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Autore: Mue    01/08/2012    3 recensioni
Una Centrale Alchemica è esplosa e niente sembra contrastare i suoi effetti catastrofici: un'epidemia di Ghoul, i nuovi zombie, si allarga per tutto il Paese come un cancro incurabile.
Negli stessi anni la teconologia magica ha scoperto la Morfizzazione, una branca di Magichirurgia sperimentale che potrebbe dare ai Babbani una parte di magia.
L'organizzazione terroristica filo-babbana dell'Ira fa pressione affinché il nuovo Ministro della Magia, Percy Weasley, agisca in tal senso ma dopo i suoi continui rifiuti gli attentati dell'Ira culminano nella peggiore delle tragedie: l'attacco e la distruzione di Hogwarts.
James Sirius Potter muore lì, tra le fiamme della Sala Grande.
Albus, la pecora nera della famiglia Potter, fugge e di lui si perdono le tracce.
Un anno dopo tutto sembra cambiato. In peggio.
Rose ha un segreto crudele da custodire gelosamente e il rimpianto di un amore mai nato; Scorpius il desiderio di rivalsa della propria famiglia e la lotta interiore tra due parti del suo cuore; Lily un potere ingestibile e l'odio cieco verso un padre troppo integerrimo.
E poi ancora c'è la discendenza Purosangue dei figli di Percy, il libertinaggio di Hugo, la decadenza di George, la vita randagia di Teddy.
E le macerie di Hogwarts, un passato idilliaco spezzato che sembra destinato a non ritornare mai più.
Ecco a voi la nuova generazione, con le sue gioie e le sue fini violente.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Notturno



Umidità, lampioni, asfalto bagnato, cassonetti dell’immondizia.
Ratti, succubi, sileni. Creature oscure che occhieggiavano dagli spicchi di buio tra i palazzi.
E una figura umana in un angolo sotto il cavalcavia della High Street, rovesciata accanto al cartello slavato che recitava “Autolavaggio 100 m.” Questa era Londra di notte tra Shoreditch e Kennington.
Ogni tanto sfrecciava una macchina o una moto. Un cane randagio si fermò giusto il tempo per annusare i coni dei lavori stradali buttati e dimenticati da un lato della strada.
Nessuno diede gran peso alla figura umana, un vagabondo di sicuro; e, a giudicare da come ciondolava il capo, pure ubriaco.
Giudicare... la gente lo fa di continuo: crede sia facile dare giudizi. Ma i giudizi sono come le valutazioni dei gioielli: solo un esperto del mestiere sa dare il valore corretto alla prima occhiata.
Dido Vane, rampante Grifondoro del sesto anno era una che, modestamente, si riteneva un'esperta.
A colpo d’occhio indovinò che il valore corretto degli abiti di quel presunto vagabondo, per quanto sporchi e laceri, era sui trenta galeoni. Senza contare le scarpe Marc Jacob. Un vagabondo ricco, dunque. E pure giovane.
E fu quella valutazione a spingerla ad abbandonare la coda del suo gruppo mentre attraversava il cavalcavia e a raggiungere l'oggetto del suo interesse.
«Dido? Dove vai?» l'aveva richiamata uno degli altri, seccato. Erano diretti al Thriambus, lo sfrenato locale in voga tra i giovani maghi londinesi -e non solo- ed erano già in ritardo per la festa d'inizio anno accademico.
Il fiuto di Dido per le questioni losche, però, se ne fregava dell'orologio.
La Grifondoro, infatti, senza una parola aveva attraversato la carreggiata su pericolosi tacchi a spillo di vernice nera e aveva raggiunto il vagabondo. Si scostò una ciocca perfettamente laccata dal viso per guardare meglio e sorrise: il suo intuito era infallibile. «Guardate un po’ qui che abbiamo!»
Gli altri rimasero fermi, alcuni indecisi, altri sbuffando altezzosamente, in particolare Anya Mulciber, che non aveva mai accettato che nella loro compagnia di Serpeverde fosse ammessa anche Dido -“Grifondido”, la chiamava sprezzante. Dido, però, non aveva mai accolto le sue provocazioni: la Mulciber era una ragazzetta stucchevole e rancorosa, indegna della sua attenzione.
«Muoviti, Vane!» la riprese uno degli altri. «Abbiamo ancora venti minuti a piedi da fare!» Quest'ultimo aveva pelle d'ebano e viso da pantera: Cyprian Zabini, altresì conosciuto tra gli studenti dell'ex-Hogwarts come “l'Avvelenatore”.
