Crossover
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Autore: Registe    31/07/2012    3 recensioni
Seconda storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone". Sono passati tre anni dagli avvenimenti narrati ne "Il Castello dell'Oblio", e i membri dell'Organizzazione hanno perduto gran parte dei loro poteri e sono ridotti a vagare per il loro mondo primitivo come vagabondi o ladruncoli qualunque. Auron e Mu invece si sono uniti alla Resistenza contro il Grande Satana, anche se Auron non e' ancora riuscito a dimenticare la breve storia d'amore vissuta con Zachar tre anni prima. Nella Galassia Mistobaan, ancora sotto l'influsso del condizionamento, e' diventato il fedele braccio destro dell'Imperatore. Ma il Grande Satana non intende rimanere a guardare, e tentera' con ogni mezzo in suo potere di riprendersi il suo servitore...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 8 - L'eccezione e la regola


Camus

Camus




Narratore: "Registe, per quanto ancora intendete cincischiare?"
REGISTE: "Noi? Cincischiare? Narratore, che dici?"
Narratore: "Dico che il fatidico capitolo 8 è arrivato … "
REGISTE: "Naaaa, ti sbagli, guarda che siamo ancora al capitolo 7... "
Narratore - passa il copione- : "No, no, il capitolo 8 attende solo di essere narrato, e per quel che mi riguarda io racconterei solo la scena di Camus saltando quell’inutile sega mentale di … "
REGISTE: "Non è una “sega mentale”, ma un “approfondimento psicologico”"
Narratore: "Sarà …ma non mi convince … vabbè, direi di iniziare o qui non la finiamo più, via il dente, via il dolore!"
REGISTA: "Dobbiamo proprio?"
REGISTA: "E se passassimo direttamente al capitolo 9?"
REGISTA: "No, quei pochi lettori che abbiamo fiuterebbero l’inganno!"
REGISTA: "D’accordo, allora si dia inizio alla fatidica narrazione. Adoro questo pezzo, però scriverlo non sarà una passeggiata, già me lo sento."
REGISTA: "Abbiamo un Narratore proprio per raccontare al posto nostro …-sorriso sadico- "




Padron Vexen era in piedi, rigido, con le mani che sfogliavano con rabbia un libro enorme, chino su un tavolo da studio troppo piccolo per qualsiasi essere umano; i demoni di guardia alla stanza erano circondati da cerchi di fuoco incantato per proteggersi dal gelo che il n. IV dell’Organizzazione emanava. Il sacerdote, dopo tutti quegli anni di viaggio insieme, aveva imparato a sopportare senza alcuna protesta il manto di freddo che accompagnava padron Vexen, ma questo rendeva i carcerieri inquieti. Era innegabile lo sguardo di disgusto che lanciavano anche verso di lui.
Non si accorse subito della sua presenza, impegnato com’era a sfogliare il grande tomo rilegato in pelle che doveva essere soltanto l’ultimo di una grande serie di volumi accatastati senza troppi riguardi sul pavimento. Una tazza dal contenuto color bruno chiaro era appoggiata accanto a lui, apparentemente mai toccata.
Aveva tante domande nella sua testa.
“Alla buon’ora!” esclamò lo scienziato quando Camus trovò il coraggio di avanzare di un paio di passi nella sua direzione “Mi serve una mano a leggere tutti questi libri, ho chiesto al Grande Satana di farti uscire da quel buco di prigione per darmi una mano … prendi uno di quei volumi sul secondo scaffale vicino alla finestra e cerca qualcosa di utile”.
“No”.
Gli occhi verdi lo trafissero, più furenti di quella volta che aveva rovesciato per errore la pozione frutto di due notti insonni. Anzi, furenti non era la parola esatta. Increduli, così li avrebbe definiti.
“Ripetilo …”
“No. O almeno non subito”.
“Camus, che diavolo ti salta in testa?”
