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Autore: Elisir86    28/07/2012    1 recensioni
Ripensò ai suoi anni a scuola, quando era finito a Serpeverde, e ancora quando si librava nell’aria mentre giocava a Quidditch e il vento gli scompigliava i capelli.
Con la mano si sfiorò il naso, poteva sentire ancora il dolore che aveva provato al settimo anno quando aveva litigato furiosamente con suo fratello e quest’ultimo gli aveva dato un fortissimo pugno in viso.
Ricordò quando, tornando a casa da una riunione dove si era fatto tatuare, aveva proposto a Darius di unirsi a loro. Le violente parole gridate e sputate da entrambi erano uno dei peggiori ricordi che aveva.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Essere umano

 

 

L’alba era spuntata da pochi minuti.

Dolohov alzò il viso verso il cielo che si stava piano, piano schiarendo. Stava accasciato in una cella, circondato da ben cinque Auror.

La cella era piccola e soffocante, ma la finestra gli dava la sensazione di poter godere della libertà.

Il tempo scorreva lento in quelle quattro mura.

E lui aveva pensato molto.

Sarebbe tornato ad Azkaban, per la terza volta nella sua vita. Poteva perfino ricevere il bacio della morte.

Ciò non lo spaventava.

Qualsiasi cosa decidessero era solo un’altra tappa nella sua vita.

L’ultima tappa.

Abbassò lo sguardo.

Avrebbe voluto un altro finale. Uno dove lui poteva avere gloria e potere.

Avrebbe voluto trovarsi al di là delle sbarre a torturare qualche Auror.

Avrebbe voluto che Voldemort vincesse.

Ma aveva vinto Harry Potter.

Un insulso ragazzino era riuscito a sconfiggere l’ Oscuro Signore.

E lui era stato sconfitto da una pulce.

Ed eccolo lì, seduto su una branda tremendamente scomoda, ad aspettare il suo turno dell’interrogatorio.

Interrogatorio inutile, visto che lui era solo e nient’altro che colpevole.

Non che se ne pentisse.

Il solo pensiero del dolore che aveva inflitto lo riempiva di gioia e gli faceva fremere il corpo di puro piacere.

Le morti che aveva provocato erano i ricordi più belli della sua vita.

Respirò profondamente e s’alzò per avvicinarsi all’unico riquadro che gli portava l’aria fresca.

Cos’era, dunque, quella sensazione che gli impediva di riposare tranquillamente per l’ultima volta nella sua vita?

Delusione?

Certo.

Chi non lo sarebbe stato?

La vittoria era lì, a portata di mano, sarebbe bastato allungare le dita per riuscire ad afferrarla.

Lui si era riempito di una gioia immensa nel guardare gli Auror increduli nel vedere il corpo privo di vita di Potter.

Ma la delusione era arrivata come una pugnalata al petto.

La vittoria era fasulla.

Il ragazzo era vivo.

Rabbia? Anche.

Una rabbia bruciante verso Narcissa Malfoy.

Bugiarda. Traditrice.

Una donna che non meritava di vivere.

L’aveva osservata mentre implorava il figlio di raggiungerla tra le file dei Death Eaters.

Le mani dei due che si stringevano e lei che con passo deciso si allontanava, trascinando il ragazzino e il marito.

Traditrice.

Il solo ricordo di Narcissa lo riempiva d’ira profonda e le mani gli prudevano nella voglia di romperle il collo.

Eppure non era nemmeno quello ciò che lo tormentava.

Con cautela un Auror infilò nella cella un vassoio contente la modesta colazione.

Dolohov non si mosse.

Con la coda dell’occhio osservò il fumo uscire dalla tazza di caffè.

Non poteva negare che il trattamento lì era meglio di quello di cui era abituato, eppure avrebbe preferito cento Cruciatus piuttosto che stare in quell’edificio.

Chiuse gli occhi per assaporare la delicata brezza di Maggio.

Rimase fermo per diversi minuti, che perfino lui pensò di essersi addormentato. Quando sentì la cella aprirsi decise di ritornare a guardare il cielo: chissà quando avrebbe avuto l’opportunità di poterlo rivedere.

Era l’ora del processo.

Si voltò, i cinque Auror lo stavano aspettando. Scappare sarebbe stato inutile.

