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Autore: ermete    27/07/2012    21 recensioni
"Dopo circa un mese dal giorno del funerale, John era ancora chiuso in se stesso: a parte durante il lavoro con i propri pazienti, non rivolgeva ancora la parola a nessuno dei suoi conoscenti, tantomeno a coloro che avevano avuto la fortuna di conoscere Sherlock.
Un giorno, quando tornò a casa dall’ambulatorio, appoggiando la spesa sul tavolo notò subito un elemento nuovo e non familiare ad adornare il soggiorno: sulla poltrona di Sherlock riposava silente una scatola grande quanto un libro.
Buttò il coperchio per terra ed osservò l’interno: all’interno c’erano una lettera ed un cellulare munito di caricabatterie. John rise amaramente ed una dolorosa fitta all’addome gli ricordò il primo caso a cui partecipò come assistente di Sherlock: si massaggiò le tempie prima di aprire la lettera ed iniziare a leggerla."
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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***Vi chiedo preventivamente perdono per questa cosa strana, perchè... 11mila parole di questo stile strano (per me quantomeno... credo... forse alla fine si avvicina al mio solito modus scrivendi u.u)... spero non siano un parto da leggere ahahah XD non spaventatevi se vedete che è lunghissima, molto "spazio" è occupato dallo scambio di sms tra Sherlock e John! E niente la cosa è nata perchè ho sempre avuto sta cosa di scrivere un "What if?" in cui john sapesse tutto della caduta di Reichenbach e non so davvero come mi è venuta questa idea! Che dire, spero apprezzerete! Sì lo so che vi avevo promesso una oneshot diversa (è li da parte, la riprenderò) con il rapporto tra mycroft e sherlock ma l'altro ieri mi ha sparaflashato questa e ho dovuto scriverla!!! Sono pronta al lancio di pomodori a sto giro! BACIO!!!***

Meet us at Barafundle Bay
Dopo aver partecipato al funerale di Sherlock, John si trascinò al 221B di Baker Street e dovette ringraziare gli uomini di Mycroft per aver allontanato dal portone lo sciame di giornalisti pronti a nutrirsi del suo dolore come degli sciacalli che si avventano sulla preda già martoriata senza alcuna pietà.

John era un dottore quindi aveva già avuto a che fare con il lutto, le cinque fasi del dolore e tutta la sfera emotiva compromessa di fronte alla perdita di una persona: il problema era è che era sempre stato dall’altra parte dello schieramento. Era sempre stato colui che doveva comunicare un lutto ad una madre, ad un figlio, ad un marito o ad un amico: aveva sempre accettato gli sfoghi dei parenti con grande umiltà e comprensione, riuscendo a sedare persino le reazioni più violente dettate dalla rabbia. Ma ora c’era lui dall’altra parte della barricata, era lui ad aver subito un lutto. E non aveva ricevuto la notizia da un medico che, provando a manifestare la maggior quantità di empatia possibile, offriva subito le sue condoglianze e, a volte, persino un abbraccio.
Quanto impiega un corpo di un uomo adulto a cadere dal tetto di un palazzo di quattro piani? Dal tetto del Bart’s? Tre secondi? Forse quattro. Quei tre-forse-quattro secondi erano stati i prescelti per comunicare a John la notizia del suo lutto: non c’era stata empatia, non c'era stato nessun abbraccio. Uno schiaffo dritto in faccia. Ma John non poteva crederci: era andato ad accertarsi di persona che non ci fosse più polso. Quindi John finì con l'essere il medico che comunicava un lutto a se stesso.
Quando John tornò al 221B di Baker Street non volle vedere più nessuno. Per i primi giorni fu accontentato, poi iniziarono le visite: la Signora Hudson in primis, poi Lestrade, quindi Sarah. Ma, eccezion fatta per la Signora Hudson per ovvie ragioni, John non aprì la porta a nessuno: voleva solo stare nel soggiorno e, in completa fase di negazione, immaginare che Sherlock fosse ancora lì con lui. Al microscopio oppure alla finestra col violino in mano, sulla propria poltrona con le mani giunte sotto il mento o in cucina a condurre chissà quale esperimento, in vestaglia, avvolto in un lenzuolo o in uno dei suoi eleganti abiti di taglio classico.
La vita di John si era fermata la mattina in cui vide Sherlock buttarsi dal tetto del Bart’s e, proprio perchè ne era consapevole, non aveva intenzione di farla riavviare così presto. Erano due anni che correva e non aveva intenzione di ricominciare a farlo, non subito, non senza Sherlock al proprio fianco.


°oOo°


Dopo circa un mese dal giorno del funerale, John era ancora chiuso in se stesso: a parte durante il lavoro con i propri pazienti, non rivolgeva ancora la parola a nessuno dei suoi conoscenti, tantomeno a coloro che avevano avuto la fortuna di conoscere Sherlock.
Un giorno, quando tornò a casa dall’ambulatorio, appoggiando la spesa sul tavolo notò subito un elemento nuovo e non familiare ad adornare il soggiorno: sulla poltrona di Sherlock riposava silente una scatola grande quanto un libro.
John inarcò le sopracciglia e fu facile pensare che l’unico in grado di introdursi nell’appartamento senza che sulla porta fossero presenti segni di effrazione fosse Mycroft o uno dei suoi uomini, dato che, essendo la Signora Hudson in vacanza dalla sorella, nessuno avrebbe potuto aprire al postino. Si sedette sulla propria poltrona e prese in mano la scatola: nonostante la rabbia che provava nei confronti di Mycroft, decise di aprirla, forte della convinzione che, ad ogni modo, non aveva più nulla da perdere. Nulla avrebbe comunque potuto superare il dolore che stava già provando, quindi decise di soddisfare la propria curiosità.
Buttò il coperchio per terra ed osservò l’interno: c’erano una lettera ed un cellulare munito di caricabatterie. John rise amaramente ed una dolorosa fitta all’addome gli ricordò il primo caso a cui partecipò come assistente di Sherlock: si massaggiò le tempie prima di aprire la lettera ed iniziare a leggerla.

Ciao John.
So che per te sarà uno shock scoprirlo in questo modo, ma non credo che esista un modo meno traumatico per venire a conoscenza di questo fatto.

Sono vivo. So che può sembrare uno scherzo di cattivo gusto, ma ti prego, non stracciare questa lettera, non subito.
Avrai la conferma di queste mie parole accendendo il cellulare: vai nella cartella “Audio” e ascolta l’unico messaggio presente.
Mi auguro davvero che tu non abbia distrutto tutto per la foga, per la rabbia, per il dolore... perchè è l’unico tentativo che potrò fare per tenermi in contatto con te.
Ascolta il messaggio, John.
SH

John rimase immobile a fissare la lettera, rileggendola di nuovo, ridendo nervosamente ed istericamente: la accartocciò più volte, per poi riprenderla in mano e stirarla sul proprio ginocchio e rileggerla ancora e ancora.
Non disse nulla, perchè se già prima era rintanato nel suo mutismo selettivo, dopo aver letto quelle poche righe ebbe la sensazione di non poter più muovere la lingua.
Pensò ovviamente ad uno scherzo di pessimo gusto, ma a quel punto non sarebbe stato certamente Mycroft a compierlo, quindi chi altri potrebbe essere stato? Chi poteva entrare indisturbato nell’appartamento per lasciare un pacchetto contenente un’assurda lettera ed un telefono cellulare?
Abbandonò la lettera sulla poltrona di Sherlock e prese in mano il telefono: se lo rigirò tra le mani per almeno mezzora prima di decidersi ad accenderlo. Era un cellulare di vecchia generazione, nessun GPS incorporato, mancava la connessione ad internet e mancavano sia la fotocamera che il collegamento blutooth: non poteva essere rintracciato, tranne con l’ausilio di particolari software non accessibili alla gente comune.
Non appena la schermata principale fu avviata completamente, John trovò con facilità la cartella “Audio” nel menù semplice e sprovvisto di tutte le applicazioni presenti nei cellulari moderni. Tirò un profondo sospiro prima di avviare il file. La voce di Sherlock uscì dal piccolo altoparlante, riempiendo l’atmosfera del soggiorno:

“John.”

John trasalì nel riconoscere la voce del suo amico, tanto che dovette fermare la registrazione, conscio del fatto che non sarebbe riuscito ad ascoltare lucidamente il resto del messaggio lasciatogli da Sherlock. Attese di calmare il proprio respiro prima di fare ripartire il file audio.

“Ecco la conferma che quanto scritto nella lettera è vero. Ovviamente vorrai delle spiegazioni che sarò pronto a darti. Nella rubrica c’è un unico numero di telefono: potrai scrivermi tutti gli sms che vorrai ed io potrò risponderti. Non chiamarmi, non ti risponderei. Manderesti all’aria tutto il piano ed inoltre non potremmo più comunicare in alcun modo. John, ti prego, fidati di me.”

“Sherlock...” singhiozzò John, che finalmente ruppe il silenzio con se stesso dopo più di un mese di tempo.

“Non chiamarmi. Scrivimi e ti darò tutte le spiegazioni che meriti di avere.”

John stava per chiudere il file, ma attese perchè fu sicuro di sentire il rumore del silenzio, l’attesa, la ricerca del coraggio per riuscire a dire ancora qualcosa.

“Scrivimi, John. Ti prego.”

