Ultimo capitolo!
Grazie a tutti quelli che hanno recensito, seguito e anche soltanto
letto
questa storia! Il sostegno che mi date significa tantissimo per me,
soprattutto
in un periodo per me non troppo facile come questo, che spero passi in
fretta!
Un
bacio a tutti!
“Visto John? Non era
difficile.”
John scosse la testa,
sprezzante.
“Avrei preferito non saperlo.”
Il silenzio che seguì fu
pregno di un disagio palpabile, un malessere che contagiava il cuore e
la
mente.
“Preferiresti che non
fossi qui, John.”
Un’affermazione. Non una
domanda.
“Io non voglio sapere. Tu
non sei davvero qui. Tu sei morto, cazzo” disse John, con la
voce ovattata,
parlando contro il palmo della sua mano.
“L’evidenza dice il
contrario, ho il dubbio.”
Finalmente, John alzò gli
occhi e lo guardò, tenendo lo sguardo fisso su di lui a
studiarne ogni
particolare, ogni dettaglio che potesse dirgli che non era lui, che era
un
impostore, un maledetto e perfetto chiunque
deciso a fargli un macabro scherzo.
Anche con quella
pettinatura diversa però, con le ciocche scure
più corte e meno folte e un
accenno di barba incolta, John non aveva il minimo dubbio che
quell’uomo fosse
davvero il suo migliore amico. Il suo tutto.
Il suo Sherlock.
“Perché?” domandò, senza
urlare questa volta. Non aveva più forza dentro di
sé, ne voglia di proseguire
con quell’astio che lo stava consumando.
“Perché?”
“Perché dovevo” rispose
Sherlock, senza indugio.
“Tu dovevi.”
“Dovevo, John.”
John rise, pieno di
risentimento, stringendo le mani l’una nell’altra.
“E ovviamente non ti è
minimamente passato per la testa che avrei…preferito
sapere…” si bloccò,
stringendo gli occhi per impedire in tutti i modi alle lacrime di
scendere. “…tutto
questo, cazzo? Oppure il tuo stupido, schifoso ego trovava una qualche
soddisfazione perversa nel vedermi…distrutto?”.
Sherlock si adombrò, per
un secondo, in un visibile e tangibile disagio.
“Non puoi dire una cosa simile, John”
esclamò, sconcertato. “Tu non
sai…”
“E’ vero, io non so. Io
sono sempre l’ultimo a sapere. Io sono sempre
l’ultima ruota del carro, quello
troppo stupido per stare dietro all’intelligentissimo
Sherlock Holmes!” si
sfogò John, sputando addosso a Sherlock tutta la sua
frustrazione, tutto il suo
dolore, tutta la pena accumulata in quegli orribili tre anni. Come
aveva potuto
fargli una cosa del genere? Come aveva potuto lasciarlo così?
“Questo non è vero. Lo sai.”
“I fatti dicono altro.”
“I fatti si sbagliano,
John. Io non ho mai voluto farti del male in nessun modo. Se ho fatto
quello
che ho fatto è perché è stato
necessario. Perché ne andava della tua
vita.”
John lo fissò, senza
capire. In che modo c’entrava, la sua vita?
“Che vuoi dire?” chiese,
esitante. Forse però, avrebbe preferito non sapere.
L’altro non rispose.
John chiuse gli occhi,
spingendosi le nocche contro la fronte, per cercare di non perdere
nuovamente
la calma.
“Sherlock. Tu mi devi una
spiegazione.”
Sherlock boccheggiò,
cercando il modo migliore di dire qualunque cosa avesse intenzione di
confessargli.
“Tre proiettili. Uno per
te, uno per Lestrade, e uno per la Signora Hudson. Se non mi fossi ucciso, sareste voi quelli in una tomba
ora. E voi per davvero”
sottolineò,
in una sorta di macabro umorismo.
John rimase in silenzio,
senza sapere esattamente cosa dire, con una quantità
mostruosa d’informazioni,
immagini, fatti, ritagli di giornale che si avvicendavano nella sua
mente come
una sorta di vorticoso film, come se qualcuno avesse premuto il tasto fast forward sull’immaginario
telecomando dei suoi pensieri.
“Proiettili. Moriarty”
disse John, come se tentasse di riepilogare quel sovraccarico di
informazioni
in due sole parole.
Sherlock annuì,
guardandolo grave.
“Moriarty. Ha capito dove
colpire per essere sicuro di affondarmi” spiegò, e
il cuore di John mancò un
battito. Il dottore guardò Sherlock, senza parlare, e poi
chinò lo sguardo.
