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Autore: Ruth Spencer    07/08/2012    8 recensioni
Attesi una sua reazione, ma tutto mi aspettavo, tranne che scoppiasse a ridere.
Smisi di torturarmi i riccioli e gli rifilai un'occhiataccia. -Cosa c'é di tanto divertente?- lo apostrofai. Stavo perdendo la pazienza.
Ero nei guai fino al collo. E tutto per una stupida e-mail.
Avrei volentieri sbattuto la testa al muro per la disperazione. Purtroppo per me, la testa mi serviva eccome in quel momento.
-Allora?- lo incalzai.
Finalmente Louis si decise a parlare. –Mi stai dicendo che ti sei innamorato di una corrispondente anonima per e-mail e che solo ora hai scoperto che si tratta della tua più acerrima rivale a lavoro?-.
Lo guardai confuso.-Più o meno- borbottai.
Louis annuì piano e mi diede una pacca su una spalla con aria afflitta. –Condoglianze, amico-.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Con questa mia storia, scritta senza alcuno scopo di lucro, non intendo offendere nessuno dei personaggi da me citati, dal momento che la rappresentazione di questi ultimi non è pertinente alla realtà o in alcun modo veritiera. 
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 Capitolo  1

                                                           
                                                          
                                                           

                                                                                                                                  Carol;
 

 

-Sally, dammi il mio articolo. Non ho tempo per i giochetti!- la minacciai, guardandola torva.
Lei, dal canto suo, mi fissò perplessa, piegando la testa di lato. Probabilmente pensava che fossi scema.
Sbuffai. –Sally, non ti ci mettere anche tu!-. Un altro nanosecondo e sarei andata in esaurimento.
Ero in ritardo. Ma, d’altronde il mio era un caso cronico. Qualunque cosa facessi, anche se in perfetto orario, era ritardato da qualcosa di imprevisto: non era colpa mia. Attiravo i guai come una calamita e i guai erano ben contenti di inseguirmi.
Quel lunedì mattina, per esempio, la sveglia aveva dimenticato di suonare, il tosta-pane si era deciso a fare i capricci e avevo cercato le Vans nere per tutta casa prima di riuscire a trovarle. Come se non bastasse, il mio cocker spaniel si ribellava contro di me e minacciava di divorarsi il lavoro di una nottata.
Già immaginavo i titoli dei giornali, l’indomani: “Il cane si pappa l’articolo e lei viene presa a calci da una direttrice infuriata”.
Sally mi restituì un’occhiata indifferente e per tutta risposta, si girò dall’altra parte.
Contai fino a dieci mentalmente, per impedirmi di ucciderla.
Basta. Era giunta l’ora di mettere in atto il piano B.
Raggiunsi a grandi passi la credenza, aprii lo sportello con movimenti lenti, per essere certa che mi stesse osservando e afferrai la confezione di croccantini per cani.
Versai il contenuto nella ciotola azzurra che le spettava e la posai con noncuranza sul pavimento, proprio vicino a lei.
Se esisteva qualcosa che Sally amava più dei miei articoli da ridurre in coriandoli di carta, quel qualcosa erano i suoi croccantini.
