Da leggere con le pinze, va trattato
con delicatezza e preso con le dovute distanze. Da non confondersi con
distacco, eh! Credo che quello, assieme all’indifferenza e alla pigrizia, siano
i nemici mortali di ogni buon lettore e fic-writer. Chiusi i convenevoli e ottemperati
i miei doveri di ospite, vi auguro una buona lettura.
Polvere
Malfoy
Manor era un dedalo di stanze vuote e ragnatele che parevano esalare in un’eco
di solitudine ristagni di morte. I padroni di quel maniero d’ombra e ossa erano
scomparsi ormai da anni e nessuno ne reclamava più il possesso. Appartenevano a
un tempo immemore che i più si rifiutavano di ricordare e che altri, i più
coraggiosi, i puri di cuore, avevano deciso di non dimenticare mai perché era
là che aveva conosciuto gloria il lato nobile del loro animo, là che era
nato quanto di più antico e prezioso per un uomo, specie se debole e codardo: una
coscienza.
Non è mai troppo
tardi per cambiare e per decidere di diventare qualcun’altro.
Lo
spettro di una voce, a rincorrersi sui pavimenti dalle lastre discostate, si
univa agli spifferi gelidi che attraversavano le pareti e i vetri rotti delle
finestre intarsiate come profili argentati e immateriali di fantasmi, si
infilava nella sua mente in pertugi piccoli fatti apposta per dita minuscole di
bambino.
Era
una voce quella, il tono che celava un sorriso nascosto poco e male, che suonava
fuoriposto. Era fuori luogo sentirla, soprattutto se rimbombava tra quelle
mura, gentile e pacata come era sempre stata ad ascoltarla osservando l’uomo cui
era appartenuta quando era ancora vivo.
Il cambiamento in
nessun caso può rivelarsi indolore, rivelò un’altra voce e questa se
possibile, questa aveva un suono che
gli risultava ancora più doloroso. L’altra era un pugno in pieno viso, non
troppo forte, ma abbastanza da fargli provare una fitta di sofferenza acuta e
pulsante. Gli aveva riempito la testa di immagini fastidiose, memorie
assillanti. Quella sapeva tormentarlo senza fare nulla in particolare. Se avesse
dovuto spiegarlo a parole, Draco non ne sarebbe stato in grado. Non era
rimpianto, non era dolore né tantomeno amarezza. Era qualcosa di più. Tutte
quelle sensazioni e contemporaneamente qualcosa in più. Qualcosa che lo
torturava e lo distruggeva, che lo aveva fatto in tutti quegli anni e non
avrebbe mai smesso.
Una
scelta sbagliata. Era questo ad aver procurato quel buco dentro di lui. Una
concatenazione di scelte sbagliate. A trent’anni e sentendosene addosso tanti
di più, in piedi in un salone grigio che aveva visto tempi e persone migliori, Draco
Malfoy fissava con occhi cupi il quadro di quella che era stata la sua
famiglia. C’era suo padre, alto e distinto, l’allure di un cobra e di un
maledetto o di entrambe le cose, come quel serpente che si mordeva la coda in
eterno senza trovar pace alla sua ingordigia; c’era sua madre, bella e
distaccata come le nuvole in primavera, volubile e fragile eppure fiera, lo
sguardo magnetico che aveva ereditato, il germe di determinazione nell’iride che
in altri era stato follia e poi rovina e morte. E infine c’era lui: un bambino pallido e
inamidato nei vestiti della festa, col volto appuntito di un folletto e gli
occhi luminosi, il sorriso sincero seppur teso.
Ero un bambino
felice? O ho rovinato tutto? Di chi è la colpa?
La
tela del quadro era tutta rovinata, la cornice consumata. Gli incanti di
protezione apposti attorni agli oggetti erano infranti, caduti insieme a tante
altre cose. Eppure rimanevano gli ingranaggi. Nascosti dalla polvere, ma
vividi, ora più che mai. Liberi delle loro maschere. Non c’era senso di dignità
più grande se non nell’abbraccio materno di Narcissa alle sue spalle od
orgoglio più completo e feroce se non nella presa di Lucius, nelle mani posate come
grossi ragni pallidi rispettivamente sul braccio del figlio e della moglie. Non c’era
infelicità più grande nella menzogna.
Non avrei mai
potuto essere nessun altro. Non volevo essere nessun altro. Perché essere
migliore d’altronde? Per chi?
Le
dita scivolarono lungo la trama del dipinto, a rincorrere d'impulso
pensieri e ricordi; quando se ne accorse, le serrò a
pugno ridendo di se stesso. I ricordi erano una trappola pericolosa.
Era sempre
stato così e lo sarebbe stato sempre.
*
Si
risvegliò al rumore attutito di passi e si voltò appena verso la fonte del suono.
Un uomo era entrato nel salone. Era in penombra e perciò Draco non poteva scorgerne
con esattezza i tratti del volto, ma gli occhi scintillavano come quelli di un
gatto ed erano inequivocabilmente verdi. C’era una sola persona nel Mondo
Magico che avesse occhi di un verde così brillante e fastidioso e appartenevano
proprio all’ultima che lui si sarebbe aspettato di incontrare o che avrebbe
desiderato vedere. La speranza è l’ultima
a morire, si disse.
