebbe potuto compiere a cuor leggero un abominio del genere se non qualcuno avvezzo sin dalla culla a disonori e infamie ben peggiori? –
- Lo stai rifacendo, – disse severamente Potter. - Stai di nuovo recitando il ruolo di cattivo come facevi ai tempi della scuola, quando eri un egocentrico viziato. –
- Risparmiami, Potter, te ne prego. Quanto dovrebbe durare questo periodo di reintegrazione ad ogni buon conto? –
- Secondo il modulo compilato alla tua scarcerazione circa quattro mesi, informazione di cui  tu stesso saresti a conoscenza se solo ti fossi degnato di richiederlo alla guardia addetta prima di fuggire a rintanarti qui. A quanto dicono i guardiani sei stato un prigioniero modello e soprattutto per questo, per la buona condotta, ti è valsa l’uscita anticipata. – Da sopra la pergamena che aveva estratto dal nulla, Potter gli lanciò un’occhiata incredula. Al vedere quella che lui sentiva deformargli il volto in una maschera plastificata, tuttavia, ebbe il buonsenso di mutarla e divenne cauta.   
- So cosa stai pensando, – disse in tono sostenuto. - Stai pensando che altri quattro mesi di prigionia forzata siano nulla in un’ipotetica scala di orrore se messi a confronto con l’alternativa di trascorrerli in mia vicinanza, ma ti chiedo nuovamente di ripensarci. Ho già predisposto tutto. Avresti una tua camera, casa mia è grande e saresti padrone dei tuoi spazi e della tua solitudine o al contrario potresti contare su un po’ di compagnia qualora la volessi o la ricercassi. In un centro dovresti conoscere un’umiliazione che non riusciresti a sopportare, te lo assicuro e che non meriti, – serrò lo sguardo che divenne improvvisamente gelido. - Che nessuno si merita. Saresti costretto a fingere di appoggiare cause che sono vuote e prive di fondamento ormai, ma a cui ugualmente le direttive governative premono perché ciascuno vi presti giuramento. Per scongiurare pericoli che sono solo miraggi del passato. –
Avrebbe potuto trovare intrigante l’avversione dimostrata da Potter nei confronti delle scelte discutibili del governo, ma al momento non gli interessava. 
- E tu pensi davvero che accettare la tua offerta non sia oltremodo degradante per me? Qualsiasi cosa mi risulta umiliante. La mia vita è diventata una mortificazione continua, incessante. –
- Se è così a maggior ragione non dovresti porti problemi ad acconsentire, no? – fece presente lui argutamente.
- Sei una vera piaga, Potter. Immagino non mi lascerai in pace finché non avrai vinto. –
- Sono pronto a strapparti il sì per esasperazione, ti avverto da ora. –
Draco espirò con doverosa lentezza. - Non credo di avere alternative. A quanto mi hai detto o la riabilitazione o casa tua. Non vedo molte differenze, ma almeno da te potrò divertirmi a maltrattare qualcuno. –
Potter sorrise. - Ottimo pretesto, – si congratulò rimettendo la pergamena in uno scomparto interno del mantello. Draco lo vide metter mano alla bacchetta che per tutto il tempo della conversazione aveva tenuto in tasca e rialzare il cappuccio, calandolo fin sulla fronte. Nel mentre gli parve opportuno fingere di notare la fede che gli brillava al dito. Sarebbe stato imbarazzante d’altronde ammettere di essere già a conoscenza di molte informazioni, particolari che nei suoi anni di prigione aveva racimolato in briciole leggendo strafalcioni dai quotidiani raccattati.
- A rifletterci, Potter, è opportuno ritenere che in questi otto anni tu e consorte abbiate ampliato la stirpe, – fece presente quasi casualmente.  
Potter smise di aggiustarsi il mantello e si girò a scrutarlo, tra il sorpreso e il divertito. - Tu cosa pensi? – chiese.
Ci fu appena un’esitazione, ma poi Draco rispose con tranquillità. - Propenderei per il sì. –
Potter assentì. - Ho sei figli. James Sirius compirà a breve sette anni. Albus Severus e Rose ne hanno quasi sei, Hugo e Lily quattro e la piccola Virginia non ha ancora due anni. – Nel pronunciare quell’ultimo nome in particolare, il volto aveva mostrato un’emozione tutta particolare, esclusiva.    
A Draco parve di avere all’improvviso la lingua inceppata. Ingoiò a fatica un groppo di saliva. Sei marmocchi. Per l’amor di Salazar, sei. – Felicitazioni, – disse in un tono che alle sue stesse orecchie suonò falso e vagamente stridulo.
Il divertimento si accentuò sul volto di Potter. - Ti ringrazierei se me le avessi poste con un’espressione meno inorridita, magari. Sembra che tu abbia mandato giù della puzzolinfa, – ironizzò.  
Si incamminarono in direzione dell’uscita e Draco sentì opportuno porre un’ulteriore domanda di sicurezza.  
- Quanto hai detto che è grande casa tua, Potter? – chiese con indifferenza.
