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Autore: SAranel    01/08/2012    8 recensioni
Il piccolo John è costretto a scappare di casa, una notte, rifugiandosi nell'unico posto in cui si è sempre sentito al sicuro. E proprio mentre le cose sembrano prendere una piega tutt'altro che rassicurante, un aiuto particolare arriva in suo soccorso, un aiuto che potrebbe cambiare tutta la sua vita. Che succederà?
"John sapeva benissimo che era sbagliato, che la mamma si sarebbe preoccupata, che non avrebbe dovuto reagire a quel modo.
Era però altrettanto certo, davvero sicuro sicuro sicuro che, se non fosse andato via in quel momento, sarebbe scoppiato a piangere davanti a tutti come un poppante, lui che aveva ormai ben dodici anni, e non avrebbe avuto più il coraggio di uscire da camera sua almeno per i successivi dieci. Aveva dovuto farlo, era stato necessario.
Peccato però che in quel momento se ne stesse pentendo amaramente, al diavolo il coraggio e altre stupidaggini simili."[...]
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ultimo capitolo!
Grazie a tutti quelli che hanno recensito, seguito e anche soltanto letto questa storia! Il sostegno che mi date significa tantissimo per me, soprattutto in un periodo per me non troppo facile come questo, che spero passi in fretta!

Un bacio a tutti!                       

 

 

*

 

“Visto John? Non era difficile.”
John scosse la testa, sprezzante.
“Avrei preferito non saperlo.”
Il silenzio che seguì fu pregno di un disagio palpabile, un malessere che contagiava il cuore e la mente.
“Preferiresti che non fossi qui, John.”
Un’affermazione. Non una domanda.
“Io non voglio sapere. Tu non sei davvero qui. Tu sei morto, cazzo” disse John, con la voce ovattata, parlando contro il palmo della sua mano.
“L’evidenza dice il contrario, ho il dubbio.”
Finalmente, John alzò gli occhi e lo guardò, tenendo lo sguardo fisso su di lui a studiarne ogni particolare, ogni dettaglio che potesse dirgli che non era lui, che era un impostore, un maledetto e perfetto chiunque deciso a fargli un macabro scherzo.
Anche con quella pettinatura diversa però, con le ciocche scure più corte e meno folte e un accenno di barba incolta, John non aveva il minimo dubbio che quell’uomo fosse davvero il suo migliore amico. Il suo tutto. Il suo Sherlock.
“Perché?” domandò, senza urlare questa volta. Non aveva più forza dentro di sé, ne voglia di proseguire con quell’astio che lo stava consumando. “Perché?”
“Perché dovevo” rispose Sherlock, senza indugio.
“Tu dovevi.
“Dovevo, John.”
John rise, pieno di risentimento, stringendo le mani l’una nell’altra.
“E ovviamente non ti è minimamente passato per la testa che avrei…preferito sapere…” si bloccò, stringendo gli occhi per impedire in tutti i modi alle lacrime di scendere. “…tutto questo, cazzo? Oppure il tuo stupido, schifoso ego trovava una qualche soddisfazione perversa nel vedermi…distrutto?”.
Sherlock si adombrò, per un secondo, in un visibile e tangibile disagio.
“Non puoi dire una cosa simile, John” esclamò, sconcertato. “Tu non sai…”