Harry Potter. Anche il solo
pensarlo era sgradevole.
-
Che sei venuto a fare? –
Nel
silenzio narcotico del salone polveroso, parve quasi che avesse urlato.
-
Sapevo di trovarti qui. Questa rimane casa tua dopotutto, almeno di nome se non
nei fatti. – Potter accompagnò alla spiegazione una scrollata di spalle e Draco
intimò con ostilità: - Rispondi alla domanda, Potter. –
Il
modo strascicato in cui le parole gli erano uscite, le labbra serrate in
un’espressione a metà tra il biasimo e il disgusto, il fatto che nel
pronunciarle i capelli biondi, lunghi e scarmigliati, gli fossero finiti come
intralcio davanti al viso affilato, tutto questo servì a far riaffiorare nella
memoria di entrambi il profilo di un’altra persona, imprimendovelo a fuoco. Un
naso adunco e uno sguardo severo e inflessibile, qualcuno che aveva rivestito
un ruolo significativo nelle vite di entrambi e che rappresentava l’unico punto
in comune tra mille altri di contrasto.
-
Rispondi, – ripeté una seconda volta, quando la mancanza di una replica gli
divenne insostenibile.
-
Sono venuto a prenderti. –
A
giudicare dal tono utilizzato, Potter aveva tutta l’aria di sentirsi un
martire. Sembrava che l’essere messo alle strette, inoltre, gli risultasse
fastidioso quasi quanto lo era per lui la sua stessa presenza lì. Draco annuì e
corrugò la fronte, lo sguardo fisso alla cornice tarlata del ritratto. Non
poteva dire di non esserlo aspettato. Era talmente scontato in fondo da
risultare perfino banale. – In qualità di Auror? E con quali accuse se mi è lecito
chiedere? –
Questo
sembrò stupire l’altro. Ma cosa si aspettava? Che facesse fuoco e fiamme
cercando di darsi alla macchia?
Interdetto,
Potter fece un passo in avanti. Ciò facendo si portò alla luce e quello
spostamento permise a lui di osservare distintamente i lineamenti familiari
eppure sconosciuti dell’uomo in cui gli anni l’avevano costretto a trasformarsi.
Il tempo era stato impietoso quasi quanto lo era stato con lui, constatò
spassionatamente. Quasi, perché
Potter a differenza sua non aveva trascorso gli ultimi anni in una cella buia, a
litigare con le cimici e senza altra compagnia che uno spicchio di cielo
sprangato e un silenzio angosciante. Piccole rughe gli circondavano la bocca e
davano l’impressione costante che stesse serrando la mandibola. Un vezzo che
era stato di un Auror famoso come lo era ormai lui in campo lavorativo,
altrettanto benvisto prima di crollare dagli allori di un prestigio conquistato
col sangue e colle vite caracollanti di altri mille volte più miserrimi. Fili
grigi sulle tempie, troppi per la sua età e troppo pochi considerati gli orrori
visti all’alba della gioventù.
Al
pensiero Draco si rabbuiò impercettibilmente.
Potter
si grattò la cicatrice sulla fronte, in un gesto che era evidentemente
un’abitudine, con perplessità. – Sei appena uscito di prigione, - fece notare
dunque, - e non mi risulta che le condizioni ad Azkaban siano migliorate a tal
punto da farti desiderare di tornarci così presto. Quindi, a meno che nelle
ultime ore tu non abbia organizzato una rapina alla Gringott, ucciso qualcuno o
commesso qualche reato a danni di terzi che possa valerti l’immediato arresto,
il ché lasciatelo dire sarebbe più che strano ad appena un giorno dalla tua
scarcerazione, anzi più da idiota,
non vedo quali accuse ti aspetti che ti declami. –
-
Mi stai dicendo… che non sei venuto qui ad arrestarmi? –
Potter
scosse il capo e si permise persino un sorriso di difficile interpretazione. – Sì,
è così. –
Il
dubbio cedette il posto al fastidio. – E allora che diavolo vuoi? – sbottò
Draco.
-
Gentile come ricordavo. –
-
Scusa, – ribatté a denti stretti. – I dissennatori ti privano di ogni volontà
in proposito. –
La
bocca di Potter si contorse in una specie smorfia per qualche istante. – Non
che ci fosse molto da prosciugare prima, – mormorò rassegnato, più rivolto a se
stesso e Draco gli scoccò uno sguardo furente. - Guarda che ti ho sentito –
-
Malfoy, - invocò stancamente Potter e si massaggiò il naso, come per
scongiurare un mal di testa incipiente. – Ti
prego. Sono qui per portarti via. –
O
Potter era un plateale idiota o davvero pensava che quel che diceva avesse
senso. Maledendo tra sé e sé tutti i Maghi più famosi, Draco masticò
un’imprecazione.