Si morse il labbro, cercando le parole giuste da scegliere. Nella testa gli vorticava ancora il sorriso divertito di padron Marluxia ed i suoi occhi color del mare che scintillavano durante la sua sofferenza; da quando aveva distrutto il ricordo degli avvenimenti nel Grande Tempio tutto aveva iniziato a muoversi davanti ai suoi occhi. Ricordi, sensazioni, un fiume in piena di scene che ormai non era più sicuro di aver realmente vissuto. Persino in quel momento, fissando le occhiaie dello scienziato e le sue mani congestionate, ricordava l’immagine di padron Vexen avvolto in una tormenta di neve al massimo della gloria. La sensazione sgomento e sottomissione era ancora lì, nel suo petto, come una forza che gli ordinava di piegare il ginocchio e correre ad obbedire ai suoi ordini. Dovette pronunciare le parole con più forza del previsto, perché il pensiero schiacciante dell’onnipotenza e della furia del suo signore sembrava serrargli la gola: “Padron Vexen … lei mi ha condizionato, vero?”.
“Cosa?”
“Le ho chiesto se mi ha condizionato. Come ha fatto con Auron e con Mu”.
Lo scienziato smise di sfogliare il volume e la sua attenzione fu tutta su di lui; si sentì squadrato, come se quegli occhi volessero sollevare la sua pelle con una lama affilata e scoprire perché si fosse rifiutato di obbedire. Passarono pochi secondi, poi l’uomo cambiò espressione “Ma ovviamente no, Camus! Che idiozie vai blaterando?”.
Mente.
I suoi occhi mentono.

“Chi ti ha messo in testa una simile idea?”.
Non vi era motivo di tacere la verità; quando il sacerdote fece il nome del n. XI l’altro fece un rapido movimento di furia tra le dita, e più continuava a squadrarlo più la sensazione di disagio aumentava. Le uniche volte che aveva visto padron Vexen osservare qualcosa in quel modo erano i resti dei suoi esperimenti andati in fumo. “Ti ho detto mille volte di non ascoltare Marluxia, Camus! La sua unica funzione è seminare scompiglio, ricordatelo”.
“E la mia cicatrice sulla fronte?”
“Te la sei procurata al tuo caro Santuario in uno dei vostri pazzi allenamenti! E se pensi che io abbia mai avuto il benché minimo interesse su come ti sei rotto le unghie o sbucciato le ginocchia nel corso della tua vita sappi che sei in errore!” tornò con passo fermo verso il tavolo e riprese il tomo che aveva lasciato a metà “E ora che hai chiarito i tuoi dubbi esistenziali vieni a darmi una mano. Abbiamo nove giorni per scondizionare Mistobaan senza operarlo, altrimenti il Grande Satana …”
“Padron Vexen, io devo sapere!”
I ricordi continuavano a vorticare. Ad ogni sua frase sembrava che la figura di padron Vexen diventasse più labile, evanescente. Un condizionato deve sentirsi così …perché me?
Sta mentendo lui …o padron Marluxia mi ha fatto qualcosa?

L’uomo davanti a lui non aveva alcuna intenzione di continuare quel dialogo, Camus non aveva bisogno di leggere nella mente per saperlo; una forza dentro di lui sembrava sospingerlo verso lo scienziato per aiutarlo subito, ad uno schiocco di dita, senza porsi altre domande se non come aiutarlo al massimo. Puntò i piedi per terra e deglutì a fondo, cercando forza nella sua sete di risposte. Come sempre quando padron Vexen era nervoso, la temperatura della stanza si abbassò “Camus, per l’ultima volta, non farmelo ripetere, ti sei fatto quella cicatrice al Tempio!”
Mi sono fatto quella cicatrice al Tempio.
Mi sono fatto quella cicatrice al Tempio.
Mi sono fatto quella cicatri …
Un attimo …

“Padron Vexen … e lei come lo sa?”
Fu come se avesse calpestato un sottile strato di ghiaccio. Una crepa sembrò formarsi nella sua mente e dietro di essa un rumore sordo dietro le sue orecchie.
