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Autore: giglio_lockart    11/02/2007    0 recensioni
Giglio l'ha presa con sè quando era solo una bambina e benchè non fosse sua figlia l'ha cresciuta e amata come tale. E Gwerian, purtroppo, lo ha ricambiato. Settimo racconto su Giglio.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I soldati montavano la guardia davvero svogliatamente, quella sera. Al di là delle colline il sole stava tramontando e su quella terra distrutta scendevano le tenebre. Un segno? Certamente. Quel giorno avevano vinto i demoni e quella terra piombava nel caos e nell’oscurità.
Che bisogno c’era di fare la guardia? Quella mattina avevano distrutto gli ultimi baluardi di resistenza che quella terra era riuscita a mettere in piedi, a meno di non essere attaccati dai fantasmi non c’era niente che potesse emergere dalla notte per minacciarli. Ed in ogni caso, loro erano una potente armata. Agli ordini di uno dei Sommi Nove, di sua altezza Lady Vendetta.
Che senso aveva stare lì ad annoiarsi in quel lungo corridoio? C’erano case da saccheggiare. Morte e distruzione da perpetrare. Perché stare lì inutilmente, ad aspettare un nemico che non sarebbe mai arrivato?
Pure, Lady Vendetta era stata inflessibile al riguardo. Anzi, aveva addirittura raddoppiato la guardia ai suoi appartamenti. Cosa mai poteva temere? Chi mai avrebbe osato attaccarla? Solo uno stolto…
…o uno molto più potente di lei…
La creatura che percorreva il corridoio vestiva di nero e sembrava essere stato partorito dalle tenebre stesse, tanto il suo arrivo era stato silenzioso ed inatteso. Le sentinelle si irrigidirono e le loro mani corsero in fretta alle lance ed alle spade, pure lo sconosciuto non se ne curò, continuò a camminare verso di loro con passo sicuro, con la consapevolezza del proprio potere. Quel potere che aveva raggelato le guardie con la promessa della morte incombente.
- Fatevi da parte.-lo disse piano, perché non aveva bisogno di gridare per vedere eseguito il proprio ordine. Era abituata al comando, quella strana figura oscura che sostava dinnanzi a loro senza la minima paura.
- Ehm…-il capo delle guardie si schiarì la voce- La nostra signora non vuole essere disturbata. Chi sei, straniero?
Mani inguantate emersero dal nero delle vesti, mani dalle dite lunghissime e perfette che calzavano guanti di velluto nero, raggiunsero il cappuccio e lo tirarono indietro, scoprendo il viso bellissimo dello sconosciuto, i suoi capelli di fiamme nere, i suoi occhi di ametista…
- Principe Giglio!-riconobbe la guardia sorpresa, mentre i suoi compagni fissavano sgomenti il Principe Oscuro ed il suo volto terribilmente calmo.
- Prima che alla vostra signora, dovete obbedienza a me. Lasciatemi passare, adesso. Se no, dovrò uccidervi.
Lo aveva detto nello stesso tono quieto di prima, senza tradire alcuna emozione ma anzi rivolgendosi a loro con insospettata gentilezza… la gentilezza del serpente che avverte prima di scattare a mordere.
Le guardie si tirarono indietro, sconvolte dalla paura, lasciando che lui passasse in mezzo a loro, voltarono il capo e chiusero gli occhi, tremando quando il suo profumo li raggiunse, quando le sue vesti li sfiorarono.
Lui scivolò dentro e si chiuse la porta alle spalle. Incapaci di resistere un istante di più, corsero via, abbandonando la loro signora.
Giglio si guardò attorno, era entrato in quello che doveva essere stato una specie di salottino, individuò subito una stanza ancora illuminata, una lingua sottile di luce macchiava la stanza buia, si mosse in quella direzione ed aprì la porta.
Un’esclamazione di stupore soffocato e lui sorrise.
- Buona sera, Lady Vendetta.
- Mio signore Giglio!-riconobbe la Lady, tremando di paura.