Mollò la presa sulle mie scartoffie e come se nulla fosse, si dedicò alla nuova preda. Sorrisi vittoriosa e mi impossessai, di nuovo, del mio articolo.
In quel momento, Alyson fece la sua comparsa in cucina. Indossava ancora il pigiama orrendo che tanto le piaceva, i capelli lunghissimi in disordine e una faccia stravolta dai postumi di una sbornia.
Io ed Alyson eravamo amiche dai tempi del College e vivevamo assieme già da qualche anno. Non che mi fossi mai abituata a lei.
Io ero l’apprendista scrittrice, competitiva al cento per cento, sempre a caccia di scoop per fare carriera e conquistare la stima di Annie Reed, la strega che faceva da direttrice al Daily Mirror.
Lei era quella strana, l’artista incompresa, la pittrice di strada, per molti sinonimo di “fallita”; piena di manie e fissazioni che gli analisti avrebbero tranquillamente definito: “sindromi ossessivo - compulsive”. Io preferivo dire: “Paranoie di Alyson Smith”. Avrei potuto scriverci un saggio al riguardo.
Eppure, nonostante fossimo totalmente diverse, andavamo sempre d’accordo.
-Come è andata ieri?- le domandai prima ancora di darle il buongiorno. Mi appoggiai all’isola della cucina e sorseggiai il latte direttamente dal cartone.
-Il tizio era una noia,- rispose lei, con voce impastata-Gli ho detto che andavo in bagno e l’ho
abbandonato lì-.
Quasi mi strozzai, mentre bevevo. Tossicchiai, tentando inutilmente di non ridere. Nulla da fare.
Lei finse di non notarmi e prese ad ispezionarsi le unghie laccate di verde, con aria sognante.
-Hai dimenticato il computer acceso- osservò di punto in bianco.
Non lo avevo dimenticato. E anche lei, in fondo, lo sapeva.
Lasciai la cucina per controllare se mi fosse arrivata una e-mail e prima di guardare lo schermo avvertii un leggero vuoto allo stomaco.
Trattenni il respiro: lui mi aveva risposto.
Si, dico lui semplicemente perché da qualche mese, io e un perfetto sconosciuto ci scambiamo messaggi di posta elettronica attraverso un social network.
Non sapevo nulla di lui, solo che amava i gialli di Agatha Christie, che sapeva tutte le battute de “Il Padrino” a memoria; che aveva rischiato di incendiare il suo appartamento nel disperato tentativo di cucinare una pizza commestibile e poche altre cose di dubbia importanza. Avevamo anche deciso gli argomenti tabù: non parlavamo mai dei nostri veri nomi, del nostro lavoro, delle nostre vite. Non ci eravamo mai chiesti nemmeno se avessimo una relazione con qualcuno, se fossimo single o sposati. Trascorrevamo le serate a chiacchierare delle notti nebbiose di Londra, del caffè che ci piaceva prendere al bar, della bellezza della pioggia, della giornata trascorsa, dei datori di lavoro insopportabili (senza scendere in particolari), cose così sciocche, ma così splendide che ogni volta mi lasciavano con il fiato sospeso.
Sorrisi nel leggere il messaggio e digitai rapidamente una risposta sulla tastiera.
-Sei in ritardo- mi ricordò in tono incolore Alyson.
-Lo so!-. Chiusi di scatto il computer. Afferrai la borsa, abbandonata in un angolo del salotto e feci per aprire la porta.
-L’articolo-. La voce di Alyson mi giunse dalla cucina. Di nuovo.
Mi morsi il labbro, dandomi della stupida e corsi a recuperare il mio scritto.
 