“Lo so, perché io …”
“Lei mi ha sempre ordinato di non parlare mai del mio passato di sacerdote. Lei odia i sacerdoti. E ricordo benissimo che lei non ha mai voluto sentire né salmi, né preghiere né riti, e di certo non è da lei informarsi del mio passato con i miei confratelli”. Fissò negli occhi lo scienziato e non li portò a terra “Sono un condizionato. Ma non uno stupido”.
Erano poche, semplici parole, nessun poema, nessun salmo, nessun canto degli antichi chierici; eppure furono una grande liberazione. Le lasciò andare nell’aria, dirette più a se stesso che allo scienziato: fu come se un peso, accumulatosi per anni dentro al suo cuore, si sciogliesse come neve al sole. E dopo di esse vennero gli occhi verdi dello scienziato. Era certo che per un secondo, uno soltanto, avessero cercato il pavimento come mai gli aveva visto fare; e subito dopo si chiusero per un istante e si riaprirono “Uff … certo che sei insistente! Sì …” rispose, e su di lui comparve uno strano sogghigno “Sì, la vuoi sapere una cosa? TI HO CONDIZIONATO! E vuoi sapere un’altra cosa? Se fosse dipeso da me non avrei mai scelto un sacerdote ottuso ed incompetente come te, ma quando ho chiesto un aiutante il Castello dell’Oblio ti ha indicato per ben quattro volte! Qualcos’altro? Ah, giusto, in tutti questi anni me la sono risa di gusto a vederti condizionato come un idiota!”
Il sacerdote arretrò di un passo, con il cuore in gola.
Padron Vexen era curvo in avanti, con le dita della mano destra salde sul libro “Ma la vuoi sapere la cosa più importante, Camus? Che tra nove giorni al Grande Satana non gliene importerà nulla del tuo stupido condizionamento e se non troverò il modo di scondizionare Mistobaan diventeremo il nuovo antipasto dei draghi del Choryugundan!” disse, e per il gelo la tazza sul tavolo esplose in una decina di piccoli cocci trasparenti.
“Adesso, se vuoi scusarmi … mentre tu piagnucoli sul tuo condizionamento io ho del lavoro da fare! Perché non usi questa nuova, bella, fulgida verità che hai ottenuto per essere di nuovo un uomo libero e andare a riempire la pancia ai draghi? Magari dopo aver inghiottito te non avranno più tanta voglia di assaggiarmi!”
Prima il massacro dei suoi confratelli, poi questo …
Se qualche traccia dell’illusione di potere che attorniava padron Vexen era ancora rimasta nella sua mente, essa svanì al tono secco e furioso di quelle parole. In un attimo gli passarono davanti agli occhi le centinaia di giorni trascorsi insieme tra una locanda e l’altra, curando feriti, e cercò tra quelle immagini il ricordo degli occhi dello scienziato; la sua insoddisfazione e l’odio, che fino a qualche giorno prima aveva confuso con stanchezza e preoccupazione, lo colpirono al petto.
Gli dèi non volevano che un mortale usasse la mente, l’organo per eccellenza a loro caro, per umiliare e ridurre in schiavitù il prossimo, ma lo scienziato si era sempre fatto beffe di ogni divinità.
“Lei … non si rende conto di quello che ha fatto?”
“Oh, sì, molto bene … Avevo uno schiavo stupido ed obbediente e l’ho usato, niente di più!”
“Nessun uomo può ardire di tenere altri suoi fratelli in schiavitù!”
“E questo dove sta scritto? Ah, giusto, nei tuoi adorati salmi … Bene, ora che hai riavuto i tuoi preziosi ricordi tieniteli! Magari una delle tue orazioni placherà la furia di Mistobaan, nella remota possibilità che io riesca a scondizionarlo!”
Era davvero così?
Era davvero quello il volto dell’uomo che aveva adorato per anni?
Miei dèi, troppo a lungo ho trascurato le mie preghiere. Vi chiedo di sorreggermi ancora un po’ …e di indicarmi una via d’uscita.