John pianse a quella supplica, lanciando il cellulare sulla poltrona con un gesto di stizza per riuscire a portare entrambe le mani sul proprio viso e sfogare le emozioni portate dall’importanza di quelle informazioni: fu un pianto molto intenso che riuscì a far esternare tutta la tristezza repressa ed interiorizzata a tal punto da alimentare il proprio rifiuto verso la morte di Sherlock. Rifiuto che, a quanto pareva, sembrò inaspettatamente giustificato.
Si asciugò il viso con le maniche del maglione prima di recuperare in mano il cellulare che, lanciato sul morbido, non aveva subito alcun danno: aprì la rubrica e vi trovò, effettivamente, un solo numero salvato sotto la sigla “SH”.
John sentì un’altra lacrima rigargli la guancia sinistra alla vista di quelle due lettere così familiari per lui: prese coraggio, poi, decidendosi a digitare un sms.

Sherlock? JW

John scosse il capo: aveva preso a sua volta l’abitudine di firmarsi con una sigla, nonostante avesse detto più volte a Sherlock quanto fosse un vezzo egocentrico ed inutile. Era il merlo che dice al corvo ‘Quanto sei nero’.
La risposta non si fece attendere molto.

John. Ero sicuro che mi avresti creduto. SH Non lo so ancora se ti credo. Quella registrazione potrebbe risalire a prima di quel maledetto giorno. Come posso esserne sicuro se non posso chiamarti? JW Noioso. Chiedimi qualcosa che solo io e te possiamo sapere. SH

Il cuore di John perse un battito a quel ‘noioso’, la parola più pronunciata da Sherlock: il pensiero poi andò a quale domanda avrebbe potuto porgli. L’unico argomento che sicuramente non era stato neanche lontanamente videosorvegliato, riguardava il loro caso del Mastino di Baskerville: lì non c’erano telecamere della CCTV, lì Mycroft non aveva giurisdizione. Pensò ad una domanda specifica, quindi digitò un nuovo sms.

Se ti dico U.M.Q.R.A. cosa mi rispondi? JW

H.O.U.N.D. SH

John scoppiò nell’ennesimo pianto liberatorio le cui lacrime bagnarono il display del cellulare: una finì proprio sulla firma di Sherlock, ingigantendo le due lettere come farebbe una lente di ingrandimento. “Sei vivo, figlio di...” sentì il cuore scoppiargli di gioia mista a stupore unito anche ad una buona dose di rabbia. Se lo avesse avuto di fronte, in quel momento, l’avrebbe preso a pugni. Ma lui non c’era. Tuttavia John pensò che la cosa più importante era che Sherlock fosse vivo, in qualche posto sperduto, nascosto, lontano dal pericolo.
Un nuovo bip lo costrinse ad osservare il display.

Credo proprio di averti convinto. Non piangere, John. Sei già abbastanza disidratato. SH

Come diavolo puoi asserire in tutta certezza che io sia disidratato? JW

So che non sei stato bene nelle ultime settimane. SH

Puoi biasimarmi? JW

Suppongo di no. SH

Sherlock, ti prego, spiegami com’è possibile che tu sia vivo. Spiegami perchè hai dovuto fingere la tua morte e perchè l’hai dovuto fare proprio davanti ai miei occhi. JW

John lesse i diversi sms di risposta che gli arrivarono: Sherlock spiegò per filo e per segno i dettagli del suo piano e del suo incontro con Moriarty sul tetto. John non rispose a nessuno di quei messaggi, continuando a leggere le diverse spiegazioni, i dettagli di quella macchiavellica strategia di cui non si era minimamente accorto: si sentì quasi uno stupido nel riunire i diversi pezzi del puzzle, rimproverandosi per non aver notato nulla. Avrebbe certamente risparmiato quelle settimane di sofferenza.

Sono dovuto sparire per la vostra sicurezza. A dire il vero non dovremmo neanche essere in contatto. Il piano era sparire del tutto finchè Mycroft non avesse trovato tutti gli uomini dell’organizzazione di Moriarty. SH

Un altro messaggio da parte di Sherlock seguì subito il precedente.

Ma poi ho saputo che non sei stato bene. E ho pensato che questo sistema potesse rimediare la situazione almeno in parte. Mycroft mi aggiorna ogni settimana sulla ricerca dell’organizzazione di Moriarty e circa la tua salute. Mi arriva una sua lettera cartacea ogni settimana. SH

Dove sei, Sherlock? JW

In un posto sicuro. SH

Non posso raggiungerti? JW

No. Sarebbe rischioso, è troppo presto. SH

Sei solo? JW

Sì. Ma la solitudine non mi spaventa, stai tranquillo. SH

Neanche a me spaventa, ma mi fa star male. JW

Tu non sei come me. Tu hai degli amici. Non sei solo. SH

Non sono più lo stesso senza di te. JW

Era stato un botta e risposta molto rapido, quindi John quasi non si accorse della risposta che digitò spontaneamente e che inviò senza alcun indugio. I tempi d’attesa per la risposta di Sherlock si dilatarono, quindi John finì col pensare di aver esagerato. Un bip riportò la sua attenzione sullo schermo.

Se qui ci fossi anche tu, non avrei alcuna fretta di tornare a Londra. SH

John sorrise e si immaginò quanta fatica doveva essergli costata ammettere una cosa del genere.

E’ un bel posto almeno? JW

Suppongo di sì. Nel suo genere. SH Nel suo genere? JW

Non è Londra. Non è Baker Street. SH

Si susseguirono altri sms da parte di Sherlock con ulteriori spiegazioni: riguardavano per lo più suggerimenti circa le apparenze che John avrebbe dovuto mantenere. Gli spiegò che per non destare sospetti non avrebbe dovuto cambiare improvvisamente il proprio umore, ma sfumarlo col tempo, recitando la parte dell’uomo addolorato dalla perdita del proprio migliore amico che con molta lentezza accetterà la sua dipartita. Gli suggerì inoltre di lasciare Baker Street.

Trasferirmi? JW

L’avresti fatto a breve. Troppi ricordi nel nostro appartamento. O sbaglio? SH

Tu non sbagli quasi mai. Non è questo il caso, comunque. Hai ragione. JW

E poi, col tempo, potresti pensare anche a rifarti una vita. SH

Rifarmi una vita? JW

Trovarti una brava donna. Sposarti. Le cose che fanno le persone normali. Ti sei sempre lamentato che per colpa mia i tuoi appuntamenti non andavano mai a buon fine. Ostacolo superato. Ora io non ci sono più. SH

Già, non ci sei più. JW

Non dirai che ora è perchè non ci sono che i tuoi appuntamenti non andranno a buon fine, vero? SH

John rise prima di rileggere gli ultimi messaggi che si erano scambiati: sbuffò prima di rispondergli.

Penso di non essere il tipo da matrimonio. O al massimo, quando tornerai, potrò sempre atteggiarmi in giro e dire anche io che sono sposato col mio lavoro. JW

Col mestiere di medico? SH

No. Come “Unico assistente dell’unico consulente investigativo al mondo”. JW

Sembra interessante. SH

Ho inventato io il mestiere! JW

Sembra molto interessante. SH

A John non sembrò vero di riuscire a ridere di nuovo: pensava che non l’avrebbe più fatto, o almeno, non per molto tempo. Non si accorse neanche che era scoccata la mezzanotte da  più di mezzora: si alzò e si diresse verso la propria stanza portando con sè il cellulare ed il caricabatterie.

Ora vado a dormire, Sherlock. Domani lavoro. JW

Hai ancora l’abitudine di dormire come un normale essere umano. SH

In realtà penso che finalmente riuscirò a dormire dopo più di cinque settimane insonni. E comunque io sono un normale essere umano. JW

No John, sei tutto fuorchè normale. SH

Lo prenderò come un complimento, detto da te. JW

Lo è. Buona notte, John. SH

Buona notte Sherlock. JW

John mise il cellulare sotto carica nella presa vicina al comodino accanto al letto: non lo spense, pensando all’eventualità che Sherlock potesse scrivergli durante la notte. Sherlock non lo fece e John si addormentò quasi senza accorgersene.


°oOo°


John riuscì a dormire indisturbato per sei ore filate: non accadeva da quel giorno al Bart’s e, anzi, la sveglia dovette suonare molto a lungo prima che il dottore riuscisse a svegliarsi. Quando fu abbastanza lucido ed i neuroni abbastanza svegli, la prima cosa che fece fu accertarsi di possedere veramente quel cellulare: nel momento in cui lo prese in mano arrivò un sms.

Buongiorno, John. Caffè? Nero, senza zucchero. Non come quello a Dartmoore. Non ce l’hai ancora con me per quell’episodio, vero? Science, John. SH

John rise piano, rileggendo più volte quel messaggio e ripassando quelli vecchi nell’archivio. John valutò che anche Sherlock considerava quella situazione bizzarra, ma soprattutto incredibile, visto che ci teneva a sottolineare quella che per il consulente investigativo poteva considerarsi un’ovvietà, ribadendo dettagli circa la propria identità. La persona all’altro capo del telefono era Sherlock e John ci credeva veramente.