“E’ vero, io non so. Io sono sempre l’ultimo a sapere. Io sono sempre l’ultima ruota del carro, quello troppo stupido per stare dietro all’intelligentissimo Sherlock Holmes!” si sfogò John, sputando addosso a Sherlock tutta la sua frustrazione, tutto il suo dolore, tutta la pena accumulata in quegli orribili tre anni. Come aveva potuto fargli una cosa del genere? Come aveva potuto lasciarlo così?
“Questo non è vero. Lo sai.”
“I fatti dicono altro.”
“I fatti si sbagliano, John. Io non ho mai voluto farti del male in nessun modo. Se ho fatto quello che ho fatto è perché è stato necessario. Perché ne andava della tua vita.
John lo fissò, senza capire. In che modo c’entrava, la sua vita?
“Che vuoi dire?” chiese, esitante. Forse però, avrebbe preferito non sapere.
L’altro non rispose.
John chiuse gli occhi, spingendosi le nocche contro la fronte, per cercare di non perdere nuovamente la calma.
“Sherlock. Tu mi devi una spiegazione.”
Sherlock boccheggiò, cercando il modo migliore di dire qualunque cosa avesse intenzione di confessargli.
“Tre proiettili. Uno per te, uno per Lestrade, e uno per la Signora Hudson. Se non mi fossi ucciso, sareste voi quelli in una tomba ora. E voi per davvero” sottolineò, in una sorta di macabro umorismo.
John rimase in silenzio, senza sapere esattamente cosa dire, con una quantità mostruosa d’informazioni, immagini, fatti, ritagli di giornale che si avvicendavano nella sua mente come una sorta di vorticoso film, come se qualcuno avesse premuto il tasto fast forward sull’immaginario telecomando dei suoi pensieri.
“Proiettili. Moriarty” disse John, come se tentasse di riepilogare quel sovraccarico di informazioni in due sole parole.
Sherlock annuì, guardandolo grave.
“Moriarty. Ha capito dove colpire per essere sicuro di affondarmi” spiegò, e il cuore di John mancò un battito. Il dottore guardò Sherlock, senza parlare, e poi chinò lo sguardo.
Sentì Sherlock agitarsi.
“L’ho fatto solo per voi, John. Per te. Per noi” Sherlock si alzò dall’altalena e s’inginocchio davanti a John, prendendogli le mani nelle sue, nel gesto più sincero, più intimo che il detective gli avesse mai riservato.
Le mani di John tremarono per un secondo al contatto, come se avessero appena toccato acqua bollente, ma non si ritrassero.
“Tu sei scappato, però” gemette John all’improvviso, cercando di ignorare la figura rannicchiata di fronte a lui, cercando di ignorare il sentimento di profonda pena che gli stava afferrando il cuore. Lui era arrabbiato, lui era furioso. Lui doveva esserlo.
“L’ho fatto” ammise Sherlock a bassa voce, intrecciando le sue dita con quelle di John, che però non strinse la presa.
“Non sono stato io questa volta. Stavolta tu sei fuggito, tu sei andato via da tutto quanto. Da me” sussurro il dottore. “Quando mi avevi chiesto di smettere di farlo, quando mi avevi chiesto di rimanere con te”.
Sherlock annuì, grave. Portò poi la mano di John alle sue labbra e la baciò, in un gesto pieno di dolcezza e tenerezza che John non si sarebbe mai aspettato dal detective ma che lo fece letteralmente tremare.
“Io avrei voluto dirti ogni cosa. Io avrei voluto che tu sapessi.”
“Non l’hai fatto, però.”
“Non ho potuto. Volevo che tu fossi al sicuro, il più possibile”.
John deglutì, con ancora un groppo enorme in gola.
“Lontano da me. Per tre anni.”
“Per il tempo necessario.”

