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Autore: EllieMarsRose    10/08/2012    7 recensioni
STORIA DEDICATA AI MIEI 100+ FAN SULLA PAGINA DI FACEBOOK. Makoto tenta di unire l'oriente con l'occidente in cucina; la sua torta attirerà l'attenzione di Duff McKagan, ex pasticcere e bassista dei Guns'N'Roses, ma non in maniera totalmente positiva...
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Makoto/Morea
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Sakura Cheesecake

Una folata di vento le scompigliò la coda, facendo tintinnare fra loro le due palline verdi dell'elastico per i capelli; il suono di quelle due “caramelle”, così le chiamava lei, che si prendevano amichevolmente a pugni ormai le era diventato famigliare. Era parte integrante dell'ambiente cittadino di quella Los Angeles delle primissime ore del mattino, insieme ai taxi che passavano ronzando per la strada, i fogli del giornale della sera che vagavano senza meta sul marciapiede ed il ticchettio della luce dei semafori agli incroci. Le iridi verdi della ragazza, intrappolate in due occhi dal taglio leggermente asiatico, si alzarono verso il cielo; poche stelle e le prime nuvole allungate che si tingevano di rosa. Le cinque del mattino, ne sono quasi certa. Una nuova folata di vento la costrinse a chiudere per un secondo le palpebre. Makoto inspirò a pieni polmoni quell'aroma a cui si stava affezionando; il profumo dell'oceano mischiato alla vitalità del sole nascente. L'odore del mattino a Los Angeles era invitante come un vassoio di donuts appena sfornati. Sorrise mentre riapriva gli occhi al mondo e si tirava leggermente su la cerniera della felpa: devo sbrigarmi, o rischio di non combinare nulla. I dolci della colazione non si sfornano da soli. Iniziò a correre, come se fosse stata colpita da un fulmine; corse calpestando con le Converse i giornali a terra. Poteva sentire sempre più insistente il tintinnio delle chiavi del retrobottega nella sua tasca dei jeans; fece un salto ed un piccolo gridolino le scivolò fuori dalle labbra. Non vedeva l'ora di aprire.


* * *


La ragazza aveva già infornato i primi vassoi di cupcakes e preparato due cheesecakes quando Barney, il gestore del locale, fece capolino da dietro il forno: «Tutto bene tesoro?»

«Sì, certo» la ragazza sorrise mentre continuava a guarnire con della frutta fresca una crostata

«Fra cinque minuti si apre, sei pronta?».

Makoto posò il coltello e la pesca che stava affettando sul piano d'acciaio e fissò negli occhi il proprietario stropicciando le labbra: «Pensi che non lo sia?»

«Affatto»

«E allora tira su la saracinesca... ho fatto delle cheesecakes incredibili e delle brioches che sono la fine del mondo e non vedo l'ora di servirle con il caffè o il succo di frutta». Barney le sorrise e lei gli alzò il pollice in segno di approvazione; erano pronti ad affrontare centinaia di bocche affamate, come tutte le mattine.


