Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Alopix    09/08/2012    3 recensioni
Cato e Clove.
Due Favoriti, i tributi più odiati da quelli degli altri distretti, ma idolatrati e portati in gloria a casa, nel loro.
Ma com'è la vita di un Tributo Favorito, aldilà della gloria e dell'onore?
Enjoy :)
(Sì, le mie introduzioni sono sempre spettacolari, eh)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Cato, Clove
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

THE RULER AND THE KILLER

 

 
 
 
“Please, pay attention, baby.
You know why you belong to me.
Come on! We should get it going.
Survival of the fittest, baby.
You lose and you’re lesser to me.”
{Kid Cudi-The ruler and the killer}*

 

Capitolo 1

Sbatto violentemente il piede per terra, cercando di mantenere la calma, ma mi ritrovo a sopprimere un grido di frustrazione.
 Ho lavorato così tanto, combattuto contro tutto e tutti…
Già dall’età di dodici anni, alta solo un metro e cinquanta, ero fra le più minute ragazze in cerca di un allenatore ufficiale che mi preparasse agli Hunger Games. Le altre non solo erano avvantaggiate fisicamente, ma la maggior parte di loro proveniva anche da famiglie benestanti che possono permettersi di pagare untrainer, una possibilità che io non ho mai avuto.
La mia è una famiglia povera. E’ già tanto se riusciamo ad avere due pasti al giorno, qualsiasi spesa extra è totalmente fuori discussione.
Sebbene, per me, per noi, il mio allenamento per i Giochi sia tutt’altro che secondario.
E’ il mio scopo.
Sin da piccola sono stata destinata a questo: allenarmi, partecipare e vincere i Giochi per portare gloria e denaro alla mia famiglia.
 I coltelli sono stati per me quello che le bambole erano per le altre bambine.
E lo rimangono tuttora.
E’ grazie a loro se il mio istruttore, Hugo, mi ha notata, esattamente un anno fa, quando mi offrì di allenarmi privatamente. Non ho pagato una sola lezione da quando ha iniziato a istruirmi. Me le sono tutte guadagnate con impegno, sudore, dedizione. Con il mio talento.
Non è abituale una cosa del genere, qui nel Distretto 2. Il nostro è uno dei distretti più benestanti, la maggior parte della nostra gente è così ricca da potersi permettere qualsiasi capriccio.
Hugo ha accettato di allenarmi perché pensa che io sia una promessa. Che io possa rendergli onore.
E, infatti, ora, ad appena quindici anni, sono micidiale.Anche se rimango sempre più esile della maggior parte delle ragazze, sono forte come loro e rapida il doppio. 
Ma adesso si sta sgretolando tutto, tutto il mio duro lavoro e tutte le mie conquiste, grazie all’alto ragazzo biondo vicino a me, che passeggia su e giù per la palestra maneggiando i miei coltelli.
Questo è il principale problema nel guadagnarsi lezioni private, pagando solo quello che ti è necessario per imparare: gli istruttori devono pur procurarsi denaro in qualche maniera.