“Ho sempre avuto fiducia in lei” sospirò, ascoltando il gelo che correva sulla sua pelle “L’ammirazione che ho provato verso di lei in alcune sue ricerche era genuina, non tutta causata dal condizionamento. Ma non amo i Nuclei Neri o il condizionamento, e sappia che ogni mia parola di apprezzamento verso queste invenzioni aberranti è stata solo frutto del suo controllo mentale per sentirsi ammirato e rispettato. Non le è importato nulla che i miei sentimenti non fossero sinceri, e da quel che vedo lei non si è fatto scrupoli a calpestare i desideri degli altri per la sua voglia di glorificarsi e mostrare al mondo la sua intelligenza superiore. Adesso quello che è successo tra lei e suo nipote non mi meraviglia più, nonostante prima io …”
Il libro borchiato sbatté con violenza sul tavolo. Quello, pensato per qualche creatura demoniaca di piccola taglia, si incrinò sul un lato e una gamba si ruppe. L’ondata di gelo stavolta creò un sottile strato di ghiaccio sulla finestra, e solo la magia di cui tutto il Baan Palace era imbevuto impedì che il vetro andasse in frantumi come la tazza. Camus si era allenato per anni per diventare un elementale del ghiaccio con le sue sole forze, ma il freddo superò qualsiasi sua difesa ed arrivò dentro le ossa. Anche privo dei poteri del Castello dell’Oblio padron Vexen era ancora il miglior mago elementale che avesse mai incontrato.
“Basta così”.
Il ghigno era sparito, ma la fronte era corrugata e gli occhi traboccavano tutti i sentimenti negativi possibili “Ora che mi hai fatto il tuo bel sermone ed hai avuto la verità fai quello che ti pare! Vattene, resta, buttati di testa dal Baan Palace se ti fa piacere o raggiungi i tuoi cari confratelli nel Nirvana! Ma io ho del lavoro da fare. Non ho alcuna intenzione di rivedere gli incantesimi del Grande Satana di nuovo!”
Gli diede le spalle e tornò verso la pila dei libri; Camus lo osservò prenderne prima uno, poi un altro, sedersi su una sedia minuscola per qualsiasi essere umano e sfogliarli uno dopo l’altro. Quasi senza leggere, voltando le pagine con gesti furiosi e meccanici.
Camus si voltò verso la porta della stanza, ascoltando i demoni guardiani che bisbigliavano nella loro lingua dura, secca, quasi incomprensibile per loro umani; dove posso andare?
Il Grande Satana ha massacrato i miei confratelli, e se anche fossero vivi come potrei …

Padron Vexen aveva ragione, la libertà che aveva ricevuto non migliorava di molto le cose; di sicuro padron Marluxia lo aveva liberato dal condizionamento nella speranza di metterlo contro il n. IV, ma … la verità era che non sapeva come comportarsi. La testa gli doleva, soprattutto alcuni ricordi che continuavano a muoversi, e scoprì cose che aveva dimenticato ritornare alla luce con il semplice trascorrere dei minuti. L’uomo che l’aveva ridotto ad uno schiavo e che aveva usato la sua mente come una cavia continuava a dargli le spalle, immerso nelle sue letture, senza il benché minimo segno di pentimento per il suo peccato. Dovresti odiarlo, sembrava dirgli qualcosa dentro di lui. Qualcosa che era offesa e sdegnata per uno scienziato empio, che aveva offeso gli dèi con le sue opere e che si era preso gioco di lui per tutti quegli anni, tenendolo prigioniero con le invisibili catene dei ricordi. Dovresti odiarlo, prendere quel bel libro sulla tua destra e abbatterlo su quella testa tanto intelligente e superba.
Ma sembrava quasi la voce di padron Marluxia a guidare quelle parole.
Parole che lo spaventavano quasi più del loro sinistro padrone dagli occhi blu.
Poi guardò di nuovo il suo condizionatore, e si accorse di provare solo pietà.



