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Autore: Val Nas    05/08/2012    9 recensioni
Questa lettera è arrivata II classificata al contest "Just a letter" indetto da Frandra e ha ottenuto il premio lacrima.
Da leggere ascoltando When you're gone di Avril Lavigne.
Spero vi piaccia e che mi recensirete in molti ^^
Ci si legge, Odette.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lettera di una sposa


Caro, mio caro angelo custode!
Sono di nuovo io, Heaven R.
È sempre stato difficile per me, scrivere per intero il mio cognome: è uno di quei cognomi per cui ti guadagni le prese in giro peggiori alle elementari e che tutti ricordano, per un motivo o per l’altro. Quindi lo abbrevio, mettendo un secco punto dopo l’iniziale maiuscola, come se quel punto potesse mettere una fine, frenare i miei pensieri, e forse i miei rimpianti.
E così, siamo alle solite:  mi stai costringendo di nuovo a ritrovarmi qui, seduta di fronte ad un foglio bianco reggendo incerta nella mano sinistra una matita mangiucchiata.
Intrecciare le parole, tessere delle frasi con cui spiegarti quello che provo, questa volta è più difficile che mai. Sappiamo entrambi, che saranno le mie ultime parole.
Quindi scusami tanto se l’emozione tradirà la ragione, distorcendo le frasi e rendendole confusionarie.
Lo so: sei scocciato.
Mi sembra di percepire intorno a me la tua aria severa e delusa, che mi fissa con disappunto.
Avevo promesso di scriverti prima e più spesso.
Ma che resti tra noi, mio caro Angelo custode: nemmeno tu sei proprio un campione nel mantenere la parola data.
Anzi, proprio tu hai infranto la promessa più grande quando, come se niente fosse, te ne sei andato per l’ennesima volta. Io non potevo sapere che sarebbe stato per sempre, non potevo immaginare che non avrei mai più potuto dirti, spiegarti, toccarti di nuovo, sentire la tua barba ispida contro la mia guancia, il tuo sguardo controllare che dormissi serena.
Senza far rumore, come la neve che cadeva silenziosa quella notte, sei sparito dalla mia vita.
Sai, da te ho imparato anche io a sparire senza far rumore. A voltare le spalle a chi le volge a me.
Quindi mettiamo al bando subito le recriminazioni e ascoltami.
Mi sono sposata.
E mentre lui dorme nell’altra stanza, una parte del letto è fredda e vuota perché la sua sposa non riesce a prendere sonno. Deve fare prima questa cosa: parlare con te, anche se hai visto tutto. Devo narrarti con i miei occhi e spiegarti con la mia voce.
Oggi è stata una di quelle giornate che ricordi per tutta la vita.
Uno di quei giorni che capitano una volta sola, così pieno di colore e gioia, che alla fine non riesci mai a trovare un solo momento perfetto, in quella moltitudine di spaventosa e confusa felicità.
Ti sarebbe piaciuto così tanto sai, tu adori le feste.
Ma prima di questo epilogo, prima di rendermi conto che tutto sarebbe andato bene, ero solo una ragazza di quasi trent’anni, seduta davanti allo specchio, la mattina del suo matrimonio.
Non guardavo il mio riflesso, ma quello della mamma che finiva di acconciarmi i capelli tesa di emozione e paura, perché la sua dolce bambina stava volando fuori dal nido.
Ad un tratto, l’ho vista guardarmi con attenzione, con gli occhi lucidi.
Ho letto i suoi pensieri, e sai perché?
Perché anche io stavo pensando la stessa cosa.
Ci siamo intese con uno solo sguardo tenero e un po’ triste, perché è proprio in giorni come questi, in quei giorni perfetti e felici, che un piccolo velo oscura il mio sguardo e il suo.
Il mio, che ogni volta lei mi ricorda, essere uguale al tuo.
“Bella come suo padre!” Mi dice sempre.
Ad un tratto, lì seduta, avevo capito di non poterlo fare senza di te.
Come potevo sposarmi senza averti vicino?
Come si può colmare un vuoto simile?
Niente torna mai come prima.
Ero lì, bloccata, avvolta in un vestito bianco e candido che minacciava di soffocarmi.
Paralizzata dalla paura.
Ma ad un tratto, ho percepito qualcosa.
Tu sei arrivato.