Buongiorno, Sherlock. Il caffè zuccherato è la peggior cosa per una persona che è abituata a prenderlo amaro. Ti ho perdonato, ma diciamo che ho uno scherzo in sospeso con te. Userò il bonus quando ci rivedremo. JW

Accetterò lo scherzo. Bisogna essere sportivi, d’altronde. SH

Vado a prepararmi. Ti scrivo più tardi. JW

Ricordati di mantenere lo stesso atteggiamento dei giorni passati. SH

John cancellò più volte la risposta a quell’sms. Risposte che variavano dal ‘Fidati di me, una volta tanto’ al ‘Tranquillo, tanto ora sto antipatico a tutti’ o ‘Non voglio rischiare di perderti nuovamente’. Alla fine, si limitò ad un semplice ed efficace:

Tranquillo. JW


°oOo°


Passarono altri due mesi durante i quali John mantenne le stesse abitudini e recitò gli stessi atteggiamenti sfoggiati durante le sue settimane di reale lutto: seguì alla lettera le istruzioni di Sherlock perchè, oltre a non voler perdere l’occasione di poter comunicare regolarmente con lui, non era comunque interessato a intrattenere altre relazioni, di qualsiasi tipo fossero.
In quei due mesi John e Sherlock si scambiarono regolarmente centinaia di sms al giorno e il dottore si stupì, effettivamente, perchè il consulente investigativo non gli aveva mai ‘parlato’ così tanto neanche di persona: pensava spesso a quanto dovesse sentirsi solo e, ogni tanto, una domanda ricorreva tra i caratteri digitali del display.

Non posso ancora venire a trovarti? JW

No, John. Sembri un bambino, me l’hai già chiesto 25 volte. SH

Le hai contate. Non hai molto da fare lì, ovunque tu sia. JW

Tu contasti gli sms che mi mandò Irene. E a quel tempo eri impegnato con Jeanette. Se sei riuscito a contarli tu con una tediosa donna al fianco, figurati una mente geniale come me qui in mezzo al nulla. In mezzo alla tranquillità. Che noia. SH

Cosa fai lì? Non hai nessuno con cui parlare? Ci sarà pure un villaggio. Come ti procuri il cibo, l’acqua, l’elettricità? JW

Generatore elettrico. Acqua di sorgente. Pesca. Più qualche provvista a lunga scadenza mandata da Mycroft. SH

Pesca? Acqua di sorgente? SCATOLETTE? Ho l’impressione che quando ci rivedremo sarai ridotto a pelle e ossa. Più di prima. Peggio di prima! JW

Fortuna che sei un dottore. SH

Ad ogni modo, hai parlato di pesca e di acqua di sorgente. Quindi o sei in un’isola abbastanza grande da avere nell’entroterra sorgenti di acqua pura, o sei in un paese di campagna o di montagna in cui sono presenti anche laghi e fiumi. JW

Complimenti per la deduzione. Hai ristretto il campo di moltissimo. SH

Bastardo. JW

Sei adorabile quando constati l’ovvio in modo così determinato. SH

Bastardo di nuovo. JW

John digitò in fretta un altro sms: lo rilesse più volte, titubante. La barriera della lontananza e degli sms lo aiutò tuttavia ad attenuare l’imbarazzo che l’avrebbe altrimenti colto di persona.

Mi manchi. JW

Sherlock non rispose a quel messaggio: John aspettò diversi minuti osservando il display prima di abbandonarlo sul tavolo della cucina. Salì in camera, continuando a chiudere i propri, pochi, effetti personali dentro a scatole e borsoni. Quando poi scese al piano inferiore, si fermò di fronte alla custodia del violino lasciata in bella mostra sul tavolo del soggiorno, accanto al microscopio. John osservò a fondo quei due oggetti: ogni volta che guardava il microscopio, gli sembrava di vedere Sherlock chinato su di esso, le mani che regolavano le lenti ottiche, i vetrini che venivano interscambiati, il quadernone su cui annotava i propri risultati. Ma il violino. Il violino acquisiva tutto un altro significato, molto più profondo. Sherlock non aveva mai usato il microscopio se non per se stesso e per i casi, ma quando suonava il violino era capitato molte volte che lo facesse per John. Il dottore prese in mano la custodia e l’abbracciò goffamente prima di infilarla in uno dei borsoni: non gli importava di niente e di nessuno, quel violino era un ricordo del suo amico e non sarebbe stato poi molto strano se avesse voluto portarlo con sè.
Tornò poi in cucina e dopo aver acceso il bollitore per farsi un the, l’occhio gli cadde sul telefonino: c’era un nuovo messaggio. Era bellissima quell’icona a forma di bustina che preannunciava l’arrivo di un sms da parte di Sherlock, ed era così desideroso di ricevere un nuovo sms da parte sua, che a volte gli sembrava di vederla anche quando non c’era. Come quando ti piace una canzone e ti sembra di sentirla anche quando tutto attorno a te domina il silenzio.

Anche tu. SH

Sei diventato lento. Non è che in realtà sei Anderson? JW

Non osare, John Watson! SH

John rise come un ossesso, immaginandosi perfettamente sia l’espressione che il tono che Sherlock avrebbe usato in quel frangente.

Come procede il trasloco? Scommetto che hai fatto il sentimentale. SH

Hai vinto. JW

Il violino? SH

Hai fatto jackpot. JW

Trattalo bene. SH

Come se fosse parte di te. JW

Lo è. Mi aiutava ad esprimere quello che non riuscivo a dire a parole. SH

Per quello lo tratterò con la stessa cura con cui tratterei te. JW

Credo di stare per vomitare un arcobaleno. SH

A proposito di non sapersi esprimere a parole... JW

Scherzavo. Saranno le scatolette... SH

Carne di unicorno in scatola? JW

Sto ridendo così forte da dovermi tenere l’addome con entrambe le mani. SH

Avrei tanto voluto vederti ridere in quel modo. JW

Succederà di nuovo, John. SH

E’ una promessa? JW

Ci puoi giurare. SH


°oOo°


Dopo due mesi dal trasloco, John conduceva due vite parallele: intrattabile ed indisponente a contatto col mondo esterno, rilassato e sorridente nel proprio appartamento. Continuava, infatti, a comportarsi come se non avesse mai scoperto la verità su Sherlock per non destare alcun sospetto, ma non appena chiudeva la porta del proprio appartamente dietro di sè, non aspettava neanche un minuto prima di accendere il suo secondo cellulare ed attendere notizie dal proprio amico. Una sera rientrò a casa con le borse della spesa più pesanti del solito: aveva comprato una bottiglia di whiskey che aveva intenzione di scolarsi in compagnia del suo migliore amico. Mentre attendeva che il cellulare si avviasse completamente, si cambiò gli abiti per poi sistemarsi sul divano con la bottiglia di liquore, una brocca d’acqua ed un tumbler pieno di ghiaccio. Si pregustò il momento allungando l’attesa di qualche secondo ancora mentre udiva i bip provenienti dall’apparecchio telefonico: bevve tre sorsi di whiskey prima di fiondarsi a leggere sul display.

Sei ancora a lavoro, quindi non potrai rispondermi prima di tre ore. Noia. SH Qua non c’è nulla, John. Nulla da fare. Come fanno gli eremiti? SH Che poi, diciamocelo, gli eremiti sono le persone più inutili del mondo. Peggiori perfino di Anderson. Meditate su questo, eremiti. SH C’è una bestia nera che mi segue. Potrebbe essere un cane, ma è così brutto che non riesco a capirlo. SH Sì, è decisamente un cane. E sì, è decisamente brutto. SH Non smette di seguirmi. SH Sembra un pipistrello. E anche uno spaventapasseri. SH
Continua a seguirmi. Che voglia mangiarmi? SH
Annusava la scatoletta di tonno. SH John. SH Oggi sono cinque mesi e tre giorni che sono qui. SH
John. SH

John si divertì a leggere gli sms riguardanti l’inutilità degli eremiti e la bruttezza del cane, mentre provò una sensazione di malinconia ed impotenza quando percepì la solitudine scritta tra le righe degli ultimi tre messaggi. John si sentiva solo senza Sherlock, certo, ma aveva ancora un mondo con cui confrontarsi, mentre il consulente investigativo, sociopatico sì, ma iperattivo, era costretto in un luogo presumibilmente disabitato ad esercitare il suo magnifico cervello catalogando a quale livello di bruttezza corrispondesse un cane, solo quanto lui, che lo stava seguendo.

Ciao, Sherlock. E’ davvero così brutto quel cane? Ti segue ancora? JW

John. Sì, non la smette. Ho provato a spaventarlo ma continua a... stavo per scrivere “corrermi dietro”, ma quel botolo... rotola? Incespica? Mi segue, insomma. SH

Forse fiuta la tua solitudine e vuole esserti amico. JW

Sicuramente io fiuto la sua presenza. E comunque io posso accettare la presenza di un unico amico. SH

Io sono lontano. Posso affidarti alle cure del cane-pipistrello per un po’. JW

Veramente parlavo del teschio. SH

Argh! Pensavo di essere riuscito a surclassarlo! JW

Scherzo. Parlavo di te. SH Che poi te la prendi. SH Sto bevendo. Con l’ultimo pacco di Mycroft è arrivato anche dello Scotch. SH

Anche io sto bevendo! Whiskey scadente... scommetto che Mycroft ti ha trattato meglio. JW

Il cane è ancora qui. Non credo di aver visto animale più brutto in vita mia. SH

Più brutto del mastino di Baskerville? JW

Per bruttezza sì. Per mostruosità no. SH

Come l’hai chiamato? JW

Non ho intenzione di adottarlo. SH Ho come l’impressione che lui abbia adottato te. JW

E devo dargli un nome perchè...? SH Non puoi chiamarlo “cane”. Forza, pensa ad un nome per lui. Tanto, per quello che hai da fare. JW

Che ne dici di “Houndy”? SH Brutto come il mastino, ma con la desinenza “-y” perchè...? JW

Perchè è chiaramente una schiappa in mostruosità. SH

Oh. Beh, l’hai comunque innalzato di prestigio. JW

Sicuramente. SH

John mischiò due dita di liquore con altrettante d’acqua, regalandosi un po’ di piacere liquido prima di tornare a scrivere a Sherlock.