«Non ci fosse la metro bloccata» borbottò un’altra del gruppo, imprecando contro il tacco vertiginoso che si era incastrato in una grata delle fogne; aveva capelli tinti di biondo platino e il suo abito firmato Genevieve Nesswood era così corto che pareva mutilato: Dione Vane, gemella e copia di Dido ma Serpeverde.
«E’ colpa tua, tesoro» osservò un altro della compagnia, piuttosto allampanato, rivolgendosi a Dione. Octavius Flint, aveva finito da due anni Hogwarts; stava con Dione, che lo usava come momentanea area di parcheggio delle sue brame amorose nella speranza che un giorno Zabini si accorgesse di lei -ma questo, ovviamente, Flint non lo sapeva. «Sei l’unica qui che non ha ancora imparato la Materializzazione e ha paura di fare quella congiunta.»
«Chi se ne importa della Materializzazione!» esclamò Dido richiamando l'attenzione. Stuzzicò il vagabondo con un tacco a spillo dodici, ma quello pareva completamente inerte. «Sapete chi è questa sottospecie di Mollicio per terra? Provate a indovinare!»
Dione sfilò finalmente il tacco dalla grata imprecando e si avvicinò, seguita da Flint che le stava addosso in modo quasi morboso.
«Come vuoi che faccia a sapere chi è quel barbone?» commentò la gemella di Dido gettando al poveraccio una rapida occhiata disgustata. «Non so la tua casa di Grifondoro bigotti, Dido, ma noi Serpeverde non frequentiamo certa gentaglia.»
«Mi spiace contraddirti, Dione, ma frequenti questo Vermicolo almeno quanto me e la maggior parte di voi» ridacchiò Dido.
Si chinò, sollevò con la mano dalle lunghe unghie laccate di rosso il mento del giovane per terra e lo mostrò agli altri.
«Vi presento Hugo Weasley nel peggio di sé.»
Dione si portò la mano alla bocca, sorpresa, Flint fece un’espressione perplessa e Zabini che era rimasto davanti, tornò sui propri passi, interessato. Gli altri mantennero le espressioni annoiate.
«Weasley?» ripeté Zabini. «Sei sicura?»
«Guarda tu stesso» lo invitò allegramente Dido. «Direi che non ci si può sbagliare: sono pochi i pel di carota attrezzati di occhioni azzurri da incantatore come questi.»
«E’ proprio lui» confermò Dione, sorpresa. «Ma che diamine ci fa qui?»
«La domanda giusta è: cosa ci fa in questo stato» commentò Dido, dandogli un leggero schiaffo per farlo rinvenire.
Hugo aprì gli occhi vacui, li fissò qualche attimo e farfugliò qualcosa d’incomprensibile.
«E’ completamente andato» osservò Zabini con disprezzo.
«Che ne dite di una foto?» fece Dione, gli occhi che le brillarono improvvisamente. Dido era l'aspirante giornalista della famiglia, ma Dione era più abile di lei nel creare scandali. «Potrebbe essere un’ottima occasione per iniziare a ricattare un Weasley.»
«Lascia perdere, non ne vale nemmeno la pena con una larva del suo genere» disse Zabini voltando le spalle al Grifondoro disteso a terra. «Probabilmente è andato troppo oltre stasera, o ha scelto donne sbagliate e l’hanno mollato qui dopo averlo ripulito. Gli serva da lezione: ecco ciò che succede a uscire con Babbane e Mezzosangue. Coraggio, andiamocene.»
Dione parve un po’ delusa, ma rimise nella borsa la macchina fotografica che aveva già estratto con avidità e seguì Zabini remissiva. Flint andò loro dietro.
«Dai, Dido, muoviti!» le intimò Dione quando vide che la sorella indugiava ancora accanto al suo compagno di Casa. «Se aspettiamo ancora un po’, la gente interessante se ne sarà già andata via tutta dal Thriambus.»
«Eccomi!» rispose Dido. Si voltò verso Hugo un’ultima volta, esitando: lasciarlo lì in quelle condizioni poteva essere pericoloso. Poi però ricordò le decine di compagne di casa a cui Hugo aveva spezzato il cuore e gli disse con un sorriso maligno: «Sai, se fossi stato chiunque altro ti avrei aiutato. Ma considerato il genere di schifoso puttaniere sei, stai benissimo lì dove ti trovi. Arrivederci, Weasley.»