Sentì Sherlock agitarsi.
“L’ho fatto solo per voi, John. Per te. Per noi”
Sherlock si alzò dall’altalena e
s’inginocchio davanti a John, prendendogli le
mani nelle sue, nel gesto più sincero, più intimo
che il detective gli avesse
mai riservato.
Le mani di John tremarono
per un secondo al contatto, come se avessero appena toccato acqua
bollente, ma
non si ritrassero.
“Tu sei scappato, però”
gemette John all’improvviso, cercando di ignorare la figura
rannicchiata di
fronte a lui, cercando di ignorare il sentimento di profonda pena che
gli stava
afferrando il cuore. Lui era arrabbiato, lui era furioso. Lui doveva esserlo.
“L’ho fatto” ammise Sherlock a bassa
voce, intrecciando le sue dita con quelle
di John, che però non strinse la presa.
“Non sono stato io questa volta. Stavolta tu sei fuggito, tu sei andato via da tutto
quanto. Da me” sussurro
il dottore. “Quando mi avevi chiesto di smettere di
farlo, quando mi avevi chiesto di rimanere con te”.
Sherlock annuì, grave. Portò
poi la mano di John alle sue labbra e la baciò, in un gesto
pieno di dolcezza e
tenerezza che John non si sarebbe mai aspettato dal detective ma che lo
fece
letteralmente tremare.
“Io avrei voluto dirti
ogni cosa. Io avrei voluto che tu sapessi.”
“Non l’hai fatto, però.”
“Non ho potuto. Volevo che
tu fossi al sicuro, il più possibile”.
John deglutì, con ancora
un groppo enorme in gola.
“Lontano da me. Per tre anni.”
“Per il tempo necessario.”
“Necessario per
cosa?”
Sherlock sussultò,
allentando la presa sulle mani di John e sistemandosi meglio nella sua
scomoda
posizione. John avrebbe voluto dirgli di alzarsi, di sedersi, ma vedere
Sherlock in quel modo, così dolcemente sottomesso da un sentimento, gli donava una dolce parvenza
di sollievo.
“Per…neutralizzare il
pericolo. Definitivamente” disse, evasivo. John
capì che quello era un
argomento su cui Sherlock non avrebbe voluto soffermarsi.
“Hai…ucciso?” domandò John,
senza nemmeno sapere perché. Era qualcosa che sentiva,
dentro.
Sherlock lo guardò per un
secondo con un lampo quasi spaventato, nei suoi begli occhi chiari.
“Ho fatto cose di cui non
vado fiero, John.”
John lo interpretò come un
sì. Chiuse gli occhi e finalmente strinse le mani di
Sherlock a sua volta. Il
detective lo interpretò come un segnale positivo e sorrise a
John, portando
l’altra mano ad accarezzargli una guancia dolcemente. John
fece lo stesso con
Sherlock, ma le sue dita mapparono a fondo ogni frammento del suo viso,
dai
capelli corti alla fronte, dalla curva del naso all’arco di
cupido delle
labbra; accarezzò gli zigomi taglienti, la curva armoniosa
del mento e la
superficie liscia del lungo collo come per assicurarsi che fosse
realmente lì,
che quella non fosse solo una fantasia o un’allucinazione.
E il calore sotto le sue
dita e la carezza del respiro di Sherlock sulla sua mano, gli dissero
che lui
era davvero lì, davvero con lui, vivo e vegeto.
“E la cosa di cui vado
meno fiero è l’averti lasciato solo,
John.”
John tirò su col naso,
facendo sempre più fatica a trattenersi.
“E anche per avermi fatto
desiderare di seguirti, maledetto pazzo?”
Sherlock piegò le labbra
in un sorriso esitante.
“Non pensavo che ti avrebbe fatto quest’effetto,
John. Vederti così è
stato…è
stato...non so dire cosa
è stato. Non
piacevole, comunque”.
Inaspettatamente, quella
frase provocò in John una risatina divertita.
“Tu non pensavi che sarei
stato distrutto dalla tua perdita?”
Sherlock sembrò arrossire,
preso in contropiede.
“Non pensavo…così.
Insomma, hai
vissuto una guerra, io credevo di trovarti…preparato. Invece
mi hai sorpreso”
ammise, guardandolo sottecchi. John rise ancora.
“Eppure tu sai sempre
tutto.”
Fu il turno di Sherlock di
ridere, poi.
“Non è vero. Me lo dicevi
sempre” esclamò, immerso in un vivido ricordo.
John strinse la sua mano ancora
più forte.
“Oh è vero. Il Sistema
Solare.”