* * *


Martha Quinn sparì dallo schermo del televisore dopo aver annunciato quello che aveva chiamato “un pezzo che dà la carica”. Duff strizzò le palpebre e si coprì il viso con il cuscino; si era dimenticato di chiudere le persiane, come sempre del resto, ed il sole entrava prepotentemente nel soggiorno di quel monolocale di West Hollywood. La luce gli bussava sulle palpebre in modo insistente, ma lui non aveva la minima intenzione di aprire gli occhi. Nel frattempo dalle casse del televisore arrivavano le prime note di “I Wanna Dance With Somebody”; il biondo si mise seduto a fatica sul divano e cominciò ad aprire lentamente le palpebre: Whitney Houston eh... che brutte tette che ha. Si era addormentato un'altra volta sul divano; ultimamente lo faceva un po' troppo spesso, ecco perchè aveva sempre un torcicollo indescrivibile. Si alzò a rallentatore facendo cigolare come vecchi infissi le vertebre cervicali e, strisciando i piedi, arrivò in bagno; puzzava di birra, probabilmente se l'era rovesciata addosso la sera prima al bar con i ragazzi. Che vergogna... ero così ubriaco che nemmeno mi ricordo se me la sono rovesciata da solo o ci ha pensato Izzy; in ogni caso, gli ci voleva una bella doccia, sia per lavarsi via l'alcool dalla pelle che per riprendersi fisicamente. Uscì dopo una ventina di minuti, avvolto da una nuvoletta di vapore, con il collo un po' meno dolorante per l'acqua calda e i capelli ossigenati attaccati alla faccia; si avvolse un asciugamano intorno alla vita e con un altro si asciugò la chioma. Poi si appoggiò al lavabo e si studiò le guance: «McKagan, è l'ora della barba» gli ordinò il riflesso. Proprio mentre si spalmava dolcemente una dose generosa di schiuma sul viso, dalle casse del televisore del soggiorno arrivarono le note di “Old Time Rock And Roll” di Bob Seger; Duff sorrise al proprio riflesso iniziando a canticchiare quella canzone e passandosi il rasoio sul viso a tempo di musica, improvvisando anche una coreografia sgangherata: meno male che non mi vede nessuno... sarei preso per il culo a vita! Uscì dal bagno sculettando e simulando l'assolo di sassofono e si diresse verso camera sua per indossare della biancheria pulita ed un paio di jeans ormai consumati dal tempo; ora manca solo una colazione con i fiocchi. Aprì la dispensa della cucina e prese tutto il necessario per preparare i pancakes; dopo la sbronza della sera precedente aveva una fame incredibile e quelle frittelle con una buona dose di sciroppo d'acero sarebbero state la cosa migliore per riempirgli lo stomaco. Sorrise soddisfatto mentre preparava l'impasto, come gli avevano insegnato in pasticceria a Seattle, e le note di “You Sexy Thing” di Hot Chocolate riempivano l'aria; non l'avrebbe mai ammesso davanti agli altri, si sarebbe rovinato la reputazione di bassista punk rock, però quella canzone gli piaceva. Alzò gli occhi al soffitto trattenendo una piccola risata pensando a Slash che, se avesse udito quell'affermazione, si sarebbe messo le mani nei suoi riccioli corvini: che scimmione. Proprio mentre era intento a versare l'impasto nella padella antiaderente, l'acuto trillo del telefono lo fece sobbalzare così forte che la ciotola che stringeva fra le mani con dentro l'impasto finì per terra, rovesciando il suo contenuto. Duff sbuffò imbestialito osservando il pavimento imbrattato di quella roba gialla e schizzò verso la parete; chiunque sia stato a farmi combinare questo casino, adesso mi sente: «Pronto?»

«Siamo già nervosi la mattina presto?» rispose sarcastico Slash dall'altro capo del filo

«Oh, ma guarda, stavo giusto pensando a te»

«Ma che dolce che sei» gli rispose con tono melenso il chitarrista

«Piantala Slash! Mi hai fatto rovesciare l'impasto dei pancakes e...» Duff si accorse che uno strano odore di bruciato arrivava dai fornelli «oh, no!»

«Cosa?».

Duff non rispose, si limitò a sospirare guardando l'unico pancake che era riuscito a preparare quasi carbonizzato.

«Oh, sei ancora lì?» Slash sembrava preoccupato.

Duff chiamò a raccolta tutta la sua pazienza per cercare di non mandare a quel paese il suo amico già la mattina presto: «Spero che tu mi abbia chiamato per un buon motivo»

«E certo biondino!» è incredibile... è un lecca culo incredibile «Oggi niente prove, posticipiamo a domani pomeriggio». Ottimo; avrebbe avuto più tempo per farsi i fatti suoi e, soprattutto, per fare una colazione decente. Ripulì alla bene e meglio il pavimento della cucina e poi si sporse dalla finestra; l'occhio gli cadde qualche metro più là, esattamente dall'altro lato della strada: la pasticceria... beh, posso sempre fare un salto lì. Non ho più nulla per far colazione. Prese al volo la giacca in pelle e chiuse la porta alle sue spalle.