Così ti ritrovi a dividere quelle che erano “lezioni private” con qualche ragazzino viziato, con genitori pronti a pagare per qualsiasi cosa lui voglia.
Non è per niente giusto. Lo detesto.
 Ho molto più talento di molti di loro. Ho lavorato tanto per essere qui, mentre questo ragazzo – penso che suo padre l’abbia chiamato Cato - sta chiaramente pagando.
Ma ha altrettanto chiaramente mancanza di abilità, visto come tira male tutti i coltelli!
“Posso aiutarti?”, ringhio al ragazzo, che sta ghignando arrogantemente – e anche abbastanza stupidamente- al manichino, in cui si è finalmente infilzato un pugnale.
 Il suo sorriso svanisce mentre si gira per rispondermi.
“Si”, dice minaccioso e divertito allo stesso tempo. “Non infastidirmi”, soffia.
Scoppio a ridere, sarcastica. La rabbia ha strani modi di manifestarsi, a volte.                             
Non infastidirti?”, ripeto.
“Questa è la mia sessione privata!”, sbotto. “Chi ti credi di essere?!”
Mi guarda con i suoi freddi occhi blu, impassibile.
“Non ha importanza chi credo di esser io, non è così?”, replica, minaccioso . “A te importa solo chi tu creda io sia”, mi ringhia dietro.
Lo guardo ghignando. Se sta cercando di sembrare intelligente, non funziona.
Lui, intanto, impugna un coltello e inizia a giocherellarci.
“Ma adesso, Clover”, inizia lui, minaccioso, assottigliando gli occhi, “se t’interessa tanto saperlo, sono la differenza fra la tua vita e la tua morte”.
Come mi ha chiamato?! Sto per aprire la bocca per protestare, quando mi ritrovo a terra.
Lui si è scaraventato addosso a me.
Lotto per liberarmi, ma non vedo come potrei: pesa troppo più di me.
“Quindi, Clover”, soffia lui. “vita o morte?”, chiede, percorrendo con il coltello le linee del mio volto, prendendosi gioco di me.
“E’ Clove”, sibilo, provocatoriamente, non facendomi intimidire.
“Oh, davvero?”, mi prende in giro. “Che dolce”. Sembra stia facendo le fusa.
 Sento del sangue che inizia a colarmi dalla fronte, dal punto in cui mi ha appena tagliato, ma mi rifiuto di dargli la soddisfazione di vedermi soffrire.
E poi è solo un taglietto. Ho visto di peggio. Molto peggio.
Proprio in questo momento i due adulti sembrano accorgersi di cosa sta succedendo. Hugo inizia a urlarci contro, mentre corre verso di noi.
Cato lo ignora e continua a guardarmi fisso, sempre puntandomi contro il coltello.
“Quindi, ti comporterai bene, Clove?”, chiede, ponendo speciale enfasi sul mio nome.
Io non distolgo lo sguardo, per dimostrargli che non sono spaventata.
Dipenderà da te”, sibilò, sporgendo il mento in avanti.
“Brava ragazza”, sussurra compiaciuto, prima di lasciarmi andare.
Hugo inizia a urlarci contro di combattimenti, coltelli e non-so-bene-cos’altro.
Non lo sto sentendo.
Sto ancora pensando a Cato. E’ il primo che mi abbia mai battuta o in qualche modo spaventata, se così si può dire.
E questo può solo essere un ostacolo. Un ostacolo chenon deve esistere.
Assottiglio gli occhi e cerco di concentrarmi su quello che Hugo sta blaterando.