“E il Primo Ministro... ”
“L’ultimo scandalo al
Matrimonio Reale… ”
“O il fatto che Harry fosse il diminutivo di
Harriet” ricordò Sherlock, allargando ancora di
più il
suo sorriso.
“Quella è stata veramente divertente,
Sherlock” convenne John, con una nota incredibilmente dolce,
nella voce.
Rimasero poi in silenzio, godendosi solo il rumore del vento che
scivolava tra
le fronde, scuotendole come fossero corde di un’arpa.
“Perché qui, Sherlock?”
domandò poi John, all’improvviso. Era giunto il
momento di abbattere quel muro
di omertà. Voleva sapere, ne aveva il diritto. Doveva.
“Perché qui è cominciato
tutto” spiegò Sherlock guardandosi intorno.
“Perché qui la mia vita è cambiata
senza che io nemmeno lo sapessi.”
John non parlò, non ce
n’era bisogno. Aveva capito perfettamente quello che Sherlock
intendeva.
“So che ti sei chiesto
perché io… perché io non ti abbia mai
detto nulla per permetterti di rivederci”
bisbigliò, e il cuore di John fece un balzo. “So
che ti sei domandato perché
non ti abbia mai detto prima il mio nome, o una qualunque altra cosa su
di me”.
John annuì, il cuore ormai
simile ad un tamburo. Fissò Sherlock negli occhi, senza
staccare nemmeno per un
secondo gli occhi da lui, senza prestare più attenzione a
nulla se non al viso
del detective. Sarebbe potuta scoppiare una guerra attorno a loro e lui
non se
ne sarebbe minimamente accorto.
“Avevo paura di questo, in
realtà” ammise Sherlock con una certa
difficoltà. “Avevo paura che potesse
succedermi quello che poi è successo” si
fermò, come bloccato da qualcosa.
Pensieri, parole inespresse, timore.
“Di affezionarmi a
qualcuno talmente tanto da cominciare a tenere a lui più che
a me stesso.”
Le mani di John tremarono
ancora, e stavolta tanto forte da preoccuparlo per un momento. Una
lacrima
scivolò inevitabilmente lungo la sua guancia fino a finire
sul dorso della mano
di Sherlock, che guardò quella goccia solitaria come se
fosse un tesoro
inestimabile, con lo stesso sguardo che riservava di solito a un
esperimento
particolarmente riuscito. Con un dito, percorse il tragitto di quella
lacrima,
accarezzando la guancia di John e raccogliendo quella scia bagnata e
salata
fino a portarla alla bocca, appoggiando appena la punta del dito sulle
labbra.
Poi chiuse gli occhi.
“Ed è stata una cosa tanto
brutta quando alla fine hai…ceduto?” chiese John,
sicuro di sé, anche se con
voce leggermente rotta dall’emozione. Perché
Sherlock alla fine aveva ceduto, e
lui, John, era stato colui che aveva infranto quella corazza.
“No, non lo è stata. Io
non potevo saperlo, però” spiegò e John
accennò un sorriso triste e dolce allo
stesso tempo. “Non volevo legami perché ho sempre
saputo che quello che avrei
fatto un giorno, che quello che sarei diventato
avrebbe potuto comportare rinunce, sacrifici, perdite. E non volevo che
qualcun
altro patisse a causa mia”.
John gemette,
riconoscendosi perfettamente in quelle parole. Poi, inaspettatamente,
rise, sentendo
una strana felicità cominciare a pervaderlo.
“Già da ragazzino
immaginavi che avresti avuto un arcinemico,
qual è il termine…oh, psicopatico
che ti avrebbe costretto a un gesto drastico?” chiese John,
godendosi il calore
di quella sensazione nuova. “E’ proprio da
te, Sherlock, indubbiamente. Io da bambino al massimo pensavo
a come, da
grande, l’avrei fatta pagare a Terry Boones per avermi rotto
la bicicletta”.
Sherlock rise anch’egli,
con gli occhi spalancati, accesi, visibilmente colmi di sollievo nel
vedere
John riprendersi, a poco a poco.
“Perché siete tutti degli
idioti, John” disse, poggiando la fronte sulle mani
intrecciate.
John poggiò il capo sulla
testa di Sherlock, posandovi un bacio dolce, spontaneo.
“Tutti quanti, è vero”
convenne John, sollevandosi e ritraendo una mano dalla stretta di
quelle di
Sherlock per sollevare il mento dell’amico. Portò
il suo viso alla sua altezza,
così che i loro volti fossero vicini, vicinissimi, tanto da
sentire il calore
dei loro rispettivi respiri.