“Necessario per cosa?”
Sherlock sussultò, allentando la presa sulle mani di John e sistemandosi meglio nella sua scomoda posizione. John avrebbe voluto dirgli di alzarsi, di sedersi, ma vedere Sherlock in quel modo, così dolcemente sottomesso da un sentimento, gli donava una dolce parvenza di sollievo.
“Per…neutralizzare il pericolo. Definitivamente” disse, evasivo. John capì che quello era un argomento su cui Sherlock non avrebbe voluto soffermarsi.
“Hai…ucciso?” domandò John, senza nemmeno sapere perché. Era qualcosa che sentiva, dentro.
Sherlock lo guardò per un secondo con un lampo quasi spaventato, nei suoi begli occhi chiari.
“Ho fatto cose di cui non vado fiero, John.”
John lo interpretò come un sì. Chiuse gli occhi e finalmente strinse le mani di Sherlock a sua volta. Il detective lo interpretò come un segnale positivo e sorrise a John, portando l’altra mano ad accarezzargli una guancia dolcemente. John fece lo stesso con Sherlock, ma le sue dita mapparono a fondo ogni frammento del suo viso, dai capelli corti alla fronte, dalla curva del naso all’arco di cupido delle labbra; accarezzò gli zigomi taglienti, la curva armoniosa del mento e la superficie liscia del lungo collo come per assicurarsi che fosse realmente lì, che quella non fosse solo una fantasia o un’allucinazione.
E il calore sotto le sue dita e la carezza del respiro di Sherlock sulla sua mano, gli dissero che lui era davvero lì, davvero con lui, vivo e vegeto.
“E la cosa di cui vado meno fiero è l’averti lasciato solo, John.”
John tirò su col naso, facendo sempre più fatica a trattenersi.
“E anche per avermi fatto desiderare di seguirti, maledetto pazzo?”
Sherlock piegò le labbra in un sorriso esitante.
“Non pensavo che ti avrebbe fatto quest’effetto, John. Vederti così è stato…è stato...non so dire cosa è stato. Non piacevole, comunque”.
Inaspettatamente, quella frase provocò in John una risatina divertita.
“Tu non pensavi che sarei stato distrutto dalla tua perdita?”
Sherlock sembrò arrossire, preso in contropiede.
“Non pensavo…così. Insomma, hai vissuto una guerra, io credevo di trovarti…preparato. Invece mi hai sorpreso” ammise, guardandolo sottecchi. John rise ancora.
“Eppure tu sai sempre tutto.”
Fu il turno di Sherlock di ridere, poi.
“Non è vero. Me lo dicevi sempre” esclamò, immerso in un vivido ricordo. John strinse la sua mano ancora più forte.
“Oh è vero. Il Sistema Solare.”
“E il Primo Ministro... ”
“L’ultimo scandalo al Matrimonio Reale… ”
“O il fatto che Harry fosse il diminutivo di Harriet” ricordò Sherlock, allargando ancora di più il suo sorriso.
“Quella è stata veramente divertente, Sherlock” convenne John, con una nota incredibilmente dolce, nella voce. Rimasero poi in silenzio, godendosi solo il rumore del vento che scivolava tra le fronde, scuotendole come fossero corde di un’arpa.
“Perché qui, Sherlock?” domandò poi John, all’improvviso. Era giunto il momento di abbattere quel muro di omertà. Voleva sapere, ne aveva il diritto. Doveva.
“Perché qui è cominciato tutto” spiegò Sherlock guardandosi intorno. “Perché qui la mia vita è cambiata senza che io nemmeno lo sapessi.”
John non parlò, non ce n’era bisogno. Aveva capito perfettamente quello che Sherlock intendeva.
“So che ti sei chiesto perché io… perché io non ti abbia mai detto nulla per permetterti di rivederci” bisbigliò, e il cuore di John fece un balzo. “So che ti sei domandato perché non ti abbia mai detto prima il mio nome, o una qualunque altra cosa su di me”.
John annuì, il cuore ormai simile ad un tamburo. Fissò Sherlock negli occhi, senza staccare nemmeno per un secondo gli occhi da lui, senza prestare più attenzione a nulla se non al viso del detective. Sarebbe potuta scoppiare una guerra attorno a loro e lui non se ne sarebbe minimamente accorto.
“Avevo paura di questo, in realtà” ammise Sherlock con una certa difficoltà. “Avevo paura che potesse succedermi quello che poi è successo” si fermò, come bloccato da qualcosa. Pensieri, parole inespresse, timore.
“Di affezionarmi a qualcuno talmente tanto da cominciare a tenere a lui più che a me stesso.”
Le mani di John tremarono ancora, e stavolta tanto forte da preoccuparlo per un momento. Una lacrima scivolò inevitabilmente lungo la sua guancia fino a finire sul dorso della mano di Sherlock, che guardò quella goccia solitaria come se fosse un tesoro inestimabile, con lo stesso sguardo che riservava di solito a un esperimento particolarmente riuscito. Con un dito, percorse il tragitto di quella lacrima, accarezzando la guancia di John e raccogliendo quella scia bagnata e salata fino a portarla alla bocca, appoggiando appena la punta del dito sulle labbra. Poi chiuse gli occhi.
