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Autore: Cali F Jones    27/07/2012    2 recensioni
Ho voluto provare in questa fic a cimentarmi coi teen drama. Sia chiaro, a me non piace scrivere di ste cose, mi risulta parecchio difficile. È che ho pensato: "Madò, ma scrivo solo storie tragiche! Facciamo qualcosa di romantico!". E questo è il risultato *facepalm* vado a nascondermi perché so già che domani questa fic mi farà vomitare =_= vabbè, recensite e abbiate pietà, per favore! çAç
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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"Kirkland, tu mi aiuterai a studiare, chiaro? Non accetterò "no" come risposta."
Con questa frase dal vago suono come di minaccia ed un sorriso idiota stampato in faccia, quella perditempo di Amelia Jones si era prepotentemente imposta nella vita quotidiana del giovane inglese.
"Perché dovrei aiutarti, Jones?" domandò ancora il presidente del consiglio studentesco, con quella sua solita aria di superiorità, senza distogliere minimamente lo sguardo dal foglio sul quale stava scrivendo. La ragazza spalancò gli occhi e si gettò di peso contro la scrivania, sbattendo con veemenza i palmi sul ripiano in legno. "Ti prego, ne ho bisogno!" supplicò "Devo riuscire assolutamente a passare il test d'ammissione al college!"
"College? Jones, i tuoi voti non sono così eccellenti da..."
"Appunto! Ma se tu mi aiuterai a studiare, riuscirò a risollevarmi."
C'era qualcosa nel sorriso di quella ragazza che Arthur non riusciva davvero a spiegarsi. Sorrideva sempre. In ogni momento della giornata, in ogni occasione quotidiana e non, lei sorrideva. Non l'aveva mai vista triste, nemmeno per un istante. In fondo, credeva, fosse in questo che risiedesse il suo fascino. Tutti i ragazzi della scuola erano attratti da lei. D'altronde, come non capirli? Capelli biondi, leggermente ondulati, lunghi fino alle spalle. Occhi azzurri, brillanti e luminosi come due diamanti. Un fisico a dir poco perfetto per una ragazza della sua età, le forme ben proporzionate, un sorriso splendido, di quelli che si vedono solo in quelle pubblicità di dentifrici e che tanto fanno esclamare allo spettatore: "Ma chi diavolo mai può avere un sorriso del genere?". Ecco, Amelia Jones aveva quel tipo di sorriso. Non vi era ragazzo in tutta la scuola che non fosse mai rimasto abbagliato dalla sua bellezza. O, perlomeno, c'era. Ed era l'unico da cui Amelia avrebbe mai voluto ricevere attenzioni.
"Se mi aiuterai a studiare, Kirkland, ti concederò l'onore di farmi da accompagnatore al ballo di fine anno!"
"Ahahah no, grazie, Jones. Mi basterà solo che tu la smetta di dare il via a risse nel cortile della scuola."
Amelia sbuffò, portandosi la mano destra a grattarsi la nuca. "E va bene, affare fatto." esclamò infine, ripresasi dalla delusione di essere stata rifiutata. Sì, perché era proprio quell'inglese isterico ed irritante colui per il quale ella nutriva una cotta già da diversi anni. Non c'era nulla da fare: per quanto odioso nella sua pignoleria e finta saccenteria, per quanto petulante e fisicamente poco avvenente egli fosse, Amelia non poteva far altro che nutrire nei suoi confronti una profonda attrazione.
"Tu mi aiuterai a studiare ed io non solleverò più risse in cortile. Siamo d'accordo?" chiese ancora la ragazza, porgendo una mano verso il riluttante inglese. Questi accennò un leggero sorriso, senza, tuttavia, stringerle la mano e rispose: "D'accordo."

"Cosa ci fai ancora qui? La scuola è finita da diverse ore."
"Ti stavo aspettando, Arthie!"
"Jones, per favore, non chiamarmi così..."
"Ma dài, Arthie! Tu puoi chiamarmi Amy, se vuoi."
"Jones andrà benissimo. Allora, cosa vuoi?"
"Non dovevamo studiare?"

Amelia, che fino a quel momento era rimasta seduta sul pavimento del corridoio, si alzò di colpo, afferrando il suo zaino, ricolmo di libri. Arthur la squadrò da capo a piedi, quasi stupito dalle sue parole; gli sembrava ancora incredibile che una come Amelia volesse seriamente impegnarsi nello studio. In quel preciso istante, si pentì amaramente di aver accettato di darle una mano. Ma ormai era fatta e un gentiluomo inglese par suo non poteva venir meno alla parola data.
"Va bene, Jones. Da cosa vuoi cominciare?"
"Che ne dici di storia?"
"Seconda guerra mondiale? Bene, cominciamo."

