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Autore: Pwhore    29/07/2012    5 recensioni
Gli ho porso la mano, ho accennato un sorriso e ho aspettato.
Non so perché, ma qualcosa di me gli ha ispirato fiducia, sicurezza, così me l'ha stretta. E siamo diventati amici.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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recklessly desensitized Note dell'autrice: Non ho idea di quello che abbia potuto passare Ashley alla sua vecchia scuola prima di arrivare a Cincinnati, quindi niente di quello che è scritto qui è da prendere sul serio. Oh, e Murdo vuol dire grande in gaelico. c:


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«Andyyy! Ti muoviii?» la mia voce rimbomba fin troppo nel corridoio semi-deserto, e riesco perfettamente a sentire lo scalpiccio dei suoi passi che si avvicina sempre di più, insieme al suo respiro affannato e stanco.
Come al solito si è fermato lungo la strada, e come al solito rischiamo di arrivare in ritardo e beccarci una nota.
«Diosanto, c'hai messo un casino di tempo ad arrivare. Si può sapere dove diavolo ti eri cacciato?» gli domando, esasperato.
«Scusa Ash, mi si era slacciata una scarpa» ansima, piegandosi in avanti e appoggiandosi stancamente alle ginocchia.

«Siamo ancora in tempo?» domanda, guardandomi dal basso.
Controllo l'orologio, alzo lo sguardo al cielo socchiudendo gli occhi ed espiro scocciatamente. La campanella comincia a suonare ancor prima che Andy si risponda da solo, e il tintinnio gli chiude definitivamente la bocca.
«Comincia a correre, magari evitiamo la redenzione questa volta» gli intimo, sistemandomi lo zaino sulle spalle e riprendendo a sfrecciare verso l'aula 24 il più velocemente possibile. Dopo cinque minuti sono lì, ma la porta è chiusa e l'insegnante non ha la minima intenzione di riaprirla per noi due.
Oh be', dovremo passare un altro pomeriggio insieme. Che sfortuna.