- Quasi quanto la tua, Malfoy. Solo che ha la peculiare aggiunta di non essere in rovina né di avere per coinquilini ragni grossi quanto un pugno, – Potter lo mise al corrente, infilandosi i guanti. - Se fosse così mio figlio Hugo ne morirebbe. Ha un’aracnofobia che supera perfino l’acrofobia che Rose ha ereditato da Hermione. –
- Hai scelto dei nomi insoliti per i tuoi figli. – Insoliti era un eufemismo. - Albus Severus, – scandì Draco raccapricciato. - Chi chiamerebbe un bambino così? Solo un pazzo. –
- O un ingenuo o un povero sprovveduto privo della minima inventiva. – Potter gli sorrise con incomprensibile calore. - È quel che mi ha detto Hermione poco dopo il parto. –
Ma alla fine ha ceduto, avrebbe voluto dire lui. Preferì astenersi riservandosi il diritto al silenzio.
Erano arrivati in cortile nel frattempo. Draco fissò annoiato il cielo grigio cenere e le nuvole sparse a grappoli, facendo poi scivolare pigramente lo sguardo attorno, lungo le colonne danneggiate e le statue decapitate. Con la pioggia a battere leggera sulle loro teste chine e il fango ad inzaccherare le scarpe, si apprestarono a raggiungere il cancello.
- Com’è che siete finiti assieme tu e la Granger? – volle indagare per mera curiosità.
Gli parve che il tempo si dilatasse per quanto Potter ne impiegò a rispondergli.
- Come due buoni amici rimasti soli troppo a lungo, – disse lui, alla fine, in tono mite.
- E l’amore tanto vagheggiato da Silente che posto ha in tutto questo? –
Erano giunti sotto il porticato. Potter si scrollò  i capelli dalla pioggia, un gesto fondamentalmente inutile, ma che doveva aver compiuto per pura abitudine. Un attimo dopo infatti li aveva di nuovo appiccicati alla fronte e sembravano strisce d’inchiostro sulla carta tanto appariva pallido. - Il più importante, - assicurò, – anche se non si vede. –
Draco abbassò lo sguardo, oppresso da una sensazione strana. Rimase taciturno e teso finché non ebbero attraversato il patio scoperto e raggiunto il cancello esterno, l’ultimo. Lì, a far bella mostra di loro appoggiate contro il muro, di fianco alle siepi giganti, c’erano due scope in perfette condizioni.
- Ma questa… -
- È stata un’idea mia e di Hermione, – chiarì Potter. - Abbiamo solo pensato che potesse essere carino. –
- Carino? – fece eco, voltandosi ad osservarlo senza espressione.
- Si, insomma, l’hai detto anche tu, no? – si massaggiò il collo a disagio. - Otto anni in una cella… non deve essere stato facile né piacevole.  Quale modo migliore per “spezzare lo spettro di uno spazio delimitato da sbarre se non riprendendo possesso del cielo”? – citò in falsetto una voce femminile e Draco si scoprì quasi a sogghignare suo malgrado. - Deve esserti mancato parecchio poter volare liberamente, – continuò Potter e lo guardò dritto in faccia.  
- Ho sentito la mancanza di parecchie cose che potessi fare liberamente, Potter. Comunque una volta tanto sembra che tu sia riuscito ad azzeccare qualcosa di giusto. –
Draco si mise a cavalcioni sulla scopa, immobile nell’aria dopo il richiamo imperioso del suo “Su” pronunciato a mezze labbra, le mani ad impugnare il legno, la presa tanto forte da mettere in evidenza i tendini e nocche scorticate.
La sensazione di familiarità che lo travolse avrebbe potuto trascinarlo via nel cielo come una piuma per quanto era stata violenta e impetuosa, una raffica di vento in una tempesta. Si immaginò già sopra, nel vuoto, a riacquistare dimestichezza con quell’emozione, l’impressione di essere padrone di tutto, la vastità dell’infinito e oltre. La smania febbrile del volo e del sentirsi svincolati, affrancati. Libero dopo anni di catene e rammarichi.         
- C’è un posto in cui vorresti andare prima? – domandò Potter di fianco a lui.
Draco ripensò a quella sensazione e la affiancò ad un’altra completamente opposta. Rivide mura sgretolate e un cielo a far capolino da un soffitto che lo aveva sempre mostrato il cielo, senza che occorresse farlo crollare. Un sogno o un castello di carte precipitato su stesso.
- Hogwarts, – disse soltanto.
Non aggiunse altro, ma Potter fece cenno di sì, come se avesse capito e Draco per un istante pensò che lo avesse fatto davvero. Che avesse capito.
- Forse dovremmo fermarci da un barbiere strada facendo. Hai l’aspetto di un lupo e spaventeresti a morte i bambini così conciato. In effetti fai impressione anche a me, – rise e senza dargli il tempo o la prontezza di rispondere abbastanza aspramente, si sollevò con una spinta dei piedi.        
Là, a un metro e mezzo dal suolo, senza più sorridere, lo guardò gravemente nella luce del pomeriggio che andava incupendosi, gli ultimi fili d’acqua di quel temporale primaverile. 
Non tese la mano, ma era come se l’avesse fatto.
- Andiamo? –

