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Autore: CaTCheshirE    05/08/2012    4 recensioni
I suoi bellissimi capelli neri le ricadevano sul viso, era dimagrita e sembrava che le clavicole volessero bucarle la pelle pallida.
I suoi occhi chiarissimi erano spalancati e mi fissava con uno sguardo da pazza.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia l' ho scritta, revisionata, riscritta, ri-revisionata, trascritta su word e riri-revisionata in meno di due ore :) quindi non credo di aver fatto un capolavoro. Ma la metto lo stesso, non si sa mai :D

Lei era lì, nella stanza impazzita.
Le alte finestre erano sbarrate con travi di ferro, ed entrava una sottilissima luce lunare che gettava ombre sul letto a baldacchino e sui suoi inquietanti giochi.
C'era un orologio a pendolo che scorreva al contrario, orsacchiotti la cui imbottitura saltava fuori, bambole di porcellana con soli monconi di gambe e vestiti di velluto stracciato.
Dalle bamboline di carta ballavano in tondo ed il tappeto era ricoperto da pezzi metallici deformi e brandelli di stoffa.
Proprio su quel tappeto, con il vestito nero che la circondava come un raro fiore, c'era lei.
I suoi piedini nudi si agitavano come quelli di una bambina ed i capelli neri le coprivano il viso pallido. Aveva perso peso e le clavicole sembrava volessero bucarle la pelle.
I suoi occhi chiarissimi erano sbarrati e mi fissavano con uno sguardo da pazza.
«Se vuoi puoi sdraiarti sul letto. Non ti mangerà.» cinguettò.
Io feci due passi avanti, e subito lei si strinse addosso un grande specchio. Ma non era uno specchio, perché dentro c’era una ragazza che urlava in silenzio e batteva i pugni contro la superficie. Era una prigione, oppure un altro gioco. Forse entrambi.
«Se vuoi puoi sdraiarti sul letto. Non ti mangerà.»
Voci innaturali e metalliche ci raggiunsero. «Volete da mangiare, signorina? Volete da mangiare, signorina? Volete da mangiare, signorina?»
Tre burattini giganti, con i fili che partivano verso l’ alto e poi si dissolvevano, le andarono incontro, appoggiandole davanti tre vassoi colmi di ogni cibo, commestibile e non.
Poi si ritirarono con un gran fracasso di rotelle ed ingranaggi.
Lei prese un pezzo di carne cruda e sanguinante, la ammirò intensamente per qualche momento e poi lo lanciò in mezzo alle bambole animate.
Queste si azzuffarono, emettendo versi animaleschi, ma senza perdere il loro sorriso dipinto.
Quelle che cadevano ed andavano in frantumi continuavano a contorcersi tra spasmi di dolore.
Lei rimase a fissarle per lunghi momenti, come se fosse in attesa. Poi si portò un cucchiaio colmo di minestra calda alle labbra e lo bevve molto lentamente.
«Perché resti in questo posto? Con l’ intelligenza che hai potresti scappare quando vuoi!» dissi, disperato.
Lei prese in braccio un tenero orsacchiotto rosa, stringendolo e cullandolo come fosse un bambino. Poi prese un pezzo di carne e glielo fece dondolare davanti, sporcandosi tutta la mano di sangue.
Il tenero orsacchiotto con i suoi teneri occhi cuciti spalancò la mascella più del dovuto e scoprì cinque file di zanne sporche e una gola rossa come un bocciolo.
Lei lasciò cadere il boccone e l’ orsetto rosa lo maciullò, sputando gocce di sangue tutto intorno. Una delle gocce cadde sulle guancia perlacea di lei, la quale, molto lentamente, la tolse con la punta dell’ indice.
«Qui si sta bene.» rispose a scoppio ritardato. «I miei bambini, poi, hanno bisogno di me.»
«Questi non sono i tuoi bambini.»
Lei mi ignorò e s alzò in piedi. Cominciò a ballare intorno alla stanza, piroettando su se stessa. I nastri del vestito svolazzavano in aria.
Subito dietro di le tutte le bambole si misero in fila, ancora sporche di carne o con i monconi delle braccia e delle gambe che penzolavano. Ce n’era uno, in fondo alla file, senza braccia e senza gambe, che si strascinava avanti come un verme.
Sembrava l’ inquietante danza di un pifferaio pazzo.
Dietro di me la porta si aprì e la strega sghignazzò. «Il tempo è finito, giovanotto. Esci. La tua ragazza diventerà la sposa del Signore delle Tenebre. Rallegrati per il suo fortunato destino e per la vita di lusso che l’ attende.»
Me ne andai.
Non c’era più nessuna ragazza da piangere.
C’era solo una pazza con uno specchio urlante e le sue bambole carnivore.
 
Più tardi il Signore delle Tenebre andò a trovarla. Si sedette sotto il baldacchino, sulle lenzuola nere ed osservò quella piccola creatura che ricuciva i pupazzi e poi ballava per la stanza cantandosi da sola una canzoncina.
Persino nella follia da lui indotta, quella ragazza tratteneva in sé l’ innocenza propria della Luce.
Lei gli si avvicinò, gli regalò un bacio sulle labbra e poi rise e continuò a ballare.
Con quella follia addosso era meravigliosa.
La sua futura e bellissima moglie, oscura di follia ma ancora innocente come una margherita.
Quando lei si azzardò a passargli nuovamente vicino, fingendo di ballare un valzer con l’ orsacchiotto rosa, lui la afferrò per un polso e la trascinò sul letto.
Lei lo fissò, con i suoi grandi occhioni color del ghiaccio.
Una parte della sua innocenza gli apparteneva. Era sua di diritto. Perché aspettare fino al matrimonio quando quell’ innocenza la voleva ora?
Si distese sul suo corpo, e lei mollò la presa sull’ orsacchiotto, che finì a terra rattrappendosi su se stesso.
Di tanto in tanto sentiva dei morbidi mugolii venire da lei. Ma non ci sarebbe stato nessuno a salvarla dalla sua voglia.
Lei non voleva chiudere gli occhi. Continuava ad osservarlo, così simile alle bambole che le piacevano tanto.
Sembrava anche lei fatta di porcellana.
Non così, non ora.
Il Signore delle tenebre si allontanò da lei.
C’era tempo. Sarebbe stata sua per il resto dell’ eternità. C’era tempo per il desiderio di entrambi.
Lei sorrise.
Un sorriso morbido, di quelli che il Signore delle Tenebre non riceveva molto spesso.
Era buia di follia, ma risplendeva ancora.
«Tuo nome sarà Luna.» disse «Quando verrai battezzata come creatura della mia corte, diventerà il tuo nuovo nome, e siccome sono stato io a dartelo, sarai mia.»
Luna sorrise. Gli occhi scintillavano ed i capelli le incorniciavano il viso di cristallo.
«Ti amo, Signore.» 

  
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