Giglio l'ha presa con sè quando era solo una bambina e benchè non fosse sua figlia l'ha cresciuta e amata come tale. E Gwerian, purtroppo, lo ha ricambiato. Settimo racconto su Giglio.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
I soldati montavano la guardia davvero svogliatamente, quella sera. Al
di là delle colline il sole stava tramontando e su quella
terra distrutta scendevano le tenebre. Un segno? Certamente. Quel
giorno avevano vinto i demoni e quella terra piombava nel caos e
nell’oscurità.
Che bisogno c’era di fare la guardia? Quella mattina avevano
distrutto gli ultimi baluardi di resistenza che quella terra era
riuscita a mettere in piedi, a meno di non essere attaccati dai
fantasmi non c’era niente che potesse emergere dalla notte
per minacciarli. Ed in ogni caso, loro erano una potente armata. Agli
ordini di uno dei Sommi Nove, di sua altezza Lady Vendetta.
Che senso aveva stare lì ad annoiarsi in quel lungo
corridoio? C’erano case da saccheggiare. Morte e distruzione
da perpetrare. Perché stare lì inutilmente, ad
aspettare un nemico che non sarebbe mai arrivato?
Pure, Lady Vendetta era stata inflessibile al riguardo. Anzi, aveva
addirittura raddoppiato la guardia ai suoi appartamenti. Cosa mai
poteva temere? Chi mai avrebbe osato attaccarla? Solo uno
stolto…
…o uno molto più potente di lei…
La creatura che percorreva il corridoio vestiva di nero e sembrava
essere stato partorito dalle tenebre stesse, tanto il suo arrivo era
stato silenzioso ed inatteso. Le sentinelle si irrigidirono e le loro
mani corsero in fretta alle lance ed alle spade, pure lo sconosciuto
non se ne curò, continuò a camminare verso di
loro con passo sicuro, con la consapevolezza del proprio potere. Quel
potere che aveva raggelato le guardie con la promessa della morte
incombente.
- Fatevi da parte.-lo disse piano, perché non aveva bisogno
di gridare per vedere eseguito il proprio ordine. Era abituata al
comando, quella strana figura oscura che sostava dinnanzi a loro senza
la minima paura.
- Ehm…-il capo delle guardie si schiarì la voce-
La nostra signora non vuole essere disturbata. Chi sei, straniero?
Mani inguantate emersero dal nero delle vesti, mani dalle dite
lunghissime e perfette che calzavano guanti di velluto nero,
raggiunsero il cappuccio e lo tirarono indietro, scoprendo il viso
bellissimo dello sconosciuto, i suoi capelli di fiamme nere, i suoi
occhi di ametista…
- Principe Giglio!-riconobbe la guardia sorpresa, mentre i suoi
compagni fissavano sgomenti il Principe Oscuro ed il suo volto
terribilmente calmo.
- Prima che alla vostra signora, dovete obbedienza a me. Lasciatemi
passare, adesso. Se no, dovrò uccidervi.
Lo aveva detto nello stesso tono quieto di prima, senza tradire alcuna
emozione ma anzi rivolgendosi a loro con insospettata
gentilezza… la gentilezza del serpente che avverte prima di
scattare a mordere.
Le guardie si tirarono indietro, sconvolte dalla paura, lasciando che
lui passasse in mezzo a loro, voltarono il capo e chiusero gli occhi,
tremando quando il suo profumo li raggiunse, quando le sue vesti li
sfiorarono.
Lui scivolò dentro e si chiuse la porta alle spalle.
Incapaci di resistere un istante di più, corsero via,
abbandonando la loro signora.
Giglio si guardò attorno, era entrato in quello che doveva
essere stato una specie di salottino, individuò subito una
stanza ancora illuminata, una lingua sottile di luce macchiava la
stanza buia, si mosse in quella direzione ed aprì la porta.
Un’esclamazione di stupore soffocato e lui sorrise.
- Buona sera, Lady Vendetta.
- Mio signore Giglio!-riconobbe la Lady, tremando di paura.
- Sono molto deluso di voi, Vendetta.-affermò lui, liberando
le mani dai guanti e scostando il mantello dalla propria figura-
Credevo che voi ed io ci intendessimo meglio.
