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Autore: Slyth    30/07/2012    1 recensioni
Labbra che si sfiorano per l'ultima, vera volta, l'ultima scossa dal defibrillatore, l'ultimo tentativo prima che il cuore si fermi per sempre.
«Mi odi?»
Sì.
«No»
Stupidità.
Alias, amore.
'Ti amo'. Non lo dissi. Non lo dissi mai. Ma sapevo che aveva capito, lo vedevo nei suoi occhi colpevoli.
Sorrisi forzati, mani che si strecciano a fatica.
«Amici?»
Idiota.
«Ma certo»
Innamorata.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maybe if we had met fisrt



Non è che fossi stanca di lui: è che lui si sarebbe stancato presto di me.
Lo sentivo. Conversazioni sempre più inutili, l'odore del suo shampoo che non mi impregnava più le mani da tempo, il fatto che non ricordassi più il sapore delle sue labbra.
La voglia di ricordarlo ancora.

«Come stai?»
« Bene, e tu?»
« Anche io »
Era tutto ciò che riuscivamo a dirci. Il silenzio, dopo due anni di risate e chiacchiere.
« Oggi passi da me?»
Il mio patetico tentativo di tenere, con un ultimo sforzo, le redini del nostro rapporto.
« Non lo so»
Il ghiaccio nelle vene, le mani che si congelano, le redini che sfuggono.
« Ok»
La rassegnazione.
La solitudine, d'improvviso. 
Era stato diverso. Avremmo potuto far sì che che tornasse ad essere diverso.

«Oggi esci con lei?»
Finta indifferenza, mani che si tormentano, stomaco che si contorce. Una gelosia che non lo riguarda, e che, eppure, mi abbatte.
«»
Qualcosa che si scioglie dentro. Amara consapevolezza che una volta quel 'posto' era mio. 
Eravamo noi, ed avevamo il meglio che la vita potesse offrire a due come noi: a due anime sole. 
Giornate afose al mare, camminate lungo la riva.

«Prima o poi ti stancherai di me» . Il mio sorriso triste, la mia  aria da vittima. 
« O forse tu di me»  La sua pelle che sa di sale, la mia testa contro la sua spalla.
«Questo è impossibile».  L'unica, grande verità della nostra storia.


La forma del mio corpo che rimaneva impressa sul suo materasso quando mi alzavo.

«Sono grassa»
«Ma non dire cazzate» Era così. Era facile, schietto. Non è mai stato sdolcinato.
«Ti voglio bene»
«Te ne voglio anche io, un sacco»
Era il massimo che potevamo permetterci, era il massimo che due come noi avrebbero potuto ammettere: due persone ferite. Ma erano le parole più belle del mondo.
Le serate a vagare in macchina, la sua musica scadente, la mia smorfia contrariata, la sua risata.
Quella risata, era il miele intorno al cucchiaio di veleno che mi stava per porgere.


«Non voglio ferirti. Non l'ho mai voluto»
Occhi bassi, piede che batte nervosamente a terra. 
«Perché?»
Lacrime, confusione, pugni contro il suo petto, lacrime, di nuovo.
«Mi dispiace»
Braccia che mi stringono.
Avevo ingoiato il veleno, e quelle braccia erano dell'angelo della morte che stava venendo a prendermi. Mi portava via.

«Lo so» 
Lo sapevo?
«Io ti voglio bene» 
Nasi che si strusciano. Me ne voleva?
«»
Parola vuota. 
Labbra che si sfiorano per l'ultima, vera volta, l'ultima scossa dal defibrillatore, l'ultimo tentativo prima che il cuore si fermi per sempre.

«Mi odi?» 
Sì.
«No»
Stupidità.
Alias, amore.
'Ti amo'. Non lo dissi. Non lo dissi mai. Ma sapevo che aveva capito, lo vedevo nei suoi occhi colpevoli.
Sorrisi forzati, mani che si strecciano a fatica.

«Amici?»
Idiota.
«Ma certo» 
Innamorata.

Non è che io mi fossi stancata di lui: era lui che si sarebbe stancato presto di me.
Lo sentivo.
  
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