E s’incamminò per raggiungere la sua compagnia, lasciandosi alle spalle il peggior donnaiolo che Hogwarts avesse visto dai tempi di Sirius Black e James Potter.
Già, perché Hugo aveva decisamente fatto molte cose per cui meritarsi lo stato in cui versava. Peccato che la punizione fosse arrivata dall’unica sua azione che non aveva motivo di essere vendicata; dall’unica volta che aveva amato sinceramente: la volta che il cacciatore era caduto nella sua stessa trappola, insieme alla vittima.
Una vittima terribilmente orgogliosa, insicura e abile negli Incantesimi di Memoria.
Talmente abile che Hugo in un primo istante dopo essere stato stregato, nemmeno ricordava il suo nome e il luogo dove fosse.
Era uscito dall’ufficio –era di suo padre, quasi sempre deserto, e il luogo preferito da Hugo per consumare le sue imprese amorose-, era arrivato in strada e si era incamminato nelle vie buie e deserte della City, perdendosi nel buio. Nella testa, il vuoto.
L’unica cosa, una sensazione affannosa di necessità, di ricerca. Cercava qualcosa. Qualcuno. Doveva dirgli qualcosa. Spiegargli qualcosa, chiarire.
Ma cosa? E chi?
Poi era incappato in Loro.
Non era strano incontrarli. In ogni grande città ce n’è una, ma i Babbani non lo sanno e i Maghi stanno alla larga da loro quando sentono il richiamo che segna il loro arrivo: una specie di scampanellio e un suono di corno lontano. E risa.
Hugo non aveva sentito nessuno di questi suoni, stordito com’era.
E così erano arrivati e l’avevano preso.
La Corte Scontenta, così la chiamavano. O anche solo la Corte.
Ogni tanto annoverava tra i propri membri anche dei Maghi o delle Streghe a caccia di baldoria, ma per brevi periodi; di solito erano sempre elfi rinnegati dai loro simili, folletti di razze oscure e altri strani esseri di dubbie origini. Non erano pericolosi. Erano solo… molesti. E avevano un senso dell’umorismo particolarmente grottesco.
Hugo in futuro avrebbe ringraziato di essere stato troppo confuso per ricordare a quali nefandezze lo avessero sottoposto per divertirsi prima di lasciarlo su un lato della strada, senza forze e privo di sensi.
Si era reso conto di qualcuno che lo punzecchiava e poi lo costringeva ad aprire gli occhi, ma non aveva riconosciuto la compagna di Casa e gli altri Serpeverde. Vedeva troppo sfocato e le voci gli arrivavano rallentate, da enormi distanze.
Cercò di risvegliarsi, di capire, ma prima che uno sprazzo di lucidità gli facesse rendere conto di essere in strada, Dido e gli altri se n’erano già andati da un pezzo. Scosse la testa, ma il momento cosciente passò e sprofondò di nuovo nel limbo.
Poi udì qualcuno dire: «…Weasley? Weasley? Merlino, sei davvero messo male, eh?»
Hugo cercò di aprire gli occhi. Quella voce… gli sembrava di conoscerla…
Aprì gli occhi e vide… una maschera? Sì… una maschera, bianca come gesso, e due occhi da dietro essa che lo scrutavano.
«Chi sei?» bofonchiò a fatica.
«Nessuno. Ora sta buono: ti porterò in un posto con meno ratti e una buona caraffa d’acqua. Se la tua è una sbornia, non c’è niente di meglio di liquidi per fartela passare.»
Hugo provò a dire qualcosa ma non ne ebbe il tempo: sentì due braccia salde come acciaio raccoglierlo e caricarlo su due spalle di ferro. Hugo avrebbe giurato che la voce fosse di una donna, ma nessuna che conoscesse, nemmeno Victoire Weasley che faceva la Cacciademoni, poteva avere una forza del genere.
Il tempo di formulare quel pensiero, rendersi conto di essere di nuovo in grado di riflettere, e una botta alla base del collo lo rispedì nel buio completo.

 

Time waits for no one
So do you want to waste some time
Oh, tonight
Don't be afraid of tomorrow
Just take my hand, I'll make it feel
So much better tonight



Lily attendeva Mesonoxian dentro lo studio, appoggiata al lettino a braccia incrociate.
Era piccola per la sua età, magra come un chiodo, quasi malnutrita. I capelli erano un'unica matassa disordinata: ciocche brune, castane e rosse, giù lungo tutta la schiena fin quasi alla vita. Gli occhi li aveva scuri, che fiammeggiavano come magma vulcanico.