Si sente che ti senti solo. JW Oggi si sente più del solito, perchè? JW

Nell’ultima lettera di Mycroft c’era scritto che non sono ancora riusciti a prendere il braccio destro di Moriarty. SH

E finchè non lo prendono, tu sei costretto a rimanere lì. JW

Lontano da te. SH

John tirò un lungo sospiro, tirando un pestone sul pavimento per sfogare la frustrazione. Bevve altro Whiskey, ma questa volta non si premurò di diluirlo con l’acqua.

Di sicuro il liquore mi sta aiutando a parlare... ma sappi che vorrei essere lì, con te. E chi se frega di tutto il resto. JW

Io non posso permettermi di far parlare il liquore. O rischierei di far saltare la copertura rivelandoti dove sono. SH

Prima o poi partirò e cercherò gli angoli più remoti della terra pur di trovarti, Sherlock. Sapere che sei vivo dopo quello a cui ho assistito e non poterti vedere di persona è una tortura. JW

Ci sono giorni in cui non credi che io sia, beh, io? SH

Io lo so che sei tu. Ti riconosco. Ma a volte scrivi cose... a cui farei fatica a credere anche se me le dicessi di persona. JW

Cose tipo che mi manchi? SH

Sì. JW

Che ti vorrei qui? SH

Sì, Sherlock. JW

Che se tu fossi qui non mi importerebbe neanche di tornare a Londra? SH

Sì, Sherlock, sì. Ammetterai che è strano. JW

Qualcosa si è rotto su quel tetto, John. SH
E anche quando ti ho visto al cimitero. SH

Quando? JW
Al cimitero? Quindi tu mi hai visto? Dopo la caduta? JW

Sì. Eri con Mrs Hudson. E tu... hai chiesto un miracolo. SH

Il miracolo è accaduto. JW

Sì, ma John, non capisci. Qualcosa si è rotto in me. Per causa tua. SH

E questa cosa non ti piace? JW No se non posso viverla con te. SH

Dimmi dove sei, ti prego. JW

Non posso, John. Ti prego, non chiedermelo ogni giorno. Pensi che non sia dura per me? Vivere tutti i giorni come la fotocopia dei precedenti? Vivere solo in attesa dei tuoi sms? Vivere sapendo che potrebbe esserci ancora in circolazione un cecchino pronto ad ucciderti e non potere fare niente? SH

John non riuscì a rispondere a quell’sms. Formulò diverse risposte, ma tutte gli sembrarono riduttive rispetto al vortice di emozioni che lo stava avvolgendo. Avrebbe solo voluto vederlo ed abbracciarlo: per ringraziarlo, per confortarlo, per dimostrargli quanto fosse importante per lui. Per ringraziarlo perchè gli doveva la vita, perchè senza il suo sacrificio sarebbe già all’altro mondo. Per confortarlo, per non farlo sentire più solo: Sherlock aveva già passato molti anni anni in solitudine prima di incontrarlo, pur essendo circordando da persone. Ma la solitudine non è solo fisica e Sherlock era sicuramente la persona più mentale, cerebrale e teorica che conoscesse: un Mind Palace di sovrumana intelligenza che corrispondeva ad una vita di solitudine. E poi, semplicemente, voleva abbracciarlo perchè voleva farlo, senza un fine che non fosse quello del puro e genuino affetto che provava nei suoi confronti.

Resisti John. Resistiamo. Insieme. SH Ci rivedremo. SH

Sherlock giurami che appena ci sarà uno spiraglio, per noi, per poterci vedere, me lo dirai. Ti raggiungerò anche in capo al mondo. JW

“Could be dangerous”. SH

“And here I am.” JW

Te lo ricordi. SH

Sherlock giuramelo. JW

Lo giuro. SH

Cerca di non impazzire nel frattempo. JW

Ci penserà Houndy a me. SH

Fortunello. JW

John? SH

Sherlock? JW

Non ti ho ancora chiesto scusa per averti fatto soffrire a causa della caduta. SH

E io non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita. JW

Scusa, John. SH Grazie, Sherlock. JW


°oOo°


Trascorsero altre otto settimane durante le quali i due amici iniziarono a scambiarsi sms anche durante l’orario di lavoro di John: il dottore aveva infatti cominciato a tenere il cellulare acceso ventiquattro ore al giorno, pronto a rispondere a Sherlock la cui sensazione di solitudine iniziava ad essere dolorosa anche da percepire a distanza. John gli rispondeva sempre tra un paziente e l’altro, dedicando inoltre le sue brevi pause caffè a raccontargli i sintomi dei propri pazienti, in modo che Sherlock potesse impegnare il proprio cervello in qualcosa di più stimolante della pesca o della lettura di libri già ampiamente studiati.
Poi, un giorno, accadde che John non ricevette alcun sms da Sherlock per almeno dodici ore: si stupì, ma si impose di non preoccuparsi in alcun modo. Pensò che, forse, Houndy si fosse cacciato in qualche guaio e lui fosse impegnato a salvarlo, ma scartò quell’ipotesi ricordandosi di quanto Sherlock amasse definirlo un “astuto codardo”. Si ritrovò ad ipotizzare che Sherlock potesse avere dimenticato il cellulare a casa prima di andare a pescare, ma sicuramente, se così fosse stato, sarebbe tornato indietro a prenderlo visto quanto l’annoiava la pesca. Si sforzò di convincersi che forse Sherlock aveva trovato qualcosa di interessante e che, giustamente, si fosse dedicato al suo studio dopo più di sette mesi di pesca, scatolette ed sms.
Tuttavia, iniziò a sembrargli strano che dopo un giorno intero non gli avesse ancora risposto: digitò velocemente qualche sms.

Hai trovato qualcosa di più interessante di me? JW
O Houndy ti ha mangiato sul serio? JW
Magari ti ho fatto arrabbiare per qualcosa? JW
Seriamente, è un giorno che non ti fai sentire. JW
Puoi essere giustificato solo se hai trovato un laboratorio segreto o se nel paesello vicino è successo qualche mistero alla “Sleepy Hollow” o “Jack lo Squartatore”. JW