Dallo specchio, al fianco della mamma, non c’era più un vuoto incolmabile.
Tu eri lì, in piedi.
L’espressione un po’ commossa dei tuoi occhi verdi, i capelli neri e mossi come i miei.
Mi hai messo una mano sulla spalla e nella mia testa, ho sentito la tua voce profonda.
“ Io ci sono, sono sempre stato  qui.”
Ho capito sai: tu non sei mai andato via, ci sei sempre stato, ogni volta che ti cercavo e che avevo bisogno di te, io ti vedevo.
Perché ogni volta che mi immergo in una piscina, io so che sei tu ad avermi insegnato a nuotare.
Sei appoggiato al bordo, a sincerarti che io non anneghi.
Quando salgo sulla bicicletta, ti sento alle mie spalle, come quella prima volta in cui mi insegnasti a montare sulla sella e pedalare.
Il giorno del mio diploma, sono stata più che sicura, di scorgerti dal riflesso della finestra in aula.
Eri fiero di me.
Una volta, credevo di non essere come te.
Speravo di non essere affatto come te.
Ma più mi avvicinavo alla chiesa, più capivo di aver sempre sbagliato.
Perché io sono come te.
E tutto ciò che ho di buono e speciale, me lo hai regalato tu.
Ferma davanti alla chiesa, esitavo a scendere dall’auto.
Oltre la soglia che conduceva all’altare su un tappeto di petali bianchi, c’era il nuovo lui della mia vita.
Lo avresti adorato: è il tipo di persona, che non puoi non amare.
La portiera della macchina venne aperta, e una mano ampia e ruvida mi incitò a scendere.
La presi, stringendola forte per non cadere, sopraffatta dall’emozione.
Nei suoi occhi scorgevo il tuo ricordo e la tua mancanza.
Mio fratello commosso, mi avrebbe condotto fino alla fine.
“Sei bellissima, Heaven! Vorrei che papà fosse qui.”
Con un ultimo gesto, mamma sistemò il velo e tutti e tre ci abbracciammo in silenzio.
Il suono argentino delle campane, risuonò nella piazza del paese, la brezza del mare mi colpì il viso, rendendo più salate le mie lacrime.
Ero felice e sconfitta, allo stesso tempo.
“Papà c’é.” Gli ho risposto sicura, mentre infilavo il braccio sotto il suo per farmi scortare alla fine del viaggio.
E tu c’eri, ancora, fino alla fine dei miei giorni.
Nella navata gremita, la gente si voltò a guardarmi.
Lui se ne stava lì, di spalle. Impercettibilmente,  tremava dall’emozione.
Per l’ultima volta, guardai la prima fila della panche.
Eri seduto in mezzo tra la mamma e la nonna.
Mi facevi cenno di camminare, di non fermarmi.
Volevi che io, mettessi veramente quel punto dopo il tuo cognome, che andassi avanti.
Sapevo che quando la mia mano avrebbe preso la sua,  ti avrei perso per sempre.
Il vestito mi sembrò mille volte più pesante, le mie gambe erano instabili.
Ma non mi sono fermata. Gli sono andata incontro come in uno di quei sogni dove la meta sembra sempre troppo lontana e tu troppo lenta per poterla raggiungere.
I miei dubbi, svanirono, quando gli occhi emozionati di lui, si fermarono nei miei.
Ero piena, completa, felice come non lo ero mai stata.
E mentre lui, con un ultimo gesto trionfale, mi rendeva sua con un bacio bramoso, la mia felicità raggiunse la vetta.
Mi sono voltata verso la prima fila e una fitta allo stomaco mi ha fatto capire che l’avevo fatto, che era successo.
Tu mi facesti un sorriso dolce, con le guance un po’ sciupate rigate di lacrime.
Anche io ti sorrisi.
“Addio.” Mi sillabarono le tue labbra.
E ad un tratto il tuo fantasma si dissolse, entrandomi nel cuore, da dove non potrà mai più andare via.
Un calore mai provato, mi pervase, e socchiusi gli occhi colma di felicità e pienezza.
Ed ecco, adesso sono qui.
Questa è l’ultima lettera che ti scriverò papà.
Ma non sarà l’ultima volta che mi sentirai, oh no.
Il mio cuore sussurrerà in silenzio al tuo, parole mute.
Parole, che solo noi due sapremo mai.
Un segreto, solo uno dei tanti che abbiamo e che ci rende, per sempre, da oggi e fino alla fine, una cosa sola.
Ciao papà.
Ci sentiamo presto. Tua per sempre, Heaven J.
 
 
 
 
 
 
 
  
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