Allungò le braccia verso il giovane che gli era davanti, lui lo legò con le catene magiche.

Quelle manette erano state sui suoi polsi per ben due volte prima di quel momento.

La prima volta aveva avuto una fottuta paura di ciò che lo aspettava al di là del corridoio.

La seconda volta il corridoio non lo aveva nemmeno percorso, era stato mandato direttamente ad Azkaban senza processo.

E in quel momento calcolava ogni passo...

 

Uno.

Voldemort gli aveva promesso una bella vita: avrebbe dovuto avere il monopolio su  tutto ciò che riguardava la parte fisica delle azioni del Ministero.

E per fisico Antonin intendeva la cattura, la tortura e la decisione di chi deve vivere o morire.

 

Sette.

Se il Signore Oscuro non fosse stato sconfitto, lui sarebbe stato al posto degli Auror. E avrebbe torturato con estrema crudeltà uno dei cinque giovani che lo stavano scortando.

 

Undici.

Avrebbe potuto avere tutto.

Ma la vita gli aveva sempre riservato sconfitte. Ed era consapevole che la causa erano sempre state sempre le sue scelte.

Scelte che lo portavano a venerare la crudeltà di Voldemort fino alla follia.

 

Sedici.

Il corridoio era terminato, davanti a lui stava un’enorme, massiccio, portone di legno finemente lavorato.

Quando lo aveva visto la prima volta si era sentito svuotato.

Ora lo esaminava nel più piccolo dettaglio.

Respirò profondamente e pensò di riuscire perfino a sentire il profumo della quercia con cui l’avevano creato.

Lo vide aprirsi lentamente al segnale di uno degli Auror.

Il rumore era orribile, come lo scricchiolio di centinaia di ossa.

Dolohov ebbe tutto il tempo per osservare la sala. Era gremita di maghi che lo aspettavano in silenzio.

Da lì poteva scorgere perfino la piccola sedia di legno dove si sarebbe seduto.

Sugli spalti la giuria che lo avrebbe giudicato colpevole.

Un Auror lo invitò a camminare.

Lui si mosse lentamente.

Quando fu processato nel 1981 i suoi piedi avevano faticato a muoversi e il suo corpo tendeva a sbilanciarsi verso l’indietro.

In quel momento, invece, i passi erano pesanti come se stesse affondando in una profonda pozzanghera di fango.

Una volta sistemato a dovere sulla scarna sedia di legno, Antonin ebbe come l’impressione di soffocare negli sguardi degli spettatori.

 

***

 

Mulciber allungò le fredde mani sulle sbarre. Gli occhi di un azzurro così pallido che sembravano quasi bianchi osservarono il suo compagno d’armi, Antonin Dolohov.

Lo vide camminare con altezzosità, come se fosse stato uno dei più grandi legionari. Il capo dritto e lo sguardo fiero fisso davanti a lui.

Orrell non staccò lo sguardo dall’alta figura finché non scomparve dietro l’enorme portone.

Una porta che presto avrebbe inghiottito anche lui.

Si allontanò lentamente dalle sbarre e strisciò i piedi fino all’unico tavolino che occupava la cella.

La colazione ancora intatta.

Chi avrebbe avuto voglia di mangiare in quella situazione?

Accarezzò con le lunghe dita il pane tostato.

Lo sguardo vuoto.

Il pensiero rivolto a quello che un tempo era stato il suo migliore amico, Severus Snape.

Il ricordo del suo corpo privo di vita gli impediva di chiudere gli occhi.

Lo aveva trovato per terra, da solo, con lo sguardo fisso e il volto pallido.

Era morto per mano del Signore Oscuro, come un cane. Trattato peggio dei babbani.

Mulciber sospirò.

Due Auror passarono accanto alla sua cella, i visi vicini per sussurrarsi qualcosa. I visi increduli.

Erano giorni che tra gli Auror girava una voce...

...una voce a cui lui non faticava a credere.

Severus aveva tradito Voldemort. E l’aveva tradito per anni.

Aveva protetto Harry Potter.

Lo aveva fatto da quando Lily era morta.

“Avrei tanto voluto avere la tua stessa forza...”

Distolse lo sguardo dal cibo per posarlo al di là delle sbarre. Il tempo sembrava fermarsi all’interno di quelle prigioni.

L’ultima volta che era stato lì aveva solo ventun anni.