* * *


Makoto sorrideva stringendo fra le mani la caffettiera ormai vuota; girava per i pochi tavolini per assicurarsi che tutti fossero soddisfatti della propria colazione e portava via i piattini vuoti. Proprio mentre era intenta a salutare due amiche, il suo sguardo fu attirato da una chioma biondissima e indisciplinata che faceva il suo ingresso nel locale; certamente non era raro in una città come Los Angeles vedere dei tipi originali ed estrosi, però quella capigliatura aveva un che di particolare. Vide quella cosa bionda avvicinarsi al banco e studiare le cheesecakes esposte; ebbe giusto un secondo per memorizzare il suo profilo. Bellissimo. Improvvisamente le venne una gran voglia di andare da lui e consigliargli cosa mangiare. Poggiò ciò che aveva in mano nel piccolo lavabo del banco e poi si mise davanti a quel ragazzo che, ancora, teneva il capo chino sulla vetrina. «Ciao» lo salutò con voce dolce, sorridendo; il ragazzo alzò lo sguardo ed incontrò quegli occhietti vispi leggermente a mandorla: «Ciao a te»

«Devi fare colazione? Oppure prendi qualcosa da portare via?». Quelle due nocciole la fissavano curiose; Makoto sentiva sempre di più le sue guance diventare rosse e bollenti. Quel tipo era così bello ma anche un po' dannato che la sua presenza la mandava letteralmente in crisi. Si guardò timidamente intorno, sperando che le sue due amiche fossero già uscite e che Barney fosse indaffarato a prendere ordinazioni.

Duff si grattò il mento pensieroso: «Dovrei fare colazione. Cosa mi consigli...» si sporse leggermente verso il banco per poter leggere il nome sulla targhetta che la ragazza portava sulla maglietta «... Makoto?».

La mora sorrise, portandosi una mano alla bocca: «Sì, lo so, è un nome strano... ho origini giapponesi» ma che diavolo stai facendo! Stai lavorando, non sei mica in pausa per poter socializzare! La ragazza tentò di ricomporsi: «Ad ogni modo, la specialità di oggi è “Sakura Cheesecake”». Duff aggrottò le sopracciglia, bisognoso di spiegazioni; Makoto continuò: «E' una cheesecake preparata con confettura di ciliegie, ciliegie denocciolate e tagliate a metà e guarnita con piccoli fiori di ciliegio fatti di zucchero».

Il ragazzo arricciò le labbra: «Non è proprio la solita cheesecake con il cioccolato o le fragole»

«No. Diciamo che...» Makoto arrossì, sentendo gli occhi del giovane puntati su di sé «l'ho inventata io. Sai, sakura in giapponese è il nome con cui si indica il ciliegio da fiore»

«Ah» il ragazzo si grattò la testa perplesso «e questo “sakura” non fa frutta?»

«No. Le ciliegie ce le ho aggiunte io... però ci ho messo comunque i fiorellini di zucchero per ricordare l'albero».

Duff si limitò ad annuire studiando il dolce, poi fece schioccare le dita: «Ok, mi hai convinto. Portamene una fetta». La ragazza sorrise trionfante, poi con gli occhi seguì il biondo che andava a sedersi ad un tavolino dalla parte opposta del locale. Era felice di essere riuscita a convincerlo a provare la sua invenzione. Con il cuore che le martellava nel petto, si diresse verso di lui, con passo apparentemente sicuro, stringendo nella mano destra una caffettiera colma e nella mano sinistra il piattino con il dolce; gliela poggiò sul tavolo sorridendo, con le guance leggermente arrossate e le mani tremanti: «Ecco a te...» rimase in silenzio, in attesa che le arrivasse la risposta alla sua domanda non posta

«Duff. Chiamami pure così»

«Duff... carino, molto. Vuoi» avanti Mako, non agitarti! Sei così tesa che ti trema la voce «vuoi del caffè?»