Raggiunse un mobiletto di liquori e si servì
tranquillamente, ignorando la paura della demone.
- E invece vi trovo qui. E scopro che avete disobbedito a ciascuno
degli ordini che vi avevo impartito. Avete distrutto questa terra
quando io vi avevo detto di guardarvi dal farlo.
- L’Imperatrice Nera me l’ha ordinato. Non potevo
disobbedire.
- Ah, Vendetta. E secondo voi per quale motivo vi avevo
minacciata?-chiese con dolcezza il Principe Oscuro, scuotendo la testa
con un sorriso.- Ma ormai, è fatta. Avete attaccato questo
regno, e lo avete conquistato. Tuttavia, non c’è
nulla di irreparabile. Se ve ne andrete immediatamente, portando via
con voi i vostri servi, vi risparmierò.
La Lady era pallida e tremava sotto il suo sguardo, studiò
il viso del suo principe senza osare credere alle sue parole, temendo
qualche orribile trucco.
- Non abbiate paura. Io mantengo la mia parola, al contrario di voi.
- Allora… posso andare, mio principe?
- Certamente.
Il demone si mosse verso una porta della stanza, che conduceva
all’interno, ma quando poggiò la mano sulla
maniglia, Giglio la fermò.
- Un’ultima cosa, Lady Vendetta.
Lei rimase immobile contro la porta, voltandosi a scrutare il viso
pallido del suo signore, aspettandosi da un istante all’altro
di essere inchiodata al legno.
- Voi capirete che non posso più fidarmi di voi. Ho bisogno
di garanzie, che mi assicurino che in futuro non mi disobbediate mai
più.
- Garanzie, mio signore?-balbettò lei, tremando.
- La vostra Erede, Lady Vendetta. La terrò con me fino a che
non lo riterrò necessario.
- No!-implorò lei in un grido di angoscia, fissandolo
terrorizzata.
- Preferite morire qui ed ora? Mi hanno detto che è ancora
una bambina… probabilmente non sopporterebbe il passaggio di
poteri e morirebbe… Quanto vi ci vorrebbe, allora, per
tornare?
- Mio signore, ho obbedito a Lei! Vi prego, lasciatemi la mia Erede!
- Lady Vendetta voi mi avevate giurato
fedeltà.-ricordò Giglio pianamente- Sapendo
perfettamente cosa questo significasse.
- Madre, che succede?
La voce infantile li fece voltare entrambi, probabilmente svegliata dal
grido della Lady la bambina si era destata e adesso li fissava
entrambi, sorpresa.
Quando riconobbe Giglio si illuminò tutta di piacere e prima
che la madre potesse impedirglielo lei corse verso di lui, fermandosi a
pochi passi per esibirsi in una graziosa riverenza.
- Buona sera, principe Giglio.
Lui le sorrise, carezzando i suoi capelli color dell’oro,
sparsi sulla camicia da notte bianca.
- Buona sera, mia piccola Gwerian. Mi dispiace se ti abbiamo svegliato.
- Gwerian, torna nella tua stanza.-ordinò la lady, la voce
che le tremava per il terrore.
Ma Giglio prese in braccio la bambina, prima che potesse muovere in
passo.
- Gwerian, tesoro, ti piacerebbe passare qualche tempo con me in questo
castello?
La bambina fissò la Lady Vendetta, che tremava ancora vicino
alla porta semiaperta.
- Certamente, mio principe.-affermò la piccola con un
sorriso gioioso.
Giglio era sempre stato buono con lei, quando era venuto al castello di
sua madre aveva giocato con lei e le aveva portato dei doni. Stare con
lui era sempre una festa, per lei.
- Benissimo. Allora saluta tua madre, Gwerian, perché lei
deve partire.
- Non starà con noi?
La demone cercò di sorridere: Il Principe Oscuro ci fa un
grande onore, Gwerian. Ha deciso di istruirti personalmente e tu dovrai
fare ogni cosa che ti dice, in modo da compiacerlo e da tornare presto
da me.
- Si, madre.