Il libro rilegato in pelle borchiata attraversò la stanza come un proiettile. Si schiantò contro uno scaffale, rovesciando altri tomi della stessa portata in un tripudio di pagine svolazzanti.
Vexen appoggiò i gomiti sul tavolo, massaggiandosi le tempie. Era esausto.
Stupide rune.
Nella sua ricerca frenetica era incappato in una sezione della biblioteca dall'aria promettente... se solo tutti i libri non fossero stati scritti in caratteri runici. Gli umani avevano abbandonato quella grafia primitiva e antieconomica da secoli, ma era più facile che il sole cominciasse a sorgere a ovest piuttosto che la famiglia demoniaca modificasse le proprie tradizioni.
In vita sua Vexen non si era mai curato di imparare le rune, il linguaggio dei salmi antichi, dell'ignoranza e della superstizione.
Ma fosse questo il problema.
Anche dei libri scritti in lingua comune aveva capito poco o nulla, malgrado fosse rimasto chino su di essi per ore. Le parole gli sembravano solo un insieme di segni senza senso tracciati sulla carta, e i suoi occhi percorrevano avanti e indietro la stessa riga per decine di volte, senza essere capace di decifrarne il segreto. Non riusciva a concentrarsi. I suoi pensieri volavano in altre direzioni come uccelli in fuga, e finivano intrappolati in reti e tagliole da cui Vexen non poteva liberarli.
Se solo avesse potuto fare a modo suo! Ripristinare i ricordi di Mistobaan sarebbe stato un gioco da ragazzi con un anestetico e un bisturi a disposizione, ma il GSB non gli avrebbe mai permesso di toccare il suo prezioso Braccio Destro con i suoi strumenti.
Miseri contadini umani o potenti sovrani demoniaci, non faceva differenza. Tutti in quel mondo barbaro avevano un'insensata paura della scienza.
“Chiunque dovrebbe averne paura, se viene usata per fare cose così terribili. Scienza non significa necessariamente civiltà.”
Vexen sussultò; doveva aver pensato ad alta voce. Sollevò la testa e si ritrovò faccia a faccia con Camus, che stringeva in mano il pesante libro che lo scienziato aveva lanciato poco prima in un impeto di rabbia. La luce delle fiaccole magiche illuminava le borchie della copertina di bagliori sinistri.
Senza pensare Vexen eresse intorno a sé una barriera di freddo. Si era totalmente dimenticato del suo stupido assistente! Per tutte quelle ore era rimasto seduto in un angolo a pregare in silenzio; di tanto in tanto Vexen lo aveva spiato con la coda dell'occhio, per essere sicuro che non tentasse strani colpi contro di lui, ma alla fine non aveva più fatto caso alla sua presenza.
Doveva essere il suo piano fin dall'inizio!
Una morsa di ghiaccio circondò i piedi di Camus, che fece una smorfia di dolore. Lo strato di gelo iniziò a diffondersi anche lungo le braccia, ma non abbastanza in fretta: il sacerdote riuscì comunque a sollevare il libro, impugnandolo con entrambe le mani, e Vexen si preparò a schivare il colpo e vendere cara la pelle.
Il colpo non arrivò mai. Camus si limitò a poggiare il libro sullo scaffale, vicino agli altri.
Per un attimo lo stupore di Vexen fu così grande che perse il controllo del proprio potere, e il ghiaccio si sciolse all'istante.
Camus lo fissò con lo sguardo di un bambino a cui hanno ammazzato il pesce rosso: “Ora vuole addirittura uccidermi, padron Vexen?”
“TU stai cercando di ammazzare me! E IO non ho intenzione di lasciarti fare!”
“Si sbaglia.” Camus sollevò le mani, con i palmi rivolti verso di lui; un gesto di resa, forse, o un puerile trucco per fargli abbassare la guardia. “Sono venuto per aiutarla.”
A Vexen scappò quasi da ridere: “Certo. Per poi ficcarmi un coltello nella schiena non appena mi volto. Ti prego, non prendermi per uno stupido.”