John era certamente abituato ad essere ignorato da Sherlock, ma non da dopo la caduta, non da quando l’unico modo che avevano per comunicare era lo scambio di sms.
Cominciò a preoccuparsi sul serio, iniziando a sospettare che il braccio destro di Moriarty l’avesse trovato ed ucciso: quel pensiero lo distrusse. Non poteva essergli successo qualcosa, non poteva perderlo di nuovo: questa volta non l’avrebbe accettato.
Attese altre ventiquattro ore prima di ignorare il buon senso e l’avvertimento di Sherlock: non avrebbe dovuto parlare di lui con nessuno, neanche con Mycroft, nonostante fosse al corrente della situazione. Ma non poteva attendere oltre, non ce la faceva, gli sembrava di scoppiare: si sentiva sempre più impotente ed inutile in quella situazione e tutto ciò doveva finire.
Quello stesso pomeriggio, John si precepitò nell’ufficio di Mycroft, incurante di chissà quanti vecchietti del Diogene’s l’avrebbero guardato storto: a conferma della propria noncuranza, aprì la porta della stanza con gen poca grazia e la richiuse dietro di sè con una certa veemenza, sbattendola rumorosamente.
Mycroft alzò lo sguardo su John, senza scomporsi minimamente di fronte al suo temperamento, neanche troppo stupito, in fondo, per la sua visita.
John rimase a guardarlo in silenzio: non si vedevano dal giorno del finto funerale di Sherlock, quindi lo studiò a sua volta, sebbene la mente poco lucida dalla preoccupazione non glielo permise più di tanto.
Fu Mycroft ad interrompere il silenzio “La facevo più intelligente, John.”
“Mi facevi più intelligente?” urlò John, avvicinandosi alla scrivania sulla quale sbattè entrambi i pugni chiusi “Dimmi che non gli è successo niente e dimmelo subito!” il tono di voce andò via via alzandosi, tanto che John vide Mycroft rizzarsi in piedi e chinarsi per avere i visi alla stella altezza.
“Smettila di urlare, stupido essere umano emotivo, impulsivo e irrazionale.” sibilò, in contrasto al tono imponente usato da John: era la prima volta che Mycroft si rivolgeva al dottore con quel grado di confidenza e permettendosi di giudicare la sua normale e difettosa condizione umana così apertamente. Prima che John potesse replicare, poi, aggiunse “Sta bene.”
John si tranquillizzò subito perchè era certo che Mycroft non gli avrebbe mentito in quella particolare circostanza. Ma la sua testa era ancora piena di domande, quindi iniziò a comporne una “E allora...”
“Stai. Zitto.” lo freddò Mycroft, che arrivò addirittura a spingerlo con fermezza all’altezza delle spalle per farlo indietreggiare fin sulla rinomata sedia posta appena due passi dietro di lui.
John si sentì trafiggere dallo sguardo caratteristico e peculiare degli Holmes, quindi finì con l’apprezzare il sostegno della seduta sotto di sè. Era lì lì per aprire nuovamente la bocca, ma l’ennesima occhiaccia di Mycroft lo gelò sul posto.
Mycroft inspirò a lungo, prendendosi qualche istante per riacquisire il proprio naturale aplomb “Suppongo le sia stato detto di tenere un profilo basso.” iniziò, mentre tornava a sua volta seduto “Venire qui, urlare, parlare di argomenti riguardanti una persona di cui non dovremmo parlare, non è, chiaramente, da basso profilo.”
John aprì nuovamente la bocca per poter parlare, ma Mycroft lo interruppe nuovamente.
“Non ho finito.” ringhiò quasi, stringendo le mani a pugno sopra la scrivania “La facevo più intelligente. Lei è uno stupido, perchè rischiare tutta la copertura per la sua fragilità emotiva da quindicenne complessata è da inetti.”
John tamburellò con le dita sul bracciolo dell’elegante seduta e rinunciò a parlare, perchè intuì dallo sguardo di Mycroft che non ne avrebbe più avuto diritto. Non nel suo ufficio. Non quel giorno.
“Se solo voi comuni essere umani vi fermaste a ragionare a mente fredda, si eviterebbero scenate di questo genere, che oltre a compromettere una strategia portata avanti da quasi otto mesi, mi disgustano profondamente.” a quel punto Mycroft alzò il braccio destro verso la porta, indicando a John l’uscita della stanza “Può andare.”
John si alzò dalla sedia senza dire nulla, osservando l’Uomo di Ghiaccio negli occhi: ingoiò un pesante groppone prima di voltarsi ed avvicinarsi silenziosamente alla porta. Nel momento in cui abbassò la maniglia, sentì tossicchiare l’Holmes alle sue spalle: gli concesse solo il profilo, evitando di voltarsi completamente verso di lui.
“Si è scaricato il generatore elettrico. Il carico contenente quello nuovo è partito con due giorni di ritardo.” spiegò Mycroft, mentre con lo sguardo tornò alle proprie carte “Tra qualche ora riceverà nuovamente sue notizie.”
John si rimproverò mentalmente: aveva immaginato scenari apocalittici mentre sarebbe bastato ragionare a mente fredda, come suggerito dallo spocchiosissimo Holmes, e pensare alla soluzione più semplice.
“Se sente rumore di zoccoli, pensi al cavallo non alla zebra. Rasoio di Ockham(1).” incalzò Mycroft, iniziando a scribacchiare sopra ad un foglio.
“Quanto manca?” domandò John, rompendo il silenzio ed andando contro alla sua precedente intuizione. Non si premurò di specificare, poichè sapeva che l’uomo avrebbe intuito a cosa si stesse riferendo.
“Siamo sulla pista giusta.” questa volta Mycroft alzò lo sguardo sull'altro “Ma non stia a contare i giorni, John.”
“Fammi andare da lui, Mycroft.” sospirò John, appoggiando la fronte sullo stipite della porta “Sta impazzendo lì, da solo.”
Mycroft inarcò un sopracciglio “Sicuro che non sia lei ad impazzire, qui, senza di lui?”
“Anche, va bene? Anche io sto impazzendo senza di lui.” sbottò John, strofinandosi la fronte con il dorso della mano sinistra “Ora che l’ho ammesso mi dirai dov’è?”
“No.” Mycroft fu perentorio in quel rifiuto “Lei è non l’unico a tenere all’incolumità di Sherlock.”
John si staccò dallo stipite, voltandosi completamente verso l’Holmes Senior “Cosa potrebbe mai succedere se io andassi lì? Ovunque lui sia.”
Mycroft intrecciò le dita delle mani, sopra le quali appoggiò il mento “Potrebbero seguirla.”
“Al momento mi sta seguendo qualcuno?” chiese John, allargando le mani verso l’esterno, in un gesto rassegnato “So che mi fai controllare dai tuoi uomini.”
Mycroft scosse il capo “Non è ancora il momento.” abbassò lo sguardo e riprese il proprio lavoro, segno che quella conversazione era da considerarsi chiusa.
“Fanculo, Mycroft.” quando John se ne andò, sbattè la porta dietro di sè.


°oOo°


Poche ore più tardi, John era sdraiato sul letto quando il cellulare iniziò a segnalare l’arrivo di diversi sms da parte di Sherlock.

John. Scusami, non volevo farti stare in pensiero. SH
Non avevo, stupidamente, calcolato l’eventualità che il carico contenente il generatore elettrico potesse arrivare in ritardo. Nel frattempo si è scaricata la batteria del cellulare e il resto lo sai già. SH
Perdonami, John. SH
Mi sei mancato. SH

John lesse più volte quegli sms e gli piacque pensare che nello stesso momento, là fuori da qualche parte, Sherlock stesse pensando a lui in quel preciso momento, magari sdraiato a sua volta nel suo letto, con una tazza di the fumante sul comodino.

Non devi scusarti, non è stata colpa tua. JW

Ti sei preoccupato? SH

Sì. Da morire. JW

Sei andato da Mycroft? SH

Te l’ha detto lui? JW

No. Ti conosco. SH
Si è arrabbiato? SH

Dio, sì. JW

Con ragione. Ti avevo detto di non farlo per qualsiasi motivo. SH

Mettiti nei miei panni. Non ti sentivo da due giorni, ero preoccupato. JW

John, io SONO nei tuoi panni. Io sono nascosto al sicuro. Tu no. SH

John scrisse 'Potrei venire a nascondermi da te', ma cancellò subito quell’sms: era stato rimproverato abbastanza, sia da Sherlock nelle settimane scorse, che da Mycroft solo poche ore prima, quindi avrebbe evitato di chiedere nuovamente di poterlo raggiungere. Il telefono vibrò tra le sue mani: un nuovo sms.

Strano che non mi chiedi di poterti nascondere qui da me. SH Mycroft ti ha trattato male? SH

Mi ha rimproverato. Giustamente. JW

Scommetto che ti ha dato del “normale essere umano” e ha accennato qualcosa circa la tua emotività o sentimentalismo. SH

Bingo. JW

Gliela farò pagare. SH
Non deve permettersi di maltrattarti. SH

L’ha fatto per proteggerti. JW

Sì, ma tu sei mio. E solo io posso offenderti dandoti del “normale essere umano”. SH

John si chiese se fosse normale sentirsi appagati dalla prospettiva di un’offesa nei suoi confronti. Ma poi si rispose che sì, forse era normale, soprattutto se quell’epiteto era accompagnato dalla pretesa di una certa possessività e da una neanche tanto velata gelosia di Sherlock nei suoi riguardi.

Aw. Grazie. Noi “normali esseri umani” non vediamo l’ora di trovare un Holmes tutto nostro che eserciti con fervore il proprio diritto di offenderci. JW

Devo pur difendere il mio territorio. SH

Il tuo “normale essere umano” è lusingato. JW

Tanto lo so che se lo faccio io, non ti offendi. SH

Cosa vuoi che ti dica, ci ho fatto l’abitudine. JW

Ti tengo col guinzaglio corto, John. SH

E’ la seconda metafora canina che usi, Sherlock. Houndy ti sta influenzando. JW

Io sono più bello di lui. SH A quanto ho capito non è che ci voglia poi molto. JW

Io sono più bello di te. SH

Modestia a parte? JW

Sono oggettivo. Non che mi importi della mia bellezza. Mi importa della tua. SH

Ma se hai appena detto che sono meno bello di te. JW

E’ questo controsenso che mi piace. Sei oggettivamente meno bello di me e al mondo esistono a loro volta uomini più belli di me, eppure io ti vedo più bello di qualsiasi altro essere umano che io abbia mai incontrato. SH

Quindi, soggettivamente, per te, sono molto bello. JW

Bellissimo. SH

John ridacchiò divertito e non si accorse nemmeno che in quel momento stava ciondolando come un’adolescente di fronte ai complimenti della ragazzina che ha una cotta per te. Sherlock lo riportò alla realtà dei suoi quarant’anni suonati in modo tutto suo.

Bene, direi che abbiamo ingigantito il tuo ego a sufficienza per oggi. SH
E’ giunto il momento di sminuire quello di Mycroft. E’ ingrassato molto? SH

John rise di gusto, tanto che dovette coprirsi la bocca con una mano per non fare troppo rumore, data l’ora tarda e l’esiguo spessore delle pareti: aveva scelto un appartamento molto economico perchè, sapendo che non vi avrebbe vissuto molto, trovò inutile sprecare preziose sterline per l’affitto di una casa migliore che avrebbe comunque abbandonato a breve. Quando si riprese da quella risata, decise di dare a Sherlock un po’ di soddisfazione.

La pappagorgia è aumentata. JW

Quanti menti ha adesso? Ero rimasto a due. SH

John rise ancora, riuscendo a smettere solo quando sentì il proprio vicino di casa bussargli attraverso i muri intimandolo di non fare baccano a quell’ora della notte, altrimenti se la sarebbe vista brutta. John rise anche per quella minaccia, ma riuscì a farlo con un certo contegno: non aveva voglia di litigare con i vicini di casa, soprattutto quando avrebbe potuto impiegare il proprio tempo comunicando con Sherlock dopo due giorni di astinenza.
Rimasero svegli tutta la notte a scriversi e quando per John fu l’ora di alzarsi per andare al lavoro, non sentì nessuna stanchezza, ma solo la voglia di andare avanti in attesa del giorno che avrebbe potuto riunirsi con Sherlock.


