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Autore: Canada    30/07/2012    5 recensioni
"Into thy hand, my Lord, my soul I commend"
Everyman's death
Genere: Horror, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Thou profoundest hell receive thy new possessor

Il giorno in cui Percy Godwin conobbe Alexander Strauss fu davvero un giorno infausto per lui.
Eppure, nell’ignara mente del ragazzo, rimase per molto tempo il migliore di tutta la sua vita.
 
Percy non si sentì mai tanto fortunato come in quella fredda e pungente mattinata d’autunno, mentre camminava con passo spedito verso la casa del Signor Ian Moone. Aveva appena superato le sontuose Broadstreet e Cornhill Ward  e si stava dirigendo verso la Banca d’Inghilterra: da lì sarebbe proseguito fino a Cheap Ward, verso Thames Street, una delle strade più importanti di Londra e meta del suo cammino.
Mentre ripercorreva quelle strade sporche e dal tanfo tanto fetido quanto familiare, la sua mente ripercorse quei lunghi e faticosi 19 anni trascorsi in compagnia di farabutti e delinquenti. Era stato cresciuto da Mrs. Jenkins e Mr. Chapman in uno dei tanti orfanotrofi dell’Inghilterra post-Rivoluzione Industriale, e sin da piccolo aveva imparato a destreggiarsi tra gli infiniti e sudici vialetti londinesi, senza mai perdersi. Chiamiamolo senso dell’orientamento innato, se vogliamo, ma oltre a questo Percy aveva altri talenti nascosti nella manica. All’età di 8 anni gli avevano insegnato a sfilare i preziosi gioielli delle Miss di Londra in poche abili mosse e a derubare i Lord delle loro monete scintillanti, e per riuscire in tutto ciò gli ci erano voluti solamente 2 mesi. “Si può vivere alla giornata anche da signori” diceva sempre Mr. Chapman, e grazie al ragazzino i suoi sogni di gloria giornalieri venivano soddisfatti e consumati assieme ad un’abbondante riserva di alcolici. Erano di più le botte che riceveva in un singolo giorno che le sagge parole che sentiva nell’arco di un anno intero.
Ma in tutta la sua vita, mai si era sentito dire un solo grazie da parte dei due aguzzini.
Percy era stato cresciuto nell’ignoranza, e di questo ne era più che consapevole, suo malgrado; non sapeva leggere e a stento sapeva scrivere il proprio nome. Ma nell’epoca in cui viveva la mancanza d’istruzione non era esattamente al centro delle problematiche del Parlamento inglese, e tanto meno lo sfruttamento minorile. Al contrario di Mrs. Jenkins e Mr. Chapman, però, Percy aveva sempre ringraziato il Cielo per non essere capitato in uno di quegli orfanotrofi degli orrori. Il Cielo, si capisce, mai Dio: come poteva pregare colui che gli aveva portato via sia la madre che il padre?
Durante quelle giornate lunghe e lugubri un solo colore faceva da sfondo alla sua vita: il grigio.
Ma ora era giunto il momento che da tempo stava aspettando, il momento della sua rivincita.
Aveva diciannove anni ed era intelligente, gli bastava soltanto trovare qualcuno che lo proteggesse sotto la sua ala e gli insegnasse qualcosa, e finalmente si sarebbe riscattato dopo tutti quegli anni buttati tra un furto e l’altro. Per questo motivo si stava dirigendo da Ian Moone.
Ora stava imboccando Thames Street, tendendo ben saldo nella mano l’indirizzo che si era fatto trascrivere su un foglietto sudicio ingiallito; non sapeva leggere quello che vi era scritto sopra, e in sé non se ne sarebbe fatto nulla, ma per lui era addirittura più prezioso dell’oro.
Era stato il proprietario della bettola più lercia di tutto il suo quartiere a darglielo, Tumbledown.
“Cercano gente come te.” È stata la prima cosa che gli aveva detto “Se fossi in te, però, ci starei molto attento.” Era stata l’ultima. Non era preoccupato per quella frase, anzi, l’idea di invischiarsi in qualcosa di emozionante e avventuroso lo eccitava moltissimo. Tumbledown si era fatto promettere da Percy che sarebbe tornato quanto meno il prima possibile per informarlo su quanto sarebbe accaduto, e questo perché, in fondo in fondo, quell’omone tutto d’un pezzo, burbero e trasandato aveva sempre avuto a cuore Percy. Sin sa subito aveva capito che lui era diverso dagli altri bambini, nelle cui orbite infossate si riusciva a veder riflessa l’ombra della morte. No, a Percy non sarebbe toccata la morte, almeno non subito, a lui sarebbe toccato un destino diverso.
Imboccata la strada nulla riusciva a distogliere l’attenzione di Percy verso quell’edificio singolare e stranamente pulito, nemmeno il tanfo di escrementi e rifiuti della fogna a cielo aperto che passava lungo la strada.
Era affascinato dalla casa dell’uomo che gli avrebbe cambiato la vita, che, a detta di quelli che si trovavano nella stessa via, era in realtà una casa del tutto normale, lercia quanto le altre.
Percy rivolse lo sguardo verso il cielo e fissò le nuvole. Presto sarebbe incominciato a piovere.
 
Busso alla porta di Ian Moone e attese. Dopo qualche secondo sentì un rumore provenire da dentro.
Ipotizzò che fossero passi ma all’improvviso non riuscì ad udire più nulla. Aspettò per circa due minuti, cercando di trattenersi dal bussare una seconda volta.
Ad un certo punto la porta si spalancò e comparve un uomo dagli occhi incredibilmente chiari e dallo sguardo ipnotico.
“Finalmente sei arrivato”. Gli sorrise e proseguì “ti stavo aspettando”.
Scomparve dalla sua vista e Percy rimase immobile ad osservare il vuoto più totale, indeciso sul da farsi.
“Allora?”. Il ragazzo sussultò “Non stare lì impalato. Entra”.
Percy fece un passo avanti e restò sorpreso: un gatto bianco lo stava fissando.

  
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