“Ed è stata una cosa tanto brutta quando alla fine hai…ceduto?” chiese John, sicuro di sé, anche se con voce leggermente rotta dall’emozione. Perché Sherlock alla fine aveva ceduto, e lui, John, era stato colui che aveva infranto quella corazza.
“No, non lo è stata. Io non potevo saperlo, però” spiegò e John accennò un sorriso triste e dolce allo stesso tempo. “Non volevo legami perché ho sempre saputo che quello che avrei fatto un giorno, che quello che sarei diventato avrebbe potuto comportare rinunce, sacrifici, perdite. E non volevo che qualcun altro patisse a causa mia”.
John gemette, riconoscendosi perfettamente in quelle parole. Poi, inaspettatamente, rise, sentendo una strana felicità cominciare a pervaderlo.
“Già da ragazzino immaginavi che avresti avuto un arcinemico, qual è il termine…oh, psicopatico che ti avrebbe costretto a un gesto drastico?” chiese John, godendosi il calore di quella sensazione nuova. “E’ proprio da te, Sherlock, indubbiamente. Io da bambino al massimo pensavo a come, da grande, l’avrei fatta pagare a Terry Boones per avermi rotto la bicicletta”.
Sherlock rise anch’egli, con gli occhi spalancati, accesi, visibilmente colmi di sollievo nel vedere John riprendersi, a poco a poco.
“Perché siete tutti degli idioti, John” disse, poggiando la fronte sulle mani intrecciate.
John poggiò il capo sulla testa di Sherlock, posandovi un bacio dolce, spontaneo.
“Tutti quanti, è vero” convenne John, sollevandosi e ritraendo una mano dalla stretta di quelle di Sherlock per sollevare il mento dell’amico. Portò il suo viso alla sua altezza, così che i loro volti fossero vicini, vicinissimi, tanto da sentire il calore dei loro rispettivi respiri.
“Ed io sono pazzo” aggiunse poi John, in un sussurro. Sherlock sembrò agitarsi.
“No, non lo sei. Te l’ho detto, sono vero” esclamò ancora il detective, con timore, come se avesse paura che John non fosse ancora convinto.
“Non per quello, Sherlock” lo corresse poi il dottore, avvicinandosi ancora. “Per questo.”
Sherlock non riuscì a prevedere l’arrivo di quel bacio, ma non si sottrasse, e non desiderò affatto farlo, neppure per un momento. Le labbra di John erano morbide, leggermente screpolate ma indaffarate in una danza leggera e amorevole dalla quale Sherlock si sarebbe lasciato trasportare per sempre, una danza di cui conosceva i passi e i movimenti ma alla quale era sempre mancata la musica, la più dolce, la più perfetta. E quella musica, era John.
John era su un altro pianeta ormai, e gli sembrava di librarsi almeno dieci centimetri dal terreno. Non percepiva più nulla intorno a lui se non la bocca di Sherlock, la sua lingua che sfiorava esitante la propria con fare timido ma coraggioso, le mani che vagavano per i loro visi come se non necessitassero d’altro che il contatto pelle contro pelle. Sarebbe potuto finire il mondo in quel momento, e John lo avrebbe accettato, di buon grado.
“John” sussurrò Sherlock sulle sue labbra con fiato corto, come dopo una lunga corsa. “Sei pazzo davvero.”
John sogghignò, felice, appagato dopo tanto, troppo tempo. Lo aveva baciato. Aveva baciato Sherlock ed era stata la sensazione più bella e meravigliosa che avesse mai provato. Non era stato affatto come lo aveva immaginato. Era stato dieci, cento, mille volte migliore.
“Bisogna essere pazzi per innamorarsi di te” disse, con sguardo eloquente. “ma non sono mai stato così felice di esserlo in vita mia”.
E fu la cosa più vera, sincera, sentita che avesse mai pronunciato in tutta la sua vita.
Lo amava, lo amava in maniera viscerale, profonda, totale. E tornando indietro nel tempo, scorrendo i ricordi come pagine di un libro, si accorse di amarlo da sempre, dal primo giorno in cui aveva posato i suoi ingenui occhi di bambino su di lui.
“Ed io sono felice che tu lo sia” Sherlock lo strinse a sé con forza, come a catturarlo in una stretta dalla quale non sarebbe mai potuto fuggire. “Più di quanto tu possa immaginare.”
John ricambiò il suo abbraccio, allacciando le braccia intorno al detective con la stessa intensità.
“Ricominceremo, Sherlock?” gli domandò, pregando che le labbra di Sherlock pronunciassero le parole sperate. Il detective sorrise, allentando la presa e allontanandosi.
“Solo se tu lo vuoi quanto me”.
John annuì.
“Lo voglio con tutto il cuore.”
Sherlock si sistemò la camicia e si mise in piedi, con un sospiro profondo, come se si stesse preparando a declamare un discorso davanti ad una folla. Poi porse la mano destra a John, con un sorriso.
“Sono Sherlock Holmes. Consulente investigativo e sociopatico ad alta funzionalità” disse, muovendo la mano verso John, attendendo una sua risposta. John sorrise.
“Sono John Watson, medico, ex soldato e…assistente-consulente”.
“Fratello di un membro minore del Governo Britannico con manie di grandezza” riprese Sherlock, attento.