Giglio la poggiò a terra ma la bambina non lasciò
il suo fianco, fissandolo adorante.
- Andate, Lady Vendetta.
E la signora dei demoni era fuggita dalla stanza.
Ripensando a quella notte Gwerian non si stupiva più del
terrore della sua signora madre. In effetti, il Principe Oscuro era
stato più che generoso nel risparmiarle la vita.
Sorrise, compiaciuta per la sua sorte e alzò i capelli
biondi sulla testa delicata, in modo che solo poche ciocche le
incorniciassero l’ovale perfetto. Voleva essere bella per
lui. Sorrise maliziosa allo specchio, scrutando compiaciuta la sua
figura snella nell’abito nuovo che lui le aveva regalato.
Lo amava, ah, se lo amava. Da bambina lui l’aveva
semplicemente stregata, era diventata la sua piccola ombra, lo seguiva
per ogni dove e non lasciava mai il suo fianco. Lui era perfetto e lei
lo aveva adorato per questo. Più dei doni di cui lui
l’aveva sempre coperta, aveva apprezzato la sua attenzione,
la sua pazienza con lei quando le aveva insegnato la magia, il suo
dedicarle tempo ogni volta che lei aveva bisogno di lui. Era cresciuta
amandolo come non dovrebbe essere concesso amare. Lui era il suo
principe, suo padre, il suo amore e lei sarebbe sempre stata al suo
fianco.
Perché qualcuno vegliasse sulla sua debolezza. Gwerian non
capiva sempre i motivi delle sue azioni, a volte erano davvero indegne
di lui. Come se il suo amato fosse…
-… un debole essere umano…
Ma sapeva bene che non era così, sapeva che lui era il
Principe Oscuro, conosceva a memoria le sue gesta, che portavano lustro
al suo nome, ricordava i massacri leggendari da lui perpetrati. Le
sarebbe piaciuto che si mostrasse a lei nello sterminio della
battaglia, la sua gioia nell’uccidere era proverbiale. Lei
avrebbe voluto che si coprisse di gloria sotto i suoi occhi e poi
avrebbe voluto cavalcare accanto a lui, in trionfo.
Pure, nei sei anni passati con lui, il Principe Oscuro non aveva
ingaggiato battaglia con nessuno, limitandosi a strappare alcuni regni
al controllo di altri signori dei demoni. Nulla di che, poche morti
veloci che gli avevano assicurato qualche terra. Pure, il viavai di
messi e ambasciatori si era moltiplicato ed Alistar e suo padre
discutevano ad ogni minuto della gestione di molti regni.
- Come se lui fosse un sovrano qualunque che non può
uccidere i suoi nemici.
Ma lui poteva. Coloro che gli erano superiori si contavano sulla punta
di una mano. Perché semplicemente non ammazzava chi lo
contrariava?
Perché non affogava nel sangue ogni resistenza?
Lui aveva la morte nel sangue e lei lo sapeva, le storie che si
narravano su di lui la riempivano di gioia e orgoglio. Persino
all’Inferno si mormorava che fosse il più crudele
degli esseri, più crudele dei Sette Re degli Inferi,
più empio di Lucifero…
Con un’aggraziata piroetta si rimirò allo
specchio, compiaciuta. Era bella come nessun’altra in quella
terra, il vestito azzurro scuro le stava d’incanto. E la sua
bellezza lo compiaceva.
Uscì dalla sua stanza e scese per le scale, bussando
leggermente alla porta del suo studio. Era quasi certa che lui
possedesse ogni libro mai scritto in ogni universo, suo padre sembrava
possedere ogni tipo di conoscenza e non reputava nulla al di sotto
della sua attenzione.
- Buongiorno papà.
Lui alzò il capo dal volume che leggeva e le sorrise.
- Buongiorno, Gwerian.-salutò- Sei radiosa.
- Ti piace come mi sta il vestito nuovo?-chiese lei con una risata,
mettendosi in posa per lui.
- Non lo vedo nemmeno talmente sei bella.
- Grazie papà.-sussurrò lei arrossendo di piacere.
- Hai voglia di fare una passeggiata con me, piccola? Vorrei stare un
poco con te, in santa pace.