- Sono molto deluso di voi, Vendetta.-affermò lui, liberando le mani dai guanti e scostando il mantello dalla propria figura- Credevo che voi ed io ci intendessimo meglio.
Raggiunse un mobiletto di liquori e si servì tranquillamente, ignorando la paura della demone.
- E invece vi trovo qui. E scopro che avete disobbedito a ciascuno degli ordini che vi avevo impartito. Avete distrutto questa terra quando io vi avevo detto di guardarvi dal farlo.
- L’Imperatrice Nera me l’ha ordinato. Non potevo disobbedire.
- Ah, Vendetta. E secondo voi per quale motivo vi avevo minacciata?-chiese con dolcezza il Principe Oscuro, scuotendo la testa con un sorriso.- Ma ormai, è fatta. Avete attaccato questo regno, e lo avete conquistato. Tuttavia, non c’è nulla di irreparabile. Se ve ne andrete immediatamente, portando via con voi i vostri servi, vi risparmierò.
La Lady era pallida e tremava sotto il suo sguardo, studiò il viso del suo principe senza osare credere alle sue parole, temendo qualche orribile trucco.
- Non abbiate paura. Io mantengo la mia parola, al contrario di voi.
- Allora… posso andare, mio principe?
- Certamente.
Il demone si mosse verso una porta della stanza, che conduceva all’interno, ma quando poggiò la mano sulla maniglia, Giglio la fermò.
- Un’ultima cosa, Lady Vendetta.
Lei rimase immobile contro la porta, voltandosi a scrutare il viso pallido del suo signore, aspettandosi da un istante all’altro di essere inchiodata al legno.
- Voi capirete che non posso più fidarmi di voi. Ho bisogno di garanzie, che mi assicurino che in futuro non mi disobbediate mai più.
- Garanzie, mio signore?-balbettò lei, tremando.
- La vostra Erede, Lady Vendetta. La terrò con me fino a che non lo riterrò necessario.
- No!-implorò lei in un grido di angoscia, fissandolo terrorizzata.
- Preferite morire qui ed ora? Mi hanno detto che è ancora una bambina… probabilmente non sopporterebbe il passaggio di poteri e morirebbe… Quanto vi ci vorrebbe, allora, per tornare?
- Mio signore, ho obbedito a Lei! Vi prego, lasciatemi la mia Erede!
- Lady Vendetta voi mi avevate giurato fedeltà.-ricordò Giglio pianamente- Sapendo perfettamente cosa questo significasse.
- Madre, che succede?
La voce infantile li fece voltare entrambi, probabilmente svegliata dal grido della Lady la bambina si era destata e adesso li fissava entrambi, sorpresa.
Quando riconobbe Giglio si illuminò tutta di piacere e prima che la madre potesse impedirglielo lei corse verso di lui, fermandosi a pochi passi per esibirsi in una graziosa riverenza.
- Buona sera, principe Giglio.
Lui le sorrise, carezzando i suoi capelli color dell’oro, sparsi sulla camicia da notte bianca.
- Buona sera, mia piccola Gwerian. Mi dispiace se ti abbiamo svegliato.
- Gwerian, torna nella tua stanza.-ordinò la lady, la voce che le tremava per il terrore.
Ma Giglio prese in braccio la bambina, prima che potesse muovere in passo.
- Gwerian, tesoro, ti piacerebbe passare qualche tempo con me in questo castello?
La bambina fissò la Lady Vendetta, che tremava ancora vicino alla porta semiaperta.
- Certamente, mio principe.-affermò la piccola con un sorriso gioioso.
Giglio era sempre stato buono con lei, quando era venuto al castello di sua madre aveva giocato con lei e le aveva portato dei doni. Stare con lui era sempre una festa, per lei.
- Benissimo. Allora saluta tua madre, Gwerian, perché lei deve partire.
- Non starà con noi?
La demone cercò di sorridere: Il Principe Oscuro ci fa un grande onore, Gwerian. Ha deciso di istruirti personalmente e tu dovrai fare ogni cosa che ti dice, in modo da compiacerlo e da tornare presto da me.