-
E io ti sarei davvero grato, Potter,
- quasi ringhiò, - se tu mi dicessi dove, ma soprattutto per quale dannato
motivo io dovrei seguirti e cosa ti abbia spinto a credere che l’avrei fatto
senza porti domande semplici come un elementare perché. –
-
Accidenti ad Hermione, – mormorò Potter sovrappensiero, - ha sempre, sempre ragione. –
Bastò
un attimo perché lui decifrasse quei borbottii. La Granger. Ma certo. Un
idiota per volta non bastava, ovvio. A differenza di anni prima, però, quella
riflessione non era pregna di avversione. Al contrario. Era un’osservazione
stanca, usurata nel modo in cui solo una constatazione fatta ordinariamente può
diventare. Fatta più per consuetudine che per reale convinzione.
-
E va bene, – disse Potter. Si passò una mano nella chioma fin troppo bistrattata
per appiattirla ed ottenne, com’era inevitabile aspettarsi dato l’individuo in
questione, il risultato opposto che fu quello di gonfiarli. – Ti porto a casa
mia, d’accordo? – concluse senza guardarlo direttamente.
-
Casa tua? – ripeté Draco. Sapeva di avere un’espressione allibita e non si curò
di nasconderla. – E che vengo a farci io a casa tua? –
-
Mi sembra chiaro, no? – Potter gli piantò in faccia gli occhi sgranati al
limite. Ostentò un’improbabile meraviglia, come se realmente non capisse in
quale modo una qualunque persona dotata di intelletto o di una minima percezione
comune potesse davvero attardarsi a riflettere prima di piegarsi a fare quel
che lui aveva stabilito che si facesse. Alzò le spalle, minimizzando. - A
viverci naturalmente, – spiegò con facilità.
Quella
risposta noncurante e assurda stroncò ogni precedente idea sulla più che
plausibile idiozia dell’altro, rendendola quindi tanto assodata e indiscussa da
far sentire Draco persino sin troppo intelligente.
-
Sei per caso impazzito? – esplose. - Perché se è uno scherzo, Potter, sappilo,
non è divertente. Per niente. È rivoltante e un sacco di altri aggettivi che
ora mi sfuggono, ma non divertente. Anche
per i miei standard. –
-
Che sono piuttosto bassi bisogna dirlo. –
La
condiscendenza di Potter avrebbe schiantato la pazienza di un Santo. Nessuna
sorpresa che avesse già mandato a rotoli la sua. Piuttosto era sorprendente il
fatto che non trovasse alcuna ragione degna di nota per rispondergli con la
stessa verve del passato. Tutto ciò che voleva era che lui scomparisse dalla
sua vista per ritornare ad essere inghiottito dalla polvere e dai rimorsi.
-
Vattene. – Un ordine secco, impietoso, sbrigativo.
-
Mi dispiace, ma non posso. –
A
giudicare dall’aria serafica, comunque, Potter sembrava tutt’altro che dispiaciuto.
-
Perché? –
-
Tempo fa, ho fatto una promessa. – Potter si trascinò fino ad una poltrona
sgangherata, di fronte al monumentale camino di marmo che rappresentava l’unico
oggetto rimasto intatto nella stanza, e vi si lasciò cadere sopra con un tonfo.
Draco rimase in attesa che quella si schiantasse al suolo da un momento
all’altro, ma le sue speranze vennero disattese. Tipico, pensò cupamente.
-
Che genere di promessa? – chiese spazientito.
-
È stato poco dopo la fine della guerra, – rispose Potter. - Ho promesso a me
stesso che non avrei mai più lasciato indietro nessuno. –
-
Io non sono chiunque altro. – Draco assottigliò lo sguardo nell’avanzare quella
considerazione. - Nel caso tu non lo avessi notato sono tutto fuorché quello.
-
Potter
annuì. - Lo so bene. –
-
Allora perché lo fai? Perché non hai già imboccato la porta? –
-
Te l’ho già detto, mi pare. –
-
E a me pare di aver detto che esigo una risposta sensata. –
-
In tutti questi anni non sei cambiato affatto, eh? – Sul volto di Potter comparve
l’ombra di un sorriso che Draco non sarebbe stato capace di ricambiare neanche
volendo.
-
Sono otto anni, Sfregiato, non una vita, – ribatté, ampiamente infastidito. -
Sono cambiati solo i miei gusti in fatto di cibo. Nulla di più. –
-
Beh, sempre meglio di niente. Se verrai ad abitare da noi avresti dovuto
comunque abituarti alla cucina di Hermione. –
Draco
trasalì. Equivocando la sorpresa provocata da quanto aveva appena detto e
fraintendendone le cause, Potter si affrettò ad aggiungere a sua discolpa: - Sono
suo marito, non un bugiardo. So riconoscere i lati buoni di Hermione e ne ha
molti, ma per quanto riguarda le sue doti culinarie… - si strinse nelle spalle con
naturalezza, - avevo le idee chiare in proposito ben prima di sposarla. È
Molly, la signora Weasley, sai, a cucinare il più delle volte. Abita con noi da
un paio d’anni e… –
-
Perché mi stai dicendo tutto questo? – l’interruppe e lo fissò duramente.