Per tutto il giorno rimango una furia.
Sia durante l’allenamento che quando arrivo a casa, il mio umore è lo stesso, invariato.
 Lo sbattere della porta che riecheggia ancora per le stanze ne è la prova.
Mia madre appare dalla nostra piccola cucina, asciugandosi le mani nel grembiule che le protegge i vestiti. Spalanca gli occhi vedendo la rabbia che mi attraversa il viso, accompagnata da un fresco taglio sulla fronte.
“Clove, tesoro, cosa c’è che non va?”, domanda, in apprensione.  
Ugh, non sopporto quando mi chiama “tesoro”.  E’ così infantile!
Non sono mai riuscita a farle capire che non deve trattarmi da bambina, come qualcuno che deve essere protetto. So badare a me stessa.
Ma, soprattutto, adesso, quell’odioso nomignolo è la goccia che fa traboccare il vaso.
“Siamo poveri, ecco cosa c’è che non va!”, le urlo contro, la voce carica di risentimento accompagnata da un’occhiata feroce. Abbandono lo zaino per terra e mi dirigo verso la mia camera.
Lei rimane un attimo interdetta ma si riprende subito. Non è la prima volta che assiste a una mia sfuriata.
Strano a dirsi, ma allenarsi per uccidere può portare un po’ di stress.
“Ne vuoi parlare, tesoro?”, chiede, un po’ turbata.  
Imparerà mai?, mi lamento, esasperata, mentalmente.
“Di sicuro non con te!”, le rispondo urlando.
 Raggiungo la mia stanza e sbatto la porta, lasciandola fuori, ferita, confusa e sola.
Non che m’importi. Sarebbe ora che le imparasse a cavarsela da sola.
Inizio a sfogarmi sul poco che possiedo: fogli di carta si spargono sul pavimento, libri sbattono contro la parete, una lampada finisce in mille pezzi, mobili si capovolgono, mentre la mia rabbia e la mia frustrazione riempiono l’aria.
Perché questo?
Perché ora?
Che cosa ho fatto per meritarlo? Si è forse stancato di me? , penso, in preda alla rabbia.
Pensa che io non ne valga più la pena? Che debba avere un altro studente perché non prometto abbastanza?  Altri oggetti si capovolgono al mio passaggio.
E se è così, perché semplicemente non smette di darmi lezioni? Di sicuro sarebbe meglio di questo
Tutto sarebbe meglio di questo. La mia indole orgogliosa non mi permette di accettare un affronto del genere.
 E poi, se il ricco padre di Cato paga perché sia istruito, perché dovrebbe dividere la sua sessione con me, la poveraClove?
Collasso sul mio letto, sfinita dalla giornata di allenamento e dalla mia recente collera.
Guardo in alto, fissando il soffitto. Cerco di concentrarmi sugli aloni lasciati dall’acqua per calmarmi prima della cena.
Non voglio urlare di nuovo contro mia madre. Può non essere la persona a cui tengo di più in assoluto, ma le importa di me, mi vuole bene e fa di tutto per guadagnarsi la mia approvazione.
Anche se è probabile che non l’otterrà mai.
E’ mia madre e quindi le voglio bene, ma come posso rispettarla se è così delicata e fragile?
 E’ patetica.
Non ho alcuna idea del perché papà l’abbia sposata. Lui è così forte e indipendente.
Non ha bisogno di nessuno, ha scelto di averci intorno e di volerci bene.
 Mamma, invece, non durerebbe due giorni senza di noi. Lei dipende dalle persone.
Sento qualcuno bussare alla mia porta, ma lo ignoro. Non so che ore siano, ma mi sembra sia troppo presto perché papà ritorni dal lavoro e non ho alcuna voglia di parlare con la mamma ora.  Lei bussa ancora, ma continuo a ignorarla.
“Clove” la profonda voce di mio padre mi raggiunge da dietro la porta. Oh, quindi è a casa!
Evidentemente è passato molto più tempo di quello che pensavo. Guardo fuori dalla finestra per accertarmene. E’ il tramonto.
E’ passata più di un’ora.
Accidenti. Ho perso completamente la cognizione del tempo.
“Possiamo parlare?”, ritenta mio padre.
