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Autore: _reddy96_    29/07/2012    4 recensioni
[One Shot Johnlock]
[...]Sarah iniziò a baciarlo sempre più passionalmente, per poi sbottonargli la camicia e quasi contemporaneamente si tolse la maglietta. John stava iniziando a prenderci gusto.
“Strano” pensò “di solito è in questo momento che Sherlock mi manda un sms dicendo di tornare subito a Baker Street.” Volse lo sguardo verso il cellulare che era sul tavolino in attesa di qualcosa, ma niente. [...]
[...]-“Scusami Sarah, non ce la faccio. Devo tornare a Baker Street. Ho un brutto presentimento”-John uscì da quella casa senza neanche voltarsi, incurante delle parole di Sarah. Se Sherlock non si era fatto sentire vuol dire che gli era successo qualcosa. Se gli era successo qualcosa, John l’avrebbe aiutato.
John entrò in casa, capendo subito che qualcosa non andava.[...]
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sarah Sawyer, Sherlock Holmes
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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E siamo alla quarta One Shot di Blue. Grazie a quelli che hanno letto e recensito le altre One Shot, in particolare a Sabry93, ermete e BeccaMalfoy. La One-Shot è LUNGHETTA, ma ne vale la pena, credetemi.
Hope You Like It
Red



-“John”- BUM.
-“Joohn”- BUM.BUM.
-“JOOOOOOOOOOHN”- BUM.BUM.BUM.
John si precipitò in soggiorno, da dove proveniva la voce di Sherlock. E gli spari.
-“Si può sapere che c’è?”- chiese, spazientito.
-“Mi annoio”- rispose l’altro. BUM.BUM.BUM.BUM.
-“Per l’amor di Dio, posa quella pistola!”- disse il biondo, tappandosi le orecchie. Sherlock buttò la pistola per terra come se fosse una pallina di gomma e si accasciò sul divano.
-“Mi annoio”- ripetè. John sospirò. Sherlock si annoiava sempre quando non aveva casi da risolvere e poi se la prendeva col muro.
-“Sherlock, è normale, tutti si annoiano, ma non per questo sparano alla parete”- disse l’altro.
-“John, come fai a non capire? Per voi persone normali,la noia è normale, ma essendo io un cervello superiore anche la mia noia è bhe…superiore! E non guardarmi con quella faccia, lo sai cosa intendo”-
-“Perché non provi a dormire un po’? Non hai chiuso occhio nell’ultima settimana per risolvere quel dannato caso. Prova un po’ di normalità, tanto per cambiare”- disse il dottore, con un leggero tono ironico.
-“Dormire è noioso”- rispose l’altro muovendo una mano come per scacciare una mosca. Il biondo sbuffò spazientito.
-“Allora vai a fare una passeggiata, leggi un libro, vedi un film, qualunque cosa, basta che la smetti di lamentarti. Ascolta, io ora devo uscire…”-
-“Si, questo lo vedo, divertiti con Sarah”- lo interruppe Sherlock,leggermente infastidito. L'altro sospirò rassegnato.
-“Non demolire casa mentre sono via”- disse ed uscì, anche se si pentiva di lasciare da solo Sherlock annoiato. Avrebbe potuto DAVVERO demolire l’appartamento. 
Sherlock rimase per un po’ seduto in poltrona, ad annoiarsi, poi gli venne un’idea…
 
-“La cena era davvero deliziosa, John. Ti va di salire per un caffè?”- disse Sarah, accompagnando le parole con un occhiolino malizioso.
-“Un caffè? Si, certo, perché no”- rispose lui con un sorriso, leggermente imbarazzato. Sapeva perfettamente cosa Sarah intendesse per “caffè”. Non che stessero proprio insieme, erano solo amici, ma spesso e volentieri Sarah ci provava con lui. E poi interveniva Sherlock,ovunque si trovassero,neanche avesse le telecamere.
-“Accomodati pure in salotto, io torno subito”- disse lei una volta entrati in casa. John si mise a sedere sul divano. Controllò il cellulare. Nessuna chiamata persa e nessun sms. Era strano, di solito Sherlock lo riempiva di messaggi (Motivo per il quale  aveva optato per il silenzioso durante le uscite con Sarah). Non che volesse essere proprio disturbato, insomma, era pur sempre un uomo e un po’ di sano sesso gli avrebbe fatto piacere, ma trovava strano che Sherlock non si fosse fatto sentire. Di solito, non approvava le uscite di John, anche se non lo diceva apertamente.