“Ed io sono pazzo”
aggiunse poi John, in un sussurro. Sherlock sembrò agitarsi.
“No, non lo sei. Te l’ho detto, sono
vero” esclamò ancora il detective, con
timore, come se avesse paura che John non fosse ancora convinto.
“Non per quello, Sherlock”
lo corresse poi il dottore, avvicinandosi ancora. “Per
questo.”
Sherlock non riuscì a
prevedere l’arrivo di quel bacio, ma non si sottrasse, e non
desiderò affatto farlo,
neppure per un momento. Le labbra di John erano morbide, leggermente
screpolate
ma indaffarate in una danza leggera e amorevole dalla quale Sherlock si
sarebbe
lasciato trasportare per sempre, una danza di cui conosceva i passi e i
movimenti ma alla quale era sempre mancata la musica, la più
dolce, la più
perfetta. E quella musica, era John.
John era su un altro
pianeta ormai, e gli sembrava di librarsi almeno dieci centimetri dal
terreno.
Non percepiva più nulla intorno a lui se non la bocca di
Sherlock, la sua
lingua che sfiorava esitante la propria con fare timido ma coraggioso,
le mani
che vagavano per i loro visi come se non necessitassero
d’altro che il contatto
pelle contro pelle. Sarebbe potuto finire il mondo in quel momento, e
John lo
avrebbe accettato, di buon grado.
“John” sussurrò Sherlock
sulle sue labbra con fiato corto, come dopo una lunga corsa.
“Sei pazzo
davvero.”
John sogghignò, felice,
appagato dopo tanto, troppo tempo. Lo aveva baciato. Aveva baciato
Sherlock ed
era stata la sensazione più bella e meravigliosa che avesse
mai provato. Non
era stato affatto come lo aveva immaginato. Era stato dieci, cento, mille volte migliore.
“Bisogna essere pazzi per
innamorarsi di te” disse, con sguardo eloquente.
“ma non sono mai stato così
felice di esserlo in vita mia”.
E fu la cosa più
vera, sincera, sentita che
avesse mai pronunciato in tutta la sua vita.
Lo amava, lo amava in
maniera viscerale, profonda, totale. E tornando indietro nel tempo,
scorrendo i
ricordi come pagine di un libro, si accorse di amarlo da sempre, dal
primo
giorno in cui aveva posato i suoi ingenui occhi di bambino su di lui.
“Ed io sono felice che tu
lo sia” Sherlock lo strinse a sé con forza, come a
catturarlo in una stretta
dalla quale non sarebbe mai potuto fuggire. “Più
di quanto tu possa
immaginare.”
John ricambiò il suo
abbraccio, allacciando le braccia intorno al detective con la stessa
intensità.
“Ricominceremo, Sherlock?”
gli domandò, pregando che le labbra di Sherlock
pronunciassero le parole
sperate. Il detective sorrise, allentando la presa e allontanandosi.
“Solo se tu lo vuoi quanto
me”.
John annuì.
“Lo voglio con tutto il
cuore.”
Sherlock si sistemò la
camicia e si mise in piedi, con un sospiro profondo, come se si stesse
preparando a declamare un discorso davanti ad una folla. Poi porse la
mano
destra a John, con un sorriso.
“Sono Sherlock Holmes.
Consulente investigativo e sociopatico ad alta
funzionalità” disse, muovendo la
mano verso John, attendendo una sua risposta. John sorrise.
“Sono John Watson, medico,
ex soldato e…assistente-consulente”.
“Fratello di un membro minore
del Governo Britannico con manie
di grandezza” riprese Sherlock, attento.
“Fratello della donna più
inaffidabile e problematica del mondo che però, mio
malgrado, amo follemente”
continuò John, divertito.
“E dimentichi ‘completamente
pazzo’ ” Sherlock sussurrò,
avvicinandosi di nuovo alla bocca di John.
“Questo è evidente” John
catturò
nuovamente quelle labbra perfette in un bacio veloce, intenso.
Si guardarono a lungo,
senza parlare, senza che ce ne fosse bisogno. La sola presenza
l’uno dell’altro
bastava, ad entrambi. E sarebbe potuta bastare per tutta la vita.
“John Watson ha smesso di
scappare tanto tempo fa, sai?” John ruppe in silenzio con un
bisbiglio, sulla
bocca di Sherlock. “Perché Sherlock Holmes gli ha
fatto capire che non era più
necessario.”
Il detective lo guardò
negli occhi intensamente, come se cercasse di parlare con il suo solo
sguardo.