Potter
gli riservò un’occhiata altrettanto sfacciata e seria. Limpida in qualche modo,
tanto da risultare snervante. - Per renderti chiara la situazione familiare con
cui sarai costretto a confrontarti nel caso tu decidessi di accettare la mia
proposta. –
-
Una seconda Tana piena di babbanofili, mezzosangue e traditori del proprio
sangue, – Draco sbuffò con derisione. - Chi non accetterebbe? –
-
Malfoy, - lo riprese lui, - i tempi sono cambiati. I vecchi giochi e le regole
che li accompagnavano caduti. Non serve più che tu finga di rivestire una certa
parte se non la senti davvero tua. –
-
Hai mai preso in considerazione l’ipotesi che io sia davvero così, Potter? –
replicò con stizza. - Crescendo tra
assassini e folli si diventa pari a loro. –
-
Non lo sei adesso né lo sei mai stato. – Potter scosse il capo con esasperante
risolutezza.
-
Sembri piuttosto sicuro per uno che si è quasi beccato un Cruciatus dal
sottoscritto. –
-
Mi fido del giudizio di chi ha cercato di proteggerti. –
- Che vai farneticando? – Draco strabuzzò gli occhi, sbigottito. Di
fronte a lui Potter era una statua di sale, stordito dalla sua stessa
determinazione. -
Parlo di Silente e di Severus Piton, – dichiarò in un tono che avrebbe dovuto
essere chiarificatore, lo sguardo acceso del fervido credente. - Entrambi hanno
cercato di proteggerti sin da Hogwarts, tutelandoti come meglio hanno potuto. –
-
Sembra che il loro meglio non sia stato sufficiente allora, – fece presente Draco
sarcasticamente. - Eccomi qui, - proseguì tagliente, allargando le braccia come
per meglio mostrarsi alla vista dell’altro, - fresco di galera, mangiamorte e
ladro. A detta di alcuni anche patricida. –
-
Non è stato il loro meglio a non bastare. È stato il tuo a mancare, che tu non
ci abbia neppure provato a mostrare il tuo lato più onesto. – Potter gli puntò
contro l’indice con una tale foga che Draco riuscì a reprimere a stento
l’impulso di estrarre la bacchetta e staccarglielo con una fattura ben piazzata.
-
Cosa diavolo ti fa credere di avere il diritto di venire qui a sputare sentenze
come se sapessi ogni cosa? Tu non sai niente, niente, né di me né di quello che ho passato. Cosa pensi che abbia
spinto quei due ad aiutarmi, poi? – socchiuse gli occhi, serrandoli fino a
sentirseli bruciare. - Te lo dico io: pietà. Quella e un briciolo di giustizia.
–
-
Non è stata pietà. Era compassione e riconoscimento. Si rivedevano in te, eri
il ricordo della loro adolescenza spezzata a torturarli. Eri le loro scelte
sbagliate, gli errori della loro gioventù, il loro passato. Eri tutte queste
cose, Draco, rappresentavi tutto questo, insieme alla possibilità di rimediarvi
facendo in modo che tu, a differenza loro, ne uscissi salvo, incorrotto. –
-
E io te lo ripeto, Potter. Hanno fatto male i conti. –
Potter
scosse ancora una volta la testa con un’ostinazione divenuta logorante per i
suoi nervi. - È qui che ti sbagli. Loro non hanno fallito. Il fatto stesso che
io sia qui è la riprova che non abbiano fallito e il motivo che mi ha portato a
chiederti di tornare a vivere e di farlo nella mia famiglia. Sai come me la
sono procurata questa? – Potter si sbottonò il polsino della camicia. La arrotolò
fino al gomito e gli mostrò quello che era un lembo di pelle frastagliato e
ricucito alla bell’e meglio. In quel pasticcio di carne dentellata da cicatrici
più piccole un segno correva lungo tutto l’avambraccio, di un rosso fuoco e
vivo, quasi la lama o l’incantesimo che aveva praticato il taglio l’avesse
inciso appena poche ore prima e non anni, com’era da presupporsi visti i tempi
di pace che imperavano. Suo malgrado, Draco ne fu impressionato. Storse il
naso, tuttavia, mostrandosi disgustato e ne respinse la vista voltando il viso
dall’altra parte.
-
Una ferita di guerra, immagino, – sminuì con un movimento vago della mano. - Una
cicatrice in più da sfoggiare per l’Eroe. –
-
Sì e no. – Potter gli sorrise incoraggiante, come se si fosse atteso quella
reazione e anzi, l’avesse addirittura prevista. - Ma puoi indovinare quando me
la sia procurata almeno. È stato il giorno della cattura, – spiegò con fare
inspiegabilmente complice, - quello in cui tu più di tutti hai dimostrato di
avere una coscienza. Non ho mai capito perché avessi mentito, cosa ti avesse
spinto a fingere di non avermi riconosciuto. – D’un tratto assunse un’aria
inquieta. Alla luce fioca del pomeriggio, fatta per lo più di rigagnoli di un vacuo
azzurro, e visto di profilo, Potter poteva quasi
passare per un uomo raziocinante.
-
Non fingevo, Potter, – disse Draco seccamente. Si passò una mano tra i capelli
troppo lunghi e fece per scostarseli dalla fronte, ma era inutile. Li aveva appena
gettati indietro che già quelli pendevano davanti e gli finivano sugli occhi,
sporchi. Troppo sporchi. Un tempo erano stati come lino tra le dita e di un
colore slavato che risultava pressoché bianco. Dello stesso tipo di suo padre.