Sarah entrò nel salotto e John posò il cellulare.
-“Se devi chiamare qualcuno puoi usare il mio telefono di casa”- disse Sarah sorridendo.
-“Oh no, grazie. Stavo controllando i messaggi. Strano che Sherlock non si sia fatto sentire. L’ho lasciato che si annoiava a morte”-  disse John con un mezzo sorriso. Sarah sospirò rumorosamente.
-“Per una volta, smettila di pensare a Sherlock. Avrà trovato qualcosa da fare. Piuttosto, pensa un po’ a noi…”- disse, avvicinandosi sempre di più al militare, che si ritrovò steso sul divano con la ragazza sopra. Iniziò a baciarlo sempre più passionalmente, per poi sbottonargli la camicia e quasi contemporaneamente si tolse la maglietta. John stava iniziando a prenderci gusto.
 “Strano” pensò “di solito è in questo momento che Sherlock mi manda un sms dicendo di tornare subito a Baker Street.” Volse lo sguardo verso il cellulare che era sul tavolino in attesa di qualcosa, ma niente. Sarah, intanto, aveva iniziato a giocherellare con la cerniera dei suoi jeans, quando John fu colpito da un presentimento.
-“No”- disse mettendosi a sedere, brusco. Sarah quasi cadde.
-“Come, prego?”- disse la ragazza, infastidita.
-“Scusami Sarah, non ce la faccio. Devo tornare a Baker Street. Ho un brutto presentimento”- disse il medico alzandosi in piedi e ricomponendosi.
-“Cosa?”- disse la ragazza, incredula.
-“Ti rendi conto che stavamo per fare sesso senza che il tuo amico pazzo ci interrompesse, per una buona volta?”- quasi gridò. John la guardò arrabbiato.
-“Sherlock non è pazzo. Non dirlo più. Chiaro?”- disse e poi si diresse verso la porta.
-“Se oltrepassi quella porta, puoi scordarti una seconda possibilità”-
John uscì da quella casa senza neanche voltarsi, incurante delle parole di Sarah. Se Sherlock non si era fatto sentire vuol dire che gli era successo qualcosa. Se gli era successo qualcosa, John l’avrebbe aiutato.
 
John entrò in casa, capendo subito che qualcosa non andava. Sherlock era steso sul pavimento dal salotto che se la rideva di gusto. Sul tavolino del salotto erano sparse un varie siringhe, polverine e pillolette di tutti i colori.
-“Oh mio Dio, no”- mormorò il medico. Sherlock si annoiava perché la sua mente non era stimolata da nuovi casi e così aveva provato chissà quali e quante droghe tutte insieme.
 
-“Sherlock, mi spieghi cosa hai fatto?”- disse Watson, arrabbiato mentre si dirigeva verso Sherlock, che continuava a ridere steso sul pavimento. Sapeva che avrebbe ottenuto risposte senza senso.
-“Cosa? Chi? Quando? Humpty Dumpty? Ah John, sei tu… non pensi che sia buffo?”- disse tra una risata e l’altra.
-“Buffo? Cosa è buffo?”- chiese il biondo. Stava davvero dando corda ad un drogato, non poteva credere a se stesso.
-“Se ci pensi, sono tutti morti! Proprio tutti! Perfino il cavallo bianco del re, e anche il suo cane!”- disse Sherlock, sbellicandosi dalle risate. John lo sollevò di forza e lo mise a sedere sulla sua poltrona.
-“Ci sei andato giù pesante, eh?”- gli disse guardandolo con un misto di disapprovazione e…quello cos’era? Affetto? Si, era affetto. Strana combinazione. Sherlock continuava a ridere come un matto.
-“E tutte quelle persone che ci chiamano per risolvere casi, John, moriranno anche loro! E ci chiamano per indagare su dei morti! Morti John, capisci? E penso che il blu sarebbe stato un colore migliore per il sottomarino”- disse il moro, strisciando le parole tra una risata e l’altra. Non ce la fece più e iniziò a ridere talmente forte da sputacchiare bava da tutte le parti. Infine, cadde sul pavimento. John sbuffò.
 “E questo sarebbe il grande detective pensatore di Baker Street? "pensò, sorridendo.