La ragazza lanciò un leggero sorriso ad Arthur, prima di chinarsi sul libro e cominciare a leggere. Mentre ella proseguiva nella lettura, Arthur lanciò un'occhiata al libro.
"Stai studiando la Battaglia d'Inghilterra?"
"Sì...che c'è? Vuoi esaltare le gesta dei tuoi compatrioti?"
"N-Non dire cavolate!! E poi che l'aviazione inglese sia stata particolarmente valorosa durante la Guerra è un dato di fatto, non ho bisogno di vantarmene!"
"Ah, ma non dire scemenze! Lo sappiamo tutti che il migliore aviatore del mondo è uno solo!"

Indi, senza lasciare indizi, la ragazza sfogliò velocemente le pagine del libro, scorrendo tra una lunga lista di date, nomi ed eventi, sino ad arrivare ad un'immagine. Era una donna, in abiti d'aviatore, ritratta in una fotografia in bianco e nero davanti ad un aereo.
"Amelia Earhart."
Mentre pronunciava questo nome, sul viso della ragazza si accese un nuovo sorriso. Non quel sorriso ebete, da stupida adolescente viziata che propinava a tutti i suoi ammiratori ogni volta che questi le regalavano un pietoso mazzo di fiori di campo. No, era un sorriso diverso. Un sorriso dolce, quasi nostalgico. Arthur puntò i suoi grandi fari smeraldini sul volto della ragazza e, in quel momento, quando sorrise a quel modo, si rese veramente conto di quanto, in realtà, ella fosse carina.
"Sai," continuò la ragazza "mia madre era un'aviatrice e il suo più grande modello di riferimento era lei, la Earhart."
"È per questo che ti chiami Amelia, non è vero?"
La ragazza sollevò la testa dal libro, puntando lo sguardo sul viso dell'inglese che, immediatamente, divenne paonazzo dall'imbarazzo. Amelia ridacchiò divertita: "Ahah! Esattamente!"
Era alquanto strano: nessuno sapeva cosa ci fosse dietro l'origine del nome di Amelia e, in realtà, nemmeno lei riusciva a spiegarsi come mai avesse rivelato quel suo piccolo segreto personale ad uno come Arthur; certo, le piaceva, ma si conoscevano appena. E Arthur non si era mai sentito così imbarazzato come in quell'istante in cui i fari cristallini dell'americana si erano puntati sui suoi. Che cosa gli prendeva? Non sapeva dirlo. Mai prima di allora nessun sentimento simile si era insinuato nel suo animo. Mai nessuno, a parte lui, aveva visto quel sorriso di lei così tenero e dolce. Un sorriso così sincero.

"Arthur, n-noi ci conosciamo da qualche mese, ormai..." balbettò Amelia, mentre le sue gote diventavano ogni secondo che passava più paonazze. Perché era così imbarazzata? Doveva solo chiedergli di accompagnarla a quello stupido ballo di fine anno!
Negli ultimi mesi, Arthur e Amelia avevano cominciato a frequentarsi sempre di più. Spesso si davano appuntamenti di studio, ma, ancora più spesso, si ritrovavano a parlare per ore ed ore. Ormai egli aveva appreso tutto su Amelia, sapeva tutto di sua madre, della sua morte e dell'attuale matrigna. Sapeva tutti i sogni e le paure che quella ragazza nutriva nel profondo e, nonostante le apparenze, riuscii ad andare a fondo della sua personalità. In fondo, Amelia Jones non era questa ragazza presuntuosa, arrogante e incredibilmente oca che dava l'idea di essere. La sua era solo una maschera. Una maschera che si era tolta solo davanti a lui, l'unico ragazzo dal quale richiedesse un minimo di attenzioni.
"E-ecco, volevo chiederti....se non hai da fare....beh, volevo chiederti s-se...se ti piacerebbe farmi da accompagnatore al ballo di fine anno..."
Arthur rimase completamente impassibile, fissando con sguardo spento quel sorriso falso che la ragazza gli stava donando. No, non era quel sorriso che piaceva a lui, quel sorriso che solo lui aveva potuto vedere. Era quello che vedevano tutti. Era quello della classica Amelia Jones, la ragazza più ambita della scuola.
"Mi dispiace, Jones, ma ho già un impegno..." rispose, distogliendo lo sguardo, sempre con quella sua aria superba "...con un'altra ragazza."
Un'altra...ragazza? All'udire quelle parole, qualcosa in Amelia si spezzò. I frantumi di quello che era un sogno rimasero lì a vagare. I cocci acuminati le trafiggevano il cuore come possenti pugnali. Col volto già arrossato per l'emozione, ridacchiò nervosamente, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
"Ahahahah!! Ma c-certo...poi io ho una lista di spasimanti! Volevo solo....solo chiederti, per cortesia...so che voi inglesi ci tenete tanto alla cortesia ahahahah!! Stammi bene, Arthie! Ci vediamo al ballo!"
Mentre si allontanava nel corridoio, sentiva ancora quei frammenti trafiggerle il cuore. Faceva male. Tanto. Troppo. Se non era con Arthur, non sarebbe andata a quel dannato ballo.