Storse la bocca al ricordo di allora e lo ricacciò giù come un boccone aspro. -
Avevi la faccia gonfia come quella di un bolide, - continuò e si sforzò di
produrre un ghigno convincente.
-
Ma hai riconosciuto Ron ed Hermione e anche se dici di no, so che avevi
riconosciuto anche me. Te l’ho letto negli occhi. – Potter si alzò e sotto il
suo sguardo infastidito prese a passeggiare avanti e indietro, come in un
monologo da teatro, tutto preso dal suo discorso. - Quello che non riuscivo a
capire era il perché, - ammise e si voltò a fissarlo con insistenza, - cosa avesse
potuto spingerti a mentire quando sapevi benissimo che consegnando me tutto
sarebbe potuto finire. Voldemort avrebbe vinto e tu e la tua famiglia avreste
ottenuto la vita che volevate, tutto ciò per cui avevate combattuto. È stata
Hermione ad aprirmi gli occhi al riguardo. –
-
E come avrebbe fatto? Sentiamo, – lo invitò Draco e incrociò le braccia al
petto per impedirgli di notare il tremolio convulso che gli aveva attaccato a
tradimento le mani al sentir pronunciare apertamente quel nome.
-
Raccontandomi la verità. – Potter si bloccò a pochi passi da lui, incontrando ancora
una volta il suo sguardo, sicuro di quel che affermava. - Mi ha detto di come
le hai salvato la vita. –
-
Io non ho fatto proprio nulla. –
-
Sì che lo hai fatto invece. E salvando lei hai salvato anche me e così facendo
l’intero mondo magico. Silente e Piton avevano ragione a salvarti, anche se
naturalmente non credo fossero così lungimiranti. –
-
Blateri, Potter. Io non ho salvato la Granger e questa conversazione non ha alcun
senso. – Draco si mosse per dargli le spalle nel gesto definitivo del commiato,
deciso a concludere lì quella farsa una volta per tutte. Potter non fece un
passo in avanti né diede mostra di avere l’intenzione di fermarlo in alcun
modo. Non con la forza almeno.
-
Hermione dice che dopo aver visto morire Ginny… - sussurrò ad occhi bassi e con
voce rotta e vulnerabile. Parole quelle che, più di ogni altro incantesimo di
prietrificamento borbottato a mezze labbra, lo raggiunsero e servirono a
tirarlo all’indietro, come una molla che dopo la tensione della trazione torni
a rilassarsi in una posa rimpiccolita e minuscola. - Che dopo quello in te sia
improvvisamente scattato qualcosa. Qualcosa che ti ha convinto a salvarla, che
ti ha spinto a liberare me, Ron e gli altri dal sotterraneo. –
-
Non so di che… - iniziò contorcendosi sul posto per non voltarsi del tutto. Tutto
pur di non con concedergli la vittoria, anche se piccola e vacua come quella
dell’aver ottenuto la propria attenzione.
-
So che sei stato tu a sbloccare la porta, - Potter lo interruppe con fermezza,
lo sguardo insondabile, – che sei stato tu a fare in modo che ritrovassimo le
bacchette. Hermione ti deve la vita e dal momento che io devo la mia a lei, in
questo modo anch’io sono in debito con te. –
-
È questo il motivo quindi? – proruppe Draco irritato e si girò completamente.
Si sentiva inasprito dal disprezzo e dal disgusto. Se per Potter o se stesso, tuttavia,
non era sicuro. - Un debito da ripagare? Ti senti in dovere di contraccambiare?
Non l’ho fatto certo perché tu mi ricompensassi della mia buona azione. –
-
Allora perché? – Ancora uno sguardo di disponibilità quello di Potter, aperto
al dialogo e alla comprensione. Da agnello sgozzato, insomma.
-
Non c’è un perché, – ribatté alterato. - L’ho fatto, sì, ma non sono tenuto a
dire a te o a nessun’altro cosa mi abbia spinto. -
Questo
finalmente parve ottenere un riscontro negativo in San Potter, il paciere della
risolutezza.
-
Dovresti imparare che ad una gentilezza o ad una richiesta di pace non si
replica mai con un rifiuto. Solo con un “sì, ti sono grato”, – sbottò e per la
prima volta il suo volto rivelava segni di cedimento e seccatura.
Draco
gli riservò un sorriso soddisfatto e glaciale. - Piuttosto quando l’inferno
gelerà, Potter. –
Lo
vide indurire l’espressione e contrarre le mani a pugno, nascondendole poi tra
le falde del mantello. - E solo a quella condizione io ti lascerei marcire in
questo mausoleo, – minacciò.
-
Santo Potter e il cuore impavido da sciocco grifondoro, – lo schernì.
-
Cos’è a trattenerti qui oltre l’odio per me? Casa mia… - riattaccò lui, già
pronto a ricominciare con la sua tiritera.
Draco
fece una smorfia nauseata. - Non dire “diventerebbe anche tua” o giuro che
potrei dar di stomaco sulle tue scarpe, – avvertì.