«Tu sei quello che chiamano “il Macellaio”, vero?» gli chiese in tono arrogante.
Mesonoxian non si scompose. «Così mi definisce chi non capisce il valore di ciò che faccio. E tu sei quella che chiamano il Prodigio Potter, vero?» replicò con un sorriso.
«Non chiamarmi così!» scattò Lily.
Mesonoxian rise. «E perché? “Prodigio”… non ti si può definire altrimenti.»
Prese a camminarle intorno, come un lupo con la sua preda, studiandola. «Lily Luna Potter, figlia del Prescelto e della campionessa di Quidditch, figlioccia della Contessa Pendragon e unica erede nominata delle fortune dei Prewett. E Tramutante.» Pronunciò l’ultima parola in modo carezzevole. «Una ragazzina che può assorbire e replicare le proprietà di ogni oggetto magico la circondi. Incantesimi, protezioni... potere.»
Si fermò di fronte a lei. Anche Mesonoxian, come Lily, era tanto magro da apparire denutrito; però era anche alto, e con labbra sottili e pallide.
Le sorrise.
Quella che lui aveva di fronte non era solo la figlia dell’unico uomo sopravvissuto all’Avada Kedavra. Quella che aveva di fronte era un abisso di misteri che Mesonoxian sognava di svelare da una vita.
Lily non si era mossa. Non aveva paura, Mesonoxian glielo leggeva in faccia. Ne fu compiaciuto: sarebbe stato più facile.
«Se hai finito di recitare il mio curriculum, vorrei ci sbrigassimo» gli disse lei sbrigativa.
Mesonoxian rise. «Mi piace il tuo spirito, piccola Potter.»
Si voltò e con uno schioccare di dita spalancò un astuccio ripieghevole in pelle pregiata: un gran numero di strani attrezzi metallici scintillò alla luce asettica della stanza.
Mesonoxian si aspettava che Lily fosse spaventata, ma lei tenne gli occhi piantati su di lui senza cambiare espressione. Aveva ereditato il coraggio dei genitori, notò Mesonoxian, ma non poteva nemmeno mancare della proverbiale curiosità di Harry Potter che l'aveva cacciato in un mucchio di guai. E Mesonoxian non contava su altro che quella.
Mentre sceglieva tra quell'arsenale di roba medica, lei gli domandò: «Cos'hai a che vedere tu con i Tramutanti?»
Il Medimago continuò a darle la schiena mentre rispondeva: «Sono specializzato nei poteri alterati dei maghi. Metamorphomagus, sinestesisti, morfizzati, veggenti, immuni isterici… e tramutanti» concluse voltandosi con uno specillo in mano. «È una vita che studio per scoprire la differenza di un Mago comune da uno con poteri speciali. Non troverai altrove qualcuno più esperto in questo campo. Siediti sul lettino» ordinò e Lily, controvoglia, obbedì.
«Ammetto che i tramutanti sono quelli che m'interessano di più» proseguì lui. «Apri bene gli occhi.» Le scostò con lo specillo la palpebra e le puntò nella pupilla la bacchetta facendola illuminare. «Gli altri hanno un potere tutto loro ma i tramutanti sono i più versatili: possono assorbire qualsiasi proprietà magica semplicemente con la vicinanza, avvertire il potere di chi sta loro vicino, inglobare capacità magiche…» Passò all'altro occhio. «Un metamorphomagus, un immune, un sinestesista saranno sempre quello che sono, ma tu puoi essere tutti loro e altro ancora. Un replicatore naturale di magia che nasce su un milione di neonati.»
Terminato di esaminare, si ritrasse e la guardò. Aveva ancora in faccia quella brama da predatore che si leccava i baffi guardando il suo pasto. «Un potere di cui ancora nessuno ha svelato completamente i segreti.»
Lily si drizzò. «E vuoi essere tu a farlo? Vuoi tagliuzzarmi e studiarmi come se fossi un esemplare di qualche bestia rara? Come hai fatto con i Ghoul, con i tuoi esperimenti da pazzo?»
Mesonoxian sorrise. «Pazzo? E perché?»
Tornò all'astuccio di pelle riponendo lo specillo e si voltò a fronteggiarla. «Perché ho catturato i Ghoul e li ho studiati da vicino come nessun altro ha osato farlo? Perché cerco di carpire il segreto del loro contagio mentre i Medimaghi normali se ne stanno al sicuro dietro una teca di vetro a osservare e cercare di capire semplicemente guardandoli come si combattono quegli esseri? Chi è il vero pazzo? Chi cerca di rimediare drasticamente o chi aspetta la propria rovina senza reagire?»