Tutta una vita davanti ed era stato fiducioso di poterla percorrere senza problemi.

Era giovane e ambizioso. Era giovane e nell’ingenuità della sua età aveva sperato di poter avere una seconda possibilità.

Quel corridoio lo aveva percorso con arroganza.

Era stato uno sciocco all’epoca.

Ora, che di anni ne aveva trentotto, vedeva chiaramente che di futuro per lui c’era solo Azkaban.

La prigione dove era evaso.

La prigione che lo aveva accolto con freddezza anni prima.

Quella prigione era là che lo aspettava di nuovo.

Se solo avessero vinto.

Mulciber sospirò per l’ennesima volta.

La vittoria era stata un concetto astratto fin dall’inizio. E lui se ne era accorto.

Non gli era sembrata vera nemmeno quando Narcissa aveva dichiarato che Potter fosse morto.

E quando l’avevano vista chiamare suo figlio, tendendo la mano affinché l’afferrasse, aveva capito che quella donna aveva mentito.

Voldemort era stato colpito da uno dei suoi sottoposti.

Si trascinò con estrema lentezza alla branda. Cigolò sotto il suo peso.

 

***

 

“Ha qualcosa da dichiarare in sua discolpa?”

La domanda echeggiò nella sala, rimbalzò sui muri e sui banchi prima di giungere alle orecchie del Death Eaters.

Dolohov sbatté un paio di volte le palpebre; il Ministro della Magia aveva appena terminato di elencare i crimini per i quali era processato.

I sussurri erano giunti fin dall’inizio. E l’indignazione traboccava da ogni singolo individuo.

Alzò lo sguardo verso la giuria e incrociò subito gli occhi verdi di Harry Potter. La causa della sua disgrazia lo osservava con disgusto e stringeva le mani in pugni.

Nella giuria c’erano solo Auror e quel trio...

... il trio che aveva portato alla caduta il Signore Oscuro. C’era quel ragazzino dai capelli rossi, l’unico purosangue dei tre, ma che tutti i Death Eaters disprezzavano. E vicino ci stava la Mudblood.

Si stringevano le mani con delicatezza...

... con amore.

Dolohov sentì la nausea salirgli dalle viscere e distolse lo sguardo per posarlo sull’esaminatore.

Stava aspettando una risposta e, con lui, tutta la platea.

Lui scosse la testa.

Nella sala si sentì un brusio simile al ronzio delle api, che aumentò d’intensità quando il Death Eaters sfoderò la sua peggiore smorfia.

“Lei perciò si ritiene colpevole di ogni reato?”

Il quesito questa volta arrivò chiaro alle sue orecchie.

Lui annuì lentamente.

Quando diciotto anni prima gli fu posta la stessa domanda, lui stupidamente aveva risposto che la sua unica colpa era stata non aver ucciso abbastanza. Aveva usato un tono sicuro, nonostante l’ansia che gli opprimeva il petto.

Ora invece era calmo e sapeva che ogni parola che proferiva veniva valutata con estrema attenzione.

“Cos’è che ti ha spinto a fare una scelta simile?”

Antonin si ritrovò a guardare di nuovo verso la giuria. Oltre ai tre ragazzini vi erano altre persone, adulte, tra cui quella pulce che lo aveva colpito durante la battaglia finale.

Spostò con rabbia lo sguardo.

 

“Cos’è che ti ha spinto a fare una scelta simile?”

 

La voce dell’esaminatore si fece più forte.

La risposta non era semplice, perché era finito tra le braccia del male?

Dolohov ripensò alla sua infanzia, a quando giocava a fare l’aeroplano tendendo le bracca nell’aria e suo fratello Darius lo inseguiva ridendo. Si ricordò persino le giornate al mare con l’intera famiglia, intenti a creare castelli di sabbia.

Ripensò ai suoi anni a scuola, quando era finito a Serpeverde, e ancora quando si librava nell’aria mentre giocava a Quidditch e il vento gli scompigliava i capelli.

Con la mano si sfiorò il naso, poteva sentire ancora il dolore che aveva provato al settimo anno quando aveva litigato furiosamente con suo fratello e quest’ultimo gli aveva dato un fortissimo pugno in viso.

Ricordò quando, tornando a casa da una riunione dove si era fatto tatuare, aveva proposto a Darius di unirsi a loro. Le violente parole gridate e sputate da entrambi erano uno dei peggiori ricordi che aveva.

