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Autore: kleines licht    10/08/2012    2 recensioni
Lui era mio, mio e di nessun altro.
Quella era la semplice verità dei fatti. Quello sarebbe stato fino alla fine: mio. [Klaus/Stefan]
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Klaus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio spirito da dominatore era sempre, solo più nascosto del solito. Sapere che tutto quel potere che sentivo scorrere nelle vene non era il massimo che potessi chiedere a me stesso peggiorava solo le cose. Volevo essere il migliore, il più forte…l’invincibile. E non riuscivo ad esserlo. Qualcosa mi bloccava, qualcosa che andava parecchio oltre al semplice fatto che una parte di me fosse legata da un incantesimo.
Era come se non ci fosse niente a questo mondo capace di crearmi una reazione, una qualunque. Niente che questo Universo potesse offrirmi per sentirmi davvero bene.
Mi alzai lentamente dall’enorme letto, dove giaceva ancora addormentata la giovane donna che avevo portato lì la sera prima. Il corpetto era ancora slacciato sulla pelle candida, i capelli sul cuscino e la gola ancora squarciata. Non era morta, raramente uccidevo in una sola volta le mie prede. Mi serviva sangue ogni giorno, infondo, e quello sarebbe stato solo un indecente spreco. Non potevo permettermi di gettare tanta meravigliosa carne viva per un semplice capriccio.
Puntai le mani contro il materasso e mi alzai, mostrando la mia figura slanciata e mezza svestita davanti allo specchio. I pantaloni di raso, ancora slacciati, fasciavano leggeri la pelle leggermente scurita dal sole, la camicia completamente aperta mostrava il petto perfetto, tranne per un'unica, leggera e quasi invisibile cicatrice. Mi avvicinai alla superficie riflettente con mosse agili e fluide, fino ad arrivarci a pochi centimetri. Potevo sentire chiaramente il fiato caldo contro la superficie fredda.
Rimasi immobili per secondi che potevano facilmente essere scambiati per secoli, i miei occhi chiari e vitrei negli occhi identici della mia stessa figura. Sbattevo appena le ciglia bionde, osservando di tanto in tanto la linea sottile della bocca, seguendo quella leggera della mascella.
Perfetto era dire poco, me ne rendevo conto anche io. Ero un uomo potente, rispettato eppure tremendamente insoddisfatto. Anche dopo una notte di passione con quella damigella dall’aria angelica ma dai modi tutt’altro che puri, mi sentivo incompleto. Il suo sangue, la sua passione e il suo godere mi avevano reso felice solo per un millesimo di secondo, poi più niente.
Era una cosa parecchio anomala, cominciava a preoccuparmi sul serio. Fosse stato qualche anno prima sarei stato più che orgoglioso della notte appena passata. Non riuscivo a ricordare una donna migliore e più esperta di quella dai capelli rossastri che respirava profondamente alle mie spalle eppure non riuscivo nemmeno a ricordarmi un momento di tanta scontentezza. Non ero mai stato così…insaziabile in tutta la mia vita. Era come se il mio corpo aspettasse quel qualcosa in più che io non ero ancora riuscito a trovare. E dove poterlo cercarlo? Cosa sarebbe riuscito a rendermi davvero felice?
Tutta quella tristezza e quel senso di vuoto altro non facevano che mettermi di cattivo umore, e quando ero di cattivo umore era meglio evitarmi. Ovviamente mia sorella Rebekah percepiva perfettamente quel disagio e puntualmente decideva di intervenire, peggiorando la situazione con la sua dannata lingua biforcuta. La sua testa bionda fece il suo ingresso nella stanza, mostrandola avvolta in un elegante abito che ne delineava le forme. Niente a che vedere con gli abiti sfarzosi e pesanti che si portavano solo qualche anno prima. Il 1912 era un epoca decisamente perfetta, per i suoi modi e le sue abitudini completamente dedicate al lusso e al peccato, almeno per quella parte di società di cui facevo parte io.
Mi mostrò un sorriso malizioso che conoscevo più che bene: voleva stuzzicarmi, anche se sapeva che non ero dell’umore migliore.
Bekah…
Sussurrai con voce calda, assaporando e accarezzando quel nomignolo con falsa dolcezza. Non ero né sorpreso né felice di vederla lì, la mia voce non era sollevata ma piuttosto un minaccioso avvertimento, un tacito “vattene”, che non ascoltò.
Nik, che piacere vederti anche questa mattina…evidentemente insoddisfatto! La tua amata Samarantha non ti ha soddisfatto…o sei tu ad aver fatto cilecca?
La sua voce suonava oltraggiosa, volutamente mielosa e delicata mentre voleva solo sfidarmi e portarmi allo sfinimento. Mi concentrai per qualche istante sul nome: Samarantha. Perché qualcuno avrebbe dovuto chiamare sua figlia in quel modo? Non che fosse un brutto nome ma non riuscivo a farmelo piacere. Come il nome di qualunque altra ragazza l’avesse preceduta. Non c’era niente di loro che mi piacesse era quello il punto. E Rebekah altro non faceva che infilare con poca grazia il dito nella piaga.
Sentii la rabbia invadermi e strinsi con forza in pugni. La guardai con astio ben poco nascosto e serrai la mascella, la bocca chiusa in una linea dura. Se voleva giocare…avremmo giocato.
Mi spiace deluderti ma penso di stare più che bene, grazie per la preoccupazione.