«Ti ringrazio» il biondo allungò la sua tazza verso la ragazza che si affrettò a riempirgliela quasi fino all'orlo; poi lui chinò il capo sul dolce ed iniziò a studiarlo, quasi critico. Impugnò la piccola forchetta e prese un generoso boccone di torta. Makoto trattenne il fiato nel vedere Duff chiudere gli occhi, masticare la sua creazione e poi deglutirla con una certa enfasi; lo fissava preoccupata, in attesa della prima impressione di quel cliente che tanto la mandava in subbuglio. Il giovane aggrottò le sopracciglia, poi si infilò in bocca un altro pezzo di torta senza proferire parola. Makoto stava cominciando a sudare freddo; non riusciva a capire il perchè, ma per lei il parere di quello sconosciuto, in quell'istante, era di un'importanza vitale, ed il fatto che lui continuasse a stare zitto non le piaceva per nulla. Dopo aver deglutito il terzo boccone, finalmente Duff parlò: «L'impasto è buono, non c'è che dire»

Oh... un piccolo sorriso iniziò a prendere forma sul viso della ragazza

«Anche il formaggio è fresco e genuino»

Bene... il cuore le traboccava di felicità

«Ma la farcitura è terribilmente dolce»

Makoto sgranò gli occhi incredula. Tutti i complimenti che le aveva fatto nei cinque secondi precedenti sembravano svaniti nel nulla, assorbiti da quel “terribilmente dolce”; con voce tremante domandò semplicemente: «Perchè?»

«Perchè sì. Marmellata dolce, frutta dolce, fiorellini zuccherosi. Hai esagerato. A lungo andare annoia da morire». La ragazza rimase pietrificata; non sapeva se prendere ciò che Duff le aveva detto come uno scherzo o se correre in cucina e scoppiare a piangere. Il biondo si scolò in un sorso la tazza di caffè, poi lasciò i soldi sul tavolo: «Se io fossi stato il tuo capo, ti avrei imposto di guarnire con delle griotte, non con delle semplici ciliegie. Le griotte sono amare, avrebbero bilanciato il tutto e la torta sarebbe stata squisita». Si infilò il chiodo sotto gli occhi pieni di lacrime della ragazza e, senza dire una parola, uscì dalla pasticceria.