-
Potrebbe esserlo, – ribatté Potter. Draco gli lanciò un’occhiata di palese scetticismo.
–
Davvero, – insistette di fronte a quella dimostrazione di diffidenza. - O
invece essere una sorta di… - si sbracciò alla ricerca del termine adatto.
Parve trovarlo. - … ostello, ecco.
Certo, naturalmente dovresti tenere questa versione del mio invito per te
soltanto, specie con Hermione nei paraggi, ma per il resto credo che potremmo
riuscire a trovare un compromesso. Non dico che sarà tutto rose e fiori, ma val
la pena tentare, no? O questo o un centro di riabilitazione, – concluse facendo
spallucce.
Draco
ebbe un travaso di bile. Respirò a boccate ampie e deglutì a fatica. - Un cosa? – riuscì quindi a biascicare in
una pallida imitazione di collera sdegnata.
-
Deduco tu non ne sia al corrente. – Potter si studiò le unghie con simulata noncuranza.
-
Se sapessi qualcosa di sicuro non sarei qui a chiederlo a te, ti pare? – digrignò
i denti.
-
Giusto. Beh, per farla breve secondo il nuovo regime ministeriale gli ex… - lo
guardò in tralice, prima di proseguire come nulla: - … detenuti sono tenuti
secondo l’ordinanza della nuova legge in vigore dal … -
-
Taglia corto e arriva al punto, Potter. –
-
Ci stavo arrivando, – disse lui risentito e gli scoccò un’occhiata indignata. -
Ecco, dicevo, sono tenuti a… trascorrere un periodo di tempo da determinarsi al
momento della scarcerazione in un’apposita struttura per la reintegrazione
completa nella comunità. –
-
Stai scherzando, spero, – pronunciò Draco a fatica e spalancò gli occhi.
-
Niente affatto. –
-
Mi stai dicendo che dopo otto anni ad Azkaban non sono ancora libero? -
-
È la legge. –
-
La legge è stupida e inutile o meglio, lo è il mago che l’ha legalizzata. Chi è
stato tra parentesi? Vorrei segnarmi il nome così da mandargli un bulbo di
Tranello del Diavolo quando ne avrò
l’occasione. –
-
Percy tentava solo di operare nella maniera più appropriata, – lo riprese
Potter, accigliato.
-
Un Weasley, avrei dovuto aspettarmelo. – Draco arcuò le sopracciglia affettando
sorpresa. - Chi altri avrebbe potuto compiere a cuor leggero un abominio del
genere se non qualcuno avvezzo sin dalla culla a disonori e infamie ben
peggiori? –
-
Lo stai rifacendo, – disse severamente Potter. - Stai di nuovo recitando il
ruolo di cattivo come facevi ai tempi della scuola, quando eri un egocentrico
viziato. –
-
Risparmiami, Potter, te ne prego. Quanto dovrebbe durare questo periodo di
reintegrazione ad ogni buon conto? –
-
Secondo il modulo compilato alla tua scarcerazione circa quattro mesi,
informazione di cui tu stesso saresti a
conoscenza se solo ti fossi degnato di richiederlo alla guardia addetta prima
di fuggire a rintanarti qui. A quanto dicono i guardiani sei stato un
prigioniero modello e soprattutto per questo, per la buona condotta, ti è valsa
l’uscita anticipata. – Da sopra la pergamena che aveva estratto dal nulla,
Potter gli lanciò un’occhiata incredula. Al vedere quella che lui sentiva
deformargli il volto in una maschera plastificata, tuttavia, ebbe il buonsenso
di mutarla e divenne cauta.
-
So cosa stai pensando, – disse in tono sostenuto. - Stai pensando che altri
quattro mesi di prigionia forzata siano nulla in un’ipotetica scala di orrore
se messi a confronto con l’alternativa di trascorrerli in mia vicinanza, ma ti
chiedo nuovamente di ripensarci. Ho già predisposto tutto. Avresti una tua
camera, casa mia è grande e saresti padrone dei tuoi spazi e della tua
solitudine o al contrario potresti contare su un po’ di compagnia qualora la
volessi o la ricercassi. In un centro dovresti conoscere un’umiliazione che non
riusciresti a sopportare, te lo assicuro e che non meriti, – serrò lo sguardo
che divenne improvvisamente gelido. - Che nessuno
si merita. Saresti costretto a fingere di appoggiare cause che sono vuote e
prive di fondamento ormai, ma a cui ugualmente le direttive governative premono
perché ciascuno vi presti giuramento. Per scongiurare pericoli che sono solo
miraggi del passato. –
Avrebbe
potuto trovare intrigante l’avversione dimostrata da Potter nei confronti delle
scelte discutibili del governo, ma al momento non gli interessava.
-
E tu pensi davvero che accettare la tua offerta non sia oltremodo degradante
per me? Qualsiasi cosa mi risulta umiliante. La mia vita è diventata una
mortificazione continua, incessante. –
-
Se è così a maggior ragione non dovresti porti problemi ad acconsentire, no? –
fece presente lui argutamente.