- Si, madre.
Giglio la poggiò a terra ma la bambina non lasciò il suo fianco, fissandolo adorante.
- Andate, Lady Vendetta.
E la signora dei demoni era fuggita dalla stanza.

Ripensando a quella notte Gwerian non si stupiva più del terrore della sua signora madre. In effetti, il Principe Oscuro era stato più che generoso nel risparmiarle la vita.
Sorrise, compiaciuta per la sua sorte e alzò i capelli biondi sulla testa delicata, in modo che solo poche ciocche le incorniciassero l’ovale perfetto. Voleva essere bella per lui. Sorrise maliziosa allo specchio, scrutando compiaciuta la sua figura snella nell’abito nuovo che lui le aveva regalato.
Lo amava, ah, se lo amava. Da bambina lui l’aveva semplicemente stregata, era diventata la sua piccola ombra, lo seguiva per ogni dove e non lasciava mai il suo fianco. Lui era perfetto e lei lo aveva adorato per questo. Più dei doni di cui lui l’aveva sempre coperta, aveva apprezzato la sua attenzione, la sua pazienza con lei quando le aveva insegnato la magia, il suo dedicarle tempo ogni volta che lei aveva bisogno di lui. Era cresciuta amandolo come non dovrebbe essere concesso amare. Lui era il suo principe, suo padre, il suo amore e lei sarebbe sempre stata al suo fianco.
Perché qualcuno vegliasse sulla sua debolezza. Gwerian non capiva sempre i motivi delle sue azioni, a volte erano davvero indegne di lui. Come se il suo amato fosse…
-… un debole essere umano…
Ma sapeva bene che non era così, sapeva che lui era il Principe Oscuro, conosceva a memoria le sue gesta, che portavano lustro al suo nome, ricordava i massacri leggendari da lui perpetrati. Le sarebbe piaciuto che si mostrasse a lei nello sterminio della battaglia, la sua gioia nell’uccidere era proverbiale. Lei avrebbe voluto che si coprisse di gloria sotto i suoi occhi e poi avrebbe voluto cavalcare accanto a lui, in trionfo.
Pure, nei sei anni passati con lui, il Principe Oscuro non aveva ingaggiato battaglia con nessuno, limitandosi a strappare alcuni regni al controllo di altri signori dei demoni. Nulla di che, poche morti veloci che gli avevano assicurato qualche terra. Pure, il viavai di messi e ambasciatori si era moltiplicato ed Alistar e suo padre discutevano ad ogni minuto della gestione di molti regni.
- Come se lui fosse un sovrano qualunque che non può uccidere i suoi nemici.
Ma lui poteva. Coloro che gli erano superiori si contavano sulla punta di una mano. Perché semplicemente non ammazzava chi lo contrariava?
Perché non affogava nel sangue ogni resistenza?
Lui aveva la morte nel sangue e lei lo sapeva, le storie che si narravano su di lui la riempivano di gioia e orgoglio. Persino all’Inferno si mormorava che fosse il più crudele degli esseri, più crudele dei Sette Re degli Inferi, più empio di Lucifero…
Con un’aggraziata piroetta si rimirò allo specchio, compiaciuta. Era bella come nessun’altra in quella terra, il vestito azzurro scuro le stava d’incanto. E la sua bellezza lo compiaceva.
Uscì dalla sua stanza e scese per le scale, bussando leggermente alla porta del suo studio. Era quasi certa che lui possedesse ogni libro mai scritto in ogni universo, suo padre sembrava possedere ogni tipo di conoscenza e non reputava nulla al di sotto della sua attenzione.
- Buongiorno papà.
Lui alzò il capo dal volume che leggeva e le sorrise.
- Buongiorno, Gwerian.-salutò- Sei radiosa.
- Ti piace come mi sta il vestito nuovo?-chiese lei con una risata, mettendosi in posa per lui.
- Non lo vedo nemmeno talmente sei bella.
- Grazie papà.-sussurrò lei arrossendo di piacere.
