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Autore: Clover GD    02/08/2012    8 recensioni
Storia cancellata e riscritta quasi completamente. Non vi piaceva com'era prima? Beh, non piaceva nemmeno a me, per cui l'ho riscritta e -si spera :)- migliorata.
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Seconda metà del 1800, un viaggio in Canada per Duncan ed una triste sorpresa per Courtney. Una convivenza forzata con Trent ed una nuova amicizia con Gwen.
Un'AU sui miei OTP, non cercate tracce di reality qui dentro.
Speranze -vane?- di non essere caduta nell'OOC.
Mi auguro che recensiate, sebbene conosciate già la trama, a grandi linee. Vi ricordo comunque che qualcosa è cambiato. Che sia tanto o poco, poi, dovete deciderlo voi :)
Mi riservo di poter aggiungere l'avvertimento Slash. Forse, ovviamente.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Trent | Coppie: Duncan/Courtney, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Sono una persona orribile :/

Vi avevo promesso un capitolo per Mercoledì scorso, ma la valigia aveva impiegato tutto

il mio tempo e per questo motivo non ho scritto il capitolo che avrei dovuto far postare

a quel geniaccio di Hidden Writer. Se ve lo state chiedendo, però, Barcellona era stupenda :)

Akakuro Hybrid, la mia armigera, ha betato il capitolo Amatela! *sparge arcobaleni ovunque*


Dunque, mi sono anche accorta di aver fatto un errore madornale, e vi chiedo perdono ancora

prima di dirvi che razza di errore sia xD

Ho detto che il viaggio in treno delle due ragazze sarebbe durato dieci ore, ma mi sono resa conto

or ora che dieci ore è un tempo incredibilmente breve. Basti pensare che, a giorno d'oggi,

attraversare la Russia impiega OTTO GIORNI in treno, se contiamo che si parla del 1871..

Ho deciso che dieci ore di treno saranno la prima parte del viaggio, ossia quella che porterà i

passeggeri da Chicago a Thunder Bay, una cittadina appena più a nord del confine Canadese.

Da lì, si vedrà :) Ho già provveduto a modificare i capitoli precedenti :)


REVIEWS MAKE CLOVER HAPPY :)



Ti ritroverò.

Courtney sedeva su una poltrona verde a righe color crema, che si poteva definire comoda, al centro del salotto di una casetta assolutamente deliziosa al centro di Vancouver. Le pareti richiamavano il crema delle decorazioni geometriche sulla poltrona, al centro c'era un divano realizzato con la stessa stoffa e al centro c'era un tappeto verde. Su quest'ultimo, un tavolino in ebano faceva la sua figura, sopra vi erano costantemente appoggiati un vassoio con dei bicchieri di cristallo ed una brocca della stessa linea, quasi sempre vuoti. Addossato al muro c'era un camino, che in quel momento era spento, ed accanto una gran libreria piena di trattati e saggi ostentava la sua importanza. In un angolo c'era anche un mobiletto pieno di alcolici, ma era più per tenerli in bella vista perché risultavano gradevoli nell'insieme estetico del salotto che per scolarsene un bicchierino a sera.

La pancia di lei era grande poiché era incinta del terzo figlio all'incirca al quinto mese.

Accarezzò dolcemente il bracciolo della poltrona mentre si concedeva di guardare la sua vita ingrossata. I dolori degli altri due parti erano solo fantasmi all'interno della sua mente, oramai ricordava solo la gioia di tenere una creaturina appena venuta al mondo fra le braccia.

Si stava quasi per assopire quando le si avvicinarono le altre due bambine: Diana, uno scricciolo di sette anni con i capelli castani e gli occhi azzurri, ed Ellie, una bimba di cinque anni mora e con gli occhi castani. Una spruzzata di lentiggini al cioccolato figurava sui entrambi i visini delle piccole e le rendeva solo un po' più adorabili di quanto non fossero già.