 

“Cos’è che ti ha spinto a fare una scelta simile?”

 

La voce stava perdendo la calma.

Dolohov si costrinse a tornare indietro nel tempo, quando Nott gli aveva parlato dei Death Eaters e del motivo per il quale aveva scelto di farne parte.

Non provava particolare odio verso gli Half-blood e ignorava completamente i Babbani.

E allora perché?

E la risposta gli parve così banale che perfino lui si meravigliò.

“Mi annoiavo.”

Il Ministro alzò un sopracciglio: “Lei si annoiava?” rimarcò con durezza l’ultima parola.

Lui annuì.

“Sta dicendo che lei ha ucciso per noia?” insistette l’uomo.

Antonin annuì di nuovo e il brusio divenne soffocante. Per la prima volta si sentì perso.

Kingsley sospirò e, con estrema lentezza, s’allungò con il collo verso l’impuntato. Gli sembrava un uomo freddo e distante, incapace di comprendere la differenza tra il male e il bene. Ma sapeva che non era vero, quell’uomo amava donare dolore e sofferenza.

E per quanto gli riguardava non avrebbe lasciato quell’essere passare un’altra notte fuori da Azkaban, ma per sua fortuna aveva diritto a un processo.

“Non ha intenzione di difendersi?”

Chiese ritornando a rilassare il corpo sulla comoda sedia imbottita.

Dolohov scosse la testa.

Con la coda dell’occhio vide Harry Potter allungarsi verso il Ministro e sussurragli qualcosa.

Vide l’uomo bagnarsi le labbra con la lingua.

Il silenzio era straziante, e lui si domandò cosa stessero meditando.

La risposta non tardò ad arrivare.

“Se dovesse ottenere la libertà...” la platea trattenne il fiato “Cosa farebbe, ora che Voldemort è caduto...” si azzittì cercando una parola più adatta “Ora che Voldemort è morto definitivamente?”

Antonin si mosse a disagio sulla sedia.

Non aveva pensato a un eventuale futuro. E perfino in quel momento capiva che era una cosa impossibile.

Cosa avrebbe fatto?

Si concentrò aggrottando la fronte, ma più ci pensava meno riusciva a immaginarsi libero.

Avrebbe potuto trovare un lavoro e andare a casa dei suoi genitori e vedere com’era cambiata la sua famiglia.

Oppure semplicemente avrebbe potuto comprare una scopa per poter volare nel cielo.

Ma nessuna di quelle idee gli sembrava possibile.

Nessuno avrebbe dato un lavoro a un Death Eaters come lui.

I suoi non lo avrebbero accolto a braccia aperte.

E una scopa non gli sarebbe stata concessa.

Alzò lo sguardo nero e lo puntò in quello verde di Potter, sorrise, mostrando i denti ingialliti “Mi annoierei.”

 

***

 

Mulciber sentii il portone dell’udienze aprirsi.

Voltò il viso verso le sbarre e vide Dolohov camminare circondato dagli stessi Auror di prima.

Camminava fiero con la schiena rigida e lo sguardo fisso davanti a sé, ma Orrell vide chiaramente un senso di desolazione nei suoi occhi scuri.

Sentii chiudersi la cella del suo compagno con un tonfo e vide i cinque Auror raggiungere la sua.

Si alzò lentamente dalla branda e con uno sforzo enorme si drizzò nella sua intera altezza, come se mostrare la sua statura fosse una colpa.

Gli Auror gli misero le manette e lo invitarono ad uscire.

Il corridoio era corto.

Troppo corto per potersi rendere conto che da quel momento in poi poteva cambiare tutto.

La porta si aprì con un rumore straziante, come il lamento di un moribondo.

Mulciber deglutì, ma seguì docile gli Auror.

Attraversarono la platea e all’incontrario del corridoio quel varco sembrava infinito.

I maghi gremiti lo osservavano in silenzio e lui non li degnò di uno sguardo. Guardava il pavimento di marmo bianco, sicuro di poter leggere solo indignazione negli occhi di tutte quelle persone.

Giunti al centro della stanza, Orrell fu sistemato su una scomoda sedia di legno, i piedi legati da altre catene in modo che non potesse scappare.