"Hey, Kirkland!" una voce pesante richiamò l'attenzione del giovane. Tuttavia, questi non fece nemmeno in tempo a girarsi che, immediatamente, si sentì afferrare per il bavero della divisa e sbattere violentemente contro le ante degli armadietti. Davanti a lui quattro ragazzi robusti e aitanti, all'apparenza facevano parte della squadra di football, lo bloccavano con le spalle al muro.
"Abbiamo sentito che hai rifiutato Amelia Jones." parlò uno di questi, forse il capo di quell'"allegra combricola".
"Sì, l'ho rifiutata! E con ciò?"
"E lo sai che ora lei rifiuta tutti noi?"
"No, non lo sapevo e non mi interessa! Amelia Jones non è altro che un'oca, una gallina, niente di più e voi idioti che le sbavate dietro come ragazzine arrapate mi fate ancora più pena di lei!"
Il ragazzo che aveva parlato digrignò i denti, in preda alla rabbia. Chiuse la mano destra a pugno e si preparò a colpire Arthur dritto in faccia. "Te la sei cercata, Kirkland! A me non piace picchiare le donnicciole come te!"
L'inglese serrò con forza gli occhi, ma il pugno non arrivò. A pochi centimetri dal naso di Arthur, un'altra mano aveva fermato con forza quella del bisonte.
"E a me non piace picchiare gli uomini!"
Amelia! Che cosa ci facesse Amelia lì, Arthur non lo sapeva. Ma sapeva che il suo arrivo era stato davvero tempestivo. Con una forza completamente fuori dal comune per una donna, spinse indietro il braccio del ragazzo.
"Ma...Amelia...noi stavamo difendendo il tuo onore! Non hai sentito come ti ha chiamata..."
"Ho sentito benissimo! E mi so difendere da sola!"
I quattro bestioni abbassarono le loro teste vuote e si allontanarono. Sarà stata anche bellissima, ma la sua reputazione non era quella di "studentessa modello".
"Ehm...Jones...per quello che ho detto..."
"Va tutto bene, Arthie...Non hai detto altro che la verità."
Ed ecco di nuovo quel sorriso. Quel sorriso che solo Arthur aveva mai visto. Quel sorriso che lo aveva fatto innamorare sempre più pazzamente di lei.

Era davvero deprimente: la sera del ballo, lei, la ragazza più popolare del liceo, chiusa nella sua stanza con indosso un paio di shorts e una maglietta di qualche taglia più grande. Si trovava seduta sul suo letto, le cuffie nelle orecchie, ascoltando un vecchio cd dei Sex Pistols. Rigirò la custodia del disco tra le mani diverse volte. Non aveva mai pensato che potesse piacerle la musica punk. Non finché Arthur non le aveva fatto sentire per la prima volta quel cd. Forse avrebbe dovuto restituirglielo.
Sulla scrivania, a pochi metri di distanza dal letto, giaceva una lettera.
"Gentile signorina Amelia Jones,
siamo lieti d'informarLa che Lei ha superato a pieni voti il test d'ammissione ed è quindi ufficialmente matricola alla St. John's University.
Le nostre più sincere congratulazioni."

