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Autore: Elizabeth_Tempest    09/08/2012    2 recensioni
"Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato". (A.Manzoni)
Genere: Malinconico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Titolo della storia: Danse Macabre
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Elizabeth_Tempest
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o0°Lucetta_Streghetta°0o
Fandom:
Originali
Personaggi o Pairing:
//

Prompt: Girasole- Rancore
Genere:
Storico, Triste, Malinconico
Avvertimenti:
One-Shot
Breve introduzione:
"Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato". (A.Manzoni)

 

 

Si levavan, da strade e case, urla e gemiti, strilli acuti e versi animaleschi.

Ovunque il tanfo di morte era riconoscibile, come fosse stato una nube onnipresente. Era sul mondo sceso un velo di spessa disperazione.

Qua e là carri tintinnanti passavano sferragliando le ruote, carichi di macabra merce: eran bambini, donne e uomini, ve n’eran di anziani o di giovini; alcuni muovevano ancora le membra intirizzite dalla Nera Signora; gemevano, le menti perse nel delirio della malattia, che si mangiava la loro ragione come un tarlo il legno marcio; urlavano, persi nell’agonia, altri avevan gli occhi sgranati, alcuni stupiti, altri rassegnati, altri ancora, in maggior parte, guardavano con lo sguardo spento il vuoto, pieni di rancore, ché la morte se li era presi quando ancora nelle loro menti c’era la speranza e i progetti che si andavano disegnando dentro di loro, per i tempi lontani, dove la grazia del Signore sarebbe scesa su tutti loro e la mano del Diavolo si sarebbe allontanata dalla città.  

Gli arti e i capi ciondolano per gli scossoni delle strade sconnesse, come percorsi da una sinistra musica inudibile per chi ancora aveva in petto la vita: solo chi aveva già reso conto al Signore de’suoi peccati aveva il piacere di udir il suono di strumenti angelici –o forse demoniaci?- e di danzar su tali note. Danzavano ancora e ancora, agli scossi delle loro vetture che li portavano ove avrebbero finalmente ricevuto il loro letto eterno.

I viventi guardavan quel triste spettacolo, tristi in viso o indifferenti, altri chinavano il capo e rivolgevano ai morti preghiere accorate: fortunati coloro che già al Signore erano ascesi. Alcuni li guardavano con rancore: eran già andati, coloro, perché pregare? Non soffrivan più delle pene del corpo, che si pregasse per quelli che ancora lo facevano!

Le scorte macabre del corteo andavano col petto all’infuori, quasi fossero orgogliosi del ruolo: annunciavano la Morte signora, coi sonagli tintinnanti, dal suono argentino, che pareva un crudele scherno, tanto era allegro quel suono.

Le loro voci si alzavano imperiose e quasi allegre, nelle tasche e nelle bisacce nascondevano la ricompensa ai loro sforzi, che prelevavan loro stessi dalle cassepanche de’morti e moribondi, a premio del lavoro caritatevole che svolgevano, che poi spendevano nelle bettole ove, se dalla peste s’erano salvati, andavano a morire dei morbi dell’amore.

Le genti li fissavano a sguardo basso, intimoriti e rancorosi: quanto mancava prima che quei diavoli si presentassero ai loro usci, reclamando i loro morti e i loro vivi? Prima che li spogliassero come si faceva col maiale scannato, di cui non si scartava nulla? Li avrebbero spogliati dei pochi denari, dei loro miseri panni.

Tutto pareva morto, tutto pareva sottosopra: che ne era stato dell’ordine? Erano forse balocchi del Diavolo, che crudele derideva i poveri infelici della città?- si chiedeva la folla smunta, che camminava gobba per strada. Gli amici non si salutavano, le persone non si sfioravano. S’andava in mezzo alla strada, gli occhi che osservavano febbrili e i sensi che parevano quasi quelli dei lupi: si stava attenti, ché gli untori, in combutta col Demonio, stavano nascosti tra loro, pronti a ungere la gente per bene.

La fanciullina, dal viso incavato, osservava nascosta quello spettacolo tetro. S’era rifugiata nella casa sua, vuota di vita. Sul giaciglio ancora stava la madre, gli occhi sbarrati, sorpresi.

La fanciullina si chiese a cosa stesse pensando. Era forse sorpresa dalla Morte? Non sapeva che stava morendo? Non se n’era resa conto? O la Dama Nera le era apparsa come qualcosa di tanto sublime da lasciarla stupefatta?

Lanciò un lungo sguardo al genitrice, pieno di rancore. Lei, almeno, era morta. Che sofferenze poteva ancora provare, quel cadavere sfatto?  S’era andata con suo padre, che nostalgia poteva provare? Ora che stava coi morti tra le braccia del Signore, che mancanza poteva provare?

Si passò la mano umida sul viso bagnato. Le doleva la gola riarsa. Lanciò un’occhiata d’odio alla brocca d’acqua: che beveva a fare, se non si poteva dissetare? Se le febbri le prosciugavano la fresca bevanda prima che le giungesse nello stomaco?

E come poteva non provar rancore per le mosche schifose, che giravano per la stanza, lanciando muti ululati di gioia mentre mangiavano la donna che l’aveva messa al mondo? Orride bestiacce figlie della Morte, eppure vivevan meglio degli umani. Loro avev del cibo, per lo meno! E se pur non eran nella grazia del Creatore, avevano la pancia ben piena!

Ah, la grazia del Creatore! Che grazia era? si disse, tirandosi sulle gambe molli. Aveva dato loro la fame, prima, e poi la Morte. Se aveva tanta grazia, che le desse una fine rapida! Barcollò verso il tavolaccio di legno traballante, stanca. Lanciò un occhio verso la finestrella sulla strada, da cui arrivavan i rumori della via: gemiti, urla, borbotti e i suoni de’monatti.

Ecco, provò altro rancore. Sì, la vita era rancore, non se ne poteva far a meno. Che ingiustizia, quella morte! Perché la sentiva vicina, col fiato sul collo lurido di sudore e sporcizia, che le accarezzava i capelli unti, appiccati alle gotte e alla fronte alta, le cingeva la vita magra. Sì, Morte. Ormai sentiva la sua voce muta vicino alle orecchie.

Si tolse il corpetto, stanca. Dalla strada giungevano delle urla e si pose in ascolto. “Dagli, dagli all’untore!”

Rise. Astio anche per l’untore: che lo prendessero e gliele dessero bene, a quel satanasso! Ché quelli come lui solo la morte dei gentiluomini auspicavano, ché se s’era ammalata, era solo colpa loro!

Era sana, lei, era bella, anche se di una bellezza sciupata dalla fame e dal lavoro. Ma nella sua mente andavan delineandosi disegni per i tempi a venire. E sarebbe stata buona moglie e brava madre, avrebbe sposato magari il figlio del panettiere, che da tempo le voleva fare da moroso. Avrebbe avuto qualche denaro nelle tasche e magari de’piatti belli, di quelli di maiolica, e non di peltro scuro e sciatto, annerito dal tanto uso. E sulla sua tavola ci sarebbe stato pane bianco e soffice, non solo duro e nero, e la polenta l’avrebbe fatta in abbondanza e non quella poltiglia troppo allungata dall’acqua che la sua signora mamma cucinava sempre più spesso. Nella zuppa di cavoli ci sarebbe stato pure un po’ di grasso di montone, e magari avrebbe avuto una coperta con le piume d’oca dentro, cosicché le membra stanche ci si riposassero come poteva una regina. Avrebbe avuto un nugoli di ragazzetti urlanti e poi sarebbe diventata vecchia e bianca.

Che sciocchezze erano ora que’pensieri penosi: che futuro c’era? Il figlio del panettiere aveva raggiunto i santi e a lei non rimaneva che la forza di quella risata isterica, mentre udiva i ruggiti della folla. Sì, sì, che gliene dessero, all’untore! Gliene dessero pure per lei, che non aveva la forza di scender per strada a fargli pagare il conto dei suoi bagordi! Che li prendessero, quei balordi, e li appendessero per il collo nella piazza! Che imparassero quei bestemmiatori a ungere le porte! Ah, che li prendessero! Se non c’erano i birri a far giustizia, che se la facesse la città sola! Giustizia per i morti e per i vivi! Che li mandassero, quei vili, al loro mandante!

E rideva furiosa e divertita. Il petto le si ruppe in un accesso di tosse, mentre le gambe la mandarono per terra, esauste. E allora provò livore pure per quegli arti, che non ne volevan più sapere di tenerla eretta. Pareva di essere una vecchiaccia grigia e stanca, mentre il morbo del Diavolo le mangiava la giovinezza.

Gemette, strappandosi ciocche di paglia secca e nera dalla testa, urlando, latrando quasi come un cane.

Ch’aveva fatto, lei, per meritarsi quello?!

In chiesa c’era sempre andata, aveva fatto la carità quando Dio lo chiedeva e le sue preghiere alla Madonna non mancava di recitarle. Era stata sempre buona anche con la sua mamma, aveva sopportato gli strilli ubriachi di suo padre e mai l’aveva ripreso quando si rubava i suoi risparmi! Si era bruciata le mani lavando la bella biancheria delle gentili signore della città e aveva sempre tenuto gli occhi ben bassi, ché nessuno le potesse dire di aver mancato di rispetto!

Le urla e le risa isteriche e rabbiose vomitavano il suo astio stanco. Che venisse la Morte, che venisse! Che se la prendesse, ma almeno lo facesse in fretta! L’avrebbe ricevuta come si fa cogli amici fedeli, perché le pareva che le fosse tanto conosciuta.

Le risa si spensero, mentre chiudeva gli occhi. Massì, che venisse, che la stava aspettando. Tese l’orecchio, aspettandola e si mise seduta. Le sue labbra viola cantavano qualcosa, mentre le dita uncinate sistemavano i capelli rigidi. Prese a ridere di nuovo.

Le giunsero gli stivali pesanti dei figli della Signora e nel suo cuore si rinnovò l’acre risentimento.

Quelli entrarono e si presero sua madre, poi volsero a lei gli occhi. Alcuni già frugavano sotto i sacconi dei giacigli, altri avevano aperto l’armadio e gettavano al suolo stoviglie e biancheria.

Uno trovò una borsa con pochi soldi. Ah, che villane, dicevano. Non li pagavan bene il viaggio che le portavano a fare e ridevano, gracchiando.

La fanciulla gettò loro un’occhiata un po’ instupidita, piena di acredine. Sapevano loro quanto ci aveva messo a far ordine nella stanzetta che chiamava casa?! Ah, briganti! Aspettava ospiti, lei: un coro di angeli a portarla in cielo e la bella dama nera a darle il braccio! E loro mettevan disastro nella sua casa!

Lanciò un lamento funebre, mentre quella gente l’afferrava per le gambe e sotto le ascelle, e la sollevava come una bambola di pezza. Dondolava, mentre la portavano via. Era in culla? si chiese, stanca.

Guardò la gente che la fissava mentre i monatti la scortavano solerti alla sua ultima vettura. Perché la guardavano? Non aveva forse lo stesso aspetto? Poteva vedere la Morte che se li accarezzava uno per uno, come una bimbetta capricciosa che sceglie i suoi balocchi nuovi.

E la Morte guardava lei, con un largo sorriso sul volto spoglio. Non vi era cattiveria, solo materna premura. Provò di nuovo astio per il ritardo al quell’appuntamento allungo fissato. Mamma, perché non siete venuta prima? le chiese, singhiozzante, mentre ella, premurosa, se la stringeva al seno.

 

 

 

Note di Autore

·         La storia è ambientata durante la peste del 1630, la stessa di cui tratta Manzoni ne “I promessi sposi”, a cui è, in parte, ispirata la One-Shot.

·         La peste del’630 fu particolarmente virulenta e colpì in particolare il Nord Italia (viene anche ricordata come la peste di Milano). Prima di questa, nella penisola italica si registrò una grave crisi economica e un calo demografico, aggravato dalla carestia, che contribuì alla violenza dell’epidemia, che, secondo gli storiografi dell’epoca, venne portata dei lanzichenecchi. Diversamente da molte delle epidemie di peste precedenti, che avevano colpito in particolare gli strati più poveri della popolazione, questa falcidiò buona parte della popolazione, con un conteggio approssimativo di 280.000 vittime, dilagando sia nelle città che nelle comunità rurali, anche le più isolate.

·         I monatti erano persone deputate al trasporto di morti e moribondi ai lazzaretti, solitamente persone che avevano già contratto la peste e ne erano guariti, sviluppando quindi l’immunità al morbo. Si resero tristemente famosi per i saccheggi alle case dei malati e lo spoglio dei cadaveri.

·         Gli untori, invece, erano i propagatori della malattia secondo la fantasia popolare, cioè persone che stringevano patti col Demonio o che per pura cattiveria fabbricavano strani intrugli dagl’ingredienti bizzarri che poi usavano per ungere le porte delle case o la gente, al fine di diffondere la peste.

·         La peste, all’epoca, non era considerata una vera malattia: buona parte dei medici la riteneva un veleno oppure il risultato di un sortilegio. Non furono poche le persone condannate come streghe o untori dalle autorità o i linciaggi della popolazione ai danni di persone additate come tali, mentre nelle città e nei villaggi vennero venduti numerosi filtri o talismani che avrebbero dovuto tener lontano il morbo.

·         La Danse Macabre o Danza Macabra è un tema iconografico tipico del tardo Medioevo che rappresenta persone e scheletri mentre danzano. La sua funzione era quella di memento mori e l’espressione di una certa ironia nei confronti delle gerarchie sociali che, davanti alla Morte, non contano più nulla. Questo tipo di rappresentazione è messo in relazione con la peste del 1348.

4° posto al "Un fiore... un'emozione" contest di robichan07

4° posto - 00LucettaStreghetta00


Titolo: Danse Macabre

Grammatica: 10/10
Storia scritta in modo perfetto: nessun errore di grammatica o distrazione e lessico molto ampio.

Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
I sentimenti che provano i personaggi sono davvero evidenti e credibili. La fanciulla ha molto rancore per quei monatti che sembrano burlarsi delle persone morte alle loro spalle e perciò anche qui non c’è nulla da obbiettare.

Stile: 8/10
La storia è scritta completamente con il modo che utilizzavano gli scrittori tempo fa; un esempio è il verbo prima del soggetto. Ciò dimostra una grammatica e sintassi molto profonda rispetto a quella usata comunemente ma qui tende un po’ ad appesantire la lettura.

Originalità: 9/10
Riguardo alla peste e alla Danse Macabre lo hai scritto tu stessa di aver tratto ispirazione dal racconto di Manzoni e alle usanze tipiche del Medioevo perciò devo togliere un po’ di punti in quanto il riferimento alla malattia ed alle vittime provocate da essa non è di per se tuo ma riguardo ai personaggi e al resto non ci sono problemi.

Inerenza alla traccia: 8,50/10
Il ruolo del rancore è stato definito bene all’interno della storia ma per un attimo sono sembrati i monatti e la loro “voglia” di burlarsi delle persone oramai defunte a fare da protagonisti.

Gradimento personale: 4,50/5
E’ stato davvero bello leggere qualcosa che non si svolga al presente ma che tratta di un fatto realistico successo in passato, tuttavia è proprio questo che non riesce a mettere completamente a fuoco il sentimento. La peste è ricordata come un periodo pieno di vittime e stragi ovunque e questo concetto non passa inosservato, lasciando le emozioni dei personaggi un pochino in secondo piano.

Totale punti: 49

 

 

   
 
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