Diana tese una manina verso la madre, che l'afferrò immediatamente, Ellie si sedette semplicemente a gambe incrociate ai piedi della poltrona verde.

«Mamma, c'è un problema.» disse la maggiore con uno sguardo che sarebbe voluto essere serioso, ma che in realtà di severo non aveva niente.

Courtney si girò verso di lei e le lanciò un'occhiata interrogativa, ansiosa di sapere quale fosse il fulcro della conversazione.

Fu Ellie a parlare.

«Papà ha detto che sono finiti i biscotti al cioccolato.»

In un'altra occasione, la donna sarebbe scoppiata a ridere in faccia alle bambine, per poi portare una mano sulle loro guance in una tenera carezza con un lieve retrogusto di maternità, ma quella volta sbiancò.

Non dovevano finire proprio in quel momento, quei dannatissimi biscotti.

Non quando il suo corpo aveva deciso di farsi venire l'ennesima voglia, stavolta di cioccolato.

E quei biscotti erano l'unica traccia di cacao che avevano in casa. Ed erano finiti.

Inspirò lentamente, poi espirò.

Aprì le labbra, mentre le piccole si portavano le manine alle orecchie preparandosi all'urlo che sarebbe arrivato di lì a momenti.

«Duncan!» esclamò Courtney.

In poco più di dieci secondi, l'uomo era dinnanzi a lei e aveva spalancato gli occhi cerulei come per domandare cosa ci fosse che non andava.

Duncan era diventato un architetto con una certa fama, era molto conosciuto e stava progettando un altro importante quartiere residenziale, insieme ad un'altra squadra di professionisti di cui lui, ovviamente, era il migliore e il più efficiente.

Con il tempo, si era rasato quell'orribile pizzetto per lasciare che la sua faccia fosse liscia, si era tolto l'orecchino fatto anni prima -anche se il buco non si era mai chiuso- ed aveva iniziato a vestire in modo tutt'altro che indecente. Era diventato un marito modello e Courtney ne era fiera.

«I biscotti al cioccolato.» proferì lei.

L'uomo la guardò con fare interrogativo.

«Sono finiti.» continuò la donna.

«E quindi?» chiese lui.

Oh, no.

Pessima mossa.

Davvero pessima mossa.

Courtney inorridì e gli puntò un dito contro.

«Le voglie! Le mie voglie!»

Duncan sembrava non capire.

«Le tue voglie cosa?»

Fu Diana a prendere parola.

«Papà, mamma ti sta dicendo che vuole un biscotto, ma tu hai mangiato gli ultimi quattro dieci minuti fa.»

La piccola, esaltata com'era dal potersi immettere in una discussione da grandi, non si era però accorta del padre, che le stava facendo gesti a metà fra il supplicante e l'arrabbiato.

Evidentemente, Duncan non voleva che si sapesse che i biscotti li aveva mangiati lui.

«Tu... Cosa?» Lei sgranò gli occhi.

«Sei stato tu?» chiese.

Nel preciso momento in cui Duncan aprì la bocca per tentare di giustificarsi, la moglie iniziò a sbraitare su quanto fosse stato egoista e meschino, e lo obbligò in quattro e quattr'otto ad andare a comprarne un paio di nuovi pacchi.

L'uomo annuì sconsolato e, dopo aver baciato sulla guancia le bambine, si avviò verso la porta, chiedendo mestamente scusa con gli occhi a Courtney.





«Signorina?»

Courtney aprì gli occhi di botto, trovandosi Brick a pochi centimetri da lei.

«Che c'è?» chiese con la voce ancora impastata dal sonno.

Il ragazzo le disse qualcosa, ma lei non lo ascoltò, in quanto aveva appena deciso di concedersi di guardarsi attorno per capire in che situazione fosse.

Si mosse sul sedile. Non assomigliava per niente ad una comoda poltrona verde a righe crema. Attorno a lei non c'era una possente libreria, ma solo le pareti ferrose del treno, e dell'armadietto degli alcolici nemmeno l'ombra.