Lily non rispose. Lo guardò fisso e chiese: «Cosa vuoi da me?»
Il sorriso di Mesonoxian divenne un ghigno. «No, Lily. La domanda giusta è: cosa vuoi tu da me.»
Lei saltò giù dal lettino. «Che metti un autografo su qualsiasi cartaccia dica che devo fare questo test con te e mi lasci in pace.»
Mesonoxian rise e la prese per un braccio mentre si dirigeva alla porta. «Non abbiamo finito.»
Lily si divincolò: per essere così gracile, era forte. «Non c'è niente da controllare, e se sei così esperto di tramutanti dovresti saperlo.»
Mesonoxian la lasciò e andò a sedersi alla poltrona dietro la scrivania, rilassato.
«Lo so, infatti.»
Lily imprecò. «E allora cosa diavolo ci faccio ancora qui, io?»
Mesonoxian richiuse con calma l'astuccio di pelle. «Ti sto dando una possibilità.»
«Che cazzo stai dicendo?»
L'altro continuava a sorridere in un modo che cominciava a far prudere le mani a Lily. «So cosa vuoi, Lily Potter. È quello di cui sentono il bisogno tutti quelli come te, non puoi negarlo: la normalità.»
Lei, a disagio, si ficcò le mani in tasca. «E quello di cui hanno bisogno quelli come te è una bella dose di Shockantesimi» ribatté, ma il suo tono era meno belligerante di quanto volesse farlo suonare.
Mesonoxian nemmeno la ascoltò. «Io sono un maestro di alterazioni, Lily. Ma non posso fare miracoli, solo magie, e per farle mi servono studi, mi serve materia. Mi serve qualcuno con cui lavorare.»
«Vorrai dire “su cui lavorare”» ribatté Lily disgustata.
Lui proseguì come se niente fosse. «Se tu collaborassi, potremmo trovare un modo. Una via per trovare la fonte dei tuoi poteri e magari bloccarla. Farti diventare una strega qualsiasi. Non la ritieni una risposta allettante?»
Lily esitò per un attimo.
Mesonoxian soffocò un sorriso di compiacimento: sapeva cosa stava passando per la testa alla giovane Potter.
Dubbi. Dubbi, paure e, forse, una scintilla di speranza.
«Non dovresti più fare controlli ogni mese» rincarò per confonderla. «Non dovresti sottostare alle raccomandazioni di istruttori specializzati. Potresti fare lo sport che vuoi, gareggiare, diventare una campionessa come tua madre…»
Lily fece una risata che non aveva nulla di divertito e scosse la testa. «Se anche fosse, starebbe proprio qui il problema. Mia madre non accetterebbe mai.»
Mesonoxian si alzò e le si parò di fronte, abbassando il viso all'altezza del suo con un sorriso inquietante. «E se ti dicessi che tua madre acconsentirebbe?»
Lily rimase un attimo in silenzio prima di replicare. «Così come ha acconsentito a lasciarmi entrare qui dentro da sola?»
Lui scrollò le spalle. «Più o meno.»
Lily s'insospettì. «Con lei hai un qualche coltello dalla parte del manico, questo è evidente. Ma io non sono mia madre: non hai niente per convincermi a darti retta.»
«Non minaccio tua madre» commentò Mesonoxian voltandole la schiena e raggiungendo la parete opposta. C'era uno strano bracciale intagliato appeso lassù, un qualche reperto antico prezioso, immaginò Lily; lui prese a fissarlo assente. «Le sono solo stato raccomandato da una persona di cui si fida.» Guardò Lily. «La decisione è tutta tua, Lily. Pensaci.»
Lei rise sprezzante. «Decidere di buttarmi di mia volontà nelle grinfie di uno che chiamano Macellaio? Mi hai preso per una stupida?»
«Non ti chiedo una risposta subito. Pensaci e quando avrai deciso, torna da me.»
Non ci fu tempo di aggiungere altro perché in quel momento la porta si spalancò e nello studio fece irruzione Harry Potter in persona, seguito da una Ginny furiosa che cercava di trattenerlo per un braccio.
Harry aveva capelli e vestiti in disordine, ma il suo viso era quello fiero dell'uomo che aveva distrutto Voldemort.