Camus scosse la testa con energia; bisognava ammettere che era davvero bravo a recitare. Era facile farsi trarre in inganno da quegli occhioni azzurri grandi e puri, ma Vexen non era nato ieri.
“Padron Vexen, io sono un sacerdote. Ho pregato a lungo gli dei, per la prima volta dopo tanto tempo, e ora ho ben chiaro in mente cosa devo fare. Ama il tuo nemico, è il Loro insegnamento. Da me non ha nulla da temere, padron Vexen.”
“Oh, me li ricordo i vostri insegnamenti. Mu li ha messi in pratica in modo egregio, l'ultima volta che ci siamo visti.”
Camus sembrò esitare per un istante, ma poi riprese con più foga di prima: “Insieme possiamo farcela, padron Vexen. Possiamo risolvere questo enigma e ridare a Mistobaan i suoi ricordi. Non era quello che lei voleva?”
Stavolta Vexen rise davvero, ma era una risata isterica e stridula. Non ne poteva più. Non ne poteva più dei pigolii falsi e moralisti di Camus, di quella ricerca vuota e senza scopo, del GSB e del suo palazzo volante, di Mistobaan, dei libri demoniaci, delle rune...
Evocò di nuovo il freddo, il suo elemento, con tutta la forza che aveva. Forse la sua rabbia era impotente contro il GSB, Mistobaan, le rune e i libri, ma poteva far tacere Camus, poteva cancellare i suoi insopportabili occhioni azzurri dalla faccia della terra, almeno quello poteva farlo, poteva distruggere quell'esperimento fallito e insulso, finire il lavoro del GSB ed estinguere per sempre l'ipocrita razza dei sacerdoti.
Camus indietreggiò di qualche passo mentre il freddo si faceva più intenso, ma non accennò a difendersi in alcun modo. Continuava a parlare, ma Vexen non gli dava più ascolto. Fiocchi di neve iniziarono a vorticare nell'aria, prima lentamente e man mano sempre più veloci. I demoni guardiani gettarono loro un'occhiata disgustata, ma tornarono subito alle loro attività, limitandosi a rafforzare le difese magiche; evidentemente si consideravano superiori a quelle banali scaramucce tra umani.
Il ghiaccio invase ben presto tutta la parte di pavimento intorno ai loro piedi, facendosi strada lungo le gambe e la pelle di Camus.
“Tra poco la smetterai di blaterare! E forse mi ringrazierai, perché non c'è proprio nulla che possiamo fare per salvarci! Mi senti Camus?! NULLA! Siamo condannati, tutti e due! Ma se non altro avrò la soddisfazione di farti fuori di persona, prima che il GSB faccia fuori me!”
Ma ghiaccio, neve e freddo ancora non riuscivano a tappare la bocca a Camus.
“Questo non è da lei.”
“Cosa...?”
Il sacerdote si stava congelando sul posto, ma anche con le labbra blu e i denti che battevano non si fermava: “Non è quello che lei mi ha insegnato. Non esistono problemi senza soluzione, lo dice sempre. Siamo noi che magari ancora non sappiamo come trovarla. Non posso credere che si sia arreso così, senza neanche provarci. E sono sicuro che in fondo al cuore non ci crede nemmeno lei.”
“Cosa pensi di saperne TU di quello che io...”
“Io la conosco, padron Vexen. Lei forse per tutti questi anni ha ignorato me, mi ha considerato solo uno dei suoi tanti strumenti, ma io ho imparato a conoscerla bene. Lei è stato il mio maestro. Mi ha insegnato la medicina e la chimica, persino un po' di fisica, e non solo: mi ha insegnato a osservare, a ragionare, mi ha dato un metodo. E lo ha sempre fatto con entusiasmo e passione, malgrado io fossi solo un esperimento. So che quello non era una finzione. E so anche che lei è stato un buon compagno di viaggio per tutti questi anni. Mi ricordo di quando abbiamo fatto l'alba a discutere se fosse possibile a livello teorico ricreare artificialmente i corridoi oscuri del Castello dell'Oblio; lei si è infervorato parecchio, poi non so come siamo arrivati a tirare in ballo i nuclei collassati delle giganti rosse e tutto è finito in una grossa risata. Era la prima volta che la vedevo ridere davvero. Mi ricordo anche di quella volta che mentì ai soldati demoni che cercavano il mago senza licenza che avevamo visto un'ora prima alla locanda, e indicò loro una direzione sbagliata. O di quando mi arrestarono perché somigliavo a un famoso ladro di bestiame della regione, e lei mi tirò fuori dalla cella tracciando con un gesso un cerchio intorno alle sbarre e trasformandole in burro. Aveva promesso che un giorno, quando sarei stato pronto, mi avrebbe insegnato a fare anche quello, e io so che diceva la verità. Così come so che non ha mai negato le sue cure a nessuno, nemmeno a chi non poteva ricompensarci in alcun modo. E so che voleva vendere la mia armatura per comprare delle lenti e costruirsi un microscopio, ma poi ha cambiato idea quando ha visto quanto ci tenevo. Mentre pregavo ho ripensato a tutte queste cose, ed è anche per questo che sono qui ora, padron Vexen.”
Sotto i piedi di Vexen non rimaneva che una sottile pellicola d'acqua che andava rapidamente evaporando, là dove pochi minuti prima il ghiaccio aveva stretto il pavimento nella sua morsa. Non avrebbe saputo dire quando e perché aveva smesso di evocare il suo potere. Le braccia gli pendevano inerti lungo i fianchi, fissava il suo assistente come stordito, cercando di trovare un senso a quel diluvio di parole.
Chi era davvero la persona che aveva di fronte? Perché gli stava dicendo tutte quelle cose?
Per la prima volta si rese conto di non sapere nulla di Camus. Se lo era tenuto accanto per quattro anni, ma non sapeva altro che il suo nome e che prima di servirlo era stato un sacerdote al Tempio delle Dodici Case. Punto e fine.
Invece lui sa tutto di me. La storia dell'armatura neanche me la ricordavo...
“Sono qui perché penso che ci sia ancora luce nel fondo della sua anima, padron Vexen.” ora che il freddo non lo ostacolava più Camus aveva ripreso il colorito normale, e le sue parole erano cariche di energia ed entusiasmo. Sorrideva. “Non ho intenzione di permettere che quella luce si spenga. Mi ha fatto chiamare qui per darle una mano, ebbene, io ci sono. In due abbiamo più possibilità. Io so leggere le rune, posso tradurre i testi. Se lei adesso si riposa un attimo e ci ragiona a mente lucida troverà sicuramente una soluzione. Se non ci riesce lei, nessuno può farlo.”
“Non credo sia così.” era sicuro di aver aperto la bocca per insultare Camus, ma tutto ciò che uscì furono quelle poche parole, pronunciate in tono stanco. Forse aveva davvero bisogno di riposare.
“Per modificare i ricordi di Mistobaan senza toccarlo servirebbe un grande potere magico, come quello del Castello dell'Oblio. Ma il Castello è perso, e non esistono incantesimi, di nessun livello, in grado di influenzare la mente a una tale profondità. Probabilmente nemmeno una creatura potente come il GSB può riuscirci.”
Ecco, ora glielo aveva spiegato, così finalmente lo avrebbe lasciato in pace, lui e i suoi insulsi discorsi sulle anime luminose.
Ma a quanto pareva Camus aveva la testa più dura del marmo: “Però i demoni hanno un potere immenso. Se raccogliamo abbastanza energia magica si potrebbe, non so, ricreare su scala più piccola un ambiente simile a quello delle Stanze della Memoria. Oppure si potrebbe convogliare tutto il potere in un artefatto magico... o forse... forse si potrebbe sfruttare in qualche modo la vera natura di Mistobaan! In fondo lui non è...”