 Questo è quello che amo di lui: non ho alcuna serratura alla mia porta, ma lui aspetta lo stesso sempre il mio permesso per entrare – forse perché sa che lo lascerò passare comunque.  Ma fa comunque in modo che sembri che io abbia la possibilità di scegliere, anche se in realtà non è così. Mi dà l’illusione di avere sotto controllo la situazione, il che è un bene in giorni come oggi, quando la realtà di quanto poco controllo io abbia sulla mia vita è così abbagliante.
“Entra”.
La porta si apre e mio padre torreggia sulla stanza ancora in uniforme da lavoro, sporco e stanco, ma comunque dignitoso e fiero.
 Non potevo prendere da lui? E’ così alto e imponente!
Lui si siede sul mio letto e mi osserva, senza lasciar trapelare emozioni.
“Perché hai urlato contro tua madre?”, mi domanda.
Alzo gli occhi al cielo, esasperata, e ritorno a fissare il soffitto.
“Era … fastidiosa”, rispondo, senza guardarlo.
Questo non gli va giù, ne sono sicura, anche se non vedo la sua reazione.
“Fastidiosa?”, ripete, suonando in qualche modo contrariato.
“Clove, guardami. Adesso.”, ordina, autorevole.
 Ubbidisco, è chiaramente arrabbiato e non ho intenzione di infastidirlo oltre. Sa essere molto convincente, con le sue punizioni.
Fisso i suoi caldi occhi marroni, uguali ai miei.
 “Che cosa ha fatto per ottenere un simile trattamento?”, prosegue lui.
Realizzo ora che non ho alcuna spiegazione razionale, ma rispondo comunque.
 “Mi ha chiamata tesoro”, rispondo. Riconosco una vena velenosa nella mia voce.
 Lui mi guarda incredulo, aspettando ulteriori spiegazioni.
Quando diventa chiaro che non aggiungerò nient’altro, guarda il soffitto e sospira.
“Clove, non so quante volte te lo debba dir-”
“Lei non capisce!”, sbotto, lasciando trapelare tutta la mia rabbia.
 “Niente di tutto quello in cui credo! Non nell’allenamento, negli Hunger Games, nella gloria … niente!”, continuo. “Non avrebbe comunque capito la mia frustrazione! E poi ha iniziato a parlarmi cose se avessi tre anni…. Che cosa avrei dovuto fare?!”. Mi alzo in preda alla collera e lo guardo dritto negli occhi, aspettando una risposta. Lui sospira, stanco per la giornata di lavoro e per lo sforzo che gli richiede vivere con due persone come me e mamma, che non riescono a passare più di cinque minuti insieme. , penso, perlomeno ionon riesco a sopportare un tempo maggiore in sua compagnia.
“Se non puoi dire niente di carino …”, inizia papà.
Alzo le spalle, sbuffando. “… è meglio non dire niente, sì”, completo la sua frase. Me l’ha ripetuta così tante volte….
Alzo gli occhi al cielo. “Cercherò di ricordarmelo la prossima volta che cercherà di darmi lezioni di cucito.”
Lui ridacchia, divertito.
 “Per favore, fallo.”, mi dice, sempre sorridendo.
 Annuisco, cercando di mantenere l’espressione più seria e sincera del mio repertorio.
In tutti questi anni sono diventata un’attrice provetta.
“La cena è pronta. Mangi?”, chiede.
 Non ho fame, ma questo sarebbe il momento migliore per raccontargli gli ultimi avvenimenti, quindi annuisco e lo seguo fuori dalla mia stanza.
Siamo a metà cena quando il mio malumore diventa il principale argomento della conversazione. Virtualmente ignorando mia madre, racconto a mio padre ogni singolo momento della giornata, da quando Cato è entrato nella palestra –con quell’odioso fare bandalzoso…-, a quando ho urlato contro mamma. Lui ascolta attentamente e distoglie lo sguardo da me solo quando deve tagliare il pollo nel suo piatto.
Che ironia. Proprio oggi che ho avuto ulteriore prova della nostra povertà, mangiamo della carne decente.
Quando finisco di parlare, lui mi guarda pensieroso.
“Come hai detto che si chiama suo padre?”, chiede, accigliato.