* * *


Continuava a vedere doppio attraverso quelle lenti a contatto fatte di lacrime; non poteva abbandonare la sala, c'erano ancora dei clienti che dovevano fare colazione, ma se ne avesse avuto la possibilità sarebbe corsa in bagno e ci si sarebbe chiusa dentro a doppia mandata e si sarebbe chiesta perchè, perchè non gli è piaciuta? In fondo non era cattiva, anzi, le era uscita piuttosto bene; però era troppo zuccherosa. La cosa migliore sarebbe stata proporre il dolce anche ad altri clienti e vedere cosa avrebbero detto dopo averlo assaggiato, ma la realtà era che Makoto c'era rimasta talmente male dopo il giudizio di Duff che non aveva nemmeno avuto il coraggio di elencarla agli ospiti della pasticceria. Verso le undici del mattino, anche i più ritardatari avevano lasciato la sala per recarsi sul posto di lavoro; Makoto si ritrovò sola a vagare fra i tavoli raccogliendo tovagliolini sporchi ascoltando svogliatamente Madonna che cantava “Papa Don't Preach”. Con il capo chino camminò verso il cestino per gettare l'immondizia e, di nuovo, la sua torta la chiamò per nome, facendole alzare gli occhi per fare in modo che ammirasse tutte quelle ciliegie e fiorellini disposti con cura maniacale. Improvvisamente, le lacrime si riassorbirono ed il suo spirito combattivo si ridestò in un istante: adesso ti faccio vedere io chi è troppo zuccheroso. Riordinò come un fulmine l'intera sala, poi, da dietro il banco, si tagliò una fetta di dolce e si sedette in un tavolino appartato per poterlo assaporare con calma. Dapprima fissò l'aspetto esteriore della propria creazione, cercando di essere il più oggettiva possibile: la base di biscotti non sembra affatto molliccia, il formaggio è assolutamente fresco e la guarnizione è... dannazione, la guarnizione forse è quella che mi è venuta meglio: quanto tempo ho perso per tagliare tutte le ciliegie a metà, levare i nocciolini e poi posizionarle senza nemmeno far vedere la confettura sotto? E anche i fiorellini sono messi a regola d'arte. Su questo aspetto non posso proprio rimproverarmi. Esteticamente la torta faceva un figurone e Makoto trovò la forza di abbozzare un piccolo sorriso; poi impugnò la forchetta come se fosse un'arma ed infilzò il primo boccone. Lo masticò a lungo, proprio come fece Duff, con gli occhi chiusi e prestando attenzione ad ogni venatura di gusto che le sue papille percepivano; la base di biscotti è venuta bene, è ben compatta. Con il secondo boccone si soffermò sulla parte centrale della torta: formaggio fresco e soffice, non c'è che dire. Ed ecco che arrivava il momento della verità: la verifica della farcitura; Makoto affondò i dentini della forchetta nella torta e se la portò lentamente alla bocca. Masticò a lungo, meditabonda, sentendo la frutta sminuzzarsi sotto i suoi denti e mescolarsi alla confettura: non mi sembra zuccherosa, per nulla. Anzi, la trovo ben bilanciata. Picchiò il pugno sul tavolo guardando con le sopracciglia corrugate davanti a sé, come se Duff si fosse materializzato proprio sulla sedia che le stava di fronte, come se volesse dirgli: hai visto che avevo ragione, brutto montato ossigenato che non sei altro? Brutto... oddio, brutto no, non è vero... ma odioso montato ossigenato sì! Si sentiva più alta di dieci centimetri; con la furia di un temporale, affondò nuovamente la forchetta nella torta e fece un boccone enorme. La sua torta era deliziosa, potrei mangiarne fino a scoppiare; ma quelle furono le sue “ultime parole famose”. Solo due bocconi più tardi aveva iniziato ad avvertire un crescente senso di nausea; cominciò a studiare la torta per capire quante forchettate le mancavano per terminarla: troppe per non vomitare. Già, vomitare. Deglutì a fatica e poi abbandonò la forchetta nel piattino. Si prese la testa fra le mani ed ammise amaramente che quell'odioso montato ossigenato, in fondo, aveva dannatamente ragione; era stato capace, con soli tre bocconi, di capire che la torta andava sistemata. E lei, come una stupida, se l'era presa. Probabilmente quel ragazzo è molto più esperto di me per quanto riguarda la cucina occidentale, già a partire dal fatto che lui è occidentale; magari... se passasse di nuovo qui domani mattina potrei chiedergli qualche consiglio. Guardò il dolce avanzato nel piattino e, dopo aver fatto spallucce, lo gettò nell'immondizia: spero solo che abbia ancora voglia di rivolgermi la parola dopo la figura da scema che ho fatto a colazione... stavo quasi per scoppiare in lacrime davanti a lui.