Io e Andy siamo amici da quando ho memoria.
Be', okay, forse da un po' di meno, ma mi piacerebbe poter dire che siamo cresciuti insieme e che abbiamo cominciato a frequentarci quand'eravamo ancora in fasce perché i nostri genitori erano amici e s'incontravano ogni tanto; ma per mia sfortuna mi sono trasferito a Cincinnati solo una decina di mesi fa, quindi il nostro rapporto è ancora agli inizi.
Sono arrivato in questa scuola da relativamente poco, e vengo da un istituto più grande e aperto dove avevo molti amici. Be', molti, diciamo che non ero esattamente un isolato che tutti odiavano e si divertivano a prendere per i fondelli. Più o meno.
In effetti, tutta la mia vita è stata segnata dal bullismo, dalle scortesie e dagli insulti degli altri, ma la cosa non mi ha mai toccato davvero; voglio dire, sì, ci sto male, e sì, mi dispiace molto, ma non credo che le cose rimarranno così per sempre, anzi. Penso che alla fine di questo tunnel di dolore ci sia un posto bellissimo, pieno di felicità e periodi di luce, e che il buio non possa durare per sempre, perché al mondo non ci sono solo coglioni e insensibili. O sbaglio?
Sento sempre più gente dire che l'essere adulti è uguale all'essere adolescenti, che le scuole superiori sono identiche al mondo del lavoro, che non c'è niente che migliora, che fa tutto schifo, che semplicemente la vita è una merda e dietro ogni angolo si nasconde una serpe pronta ad azzannarti la caviglia quando meno te lo aspetti, se può tornarle utile; ma io non ci credo.
Voglio dire, chi vorrebbe crederci? Chi rinuncerebbe mai a sperare in un periodo di piacevolezza, di cambiamento, di semplice cessazione del dolore e delle prese in giro? Chi smetterebbe di sperare che andrà tutto bene, se non chi si è già arreso?
Io non mi sono arreso. Non voglio neanche farlo e non progetto di gettare la spugna in tempi prossimi. Anzi. Da quando ho messo piede in questo quartiere e da quando ho conosciuto Andy in particolare, ho cominciato a guardare e pensare alla mia vita con una prospettiva diversa, provando a immedesimarmi anche in chi mi picchiava alla vecchia scuola, e ne ho tratto diversi fattori positivi, come per esempio la certezza di sapere che, in qualunque modo mi fossi comportato, alla festa di fine anno mi avrebbero infilato in quel bidone in ogni caso, e che Charlene avrebbe comunque rifiutato il mio invito a ballare.
Quando vieni a contatto con una realtà fredda e ostile che vuole solo schiacciarti e rigirarti fra le sue mani, l'unica cosa che puoi fare è trovare rifugio nelle piccole cose e lasciar perdere tutto ciò che può diventare una convenienza per gli altri, un punto debole in cui colpirti, o un qualcosa di comunque scomodo per te e la tua salute.
Potete benissimo immaginarvi la situazione che ne vien fuori quando ti rifiuti di rifugiarti in un mondo tutto tuo, quando urli in faccia a qualcuno più grosso di te che no, non gli darai il tuo pranzo, quando in qualche modo riesci a tirare un pugno a quel qualcuno più grande, più forte e più amato di te che ti ha usato come punching ball per tutta la vita e che finalmente hai avuto il coraggio di affrontare, dopo anni di soprusi passivi e taciuti.
Potete benissimo immaginarvi le consequenze, le urla, le botte; e potete benissimo immaginare come tutti prendano la sua parte e s'inventino migliaia di versioni assurde e non combacianti, che però hanno una cosa in comune: la tua colpevolezza.
Potete quindi immaginarvi benissimo le decisioni del Consiglio Docenti, e potete benissimo vedervi davanti agli occhi la figura di un ragazzino magro e fin troppo pallido mentre esce dall'ufficio del preside insieme ai suoi genitori, circondato da un silenzio gelido e schernito tacitamente da ogni altra persona che incontra per strada.
E' per questo che sono venuto qui. O almeno, è quello che mi hanno detto i miei genitori.
In realtà credo che si fossero resi perfettamente conto di quanto stessi male e di quanto soffrissi, nonostante mi ostinassi a tenermi tutto dentro, e che questo fosse l'unico altro posto alla loro portata, visti i loro stipendi ridotti.
In un certo senso gli sono grato, perché nonostante tutti i problemi che abbiamo hanno pensato a me, ma dall'altra mi sento come se non fosse cambiato niente e tutto fosse rimasto uguale. O meglio, mi sentivo.
Dieci mesi fa, quasi per caso, ho appunto incontrato Andy. Un ragazzino magro, pallido, non troppo alto per la sua età; con dei profondi occhi marroni che faticavano a reggere un confronto e un viso scarno che diceva fin troppo sulla sua sofferenza.
Non ho avuto bisogno di guardare oltre per capire che era esattamente come me, così l'ho abbracciato.
All'inizio era titubante, ha sobbalzato e si è irrigidito, poi si è rilassato e ha contraccambiato l'abbraccio, un po' stranito.
Gli ho spostato il ciuffo nero dagli occhi, sistemandoglielo dietro l'orecchio, gli ho sorriso e gli ho detto: «Mi chiamo Ashley».
Ha esitato ancora un attimo, squadrandomi, poi ha abbassato gli occhi e ha sussurrato: «Andy, piacere.»
«Andy... bel nome» ho annuito, ripetendolo sottovoce un paio di volte. L'ho visto sorridere e ho seguito il suo esempio.
«Hai anche un cognome, Andy?» gli ho chiesto quindi, sperando di non forzare troppo la mano.
«Sì, Biersack. Sì, lo so, fa piuttosto schifo, puoi anche risparmiarti le battutine» ha esclamato spostando il volto, amareggiato.
«Non fa schifo per niente invece. E' originale; mi piace. Il mio è Purdy, ma di carino non ho molto» ho riso.
«Mi piacerebbe che diventassimo amici»
«Amici? E perché?». Era stupito, ma comunque sulla difensiva.
«Perché so cosa nascondi dietro quell'aria stanca, e perché anch'io non ho mai avuto una vita facile. E poi due è sempre meglio di uno, no? Specialmente coi bulli e con quelli che ti fregano i soldi giù al distributore»
E' rimasto un attimo di stucco, lo devo ammettere.
«Io.. Chi te l'ha detto?» ha balbettato, deglutendo e sgranando gli occhi.
«Il tuo sguardo. I tuoi gesti. Il fatto che non mi guardi in faccia quando parlo. Non è normale avere paura degli altri a quest'età, e solo chi ha passato un'adolescenza schifia di solito lo fa. Quindi ti chiedo, ti va di essere in due a combattere?»
Gli ho porso la mano, ho accennato un sorriso e ho aspettato. La scelta era sua.
Non so perché, ma qualcosa di me gli ha ispirato fiducia, sicurezza, così me l'ha stretta. E siamo diventati amici.