 
 
 
                                                                                                                                                                      Harry;
 
 
 
Erano dieci minuti che la guardavo parlare. Vedevo le labbra rosso fuoco muoversi ad una velocità impressionante e mi chiedevo chi o che cosa stesse criticando con così tanto impegno.
-…e stasera dovrò sorbirmi il suo monologo auto celebrativo. Impazzirò, ne sono sicura…tesoro, mi stai ascoltando?- mi interpellò alla fine.
-Certo.- mentii io.
-Amore ora scappo. Oggi discuteremo del progetto e non devo tardare per nessuna ragione-.
Mi stampò un bacio frettoloso sulle labbra e scomparve oltre la soglia della cucina. Qualche istante dopo sentii chiudersi la porta.
Sospirai. Rachel era la mia fidanzata da cinque anni e convivevamo da tre e mezzo. Era lunatica, iperattiva e terribilmente logorroica, ma tutto sommato mi piaceva.
Mi alzai dalla sedia e controllai alla finestra. Stava camminando sul marciapiede, con la coda di cavallo castana che le dondolava a destra e a manca e gli occhiali da sole in pieno autunno.
Quando svoltò l’angolo, lasciai andare le tendine bianche: via libera.
Mi avvicinai con passo felpato al computer, come se temessi di essere scoperto e cercai tra le e-mail. Avevo ricevuto un messaggio. Da lei. Sorrisi impercettibilmente.
Mi faceva sempre uno strano effetto scoprire che mi aveva scritto.
Lessi rapidamente e inviai la risposta.
Era nata una strana amicizia tra me e lei. Scriveva bene, era vivace e ironica al punto giusto. Una manciata di virgole e punti le sarebbe bastata a catturare l'attenzione del suo interlocutore. Adorava le margherite bianche, il profumo di libri nuovi e l’odore di vernice ancora fresca sulle panchine del parco dietro casa; Londra in autunno le faceva venire voglia di comprare matite e quaderni; il colore delle pesche le ricordava l'estate trascorsa in Italia con la sua famiglia e ogni anno, a Natale, rileggeva per tradizione "Cime tempestose" di Emily Bronte. Stranamente non conoscevo neanche il suo nome, non avevo idea di che lavoro facesse e non mi aveva mai inviato una sua foto. Per quanto ne sapevo, poteva avere il naso schiacciato, il muso cavallino, essere grassa e piena di peli. Eppure, mi ritrovavo a pensare che non avesse importanza. Eravamo per così dire, “amici di penna”. Attraversai la strada sulle strisce e proseguii dritto. Da qualche mese, la dispotica Annie Reed mi aveva assunto al Daily Mirror come giornalista in prova e io di certo non avevo alcuna intenzione di deluderla.
Avevo lavorato sodo negli ultimi anni, correndo da un giornale all’altro per articoli occasionali e pochi soldi in cambio e ora mi si presentava davanti l’occasione di una vita. Non l’avrei sprecata.
Avvistai la scritta a caratteri rossi che contrastava con il grigio dei mattoni: “Redazione del Daily Mirror”.
Consultai l’orologio e realizzai di essere in netto ritardo.
Mi affrettai a raggiungere l’edificio ed entrai dalla porta principale. All’ingresso salutai qualcuno distrattamente e corsi verso l’ascensore che si stava chiudendo proprio in quel momento.
Lo bloccai con un piede ed entrai, ancora affannato. Accanto a me, sentii qualcuno sbuffare.
Mi voltai per ritrovarmi Carol Hatton ad un passo di distanza. Teneva le braccia conserte e il naso per aria a fingere di fissare chissà cosa, solo per non dovermi salutare.
Mi esibii in un sorrisetto impertinente, sicuro che mi stesse supervisionando con la coda dell’occhio. Lei non accennò a guardarmi.
-Buongiorno, Hatton.- la salutai, allora.
–Salve, Styles.- rispose dopo qualche istante di confusione.
Mi veniva quasi da ridere a vederla con quell’espressione oltraggiata dipinta sul viso. E pensare che la prima volta che l’avevo incontrata, avvolta nella giacca a vento blu e i jeans sportivi, mi ero persino detto che fosse bella.
Avevo ammirato i suoi capelli, che le ricadevano ondulati sulle spalle esili e sul seno acerbo, dello stesso colore del grano maturo nei campi; le mani lunghe e affusolate, pallide come ali di farfalla e gli occhi di un nocciola caldo e avvolgente.
Un’ora dopo, mi ero già pentito di averlo anche solo pensato: Carol Hatton era la ragazza più intrattabile e odiosa di questo mondo.







Spazio autrice: Questa storia è nata da un'idea piuttosto confusa...e anche un po' strana se devo dirla tutta. Come al solito, le idee mi si sono schiarite scrivendo.
Nel caso non fosse chiaro (ditemi che lo è, perchè mi sentirei  una fallita!!!) Harry e Carol lavorano nello stesso giornale e non si vogliono molto bene. Senza saperlo però, sono anche corrispondenti anonimi di posta elettronica e fanno amicizia attraverso il pc per i loro interessi in comune...
Ho preso ispirazione da un commedia americana di qualche anno fa, "You've go mail"  con Tom Hanks e Meg Ryan, attori che io adoro (^^). Posso assicurarvi però che ambientazione, personaggi, eventi saranno completamente diversi.
La trama è incentrata sulla sottile, ma essenziale differenza tra reale e virtuale, tra vita e sogno.
Il volto di Carol è quello di Gwineth Paltrow . Ho pensato a lei, perchè è molto spontanea e l'apprezzo anche come attrice.
Inoltre, questo capitolo è d'introduzione. Gli altri saranno un po' più lunghi e dal prossimo in poi la storia entrerà nel vivo, non temete :).
Se siete arrivate a leggere questo schifo di "spazio autrice", spero proprio che il primo capitolo vi sia piaciuto e mi farebbe davvero piacere leggere le vostre recensioni in proposito.


Spero mi si filerà qualcuno. Altrimenti, sarò costretta a recensirmi da sola come una perfetta idiota u.u

Al prossimo capitolo...se vorrete xX

 

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Vi lascio una foto di Carol ed Harry...spero vi piacciano  <3 
   
 
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