- Hai voglia di fare una passeggiata con me, piccola? Vorrei stare un poco con te, in santa pace.
- Certo, papà.
Le tese galantemente il braccio e lei vi si appoggiò con grazia, insieme uscirono nel sole mattutino, percorrendo i viali fioriti che lui aveva fatto costruire apposta per lei.
Camminarono insieme, per qualche minuto, contenti della reciproca compagnia, fino a che un sospiro tremante non richiamò l’attenzione di Gwerian sul viso stanco del Principe Oscuro.
- Cosa c’è che non va? Ti ho forse contrariato in qualche modo?-chiese subito, preoccupata.
Lui sorrise, fermandosi davanti a lei e scostandole una ciocca ribelle dal viso bellissimo.
- Gwerian, tesoro, tu sei perfetta. Come potresti contrariarmi? Stavo solo pensando…-tacque e le sorrise affettuosamente- Tu non immagini nemmeno quanto mi sei cara. Ti ho presa con me per puro calcolo politico, piccola mia, e mai nella mia vita mi sarei aspettato di amarti come una figlia. Sei una delle poche persone che mi stanno vicino nonostante tutto…
- Farei qualunque cosa per te, papà.
- Questo mi ha permesso di sopravvivere. L’amore che alcune persone mi hanno donato dopo che Lei…-la sua voce si incrinò e lui distolse lo sguardo. Gwerian osservò affascinata il dolore che gli torceva la bocca in una smorfia, sfiorò delicatamente il suo volto, chiedendosi cosa mai potesse causargli tanta sofferenza… come lui potesse provare dolore.
- Papà…
- Va tutto bene.-affermò lui riprendendo dominio su di sé e stringendole la mano tanto forte da farle male. Tuttavia lei non protestò e rimase a fissarlo, deliziata. Vederlo preda di emozioni violente era esaltante, perché sapeva che da un istante all’altro lui avrebbe potuto perdere il controllo. Si diceva che nei suoi momenti di collera distruggesse inavvertitamente ogni cosa lo circondasse. Avrebbe tanto voluto vederlo…
- Ti va di accompagnarmi fino al ruscello?
- Certo.
Giglio era stato terribilmente esigente per quello che aveva riguardato la costruzione del castello dove dimoravano, soprattutto per ciò che riguardava l’immenso parco. Per chissà quale capriccio aveva proibito a chiunque di avvicinarsi ad una certa area di esso, permettendo solo a Gwerian, Heros, Elenmorn ed Alistar di visitarlo con lui. Era un grande prato circondato da alberi, il centro del quale era dominato da uno spiazzo vuoto, vicino al grande tronco di un albero morto. Poco più in là, dopo l’erba alta ed i fiori, si arrivava alla riva di quello che era poco più che un ruscelletto.
Gwerian non si spiegava il motivo per cui suo padre amasse quel luogo, pure lui vi sostava spesso ed una volta, poco tempo prima, Gwerian e Elenmorn lo avevano sorpreso a piangere vicino alle acque chiare. In quell’occasione, Elenmorn l’aveva mandata via e Gwerian li aveva lasciati da soli. Ne era stata felice: non avrebbe saputo cosa dirgli, cosa fare. Cosa provare di fronte ad un’ammissione così disgustosa di debolezza.
Le faceva rabbia che lui si mostrasse così debole… che lui potesse essere così debole. Lui era l’Erede dell’Imperatrice Nera, il Male incarnato. E lei era fiera di essere la figlia del Principe Oscuro. Avrebbe fatto qualunque cosa per lui, per essere degna di lui. Per il suo amore.
Si voltò a scrutare il suo viso, sotto il sole tiepido era bianco come quello di un morto, i suoi occhi d’ametista parlavano di un dolore feroce, silenzioso, cresciuto piano come un morbo dentro di lui per renderlo più pallido, più fragile e sottile, più irreale. Non c’era alcuna speranza in fondo a quello sguardo, nessuna attesa e nessun desiderio.