- Certo, papà.
Le tese galantemente il braccio e lei vi si appoggiò con
grazia, insieme uscirono nel sole mattutino, percorrendo i viali
fioriti che lui aveva fatto costruire apposta per lei.
Camminarono insieme, per qualche minuto, contenti della reciproca
compagnia, fino a che un sospiro tremante non richiamò
l’attenzione di Gwerian sul viso stanco del Principe Oscuro.
- Cosa c’è che non va? Ti ho forse contrariato in
qualche modo?-chiese subito, preoccupata.
Lui sorrise, fermandosi davanti a lei e scostandole una ciocca ribelle
dal viso bellissimo.
- Gwerian, tesoro, tu sei perfetta. Come potresti contrariarmi? Stavo
solo pensando…-tacque e le sorrise affettuosamente- Tu non
immagini nemmeno quanto mi sei cara. Ti ho presa con me per puro
calcolo politico, piccola mia, e mai nella mia vita mi sarei aspettato
di amarti come una figlia. Sei una delle poche persone che mi stanno
vicino nonostante tutto…
- Farei qualunque cosa per te, papà.
- Questo mi ha permesso di sopravvivere. L’amore che alcune
persone mi hanno donato dopo che Lei…-la sua voce si
incrinò e lui distolse lo sguardo. Gwerian
osservò affascinata il dolore che gli torceva la bocca in
una smorfia, sfiorò delicatamente il suo volto, chiedendosi
cosa mai potesse causargli tanta sofferenza… come lui
potesse provare dolore.
- Papà…
- Va tutto bene.-affermò lui riprendendo dominio su di
sé e stringendole la mano tanto forte da farle male.
Tuttavia lei non protestò e rimase a fissarlo, deliziata.
Vederlo preda di emozioni violente era esaltante, perché
sapeva che da un istante all’altro lui avrebbe potuto perdere
il controllo. Si diceva che nei suoi momenti di collera distruggesse
inavvertitamente ogni cosa lo circondasse. Avrebbe tanto voluto
vederlo…
- Ti va di accompagnarmi fino al ruscello?
- Certo.
Giglio era stato terribilmente esigente per quello che aveva riguardato
la costruzione del castello dove dimoravano, soprattutto per
ciò che riguardava l’immenso parco. Per
chissà quale capriccio aveva proibito a chiunque di
avvicinarsi ad una certa area di esso, permettendo solo a Gwerian,
Heros, Elenmorn ed Alistar di visitarlo con lui. Era un grande prato
circondato da alberi, il centro del quale era dominato da uno spiazzo
vuoto, vicino al grande tronco di un albero morto. Poco più
in là, dopo l’erba alta ed i fiori, si arrivava
alla riva di quello che era poco più che un ruscelletto.
Gwerian non si spiegava il motivo per cui suo padre amasse quel luogo,
pure lui vi sostava spesso ed una volta, poco tempo prima, Gwerian e
Elenmorn lo avevano sorpreso a piangere vicino alle acque chiare. In
quell’occasione, Elenmorn l’aveva mandata via e
Gwerian li aveva lasciati da soli. Ne era stata felice: non avrebbe
saputo cosa dirgli, cosa fare. Cosa provare di fronte ad
un’ammissione così disgustosa di debolezza.
Le faceva rabbia che lui si mostrasse così
debole… che lui potesse essere così debole. Lui
era l’Erede dell’Imperatrice Nera, il Male
incarnato. E lei era fiera di essere la figlia del Principe Oscuro.
Avrebbe fatto qualunque cosa per lui, per essere degna di lui. Per il
suo amore.
Si voltò a scrutare il suo viso, sotto il sole tiepido era
bianco come quello di un morto, i suoi occhi d’ametista
parlavano di un dolore feroce, silenzioso, cresciuto piano come un
morbo dentro di lui per renderlo più pallido, più
fragile e sottile, più irreale. Non c’era alcuna
speranza in fondo a quello sguardo, nessuna attesa e nessun desiderio.