Mesonoxian si raddrizzò di scatto e sorrise al nuovo venuto.
«Benvenuto nel mio studio, signor Potter. Non ho sentito il mio assistente annunciarla, o le avrei fatto trovare del tè. Sono rare le visite di personalità così di spicco del Ministero.»
Harry non gli badò affatto: lo sguardo era andato subito a cercare sua figlia, a un passo da lui.
«Lily, stai bene?» chiese Harry scosso.
Lily di primo impatto sentì il cuore sobbalzare alla vista del padre che non vedeva ormai da mesi. Poi il suo cervello, come azionato da un meccanismo di autodifesa, visualizzò il loro ultimo incontro sulla porta di Grimmauld Place e la rabbia la invase, tempestosa.
«Cosa ci fai qui?» domandò, gelida.
«Sono venuto a prenderti, tesoro» balbettò Harry: era preparato a non essere accolto a braccia aperte, dopo che Lily non aveva più voluto rivederlo, ma vedere l'odio negli occhi della figlia lo feriva più di quanto avesse immaginato. «Ti devo portare via di qui… lontano da lui» aggiunse, rivolgendo a Mesonoxian un’occhiata di fuoco.
«In realtà non avremmo finito ancora il controllo di ruotine, ma suppongo che possa anche chiudere un occhio di fronte al Prescelto…» asserì il Medimago pacatamente.
«Harry!» irruppe Ginny con la voce che vibrava di rabbia. «Che cosa stai facendo? Sei impazzito? Il dottor Mesonoxian sta solo facendo una visita a Lily…»
«Il dottor Mesonoxian ha fatto portare te e Lily qui corrompendo un Auror» ruggì Harry. «Percy aveva dato istruzioni che foste scortate a casa. Non so di che visita di controllo stia parlando, ma è tutta una scusa per poter avere Lily tra le mani! Vero, dottore?»
Mesonoxian non diede cenni di colpevolezza.
Anzi, si sfilò gli occhiali e tirò fuori un panno per pulirli con l'aria più calma del mondo. «Non so di cosa lei stia parlando, Potter. La visita di controllo dopo un attentato è la prassi dal decreto di emergenza sui Ghoul uscito tre mesi fa. Ma se il Ministro ha dato istruzioni di infrangere tale decreto per i membri della sua famiglia, forse dovrebbe informarne anche il resto del mondo.»
La sua voce era serena, non tradiva alcuno stato d’animo diverso dalla più completa innocenza.
Harry era livido. «Lei ha fatto in modo che Robert Yale intercettasse mia moglie e mia figlia prima di Dunn.»
«Ex-moglie» lo corresse Mesonoxian con malcelato sadismo. «E temo di non seguirla, signor Potter. Io non ho assoldato nessun Auror, sia perché non ne avrei alcun bisogno, sia perché non vedo come sarebbe possibile, dato che sono tutti perfetti agenti fedeli al Ministero e al Ministro. O sbaglio?»
Harry era paonazzo: sembrava volesse prendere a pugni Mesonoxian, ma grazie a Merlino si trattenne.
«Se non mi crede» aggiunse il Medimago, che ancora non aveva finito di infierire «può interrogare tutti gli Auror che le pare. Suppongo che tra essi troverà questo presunto Robert Yale e scoprirete che io e lui non sapevamo nulla della reciproca esistenza fino a che non ce l’ha accennata lei, signor Potter.»
«Harry» aggiunse Ginny, vibrante di rabbia, «non so cosa sia preso a te e Percy, ma se cercate criminali non li troverete nello studio del dottor Mesonoxian ma liberi per le strade di Londra a organizzare attentati!»
Harry guardò da Ginny a Lily: erano entrambe schierate contro di lui.
Lui, un tempo il pernio della loro famiglia, parte fondamentale del legame che li teneva uniti.
«Come preferisci, Ginny» si arrese, sconfitto. «Ma lascia che ti chieda solo una cosa, per amore della famiglia che eravamo un tempo: esci da questo ufficio con Lily e non rimetterci più piede.»
Ginny parve sul punto di negare, di rifiutare la richiesta dell’uomo che un tempo amava, ma Mesonoxian intervenne prima che l'ex-moglie sferrasse il colpo finale a Harry.
«Credo che sia meglio fare come dice il signor Potter, signora Weasley. Lily, pensa bene a ciò che ti ho detto. Arrivederci.»
«Grazie, dottore» disse Ginny con la voce ancora tremante. «Arrivederci.»