Il cuore di Gwerian tremò perché il gelo di quel viso era troppo persino per lei: stava guardando in faccia la Distruzione dell’Universo e da un secondo all’altro quell’energia ribollente di odio e furia che avvertiva in lui si sarebbe scatenata, facendo a pezzi ogni cosa.
Ma poi Giglio chiuse gli occhi e distolse lo sguardo, respirando lentamente, aprendo le mani strette a pugno. Si volse verso Gwerian e vide la paura nel fondo argenteo dei suoi occhi.
- Non volevo spaventarti. Scusa.
- Come puoi…?
- Il mio potere sono io stesso. A volte i miei istinti sono contradditori ma… ho imparato a dominarli. A seguire la mia sola volontà. E non volevo distruggere… non voglio più distruggere nulla.
Gwerian lo fissò attonita, senza sapere cosa rispondere, troppo confusa dalla portata di quelle parole.
Lui non si accorse del suo turbamento e le sorrise.
- Temo di doverti lasciare da sola per un po’. Devo occuparmi di una cosa e non so… quanto starò via.
- Si tratta del regno di Quin Dun? Ho sentito il messaggio che il messo ti ha inviato. Chi può essere tanto sciocco da attaccare uno dei tuoi regni?
Giglio tacque, fissò il sentiero senza vederlo, di nuovo addolorato.
-… sta uccidendo…-lo sentì sussurrare pianissimo e si chiese che cosa volesse dire, a chi si riferisse.
- Chiunque sia, tu lo spazzerai via con un colpo solo. Nessuno può tenerti testa.
Vide che si costringeva a sorridere per lei.
- Magari però non è quello che voglio.- le sussurrò prima di baciarle una guancia e di lasciarla sola sul prato.

La sua assenza si era protratta. Pochi giorni dopo Heros e Alistar le avevano detto che Quin Dun era stato pacificato e lei aveva sorriso, gioendo per quell’ennesima vittoria di Giglio. Ma suo padre non era tornato e lei era rimasta sola nel grande palazzo e nel parco dove la sera scendeva a passeggiare.
Immaginava con piacere il ritorno del suo signore, di come lei lo avrebbe accolto raggiante di bellezza e grazia, di come lui sarebbe stato compiaciuto una volta di più. Le avrebbe portato dei doni e lei li avrebbe lodati, ringraziandolo e si sarebbe fatta raccontare ogni cosa che lui avesse fatto. Avrebbero cenato insieme e poi avrebbe cantato e danzato per lui. Niente li avrebbe disturbati, lui sarebbe stato lì solo per lei e sarebbero stati insieme. Loro due e basta. Per sempre.
Ma la sua assenza si protraeva e lei diveniva ansiosa: perché suo padre non tornava da lei? Perché rimaneva tanto lontano da casa? Cosa non gli permetteva di tornare?
Passeggiando al tramonto per i viali alberati del giardino, si chiedeva se l’Imperatrice Nera non l’avesse per caso richiamato, per affidargli un qualche incarico. In passato sapeva che era lui a svolgere per Lei le missioni più crudeli e delicate. Si chiedeva come avrebbe reagito se lui fosse tornato con un profumo nuovo sulla sua pelle. Non aveva avuto amanti da quando l’aveva presa con sé, lei era stata attenta ad ogni particolare in quel senso, perché sapeva che non lo avrebbe tollerato. Si chiedeva come avrebbe reagito se lui fosse tornato dopo aver sedotto qualcuno. Non gliel’avrebbe perdonato per nulla al mondo, lui le apparteneva e avrebbe fatto in modo che non dovesse più toccare nessuno. In fondo, a sua insaputa, aveva ucciso tutti coloro che si erano dimostrati troppo interessati a lui, fossero essi umani o demoni. Sorrise, ricordando con piacere la morte della sua giovane cameriera, le aveva cavato gli occhi per punirla dei suoi sguardi troppo audaci e poi le aveva aperto le vene, guardandola mentre moriva dissanguata e implorava pietà con le sue orbite cieche. A Giglio aveva detto che era incinta e che era tornata a casa per sposarsi. Poi c’era stato quel giovane stalliere che lo fissava adorante ogni volta che il suo principe passava per le scuderie ed il cortile. Visto che amava tanto i cavalli lo aveva fatto squartare da quattro di essi e aveva gettato le sue membra scomposte nella fossa dove aveva fatto seppellire la giovane cameriera. Giglio non si era nemmeno accorto della scomparsa del giovane.