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Due mesi dopo, John e Sherlock erano ancora separati da un’indefinita distanza chilometrica. John era sempre più assente nei confronti degli altri: non dovette neanche sforzarsi più di tanto per simulare il proprio lutto, poichè la continua lontananza dal suo amico e la preoccupazione che nutriva per la salute dello stesso Sherlock, giocavano un ruolo essenziale per il deterioramento delle interazioni sociali intrattenute al lavoro e con le poche amicizie rimastegli.
Una sera in particolare, poi, era di pessimo umore: Sherlock si era preso chissà quale virus e John si sentiva sempre più impotente, sempre più inutile per l’unica persona che gli importasse veramente. Si trattenne dall’andare da Mycroft, perchè sapeva che sarebbe stato inutile, ma decise di insistere con Sherlock: pensò che in quel momento di debolezza e dopo dieci mesi di solitudine, potesse finalmente cedere.

Sherlock, sono stufo di questa situazione. Sono adulto. Siamo due persone adulte. Posso avere il potere di decidere se voglio rischiare la mia vita per venire da te? Tu hai potuto decidere di sacrificarti per salvarmi, ebbene, dà questa opportunità anche a me. JW
Presentami tutti i rischi possibili e poi io sarò libero di scegliere. JW
Dammi questa scelta, dammi questa possibilità. JW
Non ce la faccio più a stare qui, a Londra, in una città così grande e così piena di gente che mi fa capire ancor di più quanto io mi senta solo perchè l’unica persona con cui vorrei stare non c’è. JW

John non ricevette alcuna risposta da Sherlock per almeno mezzora e non potè fare a meno di chiedersi se quel silenzio fosse riconducibile ad un suo stato febbrile che l’aveva reso momentanemente incapace di rispondere, oppure, semplicemente, ad una valutazione oggettiva dei rischi del loro eventuale incontro.

Sherlock, ti prego. Se qualcuno mi seguirà e vorrà uccidermi, allora combatterò. Se qualcuno dovesse scoprirci, allora lotteremo insieme. Insieme siamo più forti che da soli. JW
Prenderò solo mezzi di trasporto che non comportino l’utilizzo di carte di credito. Farò perdere le mie tracce. Sono stato un soldato, so come fare. JW
Voglio venire da te. Permettimi di salvarti almeno una volta. JW

Tu mi ha già salvato, John. SH
E non parlo solo fisicamente. Hai salvato quel briciolo di umanità che c’era in me e l’hai alimentato. L’hai nutrito. SH
Quando mi specchio nei tuoi occhi, vedo qualcosa che non pensavo di avere. Vedo riflessa la parte migliore di me. SH

John deglutì e tirò sù col naso: il labbro gli tremava e il magone che sentiva all’altezza della gola lo opprimeva al punto da bloccargli il respiro per diversi secondi. Dovette tossire per riacquistare la normale funzione respiratoria compromessa da quel groviglio di emozioni. Amore, affetto e comprensione che combattevano una rumorosa lotta contro rabbia, frustrazione e insofferenza.

Sherlock. Ti prego. JW
Pensaci almeno. Ti scongiuro. JW

John appoggiò il cellulare sullo stesso cuscino sul quale poi si appoggiò per riposarsi. Si scervellò per pensare ad un piano alternativo, ma la verità era che non conosceva nessun hacker, nessuna spia in grado di rubare informazioni di quel tipo. A Mycroft, soprattutto, che controllava di persona i Servizi Segreti britannici. E partire alla ricerca di Sherlock era impensabile: non si era lasciato sfuggire nessun particolare di dove fosse. Avrebbe potuto essere ovunque e partire alla sua ricerca senza neanche un indizio sarebbe stato inutile ed inconcludente.
Il bip di un sms, susseguito da un’altro suono ravvicinato, lo risvegliò da quei pensieri.

Barafundle Bay(2). SH
Incontriamoci a Barafundle Bay. SH

John si rizzò in piedi e si fiondò sul proprio computer portatile, iniziando a digitare più in fretta che potè quel nome: le mani gli tremavano, quindi dovette correggere quel nome più volte sulla barra del motore di ricerca.

Barafundle Bay del Pembrokeshire? Nel Galles? JW

L’unica Barafundle Bay. SH

Non mi manderesti mai in un posto sbagliato solo per darmi un contentino, solo per tenermi impegnato, vero? JW

No. Ho davvero bisogno di te. SH

E io di te. JW Cerca di riposarti. Magari con le medicine che ti ha mandato Mycroft la febbre scenderà. JW
Ora ti saluto. Devo organizzare un viaggio. JW

Potrò scriverti più tardi? SH

Ho il cellulare sempre con me. JW Buona notte, Sherlock. JW

John si sedette al tavolo della cucina iniziando a spulciare diverse immagini riguardanti il Pembrokeshire ed in particolare la spiaggia in cui Sherlock gli aveva dato appuntamento per un giorno ancora non definito: finalmente, dopo esserselo immaginato nei più svariati luoghi, poteva figurarsi il suo amico in un ambiente reale. Si immaginò di poterlo vedere sdraiato su quella bellissima e solitaria spiaggia, intento ad osservare il mare e ad indovinare gli strani disegni improvvisati dalle nuvole. La sua fantasia galoppò e se lo figurò seguito da un cane tanto brutto quanto fedele mentre rientrava in un piccolo bungalow verso l’entroterra, in quei verdi e smisurati prati sui quali avrebbe tanto voluto sdraiarsi al suo fianco. Vide il contrasto tra l’armoniosità dell’entroterra e l’asimmetria disegnata dagli scogli nelle insenature fiancheggianti la Barafundle Bay e di nuovo immaginò Sherlock, che correva tra gli alberi, saltava oltre piccoli fossi, si arrampicava su accessibili pareti rocciose, sfidando l’unica avversaria che potesse fronteggiare in quel frangente: la natura.
John restò sveglio tutto la notte, appuntando sul proprio taccuino il tragitto più lungo e al tempo stesso più sicuro che avrebbe dovuto percorrere per raggiungere la bellissima spiaggia in cui avrebbe finalmente incontrato il suo migliore amico.


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Il mattino seguente, John si attrezzò per il viaggio che avrebbe dovuto compiere, comprando un capiente zaino da campeggio, un sacco a pelo, una tenda e diverse provviste a lunga scadenza che occupassero poco spazio. Ricevette un sms da Sherlock proprio nel momento in cui stava provando un paio di scarpe da trekking.

Hai avvisato Sarah? Non puoi sparire da un giorno all’altro senza dare giustificazioni. SH

Sì. Era contenta di sapere che parto. Dice che un viaggio non può farmi che bene. Non ha idea di quanto abbia ragione. JW

Dove le hai detto che andrai? SH

Australia. JW

Ti piacerebbe andare in Australia? SH

Chi se ne frega dell’Australia. Al momento vorrei solo essere nel Galles. JW

Sarà un viaggio lungo, John. Ti stai preparando a dovere? SH

Ti ricordo che sono stato un soldato, Sherlock. JW

Hai pensato come farai col cellulare? SH

In che senso? JW

La batteria, soldato. SH

Ho comprato una batteria di riserva che ricaricherò prima di partire. Non ne ho trovate altre, è un modello vecchio! Troverò una locanda da qualche parte, per ricaricarle. JW

Non troverai locande oltre i confini del Pembrokeshire Coast National Park. SH

Non ti preoccupare, non sarà certo un problema se non dovessimo sentirci per un giorno o due. JW

E se dovessi perderti? SH

Sono capace di orientarmi. JW

Non sono sicuro di questa cosa. Non del tuo orientamento. Ma se dovessi cadere e farti male? E tu non potessi avvisarmi? SH

Starò molto attento a non cadere, Sherlock. JW

John, è un viaggio lungo. SH

Ho aspettato dieci mesi per vederti, non sarà il viaggio ad uccidermi. JW

Sicuro? SH

Ora che so dove sei, niente può più fermarmi. JW


°oOo°


John partì il giorno dopo. Come promesso a Sherlock, si affidò a mezzi pubblici per non lasciare tracce dietro di sè. Viaggiò a bordo di diversi treni per arrivare fino in Galles, spingendosi fin dove arrivava la ferrovia. La zona in cui era nascosto Sherlock, infatti, era per lo più disabitata, quindi i mezzi di trasporto erano per lo più privati: John preferì evitare di fare l’autostop ed affidarsi alle proprie gambe per raggiungere le zone più selvagge del Pembrokeshire, camminando finchè la stanchezza lo costringeva a fermarsi e a piantare la tenda per la notte.
Continuava a scambiare sms con Sherlock, seppur non con la stessa frequenza di quando era a Londra: preferiva infatti tenere il cellulare spento ed accenderlo di tanto in tanto per controllare cosa gli avesse scritto, cercando così di risparmiare la batteria il più possibile. Era già in viaggio da quattro giorni e la prima era già esaurita del tutto.