-
Sei una vera piaga, Potter. Immagino non mi lascerai in pace finché non avrai
vinto. –
-
Sono pronto a strapparti il sì per esasperazione, ti avverto da ora. –
Draco
espirò con doverosa lentezza. - Non credo di avere alternative. A quanto mi hai
detto o la riabilitazione o casa tua. Non vedo molte differenze, ma almeno da
te potrò divertirmi a maltrattare qualcuno. –
Potter
sorrise. - Ottimo pretesto, – si congratulò rimettendo la pergamena in uno scomparto
interno del mantello. Draco lo vide metter mano alla bacchetta che per tutto il
tempo della conversazione aveva tenuto in tasca e rialzare il cappuccio,
calandolo fin sulla fronte. Nel mentre gli parve opportuno fingere di notare la
fede che gli brillava al dito. Sarebbe stato imbarazzante d’altronde ammettere
di essere già a conoscenza di molte informazioni, particolari che nei suoi anni
di prigione aveva racimolato in briciole leggendo strafalcioni dai quotidiani
raccattati.
-
A rifletterci, Potter, è opportuno ritenere che in questi otto anni tu e
consorte abbiate ampliato la stirpe, – fece presente quasi casualmente.
Potter
smise di aggiustarsi il mantello e si girò a scrutarlo, tra il sorpreso e il
divertito. - Tu cosa pensi? – chiese.
Ci
fu appena un’esitazione, ma poi Draco rispose con tranquillità. - Propenderei
per il sì. –
Potter
assentì. - Ho sei figli. James Sirius compirà a breve sette anni. Albus Severus
e Rose ne hanno quasi sei, Hugo e Lily quattro e la piccola Virginia non ha
ancora due anni. – Nel pronunciare quell’ultimo nome in particolare, il volto
aveva mostrato un’emozione tutta particolare, esclusiva.
A
Draco parve di avere all’improvviso la lingua inceppata. Ingoiò a fatica un
groppo di saliva. Sei marmocchi. Per l’amor di Salazar, sei. – Felicitazioni, – disse in un tono che alle sue stesse
orecchie suonò falso e vagamente stridulo.
Il
divertimento si accentuò sul volto di Potter. - Ti ringrazierei se me le avessi
poste con un’espressione meno inorridita, magari. Sembra che tu abbia mandato
giù della puzzolinfa, – ironizzò.
Si
incamminarono in direzione dell’uscita e Draco sentì opportuno porre
un’ulteriore domanda di sicurezza.
-
Quanto hai detto che è grande casa tua, Potter? – chiese con indifferenza.
-
Quasi quanto la tua, Malfoy. Solo che ha la peculiare aggiunta di non essere in
rovina né di avere per coinquilini ragni grossi quanto un pugno, – Potter lo
mise al corrente, infilandosi i guanti. - Se fosse così mio figlio Hugo ne
morirebbe. Ha un’aracnofobia che supera perfino l’acrofobia che Rose ha
ereditato da Hermione. –
-
Hai scelto dei nomi insoliti per i tuoi figli. – Insoliti era un eufemismo. - Albus Severus, – scandì Draco raccapricciato.
- Chi chiamerebbe un bambino così? Solo un pazzo. –
-
O un ingenuo o un povero sprovveduto privo della minima inventiva. – Potter gli
sorrise con incomprensibile calore. - È quel che mi ha detto Hermione poco dopo
il parto. –
Ma
alla fine ha ceduto, avrebbe voluto dire lui. Preferì astenersi riservandosi il
diritto al silenzio.
Erano
arrivati in cortile nel frattempo. Draco fissò annoiato il cielo grigio cenere
e le nuvole sparse a grappoli, facendo poi scivolare pigramente lo sguardo
attorno, lungo le colonne danneggiate e le statue decapitate. Con la pioggia a
battere leggera sulle loro teste chine e il fango ad inzaccherare le scarpe, si
apprestarono a raggiungere il cancello.
-
Com’è che siete finiti assieme tu e la Granger? – volle indagare per mera
curiosità.
Gli
parve che il tempo si dilatasse per quanto Potter ne impiegò a rispondergli.
-
Come due buoni amici rimasti soli troppo a lungo, – disse lui, alla fine, in
tono mite.
-
E l’amore tanto vagheggiato da Silente che posto ha in tutto questo? –
Erano
giunti sotto il porticato. Potter si scrollò i capelli dalla pioggia, un gesto
fondamentalmente inutile, ma che doveva aver compiuto per pura abitudine. Un
attimo dopo infatti li aveva di nuovo appiccicati alla fronte e sembravano
strisce d’inchiostro sulla carta tanto appariva pallido. - Il più importante, -
assicurò, – anche se non si vede. –
Draco
abbassò lo sguardo, oppresso da una sensazione strana. Rimase taciturno e teso
finché non ebbero attraversato il patio scoperto e raggiunto il cancello
esterno, l’ultimo. Lì, a far bella mostra di loro appoggiate contro il muro, di
fianco alle siepi giganti, c’erano due scope in perfette condizioni.
-
Ma questa… -
-
È stata un’idea mia e di Hermione, – chiarì Potter. - Abbiamo solo pensato che
potesse essere carino. –
-
Carino? – fece eco, voltandosi ad osservarlo senza espressione.