Così come non si accorgeva nemmeno della scomparsa discreta dei giovani che Gwerian sceglieva come amanti. Esigeva la più completa segretezza e dava loro appuntamento nel folto della foresta che cresceva al di là del ruscello e dopo ogni amplesso faceva scempio del loro corpo, in modo che sembrasse che fossero stati assaliti dalle fiere. I suoi appetiti erano vari e robusti, pure sapeva di prediligere coloro che le ricordavano Giglio in qualche particolare. Spesso, le sue vittime erano i messi che giungevano dai regni di Giglio, era facile sedurli e convincerli ad aspettarla nella foresta, la trattavano con ogni riguardo, lusingati dalle possibilità che credevano di avere nel prenderla come amante. Altre volte, sceglieva le pallide fanciulle dei villaggi vicini o i giovani garzoni che giungevano al castello. Le donne erano spesso ritrose alle sue proposte esplicite, aveva imparato a farsele prima amiche, senza lasciar loro comprendere le sue vere intenzioni, con la scusa di una qualche passeggiata nel bosco le trascinava in qualche radura e le violentava, eccitata dal loro rifiuto. Invariabilmente, poi, uccideva anche loro, così come i suoi amanti di bassa leva, che la prendevano senza riuscire credere alla loro fortuna. In fondo, la loro morte sanguinosa era compensata dalla dolcezza che conoscevano tra le sue braccia.
Ma Giglio non doveva avere nessuno come amante. Non lo avrebbe sopportato a nessun patto.
Perché non tornava da lei? Prese a domandarselo con angoscia crescente e cominciò a tempestare Heros e Alistar di domande. Ma i due demoni ne sapevano quanto lei e scuotevano la testa alle sue richieste insistenti.
- Tornerà appena potrà.-le rispondevano invariabilmente ma a lei non bastava e passeggiava scontenta per i giardini, desiderando che lui le apparisse dinnanzi ad ogni svolta del sentiero. Allora immaginava la tenerezza del loro rincontrarsi, delle scuse che lui le avrebbe porto, dei sorrisi che le avrebbe donato. Si abbandonava a queste fantasticherie e desiderava solo che lui tornasse da lei.
Ed infine, la sua attesa impaziente era cessata. Giglio era tornato a casa.
Lei era scesa di corsa le scale e si era gettata tra le sue braccia, felice per la prima volta da giorni. Poi aveva visto la creatura che lo accompagnava.
Non lo aveva mai visto ma in un istante seppe chi lui fosse: Shaytan, il figlio che Giglio aveva avuto dal diavolo Gomory.
Rimase a fissarlo a bocca aperta, sapeva che Giglio non si era mai occupato di lui, si chiese sgomenta perché adesso fosse con loro. Giglio sembrava non avere occhi che per lui e lei se ne accorse ben presto. Il demone, invece, sembrava non aver ancora bene deciso che atteggiamento tenere col padre e lo seguiva senza eccessiva convinzione.
- Sei stato via molto a lungo.-lo rimproverò Gwerian, ferita.
- È vero, mia piccola. Ho passato diverso tempo con Shaytan.-ammise lui sorridendo al figlio che non lo ricambiò affatto.
I due demoni si squadrarono ma in Shaytan non c’era alcuna ostilità, solo indifferenza, lei se ne accorse subito e sentì di odiarlo ferocemente.
“Non ti permetterò di portarmelo via” giurò con uno sguardo di fuoco, stringendosi a Giglio.
- Vieni Shaytan, ti faccio vedere il castello. Ed in particolare i suoi giardini…
E Gwerian rimase da sola nel salone, dimenticata.
  
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