Il cuore di Gwerian tremò perché il gelo di quel
viso era troppo persino per lei: stava guardando in faccia la
Distruzione dell’Universo e da un secondo all’altro
quell’energia ribollente di odio e furia che avvertiva in lui
si sarebbe scatenata, facendo a pezzi ogni cosa.
Ma poi Giglio chiuse gli occhi e distolse lo sguardo, respirando
lentamente, aprendo le mani strette a pugno. Si volse verso Gwerian e
vide la paura nel fondo argenteo dei suoi occhi.
- Non volevo spaventarti. Scusa.
- Come puoi…?
- Il mio potere sono io stesso. A volte i miei istinti sono
contradditori ma… ho imparato a dominarli. A seguire la mia
sola volontà. E non volevo distruggere… non
voglio più distruggere nulla.
Gwerian lo fissò attonita, senza sapere cosa rispondere,
troppo confusa dalla portata di quelle parole.
Lui non si accorse del suo turbamento e le sorrise.
- Temo di doverti lasciare da sola per un po’. Devo occuparmi
di una cosa e non so… quanto starò via.
- Si tratta del regno di Quin Dun? Ho sentito il messaggio che il messo
ti ha inviato. Chi può essere tanto sciocco da attaccare uno
dei tuoi regni?
Giglio tacque, fissò il sentiero senza vederlo, di nuovo
addolorato.
-… sta uccidendo…-lo sentì sussurrare
pianissimo e si chiese che cosa volesse dire, a chi si riferisse.
- Chiunque sia, tu lo spazzerai via con un colpo solo. Nessuno
può tenerti testa.
Vide che si costringeva a sorridere per lei.
- Magari però non è quello che voglio.- le
sussurrò prima di baciarle una guancia e di lasciarla sola
sul prato.
La sua assenza si era protratta. Pochi giorni dopo Heros e Alistar le
avevano detto che Quin Dun era stato pacificato e lei aveva sorriso,
gioendo per quell’ennesima vittoria di Giglio. Ma suo padre
non era tornato e lei era rimasta sola nel grande palazzo e nel parco
dove la sera scendeva a passeggiare.
Immaginava con piacere il ritorno del suo signore, di come lei lo
avrebbe accolto raggiante di bellezza e grazia, di come lui sarebbe
stato compiaciuto una volta di più. Le avrebbe portato dei
doni e lei li avrebbe lodati, ringraziandolo e si sarebbe fatta
raccontare ogni cosa che lui avesse fatto. Avrebbero cenato insieme e
poi avrebbe cantato e danzato per lui. Niente li avrebbe disturbati,
lui sarebbe stato lì solo per lei e sarebbero stati insieme.
Loro due e basta. Per sempre.
Ma la sua assenza si protraeva e lei diveniva ansiosa:
perché suo padre non tornava da lei? Perché
rimaneva tanto lontano da casa? Cosa non gli permetteva di tornare?
Passeggiando al tramonto per i viali alberati del giardino, si chiedeva
se l’Imperatrice Nera non l’avesse per caso
richiamato, per affidargli un qualche incarico. In passato sapeva che
era lui a svolgere per Lei le missioni più crudeli e
delicate. Si chiedeva come avrebbe reagito se lui fosse tornato con un
profumo nuovo sulla sua pelle. Non aveva avuto amanti da quando
l’aveva presa con sé, lei era stata attenta ad
ogni particolare in quel senso, perché sapeva che non lo
avrebbe tollerato. Si chiedeva come avrebbe reagito se lui fosse
tornato dopo aver sedotto qualcuno. Non gliel’avrebbe
perdonato per nulla al mondo, lui le apparteneva e avrebbe fatto in
modo che non dovesse più toccare nessuno. In fondo, a sua
insaputa, aveva ucciso tutti coloro che si erano dimostrati troppo
interessati a lui, fossero essi umani o demoni. Sorrise, ricordando con
piacere la morte della sua giovane cameriera, le aveva cavato gli occhi
per punirla dei suoi sguardi troppo audaci e poi le aveva aperto le
vene, guardandola mentre moriva dissanguata e implorava
pietà con le sue orbite cieche. A Giglio aveva detto che era
incinta e che era tornata a casa per sposarsi. Poi c’era
stato quel giovane stalliere che lo fissava adorante ogni volta che il
suo principe passava per le scuderie ed il cortile. Visto che amava
tanto i cavalli lo aveva fatto squartare da quattro di essi e aveva
gettato le sue membra scomposte nella fossa dove aveva fatto seppellire
la giovane cameriera. Giglio non si era nemmeno accorto della scomparsa
del giovane.