Gwen si era addormentata accanto a lei, mentre Jo teneva ancora lo sguardo fisso in un punto inesistente e rifiutava qualsiasi contatto umano.

«Allora?»

La voce di Brick la riscosse dall'oblio in cui stava candendo.

In un attimo si rese conto di non aver sentito quello che lui le aveva domandato e, rassegnata, gli chiese di ripetere ciò che aveva detto poco prima.

«Stava dormendo quando all'improvviso si è messa ad agitarsi nel sonno. Qualche problema?» ripeté docile il ragazzo.

Courtney scosse la testa e si voltò dall'altra parte.

Peccato che fosse stato solamente un sogno.





Quella mattina, Duncan notò con piacere che Trent, pur dormendo nel suo stesso letto, non l'aveva abbracciato. Si alzò e si diresse verso il bagno per potersi lavare e preparare.

Uscì a petto scoperto, senza curarsi dell'altro ragazzo, che si era appena svegliato e tirato su a sedere sulla sponda del materasso. Non appena il moro si trovò Duncan davanti, sentì la salivazione azzerarsi e tenne evidentemente lo sguardo sul ragazzo dinnanzi a lui un secondo di troppo, visto che Duncan gli si avvicinò lentamente fino a mettere entrambe le gambe fra le sue -in una posizione tanto esplicita quanto inconveniente.

«Non sai convivere con il mio fisico perfetto, eh musicante di Brema*

Il moro strizzò gli occhi, mentre cercava di non pensare a quello che gli aveva detto Duncan.

Si sarebbe dovuto abituare a questi sbalzi d'umore -e di salivazione-, visto che oramai scenette del genere capitavano giornalmente.





Trent sbuffò sul progetto che aveva davanti, stringendo una matita fra le mani fino a far diventare le nocche biancastre. Odiava il fatto che non riuscisse a creare niente di accettabile, mentre Duncan era già a metà della sua parte del progetto. Portò le dita alle tempie per massaggiarsele e accasciò la testa sulla scrivania di legno scuro.

«Problemi?» chiese una voce amica.

Trent riconobbe Zoey nella persona che gli stava accanto. Alzò lo sguardo e le regalò un sorriso sincero.

«Se mi venisse qualcosa in mente da scrivere, starei molto meglio.» sospirò.

La ragazza gli posò una mano sulla spalla.

«Scommetto che non mi hai detto tutto.»

Il moro sgranò gli occhi.

Come diavolo aveva fatto a capire tutto?

Trent ricordava che quando era piccolo aveva conosciuto una ragazzina bionda e con gli occhi così chiari che sembravano scaglie del più grande iceberg che avesse mai solcato i mari. Lei era in grado di leggergli la mente come nessun altro mai aveva fatto. Nemmeno Gwen l'aveva mai capito così tanto, ma forse era anche per questo che la amava: gli piaceva raccontarle di sé, lei faceva un'espressione tanto adorabile mentre parlavano di loro stessi all'altro che lui si scioglieva ogni volta. Amava quella sensazione.

«Duncan.» proclamò infine, arrendendosi allo sguardo penetrante della rossa.

Zoey aprì le palpebre ancor di più di quanto non fossero già aperte.

«L'avete capito, finalmente?»

Un attimo.

Cos'era che avrebbero dovuto aver capito?

Rivolse quella stessa domanda alla ragazza, che sorrise ampiamente e rispose

«Che siete l'uno il ragazzo eccezione dell'altro!»

Trent spalancò gli occhi verdi, mentre le ciglia si aprivano e le pupille si ristringevano.

Lui e Duncan erano cosa?





All'improvviso, il treno iniziò a tremolare. Non era un semplice movimento da svincolo ai binari, e Jo e Gwen l'avevano capito immediatamente, visto che la prima si era rizzata velocemente e la seconda aveva afferrato il braccio di Courtney stringendolo.