-“Va bene Sherlock, come vuoi, ma ora meglio andare a letto, ok? Su, da bravo non fare il bambino, alzati”- gli disse, sollevandolo, ma Sherlock non voleva alzarsi.
-“Non posso muovermi da qui, o la Regina Rossa perderà il suo Jack di cuori”- disse il moro, relativamente serio.
-“Certamente, Sherlock, ma nella tua stanza c’è una bella cosa che ti sta aspettando”- disse il biondo, col tono tipico di chi parla ad un bambino piccolo e lievemente ritardato.
-“Uh davvero? E che cos’è?”- chiese Sherlock, curioso. John notò che aveva le pupille dilatate tipiche di chi aveva assunto una dose molto molto potente di droga.
-“Non posso dirtelo, è una sorpresa”- disse Watson, alzando a forza il detective, o ciò che ne rimaneva.
-“E’ la casa di marzapane di Hansel e Gretel, vero?”- disse il moro.
-“Ma certo Sherlock, certo. E c’è anche il Cappellaio Matto che prende il tè”- gli disse il biondo, dandogli corda. Sapeva di sbagliare, ma era più forte di lui. Sherlock gli sembrava un bambino troppo cresciuto (e ricordiamolo, un po’ ritardato), non voleva essere crudele. E poi sapeva che appena avrebbe toccato il letto si sarebbe addormentato e l’indomani, da sveglio e con un po’ di sanità mentale in più, gli avrebbe fatto una ramanzina chilometrica.
-“E ci sono anche le sardine, non dirmelo”- disse compiaciuto il moro. Watson annuì. Finalmente entrarono nella stanza di Sherlock, che si mise a sedere sul letto.
-“Wow John, è tutto così luccicoso”- disse il Sherlock, stupito. John si chiese chissà cosa stesse vedendo.
-“Siediti vicino a me, guarda che bello”- continuò.
-“Magari un’altra volta, Sherlock, adesso devi proprio riposarti. Perché non provi a stenderti?”- gli disse John, sorridente. Sherlock sbadigliò.
-“In effetti sono un po’ stanco e questa nuvola è proprio…”-  cominciò a dire il moro, ma si bloccò a metà discorso. Il suo sguardo era fisso su un punto vuoto oltre le spalle di John, che si voltò, ma vide soltanto il corridoio che avevano appena lasciato.
-“Cosa c’è Sherlock?”- chiese, a metà tra il curioso e il preoccupato. Non aveva mai visto il volto di Sherlock così spaventato.
-“E’ lui, è lui John, è venuto per me!”- gridò Sherlock balzando dal letto e cadendo per terra. John gli si avvicinò piano.
-“Sherlock, non c’è nessuno lì,ci siamo solo noi.”- disse calmo. Sherlock cominciò ad indietreggiare, pallido e sudato, continuando a fissare un punto vuoto dietro John.
-“No, vattene, vattene. Non mi toccare, sta indietro.”- gridava il moro. John si voltò e andò verso il corridoio, alla ricerca di qualcosa che poteva spaventare il cervello drogato di Sherlock, ma il grido carico di terrore dell’amico lo costrinse a fermarsi.
-“NO, NON LUI! PRENDI ME MA NON LUI! NON FARGLI DEL MALE! NO! NO! NO!”- gridò istericamente Sherlock. John decise di chiudere la porta che dava sul corridoio e poi andò vicino a Sherlock, che si era lasciato cadere pallido e tremante sul pavimento. Si sedette vicino a lui. Non l’aveva mai visto così terrorizzato. Con un gesto istintivo gli prese una mano.
-“Sherlock, va tutto bene, non è nulla, va tutto bene”- gli disse, accarezzandogli i capelli. Sherlock gli si accovacciò vicino. John si stupì, perché Sherlock non aveva mai un contatto così fisico con le persone. Poi si ricordò che era sotto l’effetto di chissà che miscuglio di droghe. Dopo un po’, piano piano, lo aiutò ad alzarsi. Tremava ancora.
-“Adesso che è tutto finito ti riposi, va bene?”- gli disse John rimboccandogli le coperte. Sherlock annuì. Il biondo fece per uscire dalla stanza, ma il moro mugolò.
-“Che c’è, Sherlock?”- chiese, sempre con molta calma, all'altro.
-“Non andartene John. Lui potrebbe tornare. Vieni qui.”- John non se la sentì di dire di no ad uno Sherlock così spaventato (e soprattutto così drogato, era meglio non perderlo d’occhio), ma era certo che il giorno dopo gliene avrebbe dette di tutti i colori.
