Abducted
“Mission failed. Insert a coin to replay.”
Come
comparve la scritta a caratteri cubitali al centro della console, mi lasciai
scappare un ringhio di stizza. Cercai con la mano nella tasca destra dei jeans,
sperando di trovare qualche spicciolo. Cosa che ovviamente non avevo. D’altronde,
non era esattamente quello il motivo per cui mi trovavo in una sala giochi?
“Whitner.”
Lanciai un’occhiata
dietro le mie spalle, per accertare i miei sospetti: Lizzie stava sghignazzando
per il mio completo fallimento. Mi misi sulla difensiva.
“Mi avevano
circondato! Come potevo sopravvivere con solo un coltellino svizzero?” Cercai
di farla ragionare. Non ero tanto male, nei videogiochi. Per questo non
riuscivo a capire cosa fosse andato storto.
“Sì, sì,
come dici tu.” Alzò gli occhi verso il cielo, prima di ritornare seria. “Senti,
io devo andare. Sono le sei passate e fra poco mia madre avrà preparato la
cena. Sarebbe meglio che te ne tornassi a casa anche tu …”
“Oh-oh! Liz,
ti stai preoccupando per me? Aww, che tenera ~” Liz incrociò le braccia.
“No, idiota.
Cerco solo di mettere un po’ di sale in quella tua zucca vuota!” Fece un
piccolo sbuffo. “Sai benissimo che questa strada non è molto sicura, di notte. Piena
di ubriaconi e senzatetto.”
Lizzie non
era mia amica. Piuttosto, era una conoscente. Un’alleata da avere al mio fianco
per non essere sopraffatta da quell’enorme mondo che era la sala giochi. O
almeno, questo era quello che all’inizio mi ero aspettata da lei, non
immaginandomi che saremmo diventate acerrime rivali. Lei mi batteva a Metal
Slug ed io la stracciavo Bust a Move - era ovvio che non volesse familiarizzare
con il nemico.
“Ovviamente.”
Scrollai le spalle, ritornando all’arcade game. “Ecco perché me ne tornerò a
casa non appena riuscirò a vincere i punti che mi servono.” Sul display si
vedeva il video di esempio che spiegava come si svolgeva il gioco.
“A proposito,
ce l’hai una moneta? Sono al verde!” Dissi con tono innocente, pigiando i tasti
colorati senza scopo. La mia interlocutrice si passò una mano fra i capelli,
abituata alla mia caparbietà.
“… con te è
impossibile ragionare, eh?” Liz sospirò, raccogliendo la sua borsa dal suolo e
mettendosela in spalla. “Ci vediamo domani alla stessa ora. Ricordati che mi
devi dei soldi!”
“E dopo
questa tua minaccia, chi ti assicura che tornerò?” Le chiesi in modo beffardo, mentre
lei si avviava verso l’uscita della sala giochi.
“So dove
abiti, Whitner. E mio fratello ha un’esagerata collezione di mazze da baseball.
Scommetto che non gli dispiacerà se gliene prenderò una in prestito …” Fece
capolino sul suo volto un piccolo sogghigno che sicuramente avrebbe potuto inquietare
non pochi. Un’espressione degna della regina dei videogame splatter.
S’irritò
molto, perciò, quando le ridacchiai in faccia, infischiandomene della provocazione.
“Promettimi solo di ripulire il mio sangue, ‘kay? Mamma è ossessionata dalla
pulizia.”
“Buonanotte!”
Sbottò uscendo, arrabbiata per la mia reazione pacifica. Solo quando fu sparita
dal mio campo visivo, potei permettermi un lungo e tormentato sospiro: Lizzie Primrose
era sempre così gentile!
Lanciai uno
sguardo al bancone alla mia destra, facendo passare i miei occhi sui vari premi
che si potevano scambiare per dei tickets finché non trovai quello che stavo
cercando di vincere da quattro ore: un mazzo di carte da bridge lindo e pulito.
Ma non importava quanto mi sforzassi, non ero ancora riuscita a vincere un solo
gioco. Feci una smorfia, gonfiando le guance come avrebbe fatto una bambina di
quattro anni, e non una di quindici: le stupide macchinette dovevano essersi
guastate, non c’era altra spiegazione.