Mesonoxian fece un cenno a Lily, che lo fissò qualche attimo e poi si voltò, seguendo sua madre e suo padre senza salutarlo.
Mesonoxian non se la prese.
Perché mentre Harry Potter, Ginny Weasley e la loro figlia uscivano dal suo studio, sentì che chi aveva trionfato, lì dentro, era lui.
Aveva battuto Harry Potter.
Ginny la teneva in pugno già dalla volta che le era stato presentato.
E Lily… bè, per Lily doveva aspettare.
Ma Mesonoxian sapeva essere paziente. Inoltre, era sempre stato un ottimista.
Chiuse la porta e volse le spalle alla porta e tornò al suo astuccio di pelle di ottimo umore.
«Hatzot» disse una voce dietro di lui.
Mesonoxian sussultò e si girò di scatto.
Lì, appoggiato alla porta e arrivato da chissà dove, c'era un ragazzo dai capelli bruno-rossastri spettinati e il viso magro e tirato. Aveva un involto di stoffa grigio argento sotto il braccio destro e le mani ficcate nelle tasche dei jeans.
Mesonoxian rimase un attimo attonito, poi sul suo viso si disegnò un sorrisetto. «Da quanto sei lì?»
«Abbastanza da averti inquadrato, Fariseo
Mesonoxian fece una smorfia sprezzante nell'udire quel nome: apparteneva a un passato che ormai si era lasciato alle spalle. E a un luogo molto lontano. «Sei stato a Babele, non è vero, Albus Potter?»
Al avanzò di un passo e posò l'involto di stoffa sul lettino tra sé e Mesonoxian: era il mantello dell'invisibilità di suo padre; lo aveva usato per entrare inosservato nell'ospedale Materializzandosi nei bagni.
«A Babele non sei molto popolare» osservò, pacato. «Fare domande sul tuo conto è un crimine sufficiente per essere buttati fuori dalla città.»
«Eppure, se sei qui, significa che qualcuno ha parlato» osservo l'altro continuando a sorridere. Era un sorriso cauto, di quelli che potrebbe fare un serpente che sta valutando se chi ha di fronte è una preda o un predatore.
Al sorrise a sua volta, e dello stesso sorriso: anche lui era all'erta. «Non giochiamo con qualcosa che può ucciderci entrambi, Hatzot. Io so di te più di quanto è lecito, e lo stesso vale per te: puoi immaginare perché sono venuto da te, vero?»
Mesonoxian si accigliò e lo squadrò da capo a piedi. Nei suoi occhi ci fu un lampo di comprensione. «Sì…» mormorò, leccandosi le labbra. «Sì, ora capisco. Anche tu, quindi. Te lo ha detto lui?»
Al serrò la mascella. Dopo un istante di silenzio confessò: «Avrei voluto. Non sarei arrivato fino alla Porta degli Dei per scoprire che l'unico che può fare qualcosa per me era a un passo da casa mia. Ma ora lo so, e sono tornato.»
Mesonoxian aggirò il lettino per raggiungerlo. «Per chiedere aiuto a me?»
Al alzò lo sguardo per fissarlo negli occhi: Mesonoxian era più alto e più esperto di lui. Ma Al era determinato. E disperato. «Aiutami» disse, ma non stava implorando: lo stava ordinando. «O ti rovinerò, Fariseo.»
Mesonoxian rimase per un attimo spiazzato dal tono così sicuro di sè; così definitivo con cui lo aveva appena minacciato. «Stai giocando un gioco pericoloso, ragazzo» gli fece notare, serio. «Io potrei fare lo stesso con te. E…» si chinò e accostò il viso a quello di Al, «e con la tua famiglia.»
Al non distolse lo sguardo. «Non scommettere con me, Fariseo: perderesti. Non sai quanto possa valere la mia famiglia come posta a un gioco tra noi.»
Mesonoxian restò immobile per qualche attimo, incerto. Diceva sul serio o bluffava? Aveva solo un modo per scoprirlo.
Si drizzò. «Le scommesse non mi hanno mai dato soddisfazione.» Fece una pausa, poi affermò: «Ti aiuterò.»
Si volse verso la scrivania, incrociando le mani dietro la schiena, e si mise di nuovo a fissare il bracciale. «Ma solo per quanto mi è possibile. Posso fare quello che ho fatto per lui. Per fare di più, non mi basta avere te.»
Al taceva.
Mesonoxian si girò a guardarlo. «Mi serve tua sorella.»