Ma chi avrebbe solo tentato di farlo con tutti quegli Auror?

Mulciber alzò lo sguardo sul Ministro della Magia che iniziò ad elencare i suoi crimini.

La platea bisbigliava sdegnata oppure tratteneva il fiato angosciata, a seconda dei suoi reati.

“Ha qualcosa da dichiarare in sua discolpa?” la voce era chiara e orribilmente sicura di sé.

Lui scosse la testa senza pensarci molto.

Il silenzio si fece intenso.

“Lei perciò si ritiene colpevole di ogni reato?”

Orrell decise di osservare il resto della giuria. Focalizzò i tre ragazzini seduti in prima fila e subito dietro di loro la McGonagall lo osservava severa.

C’erano molte persone che conosceva.

Tutti Auror, ma che lui in un passato lontano aveva avuto il tempo di incontrare.

Annuì con forza portando i suoi pallidi occhi sul volto di Harry Potter: lo vide serrare la mascella al punto che pensò si rompesse qualche muscolo facciale.

Gli occhi verdi lo studiavano dalla testa ai piedi, come a volerselo imprimere nella mente.

“Cos’è che ti ha spinto a fare una scelta simile?”

Mulciber riportò l’attenzione sul Ministro.

Nei suoi pensieri riaffiorarono ricordi di una vita normale, quasi banale. Dove lui viveva nella bambagia e senza paura.

Era un Purosangue ed era cresciuto con la sicurezza di essere uno dei pochi degni di vivere sulla terra.

Spostò lo sguardo sul ragazzino rosso, un Weasley. Lo vide irrigidirsi e corrugare la fronte.

“Suppongo perché mi è sempre stato insegnato che i maghi Purosangue non dovevano mischiarsi con altre razze.”

Vide gli occhi azzurri del giovane riempirsi di disgusto e la sua mano stringere con più forza quella della Mudblood.

E Mulciber si meravigliò nel pensare che dopotutto era giusto così.

“Lei ha commesso gravi azioni perché Purosangue?”

Orrell sospirò prima di rispondere un chiaro “Sì.” E il rosso lo guardò con talmente tanta ripugnanza che lui pensò di affogarci dentro.

Spostò gli occhi sul Ministro che sembrava perforarlo nell’anima.

“Ha ucciso perché Purosangue?” Annuì debolmente.

Ora che ci pensava sembrava una cosa assurda. Ma quando aveva solo diciotto anni sembrava la cosa più logica da fare e quando finalmente era uscito da Azkaban lui non era riuscito a far altro che seguire l’ideale di quand’era ragazzo.

Vide Potter allungarsi verso il Ministro e quest’ultimo sospirare e parlare per un attimo con il giovane.

“Lei conosceva Severus Snape?”

Mulciber spalancò gli occhi e alzò di scatto il capo, tanto che sembrò allungarsi ancor di più.

Rimase in silenzio, incredulo davanti a una domanda del genere.

Kingsley alzò un sopracciglio annoiato.

 

“Lei conosceva Severus Snape?”

 

Orrell annuì piano, tanto che ad Harry sembrò di esserselo immaginato. Si allungò di nuovo verso il Ministro e propose di fare un’altra domanda.

L’uomo s’inumidì le labbra prima di porre il quesito.

“Lei era consapevole che il Signor Snape era un sostenitore di Dumbledore?”

Mulciber abbassò gli occhi sul pavimento. Perché gli facevano certe domande? Cosa c’entravano con la sua condanna?

“No.” mormorò, curvando anche la schiena.

“Se fosse stato a conoscenza di questo fatto, lei avrebbe tentato di fermare il Signor Snape?”

La platea si ammutolì e i maghi si allungavano il più possibile per cogliere la risposta.

Orrell si sentì male. L’immagine del corpo privo di vita del suo amico si materializzò nella sua mente.

Scosse la testa e sospirò un amaro “No...”

 

***

 

Quando Dolohov si sedette per la seconda volta nella giornata sulla sedia di legno, era ritornato sicuro di sé.

Il Ministro lo guardava dall’alto in basso e stava leggendo quanto era accaduto quella mattina.

Lui ascoltava con noia ogni singola parola.

“Abbiamo ascoltato attentamente ogni sua parola, le abbiamo analizzate con estrema cura e siamo giunti alla conclusione che lei, Antonin Dolohov, non ha capacità di amare.”