* * *


Duff espirò svogliatamente il fumo della sua Lucky Strike nella brezza che arrivava dal mare; era da quella mattina che si sentiva stranamente apatico e colpevole. C'era qualcosa che non andava; non che avesse commesso qualcosa di legalmente perseguibile dal momento in cui aveva aperto gli occhi, però si sentiva come se un macigno gli stesse pesando al centro del petto. Ancora non aveva avuto il coraggio di buttare nel dimenticatoio lo sguardo triste ed abbattuto di quella commessa della pasticceria. Makoto... era perfino riuscito a non dimenticarsi il suo nome. Ripensò alle parole che le aveva detto prima di uscire; voleva farle una critica costruttiva, gli sarebbe piaciuto regalarle un pochino della sua esperienza da pasticcere per poter migliorarla, ma aveva sbagliato il modo con cui aveva parlato con lei. Invece di guardarla negli occhi e dirle tranquillamente cosa avrebbe cambiato, si era comportato con sufficienza ed era uscito senza nemmeno salutarla. Saccente, spaccone, signor “McKaganSoTuttoIo”... è meglio che mi fermi qui, o l'elenco diventerebbe chilometrico. Gettò il mozzicone a terra e lo spense con la punta dello stivale, poi buttò la testa all'indietro, permettendo al vento che saliva dal Pacifico di giocare con i suoi ciuffi ribelli; doveva chiederle scusa a tutti i costi, o quella notte avrebbe rischiato di non riuscire a prendere sonno e sarebbe finito a bighellonare prima per lo Strip, poi per l'anticamera del suo appartamento con una bottiglia di gin fra le mani. D'un tratto, senza che nemmeno se ne accorgesse, diede le spalle all'oceano e cominciò a percorrere a ritroso la strada da cui era venuto; chissà perchè, poi, me la sono presa così tanto a cuore... forse perchè mi ricordava me quando ancora combinavo dei casini in quella pasticceria di Seattle? O anche perchè aveva un visino dolcissimo? Sì, dolcissimo. Non “terribilmente dolce” come le aveva detto della sua Sakura Cheesecake. Sei incredibile Duff, hai memorizzato proprio tutto! D'istinto arrossì, quasi come se uno dei suoi compagni di band avesse iniziato a parlare della sua ragazza preferita. No, non devo perdermi in queste cavolate! Ma il fatto era che aveva una voglia matta di rivedere quei due occhietti a mandorlina che cercavano di convincerlo a mangiare la torta; un sorriso da ebete gli comparve in volto, ma subito una voce nella sua testa cercò di riportarlo alla realtà: e se fosse già tornata a casa? Fulmineo, si guardò il Jet Black che portava al polso: le tre e un quarto... se ha fatto apertura stamattina, significa che tra poco avrà finito il turno. Devo sbrigarmi. Iniziò a correre più veloce che potè, schiacciando i piedi ai passanti e travolgendo le vecchiette ogni volta che girava un angolo; dopo sette minuti circa si reggeva a malapena in piedi ed era in iperventilazione. Si maledisse infinite volte per tutte le sigarette che era solito fumare nell'arco di una giornata mentre si aggrappava al muro del palazzo dove duecento metri più avanti c'era l'entrata della pasticceria; si appoggiò pesantemente ai mattoni e si passò il dorso della mano sulla fronte madida di sudore: giuro che se ho corso per niente... Il rumore della porta che si apriva lo fece voltare di scatto, in tempo per vedere Makoto che salutava il proprietario ed iniziava a camminare nella sua direzione. Il ragazzo, con il cuore in gola, corse verso il bordo del marciapiede dove c'era posteggiata una Chevrolet; si chinò verso il finestrino del passeggero per cercare di sistemarsi alla bene e meglio nel minor tempo possibile i capelli spettinati dalla corsa. «Ma che fai?» una voce femminile lo stava rimproverando alle sue spalle; augurandosi che non fosse la proprietaria del mezzo, Duff si girò lentamente, preparandosi psicologicamente alla trafila di scuse che poteva dire per essersi fatto beccare in atteggiamenti leggermente sospetti. Quando i suoi occhi verdi incontrarono quelli smeraldo di Makoto, sentì che la terra sotto i suoi stivali era sparita per incanto; si appoggiò pesantemente all'abitacolo della Chevrolet, facendo scattare l'antifurto: «Oh, merda».

D'istinto, la ragazza si coprì le orecchie mentre Duff correva verso il muro dell'edificio: «Ma sei un ladro?»

«NO!» ma per chi mi ha preso? Sconcertato, il bassista l'afferrò per un polso e cercò di trascinarla dietro di sé, il più lontano possibile da quell'automobile urlante, ma Makoto oppose resistenza: «Dove credi di andare?»

«Io non la volevo rubare... volevo solo specchiarmi»

«Come?» la ragazza gli strattonò così forte il polso che lo fece finire in ginocchio

«Ahi! Dannazione, fai piano! Io le mani ce le ho bisogno!» strillò Duff. Makoto non riusciva a capire una sola parola di quello che il ragazzo le diceva, così si alzò in piedi ed iniziò a correre come una saetta, trascinandosi dietro il povero Duff che, ancora, non aveva ancora smaltito del tutto il fiatone. Si rifugiarono in una stradina laterale poco distante, dove il rumore dell'antifurto della Chevrolet arrivava più ovattato; il ragazzo si gettò a terra ansimante e con la testa che gli girava: «Io... io...»

«Tu rubi auto!» Makoto gli puntò l'indice contro.

Duff si prese la testa fra le mani e la scosse: «Ma che hai capito... mi stavo specchiando nel vetro»; la ragazza lo fissò incredula. Duff annuì: «Sì, mi stavo sistemando i capelli». Makoto si bloccò per qualche secondo, poi scoppiò a ridere divertita: «Pensavo che certi atteggiamenti fossero esclusivi di noi ragazze»

Beh, anche noi amiamo metterci in ghingheri per la persona che ci interessa... il bassista si prese il mento fra le mani: «Senti...»