-“Va bene così?”- chiese John stendendosi nel letto accanto a Sherlock, il quale invase tutto lo spazio personale del dottore abbracciandolo come un peluche per poi addormentarsi seduta stante.  John sorrise. Non sapeva bene perché,ma sorrise. Avrebbe dovuto fare di tutto, fuorchè sorridere.  Dopo un po’ si addormentò anche lui.
 
 
-“John? Sei sveglio?”-
-“Sherlock, giuro che se è un altro incubo ti spedisco all’altro mondo”- mugugnò il biondo,ma si, era sveglio,quindi aprì gli occhi. Sussultò. Sherlock era seduto sul bordo del letto e accanto a lui, sul comodino, c’era un vassoietto con una tazza di caffè fumante, un thè e un paio di cornetti dall’aspetto invitante.
-“Sherlock, ma tu…cosa?”- fu il massimo che l’ex medico militare riuscì a dire, intontito come tutti quando ci si sveglia. Sherlock sorrise.
-“Diciamo che è un modo per ripagarti da tutto ciò che è successo ieri sera. Mi dispiace per l’orrendo stato in cui mi hai trovato, mi dispiace per l’imbarazzante notte appena passata e mi dispiace per Sarah”- disse il moro, senza nascondere un sorrisetto compiaciuto per l’ultimo punto. Watson riordinò le idee dopo qualche secondo.
-“Infatti, credo sia il min…aspetta, come sai di Sarah? E perché sei in piedi così presto? E dov’è finito il classico aspetto da zombie del “post droga”? Ma soprattutto, perché a me tutto ciò sembra normale?”- disse esasperato il dottore. Sherlock rise di gusto.
-“Caro vecchio John, non cambierai mai. Lascia che risponda a tutte queste domande, ma intanto fa colazione, non vorrei si raffreddasse. Allora, cominciamo dall’aspetto da zombie: diciamo che un cervello superiore come il mio smaltisce in fretta la droga e quella dormita è stata davvero appagante, anche se credo di aver avuto un paio di incubi, giusto? Per quanto riguarda Sarah, ha lasciato un paio di messaggi in segreteria che non ti auguro di ascoltare. E riguardo l’ultima domanda, diciamo solo che chi va con lo zoppo impara a zoppicare”-disse il detective concludendo con un occhiolino. John rise. Gli passò per la testa tutto quella ramanzina che si era ripromesso di fare almeno 5 volte durante la notte passata, ma non gli andava proprio di rimproverare Sherlock.
-“ E’ inutile dire che se tocchi anche solo un altro grammo di droga ti faccio un biglietto di sola andata per l’ufficio di pompe funebri”- si limitò a dire il biondo, tentando di rimanere serio. Sherlock sorrise.
-“Sai John, credo che tu abbia ragione. Ho qualche ricordo di ieri sera e credo di aver passato una delle notti peggiori della mia vita. No, non userò più quel tipo di stimolanti”- John si rilassò e bevve un po’ di thè.
-“Ah Sherlock, volevo chiederti una cosa…Ieri sera, non so se ti ricordi, parlavi di un “Lui”…a chi ti riferivi?”- chiese il biondo, ma si pentì quasi subito della domanda, perché aveva notato un certo turbamento negli occhi di Sherlock.
-“Probabilmente non ricordi, era solo una mia curiosità, non devi sforzarti di ricordare”- si affrettò a dire, ma il moro lo fermò con un gesto della mano.
-“Credo che mi stessi riferendo a Moriarty”- rispose il detective con un sussurro, poi sorrise, un po’ tristemente, guardando l’altro negli occhi -“e questo è un altro motivo per il quale non toccherò mai più…tu sai cosa”- Ci fu un attimo di silenzio.
 “E quindi quando gridava “no, non lui, prendi me”…quell’altro lui, ero io? Sherlock pensava a me? Pensava a Moriarty che mi faceva del male? No, non può essere possibile, perché avrebbe dovuto?”pensò il biondo. Sherlock, come sempre, gli lesse in faccia quel suo dubbio.
-“Ti sbagli, è possibile. E’ proprio come credi che sia. L’altro eri tu”- mormorò il moro. John arrossì e pensò che quel pensiero avesse turbato Sherlock, ma si sbagliava di nuovo. Infatti, il detective gli sorrideva. John gli sorrise di rimando e continuò a fare colazione.
