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Autore: Sphaira    28/07/2012    2 recensioni
[Ao Oni]
Iniziò il gioco del mostro.
Iniziò la sfida a sopravvivere.
Iniziò un Inferno da cui non tutti sarebbero usciti incolumi.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Epilogo

Il ragazzo albino fu una delle poche persone se non l’unica che uscì viva da quella villa maledetta.
Quando tornò era sotto shock, e non riuscì a raccontare cos’era successo tra quelle mura o ai suoi amici. Le uniche volte che parlò disse solamente frasi sconnesse che accennavano ad un mostro, al blu, a qualcosa di spaventoso e malato; quando invece si accennava ai suoi amici spariti, in particolare, non osava dire parola, e semplicemente impallidiva e se ne andava. Si diceva che avesse intenzione di tornare in quel luogo una volta che sarebbe stato pronto.
E quella prontezza arrivò dopo la quinta sparizione.
La quinta vittima di quel luogo si ebbe due anni dopo la prima visita dei ragazzi: era un operaio, un uomo alto e grassoccio, che durante la pausa pranzo si era allontanato dal campo di lavoro non si seppe mai per quale motivo. Certo fu che il posto dove si diresse fu il maniero abbandonato, perché ore dopo il suo allontanamento dal cantiere i suoi colleghi trovarono fuori al cancello il suo copricapo giallo rovesciato sopra la maglia arancione e la salopette di jeans, sporche di polvere e di uno strano liquido blu non identificato, squarciate in più punti come se fossero state tirate al punto di strapparsi. Uno spettacolo raccapricciante che Hiroshi però si costrinse a vedere.
Superata l’area controllata dalla polizia locale per non far accedere i curiosi all’area sotto indagine, ovvero il cortile esterno all’abitazione, un tardo pomeriggio estivo il ragazzo si recò una seconda volta alla villa passando per il bosco, lungo la stessa strada per cui aveva corso con il suo gruppo tempo prima. Il colore blu della salopette che scavalcò per passare risvegliò in lui quei tremendi ricordi che l’avevano tormentato fino ad allora: la trasformazione di Mika, gli occhi vuoti di Takeshi impiccato, lo sguardo implorante di Takuro. Ma ora, seppur col batticuore, sapeva a cosa andava incontro. Sapeva che il mostro non aveva nessun potere particolare, se non quello di pietrificare con un solo sguardo dal terrore, ma ormai lui conosceva quell’aspetto. E non si sarebbe fatto prendere nemmeno stavolta.
Entrò nell’edificio, e quando si richiuse la porta alle spalle sentì quel leggero “tic” che indicava la serratura dell’ingresso. Rimase con la mano sulla maniglia per pochi secondi; tentò anche di aprire, ma come poteva aspettarsi, la porta non scattò. Passarono diversi secondi prima che si convincesse a rigirarsi e a riscoprire quell’ingresso.
I colori del crepuscolo donavano ai corridoi un’atmosfera tanto più calda quanto più sapente di morte. Una morsa di terrore gli strinse lo stomaco, ma resistette, costringendosi ad avanzare verso quella che ricordava essere la biblioteca. Quando provò ad aprirla, nessun blocco fece resistenza, quindi spalancò l’uscio ed entrò lasciandolo aperto.
La luce penetrò solo fino ad un certo punto, limitata dagli scaffali, ed illuminò solo la parte della stanza più prossima all’entrata. Seguì i raggi che entravano fino alla scrivania, e prima di questa osservò le finestre sulla parete dall’altra parte della sala, ovviamente chiuse. Non si sorprese di trovarle sbarrate; per il mostro non potevano che essere un vantaggio, dopotutto.
Toccò con una mano il dorso di un libro che aveva davanti; spostò la sedia per farsi più vicino, quindi passò sfiorando le superfici con le dita su un altro libro aperto. Sentì che delle pagine erano rialzate, e la curiosità lo spinse a spostarle per vedere cosa nascondevano. Immaginava che ci fosse una chiave o qualcosa del genere per ricominciare la serie di rebus, ma invece di ciò trovò un foglietto ripiegato più e più volte, appiccicoso di blu, ma su cui ancora si distingueva la scrittura.
L’albino spalancò gli occhi. Era datato, segnava il giorno di fine autunno della loro prima visita. E quella scrittura apparteneva a Takuro.
Quasi contemporaneamente a quando riconobbe la calligrafia dell’amico, un passo pesante interruppe il silenzio della stanza, fu seguito da altri rumori identici, ed infine da respiri profondi. Hiroshi si costrinse a mantenere il sangue freddo, e si voltò solo dopo qualche secondo, quando i passi cessarono.
Le figure che l’osservavano a prima vista erano tre. In quella penombra che regnava fino alla seconda serie di scaffali prima di diventare totalmente buio, si poteva notare che in fondo agli occhi avessero un bagliore giallastro, sinistro sì, ma tremolante in modo insicuro. Ancora prima che si esponessero un po’ di più alla luce, Hiroshi capì che si trattava dei suoi amici. Il suo cuore cominciò a battere nuovamente in modo accelerato, percorso da una marea di emozioni che partivano dalla rabbia e dal non aver ancora accettato quel loro stato alla nostalgia per i vecchi tempi della scuola. Tuttavia non mostrò un solo segno di cedimento, e cominciò a sussurrare.