E lui l’avesse accettata.

 

 


 

L’ultima volta che ho pubblicato qualcosa era Dicembre e Signore - erano due anni fa. No, uhm, siamo precisi. Un anno e sette mesi fa.
Se avete letto con attenzione, avrete notato che ho scritto “pubblicato”. Ciò significa che in tutto questo tempo, che è un mucchio, davvero un mucchio di giorni ed ore rubate a quelle buche e oziose del non lavorare/studiare/fare da babysitter, ho continuato a scrivere.
Ad un certo punto non so spiegarlo, ma era scattata una molla. Mi sembrava di aver perso dimestichezza con lo scrivere fanfiction. Scrivevo, ma non con la stessa leggerezza di fondo degli inizi. Non mi divertivo più. La differenza tra i miei primi scritti, più frizzanti e luminosi e gli ultimi: seri, pesanti, tetri, pallida imitazione delle tragedie greche, si commenta da sé. Torno, quindi, con meno pensieri di un anno e mezzo fa, più pimpante e altrettanto profonda spero, ma anche più vera in quel che voglio offrirvi. Mentirei se dicessi che questa prima cosetta qui sopra mi soddisfi appieno, ma l’idea mi ronzava in testa da troppo per rifiutarle qualche pagina di World e il desiderio di dare vita a qualcosa, un finale leggermente più tragico rispetto a quello ufficiale – più morti, più dolore, più angst –  stuzzicava da sempre la vena nero catrame che è in me, senza che io le dessi ascolto. Detto fatto. "Polvere" nasce in un universo alternativo a quello canonico. Un mondo in cui Ron Weasley e Ginny e tanti altri non ce l’hanno fatta, in cui essere eroi non ha significato vincere la guerra, ma fare i conti con il dopo, con tutto ciò che aveva sottratto: le mille possibilità, i sogni.
Non credo di aver reso tutto questo, non ancora, ma ci sto lavorando.
Nel frattempo, un abbraccio a tutti e sì: SONO TORNATA! Stappiamo lo spumante!
Yeah! XD
Un grazie particolare alle persone che nonostante tutto (la mia assenza, il fatto che non rispondessi) hanno continuato a recensire e a leggere. A loro dico grazie, ma grazie anche a chi c’è da adesso. Fate conto che anch’io è come se ci fossi da adesso ;)

  
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