Ad un tratto
mi colpì un forte attacco di nausea. Deglutì insistentemente, cercando di
mettere a tacere il mio stomaco in subbuglio. Frustrata, mi alzai dallo
sgabello e mi affrettai verso l’uscita, diversi pensieri che vorticavano nella
mia testa.
“Accidenti,
non di nuovo!” Volevo solamente vincere il mazzo di carte, andare a casa,
depredare il frigo e rinchiudermi nella mia stanza come un vampiro. Che cosa
sarebbe successo stavolta?!
L’esperienza
mi aveva insegnato che, ogni qualvolta avessi avuto un voltastomaco, sarebbero
sopraggiunti stati guai in vista. Funzionava un po’ come sesto senso, insomma.
Un fastidiosissimo segnale di pericolo. E il fatto che più mi avvicinavo all’uscita,
più esso si faceva forte, non mi rallegrava per niente.
Quindi mi
diedi dell’idiota, per essermi lasciata coinvolgere emotivamente da questioni
che non mi riguardavano: fuori? Sarebbe avvenuto all’esterno? E allora, tanto
valeva restarsene nella sala e aspettare che l’impiccio si concludesse da sé. Più
sollevata, sorrisi debolmente.
Proprio
mentre mi stavo voltando per tornare alla mia postazione, vidi con la coda nell’occhio
una scia di lunghissimi capelli di color biondo candido. Inconfondibili. Spalancai
gli occhi, salendo gli scalini e aprendo la porta di scatto. La vidi mentre
cercava far entrare la sua borsa ricolma di premi sotto il sellino dello
scooter. Così imparava a vincere sempre, la maled-
Una nuova
ondata di nausea mi ricordò il motivo della mia preoccupazione. Frettolosa,
cercai di attirare la sua attenzione.
“Lizzie,
vieni subito qui!”
La ragazza
parve avermi notato, perché dopo essersi ripresa la borsa, s’incamminò tranquillamente
nella mia direzione. Un po’ troppo tranquillamente. E il pericolo era sempre
più forte.
“Veloce,
lumaca!”
Mancavano
ancora tre metri quando Lizzie, scorbuticamente, ribatté: “Che vuoi ancora? Non
ho altri gettoni, quindi puoi benissimo-“
Non riuscì a
completare la frase poiché il suo viso fu colto alla sprovvista da una luce
accecante. Mi voltai in preda al puro terrore: pezzi di veicoli che saltavano
in aria attorno ad un camion dei trasporti. Immersa nella mia impotenza, non
riuscivo a fare a meno di pensare a quanto fossero leggiadri; parevano compiere
una piccola danza macabra. E mentre io mi ero incantata come un’alloca, il sei
ruote aveva schiacciato lo scooter di Lizzie da un pezzo, pronto per farci fare
la sua stessa fine in meno di dieci secondi.
Un tempo sufficiente, se mi davo una mossa.
Afferrai Lizzie per un braccio, estremamente consapevole della mia rudezza, e
la tirai verso di me con uno sforzo immane: era rigida come un blocco di
cemento. Cademmo all’indietro dentro il palazzo, precipitando per la bellezza
di cinque scalini. Mentre cadevo, vidi il camion cozzare radente al muro, producendo
scintille e facendo tremare l’edificio. Il contatto della mia schiena contro il
pavimento mi strozzò il respiro, mentre il colpo che ricevetti alla testa mi
oscurò momentaneamente la vista.
Rimasi
immobile per diversi minuti, in stato confusionale. Aprii gli occhi solo quando
il dolore pulsante che mi martellava il cervello si fece più sopportabile.
Lizzie si era rannicchiata in posizione fetale di fianco a me, sicuramente in
stato di shock. Pareva estraniata dal mondo.
Povera … dev’essere traumatizzata! Pensai, massaggiandomi la testa. Scrollai le
spalle.
…Oh beh, chissenefrega! Facendo leva sul
suo corpo – sì, ero una sfruttatrice orgogliosa – riuscii a sollevarmi in
posizione eretta. Ero io che ondeggiavo, o la stanza si muoveva?
Speravo che
il pazzo al volante si fosse perlomeno
fratturato una decina di ossa. Sennò, ci avrei volentieri pensato io stessa.
Non appena le vertigini si fossero fermate, certo.