-
Si, insomma, l’hai detto anche tu, no? – si massaggiò il collo a disagio. - Otto
anni in una cella… non deve essere stato facile né piacevole. Quale modo migliore per “spezzare lo spettro
di uno spazio delimitato da sbarre se non riprendendo possesso del cielo”? –
citò in falsetto una voce femminile e Draco si scoprì quasi a sogghignare suo
malgrado. - Deve esserti mancato parecchio poter volare liberamente, – continuò
Potter e lo guardò dritto in faccia.
-
Ho sentito la mancanza di parecchie cose che potessi fare liberamente, Potter.
Comunque una volta tanto sembra che tu sia riuscito ad azzeccare qualcosa di
giusto. –
Draco
si mise a cavalcioni sulla scopa, immobile nell’aria dopo il richiamo imperioso
del suo “Su” pronunciato a mezze labbra, le mani ad impugnare il legno, la
presa tanto forte da mettere in evidenza i tendini e nocche scorticate.
La
sensazione di familiarità che lo travolse avrebbe potuto trascinarlo via nel
cielo come una piuma per quanto era stata violenta e impetuosa, una raffica di vento
in una tempesta. Si immaginò già sopra, nel vuoto, a riacquistare dimestichezza
con quell’emozione, l’impressione di essere padrone di tutto, la vastità
dell’infinito e oltre. La smania febbrile del volo e del sentirsi svincolati,
affrancati. Libero dopo anni di catene e rammarichi.
-
C’è un posto in cui vorresti andare prima? – domandò Potter di fianco a lui.
Draco
ripensò a quella sensazione e la affiancò ad un’altra completamente opposta.
Rivide mura sgretolate e un cielo a far capolino da un soffitto che lo aveva
sempre mostrato il cielo, senza che occorresse farlo crollare. Un sogno o un
castello di carte precipitato su stesso.
-
Hogwarts, – disse soltanto.
Non
aggiunse altro, ma Potter fece cenno di sì, come se avesse capito e Draco per
un istante pensò che lo avesse fatto davvero. Che avesse capito.
-
Forse dovremmo fermarci da un barbiere strada facendo. Hai l’aspetto di un lupo
e spaventeresti a morte i bambini così conciato. In effetti fai impressione
anche a me, – rise e senza dargli il tempo o la prontezza di rispondere
abbastanza aspramente, si sollevò con una spinta dei piedi.
Là,
a un metro e mezzo dal suolo, senza più sorridere, lo guardò gravemente nella
luce del pomeriggio che andava incupendosi, gli ultimi fili d’acqua di quel
temporale primaverile.
Non
tese la mano, ma era come se l’avesse fatto.
-
Andiamo? –
E lui l’avesse
accettata.
L’ultima volta che ho pubblicato
qualcosa era Dicembre e Signore - erano due anni fa. No, uhm, siamo precisi. Un
anno e sette mesi fa.
Se avete letto con attenzione, avrete
notato che ho scritto “pubblicato”. Ciò significa che in tutto questo tempo, che
è un mucchio, davvero un mucchio di giorni ed ore rubate a quelle buche e
oziose del non lavorare/studiare/fare da babysitter, ho continuato a scrivere.
Ad un certo punto non so spiegarlo, ma
era scattata una molla. Mi sembrava di aver perso dimestichezza con lo
scrivere fanfiction. Scrivevo,
ma non con la stessa leggerezza di fondo degli inizi. Non mi divertivo
più. La differenza
tra i miei primi scritti, più frizzanti e luminosi e gli ultimi:
seri, pesanti,
tetri, pallida imitazione delle tragedie greche, si commenta da
sé. Torno, quindi,
con meno pensieri di un anno e mezzo fa, più pimpante e
altrettanto profonda
spero, ma anche più vera in quel che voglio offrirvi. Mentirei
se dicessi che
questa prima cosetta qui sopra mi soddisfi appieno, ma l’idea mi
ronzava in testa
da troppo per rifiutarle qualche pagina di World e il desiderio di dare
vita a
qualcosa, un finale leggermente più tragico rispetto a quello
ufficiale – più morti,
più dolore, più angst – stuzzicava da sempre
la vena nero catrame che è in me, senza che io le dessi
ascolto. Detto fatto. "Polvere" nasce in un
universo alternativo a quello canonico. Un mondo in cui Ron Weasley e
Ginny e
tanti altri non ce l’hanno fatta, in cui essere eroi non ha
significato vincere
la guerra, ma fare i conti con il dopo, con tutto ciò che aveva
sottratto: le mille
possibilità, i sogni.
Non credo di aver reso tutto questo, non ancora, ma
ci sto lavorando.
Nel frattempo, un abbraccio a tutti e
sì: SONO TORNATA! Stappiamo lo spumante!
Un grazie particolare alle persone che
nonostante tutto (la mia assenza, il fatto che non rispondessi) hanno
continuato a recensire e a leggere. A loro dico grazie, ma grazie anche a chi c’è
da adesso. Fate conto che anch’io è come se ci fossi da adesso ;)