Sibilai, o quasi ringhiai tra i denti serrati. Non spostai minimamente gli occhi dalla sua figura, fragile e snella, posta con noncuranza e malcelata rivalità. Voleva ferirmi, portarmi nel baratro, farmi sentire inferiore ma dubitavo che ci sarebbe riuscita. Ero un Originale, dannazione, un ibrido per giunta! Un’attaccabrighe come mia sorella non mi avrebbe scalfito, o per lo meno non glielo avrei dimostrato apertamente.
Prima che potesse aprire ancora una volta la sua dannata boccuccia truccata perennemente di un rosso pesante –non le si sbavava mai quel dannato rossetto?- puntai un dito verso la porta.
Se vuoi scusarmi, ti vorrei fuori di qui. Per le signorine come te non è consono partecipare a certi spettacoli proibiti…
Le feci notare, con voce volutamente vellutata, quasi le stessi dicendo qualcosa di particolarmente dolce e gentile. Odiava quando le persone puntavano sulla sua età, detestava sentirsi piccola e innocente quando sapevamo bene entrambi che era tutto tranne quest’ultima, magica qualità. Giro sui tacchi costosi e sparì, lasciando dietro di sé una delicata fragranza di rose. Si era particolarmente affezionata al ruolo che sembrava aver assunto in questa nuova epoca e ogni tanto dava l’aria di volersene staccare. Cominciavo a temere che lei volesse rimanere perennemente in quel secolo, e in quel caso avrei dovuto sbarazzarmi anche di lei. Non che la cosa mi dispiacesse troppo infondo, ma rimaneva la mia unica famiglia, in qualunque modo decidesse di porsi nei miei confronti.
Sentii la porta dell’ingresso sbattere con vigore e mi voltai con velocità per controllare che la mia preda fosse ancora addormentata. Aveva un sonno pesante, anche se cominciavo a pensare che l’elevata quantità di sangue che avevo estratto da quel corpo dovesse averla stancata più del previsto.
La vista di quella figura all’apparenza perfetta che però non riusciva a scatenarmi alcuna emozione fece tornare bruscamente la rabbia che poco prima mi aveva invaso. E se prima ero riuscito a trattenermi ora non avrei saputo frenare quell’istinto primordiale di fare a pezzi ogni cosa.
Perché?
Perché, qualunque cosa facessi, finivo sempre per sentirmi come un’anima perduta nel bel mezzo del niente?
Perché non riuscivo mai a sentirmi vivo, come se mi mancasse un pezzo dell’anima?
E perché questo dannatissimo pezzo di anima sembrava introvabile?
Scagliai un pugno veloce e quasi invisibile al vetro fragile dello specchio davanti a me, mandandolo in frantumi. Le crepe partivano dal centro del mio pugno e si irradiavano, senza un percorso preciso, verso la modesta cornice in legno. Ora la mia figura pareva storpiata, per quanto io non fossi cambiato. Sentii la donna dietro di me sussultare appena, prima di tornare a dormire profondamente. Stupidi, inutili umani. La loro presenza sulla terra era così superflua che mi sorprendevo del fatto che, quel Dio a cui loro tanto credevano, non avesse ancora deciso di ucciderli. Come mai avrebbe dovuto tenere in vita creature così fragili e distruttive. Non erano capaci di dare un senso logico alla loro vita, alla loro fede, alla loro presenza sulla terra, ed erano fatti unicamente per distruggersi con le loro stesse mani.
Sbuffai, mentre la ferita sulle nocche già si chiudeva, sparendo lentamente e lasciando la pelle come poco prima. Spinto dalla fame e dal solito desiderio incontrollabile di potere mi avventai sulla rossa, dissanguandola in tempi decisamente brevi e lasciando il suo corpo ormai privo di vita sulle lenzuola candide.
Questo era quello che volevo, esattamente quello: rubare la vita a qualcun altro per provare a far sentire vivo me. Per quanto effimera e rapida fosse quella sensazione era l’unica capace di riempire un po’ quel dannato vuoto e farmi sentire realmente padrone del controllo. Le mie mani sfiorarono ancora una volta la pelle ormai fredda della donna, assaporando l’assenza di vita di quel corpo se possibile ancora più inutile di prima. Avrei lasciato a Rebekah la visione di quel che ero capace di fare, del fatto che quel volevo prima o poi lo ottenevo, con le buone e con le cattive, e che avrei quindi ottenuto anche il suo rispetto. A operazione completata abbandonai la stanza e in pochi istanti anche la casa, avviandomi lentamente verso il bosco. La camicia, senza la benchè minima traccia dell’orrore appena compiuto, lasciava scoperta in modo poco pudico la base del collo e l’inizio del petto, le maniche rimboccate fino al gomito. Mi importava davvero poco del galateo del tempo: in quanto Originale era piuttosto influente l’epoca in cui vivevo, tanto prima o poi anche quel periodo sarebbe finito.
Sospirai bruscamente, addentrandomi sempre più nel folto del bosco. La vegetazione si faceva sempre più presente e veniva pressata sul terreno senza alcun problema dai miei piedi nudi. Non avevo indossato scarpe prima di uscire e in ogni caso per me faceva poco la differenza.
Nessuno osava addentrarsi fino a quel punto nella natura così viva e dominante, se non qualche spavaldo giovane a cavallo che avrei udito a chilometri di distanza. Amavo particolarmente quel posto, tanto selvaggio quanto domabile, e non serviva il benchè minimo sforzo per udire chiaramente il battito regolare e il sangue caldo che scorreva nei corpi delle creature che lo abitavano.
Sangue che prima o poi sarebbe defluito nel corpo di qualcun altro, senza nessuna giustificazione particolare.
Camminavo senza una meta, volendo solo arrivare in un centro abbastanza abitato e infondo abbastanza piccolo da poter compiere una strage senza troppi complimenti. Erano periodi difficili quