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Autore: Dearly Beloved    09/08/2012    5 recensioni
"Realizzai, finalmente, quando di fronte al cadavere di mio padre, che fino a tre secondi prima implorava la mia pietà, non seppi se ridere o piangere, e nel dubbio feci entrambe le cose."
Piccola one-shot (anche se questo termine non esiste più, forse) ambientata in Devil May Cry 3.
I commenti e le critiche sono sempre ben accetti!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Dante
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Out of the greenhouse.

 

 

 

Seduta sui pezzi di quello che rimaneva, forse della mia anima o forse più semplicemente di qualche palazzo distrutto, avrei voluto scappare.
L’avrei voluto tanto, ma sarebbe stato un comportamento sconclusionato, infantile, inutile.
In fondo cosa sono io, se non una donna maturata prima del tempo, fuori stagione come una fragola a dicembre?

 

Sono cresciuta in una serra, in poche parole.

 

La mia era un’esistenza artefatta, ideale, che quando poi si è imbattuta nella realtà fuori dai quattro vetri che mi avevano protetta e vista crescere, ha rischiato di venirne soffocata, annullata, uccisa.
Nelle mani di me stessa, io sola potevo salvarmi.
Per sopravvivere,

 

capii di avere bisogno di una scorza più dura.

 

Ovunque volgessi lo sguardo, mi rendevo conto di essere circondata dallo schifo. Lame che al primo errore mi sarei ritrovata conficcate nella carne, arcieri sadici pronti a scagliarmi addosso le loro frecce.

 

Nessuno avrebbe avuto pietà di me, non mi ci volle molto per capirlo.

 

Nulla era cambiato, di quel che avevo intorno, ma la patina sottile che proteggeva i miei occhi dallo spettacolo ripugnante che era la vita fuori dalla serra, e che difendeva il cuore di una ragazzina che aveva ancora bisogno di tempo per diventare donna e per prepararsi ad affrontare ciò che l’attendeva, venne a mancare così all’improvviso da lasciarmi sconvolta. Ero impreparata, tenera, acerba.

 

Ero solo una bambina.

 

Un’esile filo d’erba esposto ad una tormenta di neve. Nessun riparo, nessuna serra.
Non avrei perdonato quello che mi era stato fatto. Dovevo diventare più forte, dovevo avere la mia vendetta.
Forse così sarei riuscita a salvarmi.

 

La sua risata roca mi provocava spiacevoli brividi lungo tutta la schiena.
Cercavo un qualunque difetto nel suo viso, e il fatto di non riuscire a trovarne mi mandava letteralmente in bestia.
Nulla stonava con nulla, né i capelli bianchi con la carnagione ambrata, né gli occhi così dannatamente azzurri con il sangue che gli ricopriva il volto. Doveva puzzare parecchio, ricoperto da tutto quello schifo, eppure non riuscivo a provare disgusto.
Avrei voluto volentieri tappargli la bocca, in modo da annullare quel sorrisetto idiota che tanto mi dava sui nervi.
Avrei voluto tappargli la bocca a modo mio, in quel momento. Poi magari non sarei neanche riuscita a guardarlo negli occhi e avrei fatto di tutto per ucciderlo alla svelta, in modo da impedirgli battutine sarcastiche.
Avrei voluto tappargli la bocca, a costo di macchiare le mie povere labbra di quella schifezza, provare il sapore ferroso del  sangue del Leviatano...
No, okay, due parole:
Che. Schifo.

 

L’avevo incontrato sulla Temen-ni-gru, ed era l’incarnazione dei miei incubi peggiori.
Quella sua aria ironica mi feriva, quasi. Si divertiva a prendersi gioco di me, che in confronto a lui non sapevo neppure come allacciarmi le scarpe.
Era un demone, come tutti gli altri, ed io l’avrei ucciso, come avrei ucciso tutti gli altri.
Avevo giurato a me stessa che non ne sarebbe rimasto uno solo. Allora sarei stata al sicuro, lo sarebbe stata l’intera umanità. Vivevo nell’illusione che quello sarebbe bastato a rendere il mondo un posto ideale, come lo era stata la vita nella mia fantastica serra, prima che mio padre distruggesse tutto. Prima che mia madre…
Avrei ucciso. Così sarei riuscita ad estirpare il male dal mondo.
Nessuno avrebbe più provato il terrore e lo smarrimento che avevo provato io.
Questa, allora, mi sembrava la soluzione di tutto. Non ero cresciuta affatto.

 

Le parole di lui mi graffiavano il cuore, il mio senso di inferiorità diventava man mano un qualcosa che riuscivo a nascondere sempre meno. Non so se il mio sguardo abbia mai tradito qualcosa di ciò che nascondevo nel cuore, ma con le frasi dure e le parole pungenti che uscivano sicure dalla mia bocca con disprezzo, quantomeno, salvavo ancora la faccia.
Lo odiavo, lo odiavo con tutta me stessa, da prima ancora di venire a conoscenza della sua natura demoniaca.

E poi, quando me lo ritrovai di fronte, i proiettili che gli avevo piantato in testa ormai chissà dove, provai ancora più voglia di ammazzarlo.

 

Scoprii il suo nome dopo aver incassato la mia prima sconfitta.
Eppure, anche con le spalle al muro, continuavo a sentirmi la più forte, perché l’avrei comunque ucciso senza esitazione. La bambina che ero non esisteva più.
Forse anche per questo accettai di buon grado il nome che mi diede.
Lui, invece… non ero sicura che fosse in grado di uccidere un essere umano. Ma poi, chissà, magari era solo una mia sensazione.
La sicurezza di poco prima, però mi mancò quando sentii il suo respiro sulle mie labbra. Vacillai.

 

Cercai di imprimere a fuoco nella mia memoria com’era caldo il suo fiato, e come mi accarezzava il viso dolcemente.
Quasi da fare male al cuore.
E tutt’oggi devo ancora capire cosa mi diede la forza di voltare la testa, in quello che lui interpretò come un rifiuto deciso. Tanto che non ci riprovò più, e a me va bene così.

 

Non faceva altro che sbattermi in faccia la realtà, indirettamente: per quanto continuassi a convincermi di essere cresciuta, di aver superato i miei limiti –almeno in parte-, non avevo capito quanto realmente fragile io fossi.
Non avrei superato i vent’anni, continuando a quel modo. Cos’avrei fatto dopo aver avuto la testa di mio padre come volevo? Continuare ad uccidere, ancora e ancora, e da sola, perché non sarei mai riuscita a riporre la mia fiducia in nessun altro. Mi sarei chiusa in me stessa, ancora di più, senza nessuno accanto, nessun amico.
Non mi stavo salvando. Mi stavo distruggendo con le mie mani.
Ma rifiutavo a priori quella verità, perché ormai volevo andare fino in fondo.

 

Realizzai, finalmente, quando di fronte al cadavere di mio padre, che fino a tre secondi prima implorava la mia pietà, non seppi se ridere o piangere, e nel dubbio feci entrambe le cose.

 

Non potevo più andare avanti. Il percorso intrapreso da Dante mi era precluso dalla mia natura umana. Così, saggiamente –per la prima volta-, decisi che era meglio tornare indietro, e aspettare che lui si sistemasse le sue faccende.
La consapevolezza di non avere più alcuna via di fuga era opprimente.
Seduta sulle macerie ad aspettare, piansi ancora.
Avrei abbracciato Kalina Ann in quel momento, se l’avessi avuto con me. Dannazione.

 

E poi, quando vidi una lacrima solcare il viso di lui, mi lasciai scappare un sorriso amaro pensando che, in fondo, non sarei stata del tutto sola, forse.





 

Note:

Buongiorno/Buon pomeriggio/Buona sera/Buona notte, fandom di Devil May Cry!
Sto prendendo la cattiva abitudine di leggere e scrivere al posto di dormire. Sono tre giorni che non chiudo occhio ed ho un aspetto terribile, anche se mia cugina dice che sono bellissima e che le occhiaie mi danno un che di “Elloso” e affascinante ♥ -coff- quella leccaculo –coff coff- Eppure trovo l’energia per scrivere. Ma dove?, dico io.
Facendo un giro di ricognizione nella mia pagina, mi sono accorta che tranne per l’eccezione della mia one-shot su Lady e quella del Vergil passivo (♥), non ho mai usato la prima persona. Sarà perché, boh, in qualche modo mi vergogno (?) °-° mentre, per Lady è una cosa diversa. Lunga storia. Mo’ ve la racconto.
Quando tanto, tanto tempo fa una piccola fangirl in preda a mostruosi sbalzi ormonali giocava nella sua cameretta rosa confetto a Devil May Cry 3 –che le aveva prestato Sick in un momento di grande pace interiore-, gridando come un’assatanata mentre prendeva a colpi di Rebellion demoni e tizi inutili con la mantella blu (♥), spaventando a morte il vicinato… sì, insomma, quella ragazzina –che non sono io, maffiguratevi! Pfft (-//w//-‘’)- ad un certo punto vide Lady e se ne innamorò perdutamente. “Da grande,” diceva con il suo vocino adorabile e gli occhi iniettati di sangue di demone che luccicavano “io mi romperò il naso e sarò come lei *3* ♥”.
Il primo amore di Dante, signori, la sua amica, la donna che gli è rimasta accanto per più tempo, la tipica gran figa ribelle di turno. Come avrebbe potuto quella ragazzina non rimanerne affascinata?
Poi, tempo dopo, la vide vestita da zoccola in Devil May Cry 4, tutti le dissero che somigliava di più alla Trish del primo videogioco e dopo la terribile rivelazione abbandonò per sempre l’idea di fare un cosplay femminile ._.
Segretamente –ma non così tanto segretamente-, continuò a venerarLa, a tal punto che poi ebbe crisi di identità, e iniziò andare in giro con il fucile da caccia di suo zio in spalla, chiamandolo Kalina Ann. Così si spiega perché iniziò a scrivere di Lady in prima persona.
Neanche volendo potrei usare la terza, se si tratta di Lei.
Che bella storia, neh?
Che dire sulla storia vera? -w-‘’
Qui abbiamo una Lady che, nell’ultima parte, dichiara pubblicamente che in assenza di Dante sfoga le sue carenze sessuali affettive sul Kalina Ann, e che, quando non ha neppure questo a portata di mano, si mette a piangere (??) ^^
Ma se proprio voglio essere seria, per una volta, sono molto insoddisfatta di quello che è uscito fuori. Il non dormire mi fa male. Mi pare sgradevolissimo da leggere.

Scritta ieri alle 4:44 del mattino, signori miei. E vista l’ora a cui sto postando, mi aspetta una luuuuunga notte.
Perché le mie note sono sempre chilometriche? E in fondo, a voi, che vi frega? ^^ qualcuno le leggerà mai, ‘ste benedette note dell’autore? O sto parlando da sola come i pazzi da mezz’ora?
Uhm. Adios ♪

Dearly B.

   
 
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