“Sherlock Holmes invece è
fuggito, anni fa. E’ fuggito, andando contro ogni suo ideale,
dopo aver detto
tante volte a John Watson che scappare era da stupidi, da deboli” Sherlock
sussurrò lentamente, come se stesse raccontando
una fiaba a un bambino sulla soglia di un sonno profondo.
“Ora però è tornato. E il
suo ritorno potrebbe cancellare ogni dolore passato, per John Watson.
Adesso
però c’è da chiedersi se Sherlock
Holmes rimarrà”
John lo imitò e le loro fronti si sfiorarono, appoggiandosi
l’una all’altra,
come se necessitassero l’una del sostegno
dell’altra. “Sherlock Holmes ha
smesso di scappare?” domandò infine John,
trepidante, ponendogli finalmente
quella domanda piena di responsabilità, timori, paure.
Quella domanda di cui
temeva terribilmente la risposta.
Sherlock sorprese John una
volta ancora, con la reazione a quella domanda. Pensava di aver visto
il suo
migliore amico in tutte le diverse sfumature del suo carattere, in ogni
possibile travestimento, in ogni sua minima sfaccettatura umana. Quello
che
John non aveva mai visto fare a Sherlock era piangere,
e il viso del nuovo Sherlock, quello Sherlock Holmes
rinato che ora aveva davanti, si stava rigando pian piano di lacrime
sottili.
E non erano lacrime di dolore.
“Lui non fuggirà mai più,
mai” disse al medico, che dolcemente aveva preso a
raccogliere quelle lacrime
con piccoli baci. “Lui ha trovato il suo porto sicuro, ora. E
spera che John
gli creda perché lui è sincero”.
John annuì, con occhi
socchiusi, come se le iridi azzurre di Sherlock fossero gemme dal
bagliore
accecante.
“Io gli credo. Dio mi aiuti”
scherzò, e Sherlock rise, asciugandosi gli occhi umidi con
il polsino della
camicia.
“Bisogna suggellare il
patto, adesso” propose poi il detective, fingendosi serio,
con voce ancora
instabile. John ridacchiò.
“Mi basta la tua parola,
anche se non dovrei fidarmi”.
Sherlock scosse la testa.
“Per questo insisto.
Voglio fare le cose per bene”.
A quel punto John si
avvicinò ancora di più a Sherlock, tanto da poter
quasi percepire sulla pelle
le vibrazioni della voce baritonale dell’uomo di fronte a lui.
“Allora se insisti, ti
accontenterò” gli accordò, sorridente.
“Voglio solo un altro bacio”.
Sherlock alzò un
sopracciglio, come se fosse sorpreso dalla richiesta del dottore.
“Che scarsa fantasia,
John”.
John arricciò il naso.
“Ora ti riconosco
Sherlock”.
“Dico solo che ti ho
baciato fino ad ora. Mi sarei aspettato qualcosa di più significativo”.
John gli diede uno
schiaffetto sulla nuca, scherzosamente.
“Un bacio è
significativo!”
Il detective sbuffò.
“Pensavo più a qualcosa
messo per iscritto, non so un…contratto?”
propose, per poi pentirsene davanti all’espressione
sbigottita di John. “Ma
dimenticavo che sei un inguaribile romantico”.
John scoppiò a ridere.
“E tu sei
irrimediabilmente troppo serio! Un contratto!”
ripeté, come se non concepisse
nemmeno l’idea. “Cento volte meglio il mio
bacio”.
“Se lo dici tu”, liquidò
la cosa Sherlock.
“Vai a quel paese,
Sherlock”.
Sherlock schioccò le labbra.
“Va bene, va bene, va
bene. Farò questo sacrificio”
esclamò
Sherlock, accondiscendente. “Spero che basti davvero solo un
bacio”.
John rise, ripensando al
battibecco giocoso appena conclusosi, proiettato in un passato che
credeva
ormai perso e adesso miracolosamente riplasmatosi.
“Giuro che basterà. Su
tutto ciò che amo”.
Sherlock sorrise e John
chiuse gli occhi, lasciando che le dita del suo migliore amico tra i
suoi
capelli lo attirassero dolcemente a sé, approfondendo un
bacio dapprima
delicato e poi sempre più intenso, dolce, appassionato. Non
aveva bisogno di
nient’altro, se non che quel contatto continuasse ancora e
ancora, senza alcun
limite, senza fine. Era completo,
ormai.
Forse era veramente
qualcosa di piccolo, comune, l’atto più spontaneo
di tutti gli innamorati del
mondo, ma per il dottore non poteva esistere gesto più
significativo di quello,
per il loro patto.
E a John, bastò davvero.
*