“Amici miei…”
Uno dei tre bagliori tremolò ancora di più, e la figura a cui apparteneva si fece avanti. Era Takuro, lo si poteva riconoscere dalla coda che aveva ancora intatta da quel giorno. Sembrava cosciente, e sebbene non rispondesse niente sembrava tanto contento quanto allarmato di vederlo lì.
Lo seguirono le altre due figure, prima quella di Mika, poi di Takeshi, ma rimasero vicino allo scaffale da cui erano sbucate senza allontanarsi di un solo passo. Intuendo che Hiroshi era stato riconosciuto, l’albino si lasciò sfuggire un sorriso incerto prima di continuare a parlare, inspirando ed espirando a fondo per mantenere la calma di sempre.
“Non vi ho abbandonati qui e non vi abbandonerò. Abbiate pazienza, riuscirò a liberarvi.”
I volti dei mostri che erano diventati gli ex compagni di Hiroshi sembrarono sorridere, animati da un nuovo barlume di speranza, ma non durò nemmeno un secondo prima che il bagliore di tutti si mosse ancora.
Un quarto paio di lumi cremisi comparve in fronte alla stanza, fissando il ragazzo con sguardo assassino.
Era il demone principale, che stava costringendo i ragazzi a farsi da parte per far emergere il lato cruento e demoniaco dei loro nuovi istinti. Hiroshi avrebbe potuto riconoscerlo dovunque, e sì, stavolta fu scosso da un evidente brivido, che scese lungo la schiena e risalì sentendo un grugnito grottesco dall’angolo.
Attimi di tensione, e nessun movimento.
Gli occhi del mostro non sembravano curarsi di quella indecisione dei suoi simili, che fissavano un punto nel vuoto immobili come statue, combattendo contro la tirannia del loro aggressore. Erano puntati su Hiroshi come laser di fucili, e lo stavano uccidendo con lo sguardo; lo stavano mangiando ed azzannando con l’immaginazione, con un desiderio talmente morboso e vivido da sembrare palpabile. In confronto, quelli fermi e dotati di una sicurezza sempre più barcollante dell’albino non erano niente.
Hiroshi non avrebbe saputo dire quanto tempo durò quella sorta di stallo, ma all’improvviso anche Takeshi ringhiò. Aveva ceduto, e quel cedimento fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Anche Mika perse possesso del suo corpo, diventando minacciosa, e fu la prima a fare passi avanti, ma non superò Takuro e si bloccò ancora. Hiroshi prese istintivamente il biglietto di Takuro e se lo mise in tasca, quindi prese la sedia dallo schienale e l’alzò leggermente come per usarla a mo’ di arma da difesa.
Il ragazzo con il codino fu l’ultimo a demordere. Ancora una volta, comunicò con l’amico attraverso lo sguardo, ed Hiroshi lo capì al volo.
Sappiamo che manterrai la promessa, ma ora scappa.
Come se lanciasse un urlo di guerra, il demone per eccellenza scattò all’inseguimento. Hiroshi trasalì, ma rimase abbastanza lucido da afferrare la sedia e scappare in cucina. Se lo sentì a un passo da sé mentre raggiungeva il corridoio opposto a quello che portava alla cucina, il corridoio ovest, e sentì anche i passi degli altri dietro di lui. Si sentì male per loro all’idea di essere oppressi e usati per scopi altrui, e come se non bastasse anche malvagi.
Purtroppo per lui, la sedia gli rallentava la corsa, ma la stringeva senza mollarla, sicuro che sarebbe potuta servire a qualcosa. Quando si diresse verso il bagno, sentì la porta sbattere, come se ci fosse stato un colpo di vento; ma un secondo rumore lo indusse a pensare che un altro mostro stesse tentando di sfondarla per chiudergli la strada.
Sfondare.
L’idea gli balzò in mente come un lampo, e senza pensarci alzò i piedi della sedia di legno e la buttò con tutta la forza che aveva contro la finestra. Sebbene un tempo fosse sbarrata, ormai il tempo aveva rovinato le sbarre di ferro, ed ora era possibile passare senza problemi. Il mostro dietro di lui ruggì irato per la via di fuga, ma non fece in tempo ad acciuffarlo prima che l’intruso saltasse fuori attraverso i vetri rotti.
Alcune schegge ferirono il viso e le braccia di Hiroshi durante la rottura del vetro, ma lui sopportò, riprendendo a correre a perdifiato. Piccolo déjà vu: gli sembrò la stessa scena desolante di quando si lasciò Takuro alle spalle, all’uscita dal terzo edificio.
Ancora una volta fuggì solo, però questa volta c’era qualcosa di diverso: un indizio, che esaminò a casa con calma prima di mettersi a dormire. Era così contento di aver ottenuto qualcosa di così importante… quella era la vera prova che c’era ancora speranza per i suoi amici. Però non aveva idea di che genere di prova fosse.
 