Scossi la
testa, ma, al posto di metterle a tacere, riuscii solo a peggiorare la
situazione. Quel che era peggio, però, era che la nausea non se n’era ancora
andata. Silenziosamente, mi guardai attorno, non capendo dove fosse il
problema.
Fu allora
che notai l’anormalità: io e Lizzie eravamo le uniche nell’opprimente oscurità della
sala giochi. Faceva venire i brividi. C’era seriamente qualcosa di sbagliato in
quel posto!
Mi
stropicciai gli occhi con le mani, ansiosa di aggiustare la mia visuale
appannata: se non mi fossi ripresa in fretta, chissà che altro sarebbe
successo! Provai a fare un passo, ma un capogiro mi costrinse ad aggrapparmi
alla ringhiera delle scale.
“Ho capito, la
vita del geek non fa per me!” Esclamai, in preda all’apprensione. “Stupidi
arcade, stupida Lizzie, stupido camionista e stup—“
Fui agguantata
da dietro le spalle da un individuo piuttosto forzuto e rozzo. Mi mancò il
fiato.
“Dopo il
volo che hai fatto, credevo saresti rimasta svenuta per un po’.” Borbottò, afferrandomi
le braccia e chiudendole in una morsa, schiacciate contro la mia schiena. “Ma a
quanto pare sei più cocciuta di quel che pensavo.” Non riuscivo a vederlo in
volto. Non sapevo chi diamine era. Ciò che m’importava veramente, però, era
quello che mi sarebbe capitato se avessi fatto il suo gioco.
“Brutto
pedofilo figlio di…!“ Cercai di ribellarmi tirando qualche calcio, ma la forza
dell’uomo era incontrastabile. Era davvero così irremovibile, oppure ero io
che, non nella mia forma migliore, gli facevo il solletico? “Cazz-!” I miei
urli furono soffocati da ciò che sembrava, al tatto, un fazzoletto di stoffa.
“Dovrei
essere io quello a lamentarmi! Hai la minima idea di quanto tempo ho passato a
pedinarti, cercando di capire il tuo potere?” Mi schiacciò il panno contro il
naso e la bocca, facendomi male. Fece un grugnito compiaciuto. “Ma alla fine,
il mio impegno ha dato i suoi frutti! Mi pagheranno a bizzeffe, quegli
sfruttatori!”
Mi sentivo
soffocare. Sapevo che se avessi respirato, sarei morta – o almeno svenuta.
Sapevo che questo tizio doveva essere uno psicopatico scampato alla sedia
elettrica. I polmoni urlavano per avere aria, la mia mente ormai era
intrappolata in un limbo fra veglia e incoscienza.
Così, alla
fine, dovetti riprendere fiato e respirare quello schifo di odore dolciastro. Mentre
i polmoni ringraziavano sentitamente la mia scelta, la mia consapevolezza era
diventata un ammasso di pensieri confusi.
“Oh, vedo
che hai deciso di collaborare.” Percepii l’uomo rilasciarmi. Cercai con ogni
mio straccio di volontà rimasta di sfruttare quell’occasione per scappare, ma
il mio corpo era intorpidito e immobile.
“Però … cerca
di sopravvivere, ok, Sybyl?” Sussurrò in un modo alquanto rattristato, prima di
buttarmi come un sacco di patate sopra la sua spalla. Provava pietà per quello
che mi sarebbe successo?
Le mie
palpebre si erano fatte così pesanti, che si chiusero di forza mentre fissavo
il corpo di Lizzie, svenuta. Rannicchiata. Indifesa.
Lizzie … meno male che non ti hanno fatto
niente …
Poco prima
di sprofondare nel baratro, riuscii a formulare un ultimo, ingenuo pensiero.
… così potrò io stessa a riempirti di botte,
per non aver mosso un dito per aiutarmi. Crepa, bastarda!
~ Author’s Corner ~
Che dire, voglio tentare un’altra fan fiction originale. L’inizio
fa pena, e non so bene come il resto della storia procederà, ma vedrò di
migliorare. Anche perché per ora non si capisce un tubo di quel che è successo.
Spero di non aver creato un altro fallimento ^^;
Grazie per chiunque si
prenda la briga di leggere sto proemio :’D
GloGlo ~ ♪