A che punto sei? SH

Non saprei dirlo di preciso. Mi sembra di aver camminato tantissimo, ma non riesco ancora a vedere il mare... JW

Vuoi che ti venga incontro? SH

E rischiare di non incrociarci? No. Stai tranquillo, si tratta solo di camminare, Sherlock. Arriverò presto. JW
Mandami Houndy, semmai. JW

Sei per arrivare tutto intero allora... SH
Sono preoccupato. SH

Non è da te preoccuparti per nulla, Sherlock. Stai tranquillo. JW

Ho vissuto dieci mesi tranquillamente. Ora che so che stai per arrivare, soffro di impazienza. SH

Io invece sono tranquillo, perchè so che ti vedrò presto. JW
Ora dormo, Sherlock. Sono stanco morto. JW
Cerca di stare tranquillo, ok? JW

Buona notte, John. SH


°oOo°



Dopo altri due giorni di cammino, di pomeriggio, finalmente John vide il mare da lontano: accelerò il passo, come si aspettasse di raggiungere la spiaggia da un momento all’altro, ma questo finì col stancarlo prima, lasciando il mare perfettamente dov’era.
Si sedette su una roccia abbastanza grande, riprendendo fiato, quindi tirò fuori il cellulare e lo accese. Trovò subito alcuni messaggi ad attenderlo.

John. SH
John, accendi il cellulare, ho bisogno di sapere che stai bene. SH
John, sei lento. SH
Non mi dire che non riesci ad essere alla spiaggia neanche oggi. SH
Sono qui fermo da sei giorni. SH
Lo so, avrei potuto spostarmi, visto che tu eri ancora lontano. SH
Persino Houndy se n’è andato. SH

John sorrise e accarezzò il display col pollice della mano sinistra. Alzò poi lo sguardo e controllò lo stato della batteria: era quasi scarica, quindi decise di mandare un unico sms prima di spegnere il cellulare.

Oggi ho finalmente visto il mare, Sherlock. Non so dirti tra quanto sarò lì, non mi rendo conto della distanza perchè il terreno è molto irregolare. Spero solo di non trovare altre collinette da scalare. La discesa la potrei fare rotolando, in caso. In discesa ci vanno anche le zucche(3), d’altronde. Non posso aspettare la tua risposta perchè la batteria è quasi completamente scarica, quindi spegnerò subito il cellulare. Resisti Sherlock, ci siamo quasi. Preparati. JW

John lasciò volutamente quel 'Preparati' in sospeso, senza alcuna particolare spiegazione a riguardo, divertendo all’idea di quanto Sherlock potesse scervellarcisi sopra, impegnando la mente in qualcosa che potesse fargli passare il tempo. John, alzando lo sguardo, notò quanta luce fosse ancora presente a rischiarare la zona, quindi si rialzò e decise di camminare finchè le gambe glielo avessero permesso.


°oOo°


Il pomeriggio seguente, dopo una lunga giornata di cammino, John si appoggiò al tronco di un albero con la mano sinistra, piegando il busto verso il suolo per riprendere fiato. La schiena gli doleva per la pesantezza dello zaino e le gambe avrebbero certamente necessitato di riposo, ma era determinato a continuare finchè la luce solare glielo avesse permesso.
Estrasse dallo zaino una scatoletta contenente tonno e fagioli: storse il naso annusandone l’odore, ma la fame che aveva andava ben oltre il normale senso del gusto, quindi si sedette ai piedi dell’albero ed iniziò a mangiare.
Quando ebbe quasi finito di cibarsi, udì dei rumori provenienti dalle sue spalle: sentì lo scricchiolio tipico di rami secchi, foglie e pietrisco e finì col trasalire.
“Dimmi che non ci sono cinghiali nel Pembrokeshire...” imprecò a bassa voce, congelando i propri movimenti, posizionando solo i piedi a martello, pronti a scattare per un’eventuale fuga. Deglutì a stento per poi ruotare lentamente il capo per poter osservare dietro al tronco sul quale era appoggiato con la schiena: quindi lo vide. Arricciò naso e bocca quando il suo sguardo incontrò gli occhi cisposi di quell’esserino nero, mezzo spelacchiato, zampette storte, che stava fiutando la scia che lui stesso aveva lasciato.
“E tu che bestia dovresti essere?” gli domandò, quasi s’aspettasse che potesse rispondergli. Mise in bocca un altro boccone quando, colto dall’illuminazione, a momenti si strangolò con un pezzo di tonno in scatola. Si voltò di scatto verso la bestia “Tu! Sei proprio brutto!” esclamò indicandolo: il cane, di rimando, starnutì un po’ di terra che aveva appena annusato.
“Houndy!” provò a chiamarlo e finalmente il cane alzò il muso e scodinzolò leggermente. John gli si avvicinò, chinandosi per afferrargli le zampette anteriori e guardarlo da più vicino “Se tu sei Houndy, allora vuol dire che Sherlock è vicino!”
John lasciò le zampe del cane e provò subito ad accendere il cellulare, ma non ci riuscì, perchè la batteria era ormai completamente scarica. Non gli importò più di tanto, tuttavia, perchè sapeva che Sherlock non poteva essere lontano.
Quel pensiero ricaricò tutte le sue energie, tanto che imbracciò al volo lo zaino ed iniziò a correre in direzione del mare: uscito dalla piccola macchia d’alberi, si ritrovò di fronte ad una piccola collina davanti alla quale ringhiò.
“Non mi fermerai.” intimò alla duna erbosa che iniziò a risalire “Oggi io vedrò Sherlock.” cercò di affrettarsi il più possibile: avrebbe dovuto scollinare quel dosso prima che il tramonto lo costringesse a fermarsi. Doveva quanto meno arrivare in cima alla collinetta per rendersi conto di quanto il mare fosse effettivamente distante: sarebbe stato un aiuto psicologico fortissimo sapere quanto gli mancava alla meta, perchè una strada sembra sempre più breve quando la si conosce.
Fu sorpassato da Houndy che, abbaiando, sembrava lo esortasse a continuare quella dolce scalata verso la cima della collina: John sorrise a quell’incoraggiamento e, scaricando il proprio peso sulle punte dei piedi, riuscì a concludere la propria salita. Boccheggiò in cerca d’aria, godendosi il panorama che gli si stagliò di fronte: percepì il sapore del mare portato dal vento che gli rinfrescò il viso imperlato di sudore, udì il chiasso prodotto dallo stormo di gabbiani che volavano poco più in là. Annusò l’odore del mare che si mischiava con quello del bosco alle sue spalle, sfumandolo, rendendolo piacevole anche per una persona non abituata alla forte fragranza salina. Infine, toccò tra loro entrambe le mani che portò al viso, sopra le labbra, quando vide la baia di Barafundle tagliare il panorama come lo spicchio della luna crescente affetta l’alone scuro dell’intera superficie nascosta in quel momento dalla Terra. E lì, in mezzo alla baia, tra la rena grigia e gialla, un puntino più scuro: Sherlock.
John rise una volta che ebbe ripreso fiato e quando sentì il vento spirare a proprio favore, urlò il nome di Sherlock con tutta la potenza che i polmoni gli consentirono di esercitare.
Non fu sicuro di averlo raggiunto con la propria voce, quindi iniziò a scendere la collina più in fretta che potè, cercando nel paesaggio il modo più rapido per scendere fino alla spiaggia: decise, poi, di seguire il percorso intrapreso da Houndy che, nonostante le zampette storte, lo anticipava di parecchi metri.
Chiamava il nome di Sherlock di tanto in tanto, ma non arrestava la sua corsa neanche per un secondo: rischiò di inciampare due volte, ma lo slancio della corsa lo fece restare in piedi, un piede dopo l’altro, come una catena di montaggio che non si ferma mai.
Quando poi, abbassando lo sguardo, iniziò ad intravedere la sabbia tra i mucchi di terra e pietre, intuì che l’ingresso alla baia era molto vicino. Di fatti corse ancora una decina di metri prima di trovarsi nello spiazzo che aveva visto dalla cima della collina: rallentò i propri passi per riprendere fiato e per permettere al proprio cuore di rallentare perchè sapeva che di lì a poco avrebbe galoppato di nuovo.
Si tolse lo zaino, abbandonandolo a terra con cura, consapevole del fatto che all’interno vi custodisse un tesoro: intanto osservava Sherlock. Riconobbe subito la zazzera di ricci neri dal taglio irregolare, probabilmente accorciati alla bene e meglio da lui stesso: ammirò la figura longilinea, mentre la pelle appena scurita dal sole contrastava coi suoi ricordi in modo curiosamente bizzarro, come se non avesse ritenuto possibile che quella pelle color latte potesse essere contraffatta.
Dopo aver fatto il pieno di quella splendida visione, John inspirò a lungo, ricominciando a camminare verso il centro della baia, per poi urlare nuovamente il nome di Sherlock.
John vide Sherlock voltarsi e fu come se fosse stato appena annullato l’effetto di un incantesimo malvagio: lo vide piegare la testa all’indietro in un gesto liberatorio in cui sprigionava tutta la tensione accumulata in dieci mesi ed intensificatasi durante quei sette, lunghissimi giorni. Era uno spettacolo, per John, man mano che si avvicinavano l’uno all’altro, riuscire a leggere sul viso di Sherlock tutte le emozioni che, finalmente, lo stavano attraversando. Lesse tutta l’attesa del lungo periodo di separazione, intuì il disagio del senso di colpa, vide l’ombra lasciata dalla solitudine, ma più di ogni altra cosa potè riconoscere una particolare fiamma in quegli occhi azzurri ghiaccio sciolti dalla commozione. Una fiamma che John aveva sempre visto negli occhi di Sherlock durante la risoluzione di un caso, ma che era solo una piccola scintilla rispetto all’incendio che in quel momento stava divampando dentro quelle iridi color ghiaccio secco.
John non ebbe idea di chi dei due abbracciò l’altro per primo: non appena si scontrarono finirono a terra per la potenza dell’impeto che li guidò in quella stretta movimentata, quasi nervosa, a giudicare dall’energia impiegata da entrambi. Sembrava quasi che stessero lottando, a terra, con la sabbia che si univa a quella danza in cui entrambi volevano dominare e conclamare il proprio possesso sull’altro. Fu John, infine, ad arrendersi: stanco per il lungo cammino e per la corsa iniziata dalla cima della collina, si ritrovò sdraiato sulla propria schiena coi polsi bloccati dalle mani di Sherlock. Finalmente fermi uno di fronte all’altro, poterono guardarsi a lungo, iniziando una silenziosa conversazione che ebbe il culmine con i loro volti che finalmente si sciolsero in sorrisi dolci e morbidi che contrastavano con la durezza delle loro fisicità che andavano, a loro volta, rilassandosi.
Sherlock si appoggiò sul corpo dell’altro, liberando anche la presa suoi polsi, preferendo di gran lunga occupare le proprie mani con piccole e studiate carezze sul suo volto di John, che sembrava stesse osservando veramente per la prima volta. Ruppe il silenzio, ma non la magia del momento “Dimmi com’è possibile.”
John sospirò, inseguendo le carezze di Sherlock con il volto, spostandolo leggermente, premendolo contro i palmi dell’altro “Cosa?”
Sherlock continuò a guardare John dritto negli occhi, come se temesse che l’altro potesse sparire una volta sciolto il contatto visivo “Che siamo stati separati per più di dieci mesi, ma ora che ti ho visto mi sento come se non ci fossimo mai lasciati.”
John sorrise a quell’affermazione perchè era ciò che provava anche lui “Funziona così quando due persone si appartengono.”
“Interessante.” mormorò Sherlock, per poi alzarsi ed aiutare l’altro a fare lo stesso “Andiamo.”
“Dove?” domandò John, incamminandosi verso il proprio zaino per poter recuperare il proprio prezioso bagaglio.
“Nel mio lussuosissimo bungalow.” Sherlock anticipò John, recuperando il pesante zaino sulle proprie spalle “Mi hai portato il violino.” constatò con certezza, come se avesse appena fatto una radiografia al bagaglio del proprio amico.
John non si stupì più di tanto per l’intuizione di Sherlock “E da cosa l’hai intuito?”
“Conosco il cuore del mio buon amico.” allungò la mano destra verso la mancina di John, guidandolo verso il sentiero che li avrebbe portati a casa “E so quanto ti piace quando io suono per te.”
John si lasciò guidare dall’altro e rischiò di inciampare più volte, perchè non aveva la minima intenzione di spostare lo sguardo altrove: voleva fare il pieno di lui “Vorrei che tu suonassi di nuovo per me.”
Sherlock annuì per poi aggiungere “Dopo. Più tardi.” arrestò il passo qualche istante quando vide l’espressione di John tingersi di una tonalità interrogativa: si chinò dunque, mormorandogli all’orecchio “Prima dobbiamo appurare se mi sono preparato a sufficienza.”
John rise leggermente complimentandosi con se stesso per quel colpo di genio che aveva avuto: ovviamente non osò contraddire Sherlock il cui passo, si accorse, si velocizzò sensibilmente.