-“Allora, ti piace?”- chiese dopo un po’ il moro.
-“Si, non è male. Lo sai che per ripagarmi da quello che mi hai fatto passare la scorsa notte dovrai farmi una colazione così per i prossimi cinquant’anni, vero?”- disse John, con un finto tono di superiorità. Sherlock rise, di conseguenza, rise anche John.
-“Cinquant’anni sono davvero parecchi,siete proprio crudele, dottor Watson”- rispose, Sherlock, con fare teatrale. John iniziò a ridere senza controllo, con le lacrime agli occhi.  Appoggiò la testa allo schienale del letto e chiuse gli occhi, cercando di riacquistare il controllo di se stesso. Poi sentì qualcosa di caldo e morbido premergli sulle labbra. E non era niente che potesse far parte della colazione. Sentì una mano che gli accarezzava le guance, piano, quasi avesse paura di fargli male. Chissà perché, pensava di aver perso di nuovo l’autocontrollo. Aprì di poco gli occhi per una manciata di secondi e vide il volto di Sherlock vicino al suo. Molto vicino. Era così vicino che poteva contare le ciglia dei suoi meravigliosi occhi, ora chiusi, mentre si lasciava andare in quel bacio. John si lasciò travolgere. Fece cadere la tazzina di thè, ma non gli importava. Pensò che tutti i baci che aveva dato e ricevuto in precedenza dalla sue molteplici fidanzate non erano niente in confronto a quello.
-“Diamine Sherlock, dove hai imparato a baciare così bene? Diamine Sherlock, perché mi fai questo effetto? Diamine Sherlock, perché mi piace così tanto?”- Nella testa di John circolavano questi pensieri, ma quando Sherlock iniziò ad accarezzargli i capelli, John smise di arrovellarsi. Poi, così com’era iniziato, quel bacio finì. Quanto tempo era passato? Ore? Giorni? Settimane? Anni? John guardò di sfuggita la sveglia sul comodino. No, solo pochi minuti. Gli era piaciuto? Si. Si sentiva strano? No. Ne voleva ancora? Si. Sherlock era ancora seduto vicino a lui e lo fissava. John notò che era un po’ rosso in viso. Probabilmente lo era anche lui e probabilmente non solo in viso; si sentiva caldo come la lava di un vulcano.
-“John, Dio mio, scusami, non so cosa mi abbia preso, davvero, forse mi sbagliavo, forse era ancora l’effetto della droga…”- disse Sherlock tutto d’un fiato, pur sapendo che la droga non c’entrava niente.  Vero, era stato istintivo, non era nulla di programmato, ma sapeva di volerlo fare da tempo. E diamine se gli era piaciuto. John non riusciva a proferire parola, ancora incredulo. Era completamente immobile e respirava a fatica. Il cuore gli batteva talmente forte che pensava che Sherlock potesse sentirlo.
-“John, ti senti bene?”- gli chiese il moro, passandogli una mano davanti agli occhi. John cadde dalle nuvole.
-“Cosa? Ah si, sto bene,grazie, solo che…quel bacio”- disse. Sherlock lo guardò un po’ preoccupato. Credeva di aver fatto qualcosa di sbagliato.
-“Si, lo so, io…”- iniziò a dire
-“è stato semplicemente fantastico”- continuò il dottore. Sherlock non poteva credere alle sue orecchie.
-“Davvero?”- chiese, incredulo.  John gli sorrise.
-“Davvero”- rispose. Anche il moro sorrise.
-“E ora?”- chiese, un po’ titubante.
-“E ora…”- disse Watson, per poi fiondarsi sul suo coinquilino (ma era ancora giusto chiamarlo così?) e baciandolo con quanta forza, fiato e voglia (che non mancava affatto) aveva in corpo.
 
Vivere un reale, bellissimo sogno dopo un orrendo incubo? Sherlock capì che era possibile.
Sesso? John aveva perso il conto di quante volte l’aveva fatto. Amore? Solo adesso John capì cosa fosse davvero.
 
Qualche ora  dopo, John prese il computer e scrisse le seguenti parole sul suo blog:
Qualcuno ha detto che la felicità è una pistola bollente. Altri che la felicità è un cioccolatino. Altri pensano che la felicità non esista affatto. Io dico che la felicità è Sherlock Holmes. Perfino quando è annoiato.”
  
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