Lo guardo confusa. “Non l’ho detto.”
“Ma sei sicura che il ragazzo si chiami Cato?”, insiste.
“Si …”, rispondo con calma, estremamente confusa. Papà mi guarda assorto, chiaramente con la testa altrove.
“E’ strano”, inizia. “Ho recentemente sentito il mio capo lagnarsi dell’istruttore di suo figlio. Diceva che non gli stava dando tutto il tempo che meritava, nonostante quanto il ragazzo promettesse. Stava chiedendo agli altri riguardo agli allenatori dei loro figli. Penso che il suo si chiamasse Cato. E’ curioso che una persona così ricca si sia ridotta ad accettare lezioni semi-private.”
“E se non stesse pagando?”, ipotizzo, avendo un’improvvisa ispirazione. Ho sentito che è già accaduto in passato. Genitori ricchi che costringono i loro figli a ottenere lezioni private piuttosto che pagare per averle, sia per avarizia sia per mettere alla prova i propri figli.
 In realtà non sarebbe una cattiva idea, se non fosse che, se lo facessero tutti, non ci sarebbero più istruttori perché si sarebbero già trovati un’altra maniera per guadagnare denaro.
Papà annuisce lentamente, con la bocca piena di cibo.
“E’ possibile”, concorda, dopo aver ingoiato. Sembrava volesse aggiungere qualcos’altro, ma mamma ha scelto questo momento per dire la sua. Non aveva aperto bocca da quando ho iniziato a narrare gli eventi della giornata.
“Che importanza ha? Siete solo due! Non può toglierti così tanto tempo …”, dice, in tono tranquillo. Ignoranza. Pura ignoranza. Ecco cosa.
 La guardo, incredula. Non ho idea di come risponderle senza guadagnarmi un sonoro colpo sulla faccia. Visto che vengo ancora picchiata. Papà crede fermamente nelle punizioni fisiche.
“E’ più complicato di così, Caryn”, dice mio padre, pazientemente. Non capisco perché si preoccupi di spiegarglielo. Tanto non lo capirà mai!
“Bé, non comprendo perché debba esserlo. L’intera cosa è ridicola!”, continua lei. “E’ una cosa malsana! Allenare bambini per uccidersi a vicenda in un programma televisivo! Nel nome dell’onore”.
Mi guarda, implorante. “Non sei costretta a farlo, Clove! E’ così frustrante. Non perderemmo niente, e nemmeno tu! E neanche l’onore del distretto ne soffrirebbe, se è questo quello che t’importa. Ci sono un sacco di bambini per competere nei Giochi.”
Ecco. Sta facendo veramente la stupida ora.
“Io non sono una bambina, mamma!”, le urlo, sbattendo una mano sul piano di legno. Allontano violentemente la sedia dal tavolo. “Non hai idea di quello di cui parli”. Faccio per andarmene.
“Clove! Torna immediatamente qui!”, senta la voce di lei urlarmi contro.
 Mi volto per affrontarla e la guardo con tutto il risentimento che posso, sorpresa di sentirla alzare la voce. Deve essere furiosa, ed è raro che succeda.
“Se non smetterai di allenarti”, continua, “ti costringerò a farlo”.
Quest’audace affermazione stupisce sia me che papà.
Spalanco la bocca e la guardo stupidamente. Non mi ero mai sognata che lei potesse dire qualcosa del genere, che potesse obiettare riguardo qualcosa di così ovvio nella mia vita.
Papà, invece, a quanto pare, ha mantenuto il controllo sulle sue facoltà mentali.
“Caryn, siediti”, le ordina fermamente, ma comunque preservando un po’ di dolcezza nella propria voce.
 Lei lo guarda, stupita.
“Non lo farò, Aidan”, ribatte, mandandomi sempre più in stato di shock.
Lei non lo contraddice mai.
“L’allenamento ha danneggiato nostra figlia abbastanza. Non continuerà. Non lo permetterò”. In effetti, lei non è mai stata entusiasta all’idea del mio addestramento. Anche se non ne capisco a pieno il motivo.
Lo faccio anche per lei.
Preferirebbe forse che io competa nei Giochi senza preparazione?