Così come non si accorgeva nemmeno della scomparsa discreta
dei giovani che Gwerian sceglieva come amanti. Esigeva la
più completa segretezza e dava loro appuntamento nel folto
della foresta che cresceva al di là del ruscello e dopo ogni
amplesso faceva scempio del loro corpo, in modo che sembrasse che
fossero stati assaliti dalle fiere. I suoi appetiti erano vari e
robusti, pure sapeva di prediligere coloro che le ricordavano Giglio in
qualche particolare. Spesso, le sue vittime erano i messi che
giungevano dai regni di Giglio, era facile sedurli e convincerli ad
aspettarla nella foresta, la trattavano con ogni riguardo, lusingati
dalle possibilità che credevano di avere nel prenderla come
amante. Altre volte, sceglieva le pallide fanciulle dei villaggi vicini
o i giovani garzoni che giungevano al castello. Le donne erano spesso
ritrose alle sue proposte esplicite, aveva imparato a farsele prima
amiche, senza lasciar loro comprendere le sue vere intenzioni, con la
scusa di una qualche passeggiata nel bosco le trascinava in qualche
radura e le violentava, eccitata dal loro rifiuto. Invariabilmente,
poi, uccideva anche loro, così come i suoi amanti di bassa
leva, che la prendevano senza riuscire credere alla loro fortuna. In
fondo, la loro morte sanguinosa era compensata dalla dolcezza che
conoscevano tra le sue braccia.
Ma Giglio non doveva avere nessuno come amante. Non lo avrebbe
sopportato a nessun patto.
Perché non tornava da lei? Prese a domandarselo con angoscia
crescente e cominciò a tempestare Heros e Alistar di
domande. Ma i due demoni ne sapevano quanto lei e scuotevano la testa
alle sue richieste insistenti.
- Tornerà appena potrà.-le rispondevano
invariabilmente ma a lei non bastava e passeggiava scontenta per i
giardini, desiderando che lui le apparisse dinnanzi ad ogni svolta del
sentiero. Allora immaginava la tenerezza del loro rincontrarsi, delle
scuse che lui le avrebbe porto, dei sorrisi che le avrebbe donato. Si
abbandonava a queste fantasticherie e desiderava solo che lui tornasse
da lei.
Ed infine, la sua attesa impaziente era cessata. Giglio era tornato a
casa.
Lei era scesa di corsa le scale e si era gettata tra le sue braccia,
felice per la prima volta da giorni. Poi aveva visto la creatura che lo
accompagnava.
Non lo aveva mai visto ma in un istante seppe chi lui fosse: Shaytan,
il figlio che Giglio aveva avuto dal diavolo Gomory.
Rimase a fissarlo a bocca aperta, sapeva che Giglio non si era mai
occupato di lui, si chiese sgomenta perché adesso fosse con
loro. Giglio sembrava non avere occhi che per lui e lei se ne accorse
ben presto. Il demone, invece, sembrava non aver ancora bene deciso che
atteggiamento tenere col padre e lo seguiva senza eccessiva convinzione.
- Sei stato via molto a lungo.-lo rimproverò Gwerian, ferita.
- È vero, mia piccola. Ho passato diverso tempo con
Shaytan.-ammise lui sorridendo al figlio che non lo ricambiò
affatto.
I due demoni si squadrarono ma in Shaytan non c’era alcuna
ostilità, solo indifferenza, lei se ne accorse subito e
sentì di odiarlo ferocemente.
“Non ti permetterò di portarmelo via”
giurò con uno sguardo di fuoco, stringendosi a Giglio.
- Vieni Shaytan, ti faccio vedere il castello. Ed in particolare i suoi
giardini…
E Gwerian rimase da sola nel salone, dimenticata.