Amore, che parola stupida.

L’amore è un sentimento inutile.

Però loro si sbagliavano. Una volta aveva amato quell’uomo che entrava nei suoi incubi peggiori.

Aveva amato suo fratello Darius fino al momento in cui era diventato un Death Eaters.

Lo aveva amato fino al momento in cui le loro parole urlate con rabbia si erano spente in un Avada Kedavra.

“La sua cupidigia non ha limiti.”

Poi giunse il momento di ascoltare la sentenza e lui raddrizzò la schiena.

“Per tutti questi motivi, la giuria ha deciso di richiuderla ad Azkaban per poter ricevere il bacio della morte.”

Dolohov, impassibile, accettò perfino gli applausi della platea. Puntò lo sguardo negli occhi di Kingsley e sorrise.

Guardò in direzione di Potter, la causa del fallimento di Voldemort...

... della sua rovina.

Un Auror lo prese con la forza e lo portò fuori dall’aula.

Antonin incrociò Orrell, che veniva trascinato verso la sedia. Gli sorrise beffardo, ma il compagno abbassò lo sguardo stanco.

Mulciber si sedette sulla sedia con lentezza.

Il Ministro iniziò a parlare con calma, teneva in mano una lunga pergamena in cui erano elencati in ordine i reati, il processo e la sentenza.

Orrell sperò di non avere la sorte toccata a Dolohov. L’unica cosa che voleva era non ricevere il bacio della morte.

Era proprio vero, se tradisci la paghi. E lui il suo tradimento lo stava scontando già da quel momento.

“Per tutti i suoi reati minori e l’uso improprio delle Maledizioni Senza Perdono, Lei, Orrell Mulciber dovrebbe scontare l’ergastolo ad Azkaban…”

L’uomo piegò il capo come se un macigno pendesse dal suo collo. “… tuttavia la giuria è convinta che in Lei non ci sia solo cupidigia.”

Rialzò con tanta velocità la testa rischiando di farsi male, gli occhi spalancati osservavano il Ministro con incredulità.

“Per questi motivi, la sua permanenza ad Azkaban sarà di soli trent’anni.”

Mulciber trattenne il fiato mentre un Auror lo faceva alzare dalla sedia.

Una volta in piedi osservò la giuria.

“Io non me lo merito...” disse lasciando interdetti i maghi e nel silenzio più totale si sentì chiara la sua voce “...Io non sono una brava persona.”

Harry l’osservò mentre si allontanava. Trascinava i piedi e incurvava le spalle in avanti, non era altro che l’ombra del ragazzo che aveva intravisto nei ricordi di Severus.

“Questo dimostra che sei un essere umano.” esclamò quando ormai il portone si stava chiudendo. Ma vide chiaramente quegli occhi pallidi posarsi nei suoi carichi d’incredulità.

 

 

 

 

 

 

 

Questa fanfic si è calssificata terza al contest Nightmare before Christmas di _Eleutera

Grammatica e stile: 7,47/10
Originalità: 10/10

La storie è molto originale, in quanto ci presenta aspetti sconosciuti, ma non per questo OOC dei due spietati Mangiamorte. In particolar modo ci ha sorpreso le rispose fredde “Mi annoiavo” e “Mi annoierei” di Dolohov che ci sono sembrate geniali.

Utilizzo del pacchetto: 1,5/2

Il prompt è stato utlizzato bene, su questo nulla da dire. Sulla citazione, però, siamo state costrette a togliere 0,3 poiché si vede che c'è un legame tra questa e la storia, però a noi è sembrato abbastanza debole.

Caratterizzazione del personaggio: 5/5

Come detto prima i personaggi di Dolohov e Mulciber sono presentati sotto nuovi aspetti che non li rendono OOC, ma definiscono il loro carattere facendoci capire anche le loro assurde scelte. Brava!

Gradimento personale: 10/10

La storie è piaciuta molto ad entrambe. Gli avvenimenti sono spiegati in modo coinvolgente e abbiamo letto la storia tutto d’ un fiato. Rinnoviamo i nostri complimenti.

Punti bonus: 0,2/1

Come tu stessi ci hai riferito il prompt “monopolio” è solo appena accennato, quindi abbiamo dovuto toglierti 0,8.

Tot: 34,17

  
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