Il tremore continuò fino a che il treno non si fermò di botto, frenando e facendo cedere tutti i passeggeri alla forza d'inerzia, che li scaraventò qualche centimetro più avanti.

Il confine non era molto lontano, un cartello marrone molto grande informava che mancavano pressapoco dieci miglia.

Passò un uomo che aveva tutta l'aria di essere un inserviente. Aveva i capelli ricci e neri, due occhi color miele molto grandi, espressivi e con un ché di tenero che avrebbe di certo steso le ragazze che lo stavano guardando, se non fosse stato per il terrore del treno fermo; non era molto alto ma era piuttosto aggraziato nei movimenti.

«Che succede?» domandò Brick in preda all'ansia.

«Un guasto al treno. Sono assai spiacente, ma temo che sia opportuno scendere ed aspettare che il problema venga risolto.» affermò l'uomo. Aveva una voce sorprendentemente calda.

Molto probabilmente l'avevano sentito tutti, all'interno del vagone, poiché scoppiò una miriade di reazioni diverse. Ci fu chi pianse, chi tremò, chi agitò le braccia e chi si alzò di scatto.

Brick si bagnò i pantaloni e Gwen e Courtney capirono il motivo per cui Jo lo soprannominava spesso Capitan Piscina.

Dopo qualche minuto di scompiglio totale, tutti i passeggeri presero i loro bauli o le loro valigie e scesero dal treno. Courtney e Gwen si sedettero sull'erba; Brick e Jo si accomodarono sotto un albero.

Per fortuna non pioveva.

Brick tremava -di freddo o di paura? In quella sera dell'Ottobre del 1871 non lo si sarebbe potuto dire-, ma Jo, che era seduta accanto a lui, appena lo notò si alzò e se ne andò.

Il ragazzo che li aveva avvertiti del problema al treno lo vide guardarla con un velo di tristezza negli occhi.

«Ti ha lasciato?» domandò senza pensare di star violando una sfera privata.

Brick lo guardò.

«E tu saresti..?» chiese, sorpreso da quella domanda.

«Everett.» si presentò il ragazzo con gli occhi color miele.

Brick lo guardò e sospirò.

Sì, magari si sarebbe potuto aprire con lui: non l'avrebbe mai più rivisto, dopotutto.






A/N Sono in uno schifoso ritardo D:

Perdonatemi, ve lo imploro dalla mia bassezza (LOL), ma non sono riuscita a tenermi al passo :/

Volevo chiedervi una cosa che mi ha un po' lasciata triste: come mai il numero delle recensioni è calato così drasticamente? Da nove ad otto e poi a tre. La mia domanda è semplice, cosa ho sbagliato? Vi chiedo di farmi capire cosa c'è che non va, poiché non mi riesco a spiegare come questi numeri siano diminuiti così tanto.

Non sto elemosinando recensioni, non fatevi strane idee, è solo che.. Boh. Sono un po' mesta per questo motivo.

Passiamo oltre, vi aspettano le Precisazioni, gli Spoilers e un altro Avviso :)


PRECISAZIONI:

* - Conoscete la storia dei Musicanti di Brema? È una fiaba, e qui potete trovarla :)

Oh, questo lo dico di nuovo per la mia Faith: no, non è un caso che l'inserviente sia così simile a Blaine :3 E non è un caso nemmeno che si chiami Everett, che è il secondo nome di Darren Criss. Per questo, però, c'è da ringraziare Akakuro


SPOILERS:

Ho poco da dirvi, in realtà xD
Vi anticipo solo una cosa: siamo in Ottobre, nel 1871. Le due ragazze sono di Chicago.

Cosa è successo a Chicago nell'Ottobre del 1871? *musica da thriller*


AVVISO:

Miei amati lettori, parto di nuovo e il computer nemmeno me lo porto :/

Avrete il prossimo capitolo fra tre Mercoledì, ma vi prometto che stavolta sarò puntuale

CloClo :)

   
 
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