Makoto lo interruppe curiosa: «Come mai ancora da queste parti?»

«Ecco, appunto» il ragazzo si mise in piedi a fatica, poi guardò lei negli occhi cercando di essere il più convincente possibile: «io... devo chiederti scusa». Makoto sgranò gli occhi, incredula; forse, poi così odioso non è. Duff proseguì: «Ti ho trattata come una stupida, quando in realtà volevo solo darti qualche consiglio»

«Consiglio?» la ragazza era sempre più confusa

«Sì. Ho fatto il pasticcere per un paio d'anni quando ancora abitavo a Seattle e...»

«Davvero? Ma è fantastico!» tutto il rancore che Makoto aveva provato quella mattina era soltanto un ricordo non nitido nella sua mente; il fatto che Duff avesse fatto il pasticcere lo rendeva ancora più interessante ai suoi occhi. Smise di ascoltarlo per un paio di secondi, mentre i suoi occhi si perdevano nell'ammirare il suo viso, così bello e dannato.

«Hai sentito quello che ho detto?» Duff si rese conto che la ragazza era assente, così cercò di richiamare la sua attenzione sventolandole una mano davanti al viso. Makoto trasalì ed arrossì vistosamente: «Credo di non aver capito bene»

«Ci vieni o no a casa mia per correggere la ricetta?» lui le fece l'occhiolino

«Quale ricetta?» la ragazza aggrottò le sopracciglia

«Ma quella di Sakura Cheesecake!» Duff, con un sorriso, l'afferrò per il polso e cominciò a correre verso la fine della stradina «Andiamo a comprare le griotte, poi la sistemiamo!»


* * *


Quando aveva messo piede nell'appartamento del ragazzo, Makoto si era sentita come catapultata in un universo del quale nemmeno sapeva l'esistenza; c'erano un sacco di poster appiccicati alle pareti che raffiguravano ragazzi che suonavano strumenti ed avevano delle espressioni al limite della dislocazione della mascella. Rimase ferma per qualche secondo a guardare, con un misto di paura e meraviglia, la foto di un ragazzo con i capelli corti scuri ed una catena chiusa con un lucchetto al collo, che suonava uno strumento a quattro corde; Duff le parlò da dietro le spalle: «Piace anche a te Sid Vicious?»

«Chi?»

Duff fece spallucce: «Il bassista dei Sex Pistols. Ma non importa, vieni pure in cucina che fra poco cominciamo». La ragazza entrò titubante nella cucina luminosa dove campeggiava un tavolo enorme, mentre Duff correva da una parte all'altra sistemando ciotole, cucchiai e tutti gli ingredienti per preparare la torta. Makoto lo studiò mentre lui era di spalle e si arrampicava sugli scaffali per prendere tutto il necessario; aveva i capelli provati dalle decolorazioni, gli occhi un po' rossi per le poche ore passate a dormire e il viso leggermente segnato dalla stanchezza. Però, nonostante tutte quelle imperfezioni, lo trovava magnifico. Arrossì portandosi una mano alle labbra, sperando che lui non la vedesse. Poi si concentrò sul resto del suo corpo, avvolto in una t-shirt grigia con una stampa consunta sul davanti ed un paio di pantaloni in pelle vissuti all'inverosimile; è così... snello! Chissà perchè, ma ho sempre pensato che i ragazzi pasticceri fossero più paffuti.