“Fratello della donna più inaffidabile e problematica del mondo che però, mio malgrado, amo follemente” continuò John, divertito.
“E dimentichi ‘completamente pazzo’ ” Sherlock sussurrò, avvicinandosi di nuovo alla bocca di John.
“Questo è evidente” John catturò nuovamente quelle labbra perfette in un bacio veloce, intenso.
Si guardarono a lungo, senza parlare, senza che ce ne fosse bisogno. La sola presenza l’uno dell’altro bastava, ad entrambi. E sarebbe potuta bastare per tutta la vita.
“John Watson ha smesso di scappare tanto tempo fa, sai?” John ruppe in silenzio con un bisbiglio, sulla bocca di Sherlock. “Perché Sherlock Holmes gli ha fatto capire che non era più necessario.”
Il detective lo guardò negli occhi intensamente, come se cercasse di parlare con il suo solo sguardo.
“Sherlock Holmes invece è fuggito, anni fa. E’ fuggito, andando contro ogni suo ideale, dopo aver detto tante volte a John Watson che scappare era da stupidi, da deboli” Sherlock sussurrò lentamente, come se stesse raccontando una fiaba a un bambino sulla soglia di un sonno profondo.
“Ora però è tornato. E il suo ritorno potrebbe cancellare ogni dolore passato, per John Watson. Adesso però c’è da chiedersi se Sherlock Holmes rimarrà” John lo imitò e le loro fronti si sfiorarono, appoggiandosi l’una all’altra, come se necessitassero l’una del sostegno dell’altra. “Sherlock Holmes ha smesso di scappare?” domandò infine John, trepidante, ponendogli finalmente quella domanda piena di responsabilità, timori, paure. Quella domanda di cui temeva terribilmente la risposta.
Sherlock sorprese John una volta ancora, con la reazione a quella domanda. Pensava di aver visto il suo migliore amico in tutte le diverse sfumature del suo carattere, in ogni possibile travestimento, in ogni sua minima sfaccettatura umana. Quello che John non aveva mai visto fare a Sherlock era piangere, e il viso del nuovo Sherlock, quello Sherlock Holmes rinato che ora aveva davanti, si stava rigando pian piano di lacrime sottili.
E non erano lacrime di dolore.
“Lui non fuggirà mai più, mai” disse al medico, che dolcemente aveva preso a raccogliere quelle lacrime con piccoli baci. “Lui ha trovato il suo porto sicuro, ora. E spera che John gli creda perché lui è sincero”.
John annuì, con occhi socchiusi, come se le iridi azzurre di Sherlock fossero gemme dal bagliore accecante.
“Io gli credo. Dio mi aiuti” scherzò, e Sherlock rise, asciugandosi gli occhi umidi con il polsino della camicia.
“Bisogna suggellare il patto, adesso” propose poi il detective, fingendosi serio, con voce ancora instabile. John ridacchiò.
“Mi basta la tua parola, anche se non dovrei fidarmi”.
Sherlock scosse la testa.
“Per questo insisto. Voglio fare le cose per bene”.
A quel punto John si avvicinò ancora di più a Sherlock, tanto da poter quasi percepire sulla pelle le vibrazioni della voce baritonale dell’uomo di fronte a lui.
“Allora se insisti, ti accontenterò” gli accordò, sorridente. “Voglio solo un altro bacio”.
Sherlock alzò un sopracciglio, come se fosse sorpreso dalla richiesta del dottore.
“Che scarsa fantasia, John”.
John arricciò il naso.
“Ora ti riconosco Sherlock”.
“Dico solo che ti ho baciato fino ad ora. Mi sarei aspettato qualcosa di più significativo”.
John gli diede uno schiaffetto sulla nuca, scherzosamente.
“Un bacio è significativo!”
Il detective sbuffò.
“Pensavo più a qualcosa messo per iscritto, non so un…contratto?” propose, per poi pentirsene davanti all’espressione sbigottita di John. “Ma dimenticavo che sei un inguaribile romantico”.
John scoppiò a ridere.
“E tu sei irrimediabilmente troppo serio! Un contratto!” ripeté, come se non concepisse nemmeno l’idea. “Cento volte meglio il mio bacio”.
“Se lo dici tu”, liquidò la cosa Sherlock.
“Vai a quel paese, Sherlock”.
Sherlock schioccò le labbra.
“Va bene, va bene, va bene. Farò questo sacrificio” esclamò Sherlock, accondiscendente. “Spero che basti davvero solo un bacio”.
John rise, ripensando al battibecco giocoso appena conclusosi, proiettato in un passato che credeva ormai perso e adesso miracolosamente riplasmatosi.
“Giuro che basterà. Su tutto ciò che amo”.
Sherlock sorrise e John chiuse gli occhi, lasciando che le dita del suo migliore amico tra i suoi capelli lo attirassero dolcemente a sé, approfondendo un bacio dapprima delicato e poi sempre più intenso, dolce, appassionato. Non aveva bisogno di nient’altro, se non che quel contatto continuasse ancora e ancora, senza alcun limite, senza fine. Era completo, ormai.
Forse era veramente qualcosa di piccolo, comune, l’atto più spontaneo di tutti gli innamorati del mondo, ma per il dottore non poteva esistere gesto più significativo di quello, per il loro patto.
E a John, bastò davvero.

 

 

 

 

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