Ero steso a pancia in su con una gamba piegata e il biglietto tra le mani, ancora gli occhiali sul naso, e la lampada al neon che avevo sul comodino accesa per far luce sulla carta. Erano le tre di notte, ma non riuscivo a prendere sonno in alcun modo. Ero curioso di vedere cosa avesse scritto Takuro quel giorno, di capire quando l’aveva scritto di preciso, ma soprattutto il contenuto del suo messaggio.
Staccando delicatamente il collante, aprii completamente il foglio, quindi cominciai a leggerlo.
La prima parte raffigurava proprio lo stesso Takuro che conoscevo prima di entrare in quel luogo. Altruista, positivo, sincero. Sembrava che a parte la forma del suo corpo non fosse cambiato niente di lui, quindi quasi mi sentii in colpa per averlo lasciato lì. Mi morsi il labbro verso la metà del suo scritto, però quando arrivai a metà di quella che era una vera e propria lettera qualcosa cambiò radicalmente. La scrittura si deformò tutto ad un tratto, e qualche macchia di penna interruppe una frase del mio amico, che non venne più conclusa. Andò a capo, e da lì la scrittura deformata continuò a scrivere.
Spalancai gli occhi. Era il suo stesso demone.
Lessi ascoltando il rumore dell’orologio appeso alla parete, il mio respiro ed il mio battito che componevano una melodia inquietante nelle mie orecchie, le quali si sforzavano di udire qualcosa oltre il silenzio che non sopportavo. Dovevo avere gli occhi spalancati, perché dopo un po’ presero a bruciare.
Quando abbassai il biglietto, lo divisi a metà d’impulso, accartocciai la seconda parte e lanciai tutto via.
Non seppi nemmeno dove i due pezzi di carta andarono a finire, lì per lì; mi accorsi solo la mattina dopo che erano al centro del pavimento, uno sopra l’altro, come se strappare la carta non fosse stato abbastanza per dividere i due scritti. Spensi la luce e mi voltai su un fianco, verso il muro, poggiando la fronte contro il muro.
Non riuscii a prendere sonno per un sacco di tempo, e il passare dei minuti e delle ore mi sembrò così indistinto e irreale da darmi l’impressione di aver dormito tre ore ma allo stesso tempo dodici ore.
Non riuscivo a non pensare all’ultima parte.
A quelle parole.
A quella violenza con cui erano state scritte.
Ma soprattutto, a quella firma blu che occupava un angolo della carta.
 
 
 
“Non posso ancora credere che sia successo tutto questo.
Scrivo a te, Hiroshi, che ora sei salvo al di fuori di quei cancelli. Io, Takeshi e Mika siamo intrappolati. Siamo ancora tutti qui! Il mostro ci controlla, ma noi non ci arrendiamo e ti aspettiamo, sperando di essere venuti a prendere al più presto. Sappiamo che tornerai, perché tu sei sempre stato il nostro leader. Però abbiamo un solo desiderio che scrivo a nome di t—(illeggibile)
 
Non vediamo l’ora che torni, Hiroshi. Ci stiamo divertendo tutti un mondo, qui. Di recente è anche venuto un altro ospite a farci visita, quindi nemmeno soffriamo la solitudine, anzi: è fantastico quando qualcuno entra nella villa e si ritrova chiuso dentro. Speriamo che tu ci raggiunga; così, anche se avremo questi aspetti demoniaci, potremmo vivere le nostre vite da ragazzi senza preoccupazioni, per sempre.
Nei tuoi sogni…
L’Ao Oni ti aspetta.”

 
 
NOTE FINALI DELL’AUTRICE:
 
Finitooo! E’ la prima fanfic che riesco a concludere qui, ne avrò cancellate almeno un paio tempo fa! Mi sento realizzata, contenta! Talmente gasata che probabilmente comincerò a scrivere subito qualcosa di nuovo, magari ancora ispirandomi a cose già esistenti prima di muovermi da sola con una storia tutta mia. Ora come ora sono innamorata delle creepypasta sui Pokémon, anche se sono dei traumi terribili; di sicuro, prima o poi pubblicherò qualcosa su Lost Silver e Easter Egg – Neve sul Monte Argento.
Spero che sia piaciuto il finale x3 Mi è venuto in mente ripensando ad una ricerca che ho fatto su Tumblr tempo fa, la cosa che mi ha convinto a scrivere questa fic. Era una lettera di Takuro simile a questa. Pensavo fosse perfetta per concludere.
Beene, detto ciò direi che posso pure smetterla di sproloquiare a vanvera. C: Alla prossima!
P.S.: sentitevi liberi di esprimere giudizi anche negativi o di segnalarmi qualche errore. Ce la metto tutta per scrivere al meglio, ma sono umana – e ragazzina – anch’io, quindi chiedo venia >u<’
Bye bye~

  
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