«Ash, hai provato a bussare?» mi domanda, cercando d'intravedere qualcosa attraverso il buco della serratura.
«Aha, ma mi hanno ignorato alla grande. Forse è ora di smetterla di arrivare sempre all'ultimo, che dici?»
Mi guarda un attimo, elaborando l'idea, poi scrolla le spalle con un sonoro 'naaah'. Anche volendo, non ci riusciremmo mai.
«A proposito, hai parlato a tua mamma per stasera?»
Gli si rabbuia un attimo il viso mentre cerca di ricordare con precisione, poi mi sorride sornionamente.
«Mhm, ha detto che non ci sono problemi e che si fida di te» risponde.
«E' contenta che abbia un amico, dopo tutto questo tempo» mi confida, scuotendo leggermente la testa.
«Ancora non si è abituata?» rido, arcuando le labbra in un sorriso.
«Figurati. Ogni tanto mi controlla ancora le braccia per vedere se c'è qualcosa di nuovo» ribatte con un sospiro divertito, come se non ce ne fosse motivo e il suo passato non appartenesse davvero a lui. Come se si parlasse del dolore di qualcun'altro.
«Ma ora hai smesso, e hai detto che non ricomincerai» dico. Lui annuisce, e so che è sollevato.
«Già. Ora a lottare siamo in due» sorride, alzando lo sguardo verso di me. Ricambio il sorriso e gli do una pacca sulla schiena.
«Così si parla, ragazzo mio!».


Una delle poche cose che non mi piacciono di lui è che si tagliava.
Gli voglio troppo bene per accettarlo, mi sento male solo a pensarci, e quando vedo le cicatrici mi riempio di dolore.
Dov'ero mentre lui si feriva? In quale cassonetto mi avevano rinchiuso? Che cazzo stavo facendo?
Sarei dovuto arrivare prima. Non avrebbe mai dovuto soffrire così tanto. Mai.


«Sai Ash, ho come la sensazione che oggi accadrà qualcosa d'importante» mi confida dopo un po'.
«Tipo?» domando. Scrolla le spalle e increspa le labbra.
«Non ne ho idea, però succederà» si limita a rispondere. Io lancio la testa all'indietro, verso il muro, e annuisco.
«Allora dovremo stare attenti» mormoro. Su queste cose c'azzecca sempre, è peggio di un sensitivo.
«Già. Hai mai pensato al futuro? A quello che farai una volta fuori di qui?»
Il futuro. E' una cosa a cui penso spesso, e a volte mi terrorizza l'idea di non sapere cosa potrà succedermi quando lascerò il grembo materno e mi lancerò nella vita frenetica delle città, ma allo stesso tempo la cosa mi attira morbosamente.
«Mi piacerebbe formare una band, suonare. Girare il mondo a bordo di un bus insieme ai miei migliori amici. E tu?»
«Anch'io comincerei una band, solo che non so suonare niente per il momento» sorride, malinconico.
«Potresti fare il cantante» propongo.
«Il cantante?» ripete, voltandosi verso di me con aria dubbiosa.
«Massì, hai una voce particolare, molto profonda; scommetto che sarebbe perfetta per un gruppo» continuo.
«Tu dici?» mormora. Sembra come sollevato.
«Eccome se lo dico!» esclamo.
«Anzi, sai che facciamo? La cominciamo noi una band, e la cominciamo ora» aggiungo.
«Wowowo, piano coi trip mentali. Ammesso che io sappia cantare, ci servono altri membri e io non conosco nessuno a scuola che sappia suonare un qualsiasi strumento che non sia il flauto dolce» mi frena, invitandomi a pensarci più attentamente.
«E chissene importa, mettiamo un annuncio e li troviamo!» ribatto. Sto cominciando a fomentarmi.
«Credi davvero che sia una buona idea? E se rispondono dei tizi solo per prenderci in giro e sputtanarci?» insiste.
«Semplice, non li ammettiamo nella band». Ride alla mia risposta, e socchiude gli occhi.
Sento che sta cominciando a cedere alla mia euforia. Vai così, Ashley!
«Dico davvero, ascoltami un attimo. Abbiamo ancora un po' di tempo prima dell'inizio della seconda ora, scriviamo un annuncio e andiamo ad appenderlo giù in bacheca, poi quel che verrà verrà. Forse è questa la cosa importante di prima, no?»
Ci pensa su un attimo e mi lascia sulle spine, la mia mano sul suo ginocchio e il mio sguardo premuto contro i suoi occhi.
«E va bene - si arrende, - andiamo a fare 'st'annuncio. Mal che vada, ci prenderanno in giro fino al diploma».
Lo ringrazio con gli occhi e scatto in piedi, dirigendomi verso la hall. Che cazzo di figata!