Amelia si tolse le cuffie e si alzò, avviandosi al piano inferiore. A piedi scalzi, attraverò il salotto dove suo padre e la sua matrigna guardavano la televisione e si avventurò in cucina alla ricerca di un qualche snack da mangiare per passare il tempo. Ma, improvvisamente, il campanellò suonò.
Sempre con passo felpato, la ragazza si avviò ad aprire. Spalancò gli occhi, letteralmente senza parole: davanti a lei, ritto in piedi, ancora in divisa scolastica, c'era Arthur.
"A-Arthur?! Cosa ci fai qui? Non dovresti essere al ballo?"
"Sono passato a prendere la mia dama. Un cavaliere senza una dama non fa una gran bella figura, non trovi?"
Amelia balbettò qualche sillaba confusa, mentre egli continuava a guardarla e sorridere allegramente del suo imbarazzo.
"Dài, vieni, andiamo a fare un giro" le disse, porgendole una mano. Amelia, ancora non del tutto capacitata della cosa, afferrò un vecchio bomber marrone che teneva appeso dietro alla porta, lo indossò, riuchiudendo, indi, l'uscio alle sue spalle.
"Non vorrai sul serio andare al ballo"
"Certo che voglio andare al ballo!"
"Cosa??!! Ma hai visto come cavolo sono vestita?!"
"Ah, chi se ne importa!"
La ragazza sbuffò, ma non si tirò indietro e continuò a camminare accanto al suo "cavaliere". Passarono una decina di minuti immersi nel più assoluto silenzio, finché non arrivarono di fronte all'entrata della scuola.
"A-aspetta! Il ballo è in palestra e comunque io non ho intenzione di andarci conciata in questo modo!" eclamò la ragazza, in preda alla confusione più totale.
Arthur si limitò a sorriderle e a prenderle la mano. Il tocco della sua mano era sorprendetemente caldo. Quel ragazzo così distaccato che tutti guardavano con disprezzo aveva una mano che infondeva una sensazione di calore e sicurezza incredibile. Il calore della sua mano sembrò risalire lungo il braccio di Amelia, sino a giungere ad infuocarle le guance.
Arthur estrasse una chiave ed aprì la porta d'ingresso della scuola. Era così stranamente calmo e silenzioso quel corridoio. Così diverso da quello che vedeva alla mattina, da quello che tutti vedevano. Solo loro due, in quel momento, potevano vedere la scuola completamente buia e deserta.
Muovendosi un po' a tentoni, il ragazzo condusse la sua "dama" sino alla stanza del consiglio studentesco, proprio quella stanza in cui, qualche mese prima, Amelia lo aveva interrotto nel suo lavoro, obbligandolo, in un certo senso, a farle da tutor. Indi, chiuse la porta, accese la luce e si avviò alla finestra che spalancò. Dall'edificio della palestra, proprio di fronte alla sala, proveniva la musica che, in quel momento, accompagnava tutte le coppie che ballavano. Non appena una nuova canzone riprese, Arthur fece un mezzo inchino, porgendo la mano alla sua dama.
"Vuoi concedermi questo ballo, Amy?"
La ragazza rimase per qualche secondo con un'espressione stupita in viso, ma questa si trasformò ben presto di nuovo in quel sorriso. Quel sorriso così splendido, così sincero. Posò la sua mano in quella di Arthur e i due cominciarono a volteggiare leggiadramente a ritmo di musica. Quando questa iniziò lentamente ad affievolirsi e a giungere alla sua conclusione, Amelia parlò nuovamente: "Non avevi detto che eri impegnato con un'altra ragazza?"
"Lo ero, infatti."
"M-ma...ma..."
"Amy, l'altra ragazza sei tu! Quella che mi ha chiesto di andare al ballo era Amelia Jones, la solita Amelia Jones, quella dietro a cui sbavano tutti i ragazzi della scuola, quella gallina che tanto si diverte ad attirare l'attenzione. Io non volevo uscire con lei. Volevo uscire con Amy, quella che ha studiato con me, quella che mi ha raccontato di sua madre. Quella ragazza che, ogni volta che sorride, mi fa innamorare sempre di più."
A quelle parole, gli occhi azzurri della ragazza si illuminarono. Senza pensarci nemmeno un secondo, posò le sue mani sulle guance dell'inglese e lo portò a sè, posando le labbra sulle sue in un bacio casto, ma, allo stesso tempo, pieno di passione. Un bacio follemente innamorato.
Quando, saturi d'aria, si separarono, Amelia notò l'imbarazzo del ragazzo che le stava di fronte: il suo viso, completamente arrossato, contrastava così fortemente con i suoi occhi smeraldini. E tutto ciò che, ancora una volta, potè fare la ragazza fu sorridere. Non quel sorriso stupido che vedevano tutti; nemmeno quel sorriso dolce e malinconico che assumeva parlando della madre. No, un nuovo sorriso si dipinse sul volto di Amelia. Un sorriso che nessuno, oltre a lui, oltre al suo amato Arthur, avrebbe mai visto.
Il sorriso di una ragazza innamorata.
Un sorriso di vera felicità.
Il più bello di tutti.
  
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