“Non hai scelta!”, ribatte mio padre, alzando la voce. “Clove si allenerà e, quando sarà grande abbastanza, sarà un tributo. Che ti piaccia o no!”
 Mamma non replica niente, ed è chiaro che la convinzione di papà e l’idea di contraddirlo ancora, probabilmente, hanno fatto vacillare la sua determinazione.
Lo dicevo che è una debole, penso, con un sorriso.
 “E’ una tradizione di famiglia!”, continua mio padre. “Mio zio ha vinto la terza stagione degli Hunger Games! Mio padre l’ottava! E mio fratello la trentesima. Ora è il turno di Clo-”
“Sì, tuo fratello. Tuo fratello!”, interrompe mamma, facendo spegnere il sorriso sulle mie labbra.
A quanto pare oggi si sente rivoluzionaria.
 “Lascia che entrino i suoi figli negli Hunger Games! Non ha niente a che fare con Clove!”, continua, arrabbiata.
“Sai che non ha bambini”, ribatte lui stancamente.
“E perché dovremmo offrire Clove per continuare la sua tradizione?!”, urla lei. “Lui non ci ha mai aiutato!”.
In realtà, ha ragione. Non solo il mio ricco nonno ha disconosciuto mio padre per non aver preso parte ai Giochi, ma il suo unico fratello, un vincitore, si è rifiutato di supportarci economicamente dopo che lui e mio padre hanno litigato, poco prima che io nascessi, nonostante sapesse che siamo molto più disagiati.
“Non è la sua tradizione, Caryn! E’ la tradizione di famiglia e-”
“Ti hanno disconosciuto, Aidan! Non devi loro niente!”, cerca di convincerlo lei, sulla soglia del pianto.
“Non stiamo parlando di dovere qualcosa a qualcuno! Stiamo parlando di onore!”, le urla dietro. “ Se Clove non compete nei Giochi perderemo tutto il rispetto che la nostra famiglia si è guadagnata sin dalla ribellione!”
“Questo è un tuo problema. Non mio.” Questo lo fa totalmente andare fuori dai gangheri. Perde la sua solita calma e il suo viso si riempie di rabbia. Prima che nessuno di noi possa prevederlo, papà tira a sua moglie un sonoro ceffone. Lei urla, sia di dolore sia di stupore, mentre si allontana istintivamente da lui e porta una mano al segno rosso sul suo viso. Lacrime iniziano a percorrerle le guance e lei corre verso la loro camera, dopo avergli lanciato un’occhiata addolorata e delusa.
Io guardo tutta la scena senza riuscire a muovermi, in preda allo stupore. Papà non picchia mai la mamma. Né la minaccia. E’ molto meno violento di me, che è parte del motivo per cui è stato suo fratello a entrare negli Hunger Games e non lui.
Caryn…”, sussurra, angosciato.
Sembra uscire improvvisamente dalla nebbia di furia che lo circonda e il suo viso muta in una maschera di tristezza, da maschera di rabbia che era.
Mi guarda, dopo aver indugiato con gli occhi sulla porta chiusa della loro stanza, chiedendo perdono con lo sguardo, ma io sono troppo confusa per dire o fare qualsiasi cosa.
Posso anche non apprezzare mia madre, ma apprezzo l’amore che mio padre prova nei suoi confronti, pur non capendolo.
Non avendo alcuna idea su cosa fare o su che ho appena assistito, mi ritiro semplicemente nella mia camera, senza profferir parola verso mio padre.
 Lasciandolo da solo.
Con le lacrime che gli colmano gli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

N.d.A.

 
* “Per favore, fai attenzione, baby.
Tu sai perché mi appartieni.
Forza, dovremmo farcela.
Sopravvivono i più adatti,
se perdi non hai importanza per me”
Traduzione NON letterale.  Volevo rendere il senso della frase.
 
 
(20/1/13)EDIT:
 Ecco qui, la revisione del primo capitolo. Progettavo di farla secoli fa, ma non ne ho mai avuto il tempo.
Correggerò il prima possibile anche gli altri capitoli.
Spero che vi piaccia.
Fatemi sapere…
A.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Alopix