«Pronta a cominciare?» Duff le parlò sorridendo, porgendole con una mano i biscotti per preparare la base. Makoto annuì decisa, pronta a cominciare la lezione; sorrise anche lei aprendo la scatola e cominciò a sbriciolare le gallette. Nel frattempo il bassista si recò in salotto ed accese la radio sui 92.7: generalmente a quest'ora fanno sempre della bella musica. Si voltò tenendosi leggermente nascosto dietro lo stipite della porta ed iniziò a studiare la ragazza che preparava la base della torta; aveva degli occhietti meravigliosi e vispi, un viso armonioso e i capelli lucidi e castani. Strano... ero convinto che le giapponesi avessero tutte i capelli neri. Scosse la testa con un sorriso, poi le guardò le braccia che sminuzzavano i biscotti e le dita che accarezzavano le briciole; era armoniosa... bella. È davvero bella. Solo in quell'istante si rese conto che stava trattenendo il respiro ed il cuore aveva preso uno strano ritmo. McKagan, controllati! Che poi... ma sì, vedrai che sarà sicuramente quel caffè schifoso che ti sei bevuto vicino alla spiaggia. Ma sapeva benissimo che non era così. Senza farsi sentire si avvicinò a lei, quasi in punta di piedi, e le si mise dietro, mettendo anche lui le mani nella ciotola piena di briciole: «Ti do una mano... così facciamo più in fretta». Girò leggermente il viso verso di lei e sentì un tuffo al cuore nel notare che aveva le guance rosse; allora forse...

«Ti senti bene, Duff?» Makoto lo guardò battendo più volte le sopracciglia, come se non riuscisse a mettere a fuoco ciò che stava vedendo. Il bassista aggrottò le sopracciglia e trattenne il fiato; lei proseguì: «Sei... sei rosso. Hai la febbre?»

«Rosso? Io?» d'istinto Duff abbassò lo sguardo e cercò di cambiare argomento «Forse... forse è meglio che inizi a preparare il formaggio». Sì, è meglio... sennò fa a finire che divento un boiler se continuo a starle di fianco. Chiuse gli occhi ed inspirò a pieni polmoni, cercando di frenare il proprio cuore che sembrava avesse tutte le intenzioni di uscirgli dal petto; poi, impugnò la frusta e cominciò a preparare la crema. Per un minuto fra i due ragazzi calò il silenzio, poi dallo stereo arrivarono le note di “Addicted To Love” di Robert Palmer; Makoto si pulì le mani dalle briciole e fece un piccolo salto: «Wow, adoro questa canzone!». Di tutta risposta, Duff si concentrò ancora di più sulla sua crema: ecco, vedi? Quando meno te lo aspetti arriva la canzone che descrive perfettamente il tuo stato d'animo...

«A te piace?» Makoto gli toccò il braccio facendolo trasalire; la ragazza aggrottò le sopracciglia: «Ehi, tutto bene?».

Duff annuì: «Sì, tutto bene. Non...» coraggio McKagan, non è il momento di avere la bocca impastata «non è proprio il mio cantante preferito... però orecchiabile».

La ragazza gli sorrise sentendo le proprie guance sempre più calde, poi guardò la ciotola: «Sembra magnifico questo formaggio!» e senza dargli il tempo di reagire, affondò l'indice in quella crema bianca

«Ma cosa fai!» Duff provò invano a schiaffeggiarle la mano, ma Makoto fu più veloce di lui; si leccò il dito e gli fece l'occhiolino: «E' buonissimo, sul serio!».

Il ragazzo sorrise, poi prese una griotta, la immerse nella crema e l'allungò verso la bocca di lei: «Assaggia ora... che ne dici?».

Makoto chiuse gli occhi, sentendo il cuore esploderle di felicità, mentre masticava quella delizia; sorrise guardando quegli occhi verdi che sembravano quasi magici: «E' perfetta»

«Secondo te a lungo andare annoierà?» Duff le accarezzò il viso con il dorso della mano, facendole diventare le guance roventi. Makoto non rispose; si limitò a scuotere il capo: è meravigliosa... è perfetta. Lui è perfetto. Il ragazzo la fissò, poi si avvicinò lentamente alle sue labbra per baciarle; sapevano di sakura, di ciliegio in fiore, di nuovo inizio. Le assaporò ad occhi chiusi, concentrandosi sulla morbidezza della pelle e sul sapore di quella ciliegia amarognola che lei aveva appena mangiato. Si staccò dopo un minuto e guardò Makoto con il cuore che gli batteva all'impazzata: «E pensi che questo a lungo andare ti annoierà?». Lei, ancora, non disse nulla; si avvicinò al suo viso e lo baciò di nuovo, gustando le sue labbra. Tabacco e cheesecake... sa di America, sa di buono. Ecco di cosa sa Duff. No... credo che non mi annoierò.

   
 
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