°oOo°


Quella stessa sera, quando il sole era già calato da diverse ore, John era steso sul letto, sul fianco destro: Sherlock era alle sue spalle intento ad esplorare il suo collo, la clavicola e la spalla con una scia di baci così delicati che sembravano carezze solleticate dalle ali di una farfalla. John mugolò un piccolo gemito di piacere nel momento in cui Sherlock abbandonò quella delicatezza, esercitando una maggiore pressione quando scese fin sulla mascella, iniziando anche a mordicchiarla.
“John.” lo chiamò Sherlock, passandogli il braccio attorno alla vita, alla ricerca della sua mano che, una volta trovata, strinse in un intreccio di dita.
“Mh?” mormorò John, stiracchiandosi addosso al corpo di Sherlock che riscoprì caldo e morbido a contatto con la propria schiena.
“Si deve dire qualcosa in questi casi?” domandò con una certa serietà: non aveva mai avuto esperienze a riguardo e sicuramente non voleva commettere qualche errore proprio con John.
“In questi casi?” John ripetè la domanda, ancora intorpidito dalla stanchezza e dal piacere che l’aveva pervaso: fu proprio quel ricordo così recente e vivido a fargli comprendere la domanda di Sherlock “Mh, no. Non c’è uno schema fisso da seguire, o qualcosa che si deve dire per forza. A volte si fanno apprezzamenti sulla prestazione. Ma solo se sono positivi, altrimenti sai che imbarazzo?” ridacchiò leggermente per poi girarsi in posizione supina: riuscì così ad osservare Sherlock in tutta la sua bellezza e non potè fare altro che sospirare “Tipo ora a me viene da dire che mi sento fortunato ad essere qui con te.”
Sherlock si chinò per posare alcuni baci sulle labbra di John, producendo dei leggerissimi schiocchi che lo fecero rabbrividire “Io sento che dovrei dire qualcosa.”
“Allora dì pure quello che ti senti.” lo esortò John, mentre con le mani cercava il corpo di Sherlock: la destra sull’elegante profilo della schiena, mentre alla mancina furono affidate le cure del viso particolarmente bello dell’altro.
Sherlock si perse qualche istante sotto le carezze dell’altro, stupito di quanto non gli dispiacesse perdere il controllo in quel particolare frangente. Si sforzò di tornare serio, poi, data l’importanza delle parole che stava per rivolgergli “Volevo ringraziarti per aver creduto in me, quando tutto e tutti erano contro di me. Le prove, i fatti... tutto.” portò a sua volta la mano sul viso di John, carezzandogli la guancia con delicatezza “Non perchè mi importasse di quello che pensavano gli altri. Mi importava di quello che credevi tu. E tu hai dimostrato di fidarti di me. Non so perchè, ma l’hai fatto. Quindi grazie, John.”
“Anche io ti devo ringraziare.” John sorrise proprio con quella dolcezza che era riuscita a sciogliere anche il più burbero dei detective “Non solo per avermi salvato la vita. Ma anche perchè tra tutte le persone con cui hai avuto a che fare, tu, spettacolare ed unico Sherlock Holmes, hai scelto me.” sorrise ancora e, vedendo Sherlock leggermente in imbarazzo, cercò di buttarla sullo scherzo “Seriamente eh! Cosa ci vedi in me? Secondo me il tuo cervello è così geniale per le faccende logiche e razionali, che scopensa dal punto di vista emotivo e non sa giudicare bene la bellezza, il fascino, l’attrazione fisica...”
Sherlock fermò quel discorso strusciandoglisi addosso con tutto il corpo con una sensualità che non farebbe pensare a lui come ad un novellino in ambito sentimentale “Direi che con l’attrazione fisica siamo a posto.”
John mugolò compiaciuto “Sì, sì. Sono un medico, me ne intendo di queste cose.” ridacchiò ancora per poi smontare la parentesi umoristica e donargli tutta la tenerezza di cui disponeva “Non deve più succedere, Sherlock. Non voglio più stare lontano da te.”
Sherlock annuì con un sospiro, per poi mostrare a John un sorrisetto malizioso ed impostare nuovamente la conversazione in modalità giocosa “Dopo quello che mi hai fatto poco fa’, puoi scommetterci che non ci allontaneremo più.”
John rise e battè tra loro le mani in un piccolo applauso “Ecco, visto che prima me l’hai chiesto, questa potrebbe essere una di quelle cose che si dice in questi casi.”
Sherlock si morse il labbro inferiore prima di muoversi fino ad andare a sdraiarsi sopra il corpo di John “Imparo in fretta.” gli allacciò le braccia attorno al collo, soffiandogli i propri sussurri sulle labbra “Permettimi di mostrarti quanto mi sei mancato.”
“Permettimi di mostrati quanto ti amo.” sussurrò John a sua volta prima di lasciarsi avvolgere dal vortice delle emozioni, trascinando con sè anche un bendisposto Sherlock, curioso di fronte a quelle piacevoli novità, avido e desideroso di recuperare il tempo perso dietro a meccanismi psicologici di difesa. Meccanismi districati grazie ad un gesto estremo come il suo sacrificio e alla lontananza forzata dall’unico uomo che era stato capace di capirlo fino in fondo, arrivando a proclamarlo eroe, quando tutti gli davano del bugiardo.
Lì, in quel bungalow che odorava di mare, di the e di sesso, John aveva ritrovato il suo eroe, l’essere umano più spettacolare che potesse incontrare e che, dall’alto del suo ateismo, era pure riuscito a compiere il miracolo così sentitamente chiesto su quella tomba che, a Londra, lontana da quel paradiso inesplorato, rideva ironicamente la mancanza di quel corpo che aveva sconfitto la morte e conquistato una nuova vita.

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(1)Rasoio di Ockham: "a parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire"
(2)Sì, la Barafundle Bay è proprio lei... la Baia di "Third Star", un film bellissimo con Benedict Cumberbatch come protagonista che mi è piaciuto tantissimo (tante lacrime però!!!) e visto che quel posto è stupendo (googlatelo di brutto!!!), volevo incollarci un ricordo positivo visto che nel film... insomma... calde lacrime u.u
(3)"In discesa ci vanno anche le zucche" lo diceva sempre la mia nonnina <3


   
 
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