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Autore: mamie    27/07/2012    5 recensioni
Lavi e Kanda si trovano in una situazione ormai consueta... in infermeria! Lavi non riesce a dormire e i suoi pensieri infastiditi ronzano come zanzare nella notte.
Ispirato al contest di Yu_Kanda "Lavi & Yuu loves forever".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fiori di ciliegio'
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  Nota: Questa storia si ispira ad un pacchetto non utilizzato del contest di Yu_Kanda

Lavi & Yuu: loves forever

col permesso dell'autrice.
Pacchetto n. 11 Mugen.
Prompt utilizzati: Ospedale, Orologio, Fiore di ciliegio e la citazione di Nietzsche.
Partecipa alla challenge La settimana degli AU di Jerckchester.

 GUARDARE NELL’ABISSO
 
Quando guardi troppo a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro
F. Nietzsche
 

Plic.
Nel silenzio assoluto della notte la goccia della flebo si sentiva cadere distintamente, lenta.
Non c’erano orologi all’ospedale e quello sgocciolio artificiale era l’unica misura di un tempo che a Lavi pareva assurdamente dilatato, o forse addirittura fermo.
Plic.
Kanda dormiva con una smorfia di dispetto sul volto. Forse stava sognando ancora la battaglia o forse, semplicemente, il dolore gli impediva di riposare tranquillo. Lavi si rigirava sotto le lenzuola leggere. Aveva caldo e sete. Il debole lume del posto di guardia in fondo allo stanzone mandava sulle pareti ombre sinistre, come se anche lì delle presenze maligne li stessero aspettando.
Plic.
Quante volte si erano ritrovati all’ospedale insieme? Ormai Lavi aveva perso il conto. Kanda usciva sempre per primo, anche se di solito era lui quello ridotto peggio. Guardarlo così assurdamente indifeso dava a Lavi una sgradevole sensazione di impotenza; perché sapeva che Kanda sarebbe passato indifferentemente dalla parte della vita a quella della morte, senza cambiare espressione.
 
Plic.
Fuori, alla luce della luna quasi piena, le trame nere dei ciliegi disegnavano ombre distorte sulla finestra. Fiori di ciliegio. Meravigliosamente belli. Terribilmente fragili. Inevitabilmente votati alla morte. Belli mentre muoiono.
Lavi non si faceva illusioni: di morti ne aveva visti troppi per credere ancora alla favola del bel gesto, della vita colta nel fiore, dei nobili ideali. La loro vita da burattini non valeva nulla. Utili strumenti nelle mani di qualcun altro, a chi importava veramente come si facevano ammazzare?
Però quando, l’ultima volta, si era trovato a reggere le spalle di Yu, pregando in tutte le lingue che conosceva che continuasse a respirare, si era accorto che sorrideva.
Sorrideva.
Sorrideva come se stesse guardando il Paradiso.
E lui aveva pianto su quel sorriso e l’aveva tenuto stretto perché nessuno glielo potesse portare via. Non voleva restare con una splendida immagine di morte da venerare nella memoria, quello che voleva era vederlo invecchiare, cedere a qualche debolezza, a qualche ruga, ai capelli bianchi. Oppure andarsene prima di lui.
Plic.
Maledetta goccia.
Eppure anche lei nasceva e moriva in un attimo. E forse in quell’attimo di volo, tra lo staccarsi e il cadere, si sentiva eterna.
Maledetti fiori di ciliegio che giocavano superbi con la morte trascinati dal vento divino.
Maledetta la loro vita di Esorcisti che li costringeva a guardare nel fondo dell’abisso finché il buio, poco a poco, risaliva a divorarli.
 
 
Kanda si era rigirato sbuffando qualcosa che Lavi non aveva capito. Quasi gli faceva tenerezza, anche se ad ammetterlo con lui avrebbe rischiato di essere lentamente affettato. Si sentiva un relitto… ecco quello che erano, relitti abbandonati sull’orlo di una voragine che un giorno li avrebbe inghiottiti tutti, loro e la loro santissima guerra. Presi in un maelstrom che li trascinava a fondo un poco alla volta, un brandello di umanità alla volta, finché non c’era più distinzione fra i buoni e i cattivi, fra Esorcisti e Noah.
 
Ah, grazie a Dio, la dannata flebo era finita. Lavi cercò di sprofondare un po’ di più nei cuscini. Un chiarore appena accennato trapelava da uno spiraglio della finestra. Di lì a poco sarebbe entrata l’infermiera col suo passo pesante, pronta a cacciare termometri in bocca e a strapazzare chi aveva disfatto troppo il letto. Pigramente, Lavi si chiese perché la routine degli ospedali fosse uguale dappertutto: tristissime notti insonni e, quando uno stava per addormentarsi, subito lo venivano a svegliare.
Il piccolo raggio di luce strisciò piano sul cuscino e andò a posarsi sul viso ancora addormentato di Kanda. Gli dava un po’ di colore sulla faccia pallida. Lavi si ritrovò a pensare di nuovo ai fiori di ciliegio: era sicuro di aver letto da qualche parte una poesia giapponese che parlava di guerrieri e di fiori, sarebbe stata così adatta....
 
Quando il raggio di sole gli arrivò sugli occhi Kanda si rigirò infastidito e li aprì, Lavi sospirò impercettibilmente di sollievo. Era bello vedere di nuovo i suoi occhi. Gli occhi di Kanda che lo guardavano con la solita espressione accigliata anche appena svegliato.
- Buongiorno Yu – sussurrò piano e aspettò, trepidante, la prevedibile consueta risposta.
- Non chiamarmi Yu.
Ecco.
L’abisso poteva aspettare.
Ancora un po’.
 

La fragile vita umana
somiglia
ai fiori di ciliegio;
mentre li guardi
si disperdono via,
appena spuntati.
Poesia giapponese
 
  
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