Ecco, un'altra cosa che amo di lui è il fatto che non mi tratta mai come un completo imbecille.
Sa che sono impulsivo e sa che tasti toccare per farmi calmare e riflettere un attimo, e sa anche come fare per farmi cambiare idea se sono impuntato su una stronzata. Sa come farmi ridere, sa come farmi piangere, sa come farmi gioire e sa come farmi rilassare quando ho uno dei miei momenti odio-tutto-e-tutti-e-voglio-solo-imbottirmi-di-dolci-fino-a-vomitare.
Quando sono giù fa di tutto per riportarmi alla felicità e non c'è niente che non sia disposto a fare pur di ricambiare almeno un po' le attenzioni che mi riserva giorno dopo giorno, qualunque sia il suo umore. Mi sento come benedetto ad averlo attorno tutti i giorni, e non è totalmente falso dire che sono così fomentato per la cosa della band solo per il fatto che così dovremo passare ancora più tempo insieme, provando e riprovando pezzi scritti da noi e aprendoci ancora di più l'uno verso l'altro.
Sembra una cosa un po' patetica, me ne rendo conto, ma posso affermare con certezza che lui è il mio primo, vero amico; e non lascerò che niente ci separi mai. Niente. Tengo a lui più di quanto tenga a me stesso, e sinceramente non me ne vergogno neanche un po'. E' normale per me, mi affido più a lui che al mio stesso istinto. E so che ne rimarrò fregato, ma che importa?
Sono felice così, e lo sarò a lungo. Basta che lui ci sia e andrà tutto bene. Tutto.

«Eeehi, mammoleeeettee», il grido rimbomba fino alle nostre orecchie.
Dio, non girarti Ashley, non girarti. Continua a camminare, continua a camminare, continua a camminare. Tieni la testa bassa e ignoralo, fregatene di ciò che dice, l'importante è superarlo senza dargli alcuna soddisfazione.
«Cosa c'è? Oggi non mi salutate neanche?»
Riesco a vederlo avvicinarsi con la coda dell'occhio e accelero il passo.
«Guardate che è maleducazione non rispondere ai saluti» intigna, facendo un balzo in avanti.
E' sempre più vicino. Dannati quaterback e dannati allenamenti speciali, ma soprattutto, dannato lui.
«Ehi, mi sentite quando vi parlo o siete sordi?» sibila divertito, sbattendo Andy contro il muro dopo uno scatto veloce.
«Oplà, ti ho preso - ride. - E ora che fai?»
Andy abbassa lo sguardo e deglutisce, il cuore che gli batte all'impazzata. Si potrebbe dire che quel ragazzo è il suo bullo personale, lo segue da qualcosa come due anni e non lo lascia in pace neanche un giorno. M'ispira un odio terribile ma purtroppo è più grande di tutti e due e non possiamo ribellarci più di tanto se non vogliamo trovarci prima all'ospedale e poi dal preside.
Lo guardo e stringo i pugni, come riflesso. Mi nota, ghigna e lascia andare Andy, avvicinandomisi.
«Che c'è signorina, preferisci che me la prenda con te?» mi chiede.
«Sì; sì preferisco» ribatto, guardandolo negli occhi. Sogghigna ancora e mi afferra per la maglietta, tirandomi verso l'alto.
«Va bene, non c'è problema. E non dite che non sono comprensivo!» 
Comincia a mancarmi un po' il respiro, ma ci sono abituato.
«Immagino sappiate cosa voglio» ci sollecita.
«Immagino saprai che non te lo daremo» ribatto, sfidandolo con lo sguardo.
«Ah sì?» dice, alzandomi ancora.
Ok, ora sta diventando un problema.
Mugolo un sì e lui mi tira ancora più su, aiutandosi con l'altra mano. Andy lo distrae un attimo e io mi sfilo la maglietta, atterrando sonoramente per terra. Scuoto un attimo la testa e tossisco per qualche secondo, poi suona la campanella.
Andy sembra sollevato e Murdo è costretto a lasciarci perdere e rientrare in classe, se non vuole passare anche lui dei guai, così rimaniamo di nuovo soli; io che mi strozzo e lui che guarda il bullo allontanarsi.
Trema, riesco a vederlo perfettamente, ma non si accascia e non si piega: rimane dritto, fiero, e lo guarda.
«Ashley?» mi chiama.
«Sì?» balbetto, cercando di riprendere controllo del mio respiro.
«Noi gli faremo il culo, vero?»
Il suo tono mi lascia stupito. E' deciso, serio, come non l'ho mai sentito prima. Annuisco.
«Ci puoi giurare. E il primo passo sarà formare questa cazzo di band.»
Mi offre una mano, la stringo e lui mi tira su.
«Per oggi le lezioni possono anche fottersi. Vieni, andiamo a preparare l'annuncio.»
Ci allontaniamo in silenzio, lui davanti e io dietro, e sento che la cosa importante è già successa.
Andy gli ha dichiarato guerra. E non sarà una guerra da niente.

When your life feels lost,
fight against all odds.
Never give in,
never back down.
   
 
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