Gli parve di vedere qualcosa contrarsi nel viso di Al, ma era stato un movimento così sfuggente che poteva esserselo solo immaginato. Mesonoxian serrò la mascella, in parte infastidito e in parte ammirato della capacità dell'altro di nascondere i suoi sentimenti.
Al, l'espressione di pietra, chiese atono: «Lo hai chiesto anche a lui?»
«Sì, ma ha rifiutato.» Mesonoxian non gli levava gli occhi un secondo. «Tu, invece, che cosa mi risponderai, Albus?»
Quanto valeva la sua famiglia nel loro gioco?
Al esitò. Poi, serio, affermò: «Io rispondo sì.»
E il gioco cominciava. La posta era la più alta mai giocata.

 

Take a breath, take it deep
Calm yourself, he says to me
If you play, you play for keeps
Take a gun, and count to three



 

«Ti ringrazio, Malfoy. Hai fatto un buon lavoro.»
Scorpius sedeva in una delle poltrone di fronte alla scrivania del Ministro, composto e regale come solo uno del suo sangue poteva essere.
«Ma non basta» osservò il giovane Malfoy, grave. «Vuole qualcos’altro da me, vero?»
Percy incrociò le mani sul ripiano di legno che lo separava da Scorpius. «Sì. Non posso ancora restituire ai tuoi genitori le proprietà espropriate. E, anche se lo facessi, se ne farebbero ben poco finché saranno costretti a restare in esilio.»
«Se l’Ira fosse annientata potrebbero tornare. Le loro vite non sarebbero più costantemente minacciate» asserì Scorpius pacato.
«Ti do la mia parola che presto l’Ira sarà definitivamente detronizzata» dichiarò Percy. «Ma mi serve ancora tempo. E, nel frattempo, mi servi anche tu.»
Malfoy strinse le mani sui braccioli. «Cosa devo fare?»
«Quello che hai già cominciato.» Percy sorrise. «Resta accanto alla figlia di Harry Potter. Custodiscila. Proteggila. E, soprattutto, fallo in segreto.»
Scorpius rimase immobile qualche secondo, poi fece un cenno impercettibile con il capo. «Può contare su di me, signore.»



Night gathers, and now my watch begins.






{Credits:   Thriambus   è un inno a Dioniso nonché un epiteto per il dio stesso. Marc Jacob è una marca di abiti babbana realmente esistente. La Corte Scontenta è un elemento presente nelle leggende celtiche con vari appellativi.
  Hurts, Illuminated; Rihanna, Russian Roulette; George R.R. Martin, A Song of Ice and Fire}

 

Note di Mue:
Ed eccomi tornata a voi.
Perdonate se non vi ho avvisati nello scorso capitolo ma ho preso due settimane di vacanza dalla scrittura per dedicarmi agli amici prima di iniziare al lavoro e, successivamente, a cominciare il lavoro.
È stato un bene perché questo capitolo, sebbene già scritto da un po', aveva bisogno di stare a riposo ancora un pochino per le ultime modifiche prima di soddisfarmi appieno.
L'inizio di questo capitolo è uno dei miei preferiti: adoro descrivere le atmosfere notturne e adoro inserire in ambienti urbani o inconsueti elementi fiabeschi o folcloristici come la Corte Scontenta. La canzone della citazione è inoltre stata la prima della lunga serie di musiche che mi hanno e tuttora mi ispirano quando scrivo questa storia.
Adoro allo stesso modo anche l'ultima citazione, un verso del giuramento che compiono i Guardiani della Notte dei libri di George Martin, di cui da anni sono appassionata.
Passando a discutere di elementi tecnici, sono consapevole che spesso il punto di vista narrativo salta di qua e di là. So che, in linea generale, è preferibile evitarlo per non confondere il lettore, ma sto sperimentando in vari modi se è possibile infrangere questa regola e mantenere comunque la storia chiara e scorrevole. Se trovate che qualcosa non vada, fatemelo sapere.
Infine ho un piccolo appunto per il capitolo precedente: il Patronus diretto a Grimmaul Place, quello di Percy che avvisa Harry, era inizialmente un cavallo ma ho scoperto che già Ginny neha uno di questa forma, perciò l'ho cambiato in una pantera. Se vi sembra un animale poco adatto a Percy, non badatevi: c'è una spiegazione.
E con questo termino queste lunghissime note d'autore.
A presto con il nuovo capitolo.
Vostra Mue.
 

   
 
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