“Basta così. Non lo so, non lo voglio sapere, non mi interessa. Vuoi solo darmi false speranze. Lasciami in pace.” quell'ultima frase suonò molto più simile a una supplica di quanto Vexen non intendesse.
“False speranze? Padron Vexen, come posso farle capire che non ho intenzione di farle del male? Non sono spinto dalla vendetta, né dal condizionamento. E' una mia decisione libera e spontanea, in quanto sacerdote e servitore degli dei. E in quanto suo assistente.”
Sembrava davvero sincero. Gli stava offrendo ciò che voleva, ma...
Lentamente, Vexen tornò a sedersi. Le parole dell'assurdo discorso di Camus continuavano a rimbalzargli nella testa. Era sciocco dare loro peso, eppure...
“Padron Vexen” la voce dell'assistente si era addolcita ora, aveva quel tono premuroso di quando cercava di convincerlo a riposarsi dopo una nottata in bianco a fare esperimenti. “Non è facile, lo so. E credo di capire cosa prova. La sua mente è presa da altro, e ne ha tutte le ragioni. Penso di sapere il vero motivo per cui si è perso d'animo. Non è solo perché non si fida di me.”
Era da tempo che Vexen non provava più quella sensazione, come se la sua mente fosse un libro aperto e qualcuno la stesse leggendo. L'ultima volta era stata quando... no, erano ricordi su cui non amava soffermarsi.
Fino a questo punto mi conosce...
Trafisse Camus con un'occhiata minacciosa, ma il sacerdote si limitò a scuotere la testa con un sorriso di comprensione: “So che preferisce non parlarne, e non lo farò. Ma le voglio dire solo una cosa: non può essere certo che quei tre le abbiano detto la verità. Se esce di qui sano e salvo avrà la possibilità di indagare e scoprire come sono andate realmente le cose. Per questo vale la pena lottare fino alla fine. Non c'è errore a cui non si possa rimediare. Non c'è colpa che non possa essere cancellata dal perdono.”
“Penso che andrò a riposarmi!” disse Vexen a voce più alta del dovuto, alzandosi così bruscamente che la piccola sedia si rovesciò a terra. Pochi passi e fu alla porta, ansioso di mettere più distanza possibile tra sé e le parole di Camus. Ma quelle erano con lui, ormai. Nemmeno voltarsi e congelare il sacerdote sarebbe servito a cancellarle. Una parte di lui voleva ancora farlo, ma era come se il potere magico nelle sue vene fosse stato prosciugato.
Tirò la maniglia e fu dall'altra parte, nella stanza, o più precisamente lo sgabuzzino, che i demoni gli avevano messo a disposizione per dormire.
Ma non richiuse la porta dietro di sé.
“Camus” disse voltandosi leggermente, quel tanto che bastava per incontrare lo sguardo dell'assistente. “Perché nel frattempo non inizi a dare un'occhiata a quelle rune?” non gli sfuggì il sorriso che affiorò sul viso del sacerdote. “Se ti va” aggiunse, del tutto senza ragione.
Fece in tempo a cogliere il cenno di assenso di Camus prima che la porta, finalmente, si chiudesse.
Vexen vi si appoggiò per un attimo con le spalle, tirando un lungo sospiro.
Era assurdo.
Il modo in cui Camus riusciva a leggergli nel pensiero gli faceva quasi paura. Ma soprattutto... come poteva davvero volerlo aiutare?
Auron e Mu erano la prova vivente della regola universale secondo cui chi subisce un torto vuole restituirlo raddoppiato. Molto seccante per lui, certo, ma perfettamente normale. No? Comprensibile. Camus, invece... ma si era mai visto qualcuno tendere la mano al proprio aguzzino?! Era fuori da ogni logica.
Forse Camus è l'eccezione che conferma la regola.
Eppure, in qualche modo, sentiva di potersi fidare di lui.

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Fonte della fanart a inizio capitolo: http://browse.deviantart.com/?q=aquarius+camus&offset=96#/d2xf6kd
  
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