Era il ruggito di quella terra che esplodeva
dalle loro gole all'unisono mentre caricavano indomiti contro il nemico.
Non le fiamme di quella città, abitata dai loro
stessi fratelli, ma il baluginio dell'aurora che innumerevoli volte avevano
ammirato nei suoi cieli si rifletteva adesso nei loro occhi.
Il suono della tromba che i profani sentivano
urlare "morte!", per loro era la voce delle loro madri che raccontava
ancora una volta le storie, i miti e le leggende che impregnavano la loro
patria, e adesso i protagonisti di quelle storie, gli eroi tanto amati, come
evocati da essa, guidavano le loro spade e sostenevano i loro scudi.
I loro fendenti erano come i lampi delle loro
nubi selvagge, i boati del ferro contro il ferro, il tuono che ne seguiva, il sangue
che si posava sui loro volti era come neve: caldo sì, ma freddo in confronto
all'ardore delle loro anime.
Come aveva fatto una terra così fredda e
inospitale a crescere gente così forte e bollente nei suoi ideali e nel suo
onore, nemmeno loro lo sapevano. Erano solo coscienti del fatto che non era per
loro che brandivano le armi nella notte buia al chiarore delle fiamme, ma per
tutta la gente che, come loro, amava quelle lande sconfinate e quei monti
innevati, che rendeva ricca una terra povera.
E morivano col
sorriso sul volto, i veri Nord, consci di essersi meritati i cancelli di
Sovngarde, e mentre cadevano al suolo i loro occhi videro per l'ultima volta e
le loro orecchie sentirono per l'ultima volta, e quello che videro fu il loro
amato cielo notturno illuminato da migliaia di stelle, ad un tratto squarciato
da un ombra che veloce lo passava da parte a parte spalancando le possenti ali
e sputando le fiamme che a tutti loro ardevano dentro.
E l'ultima cosa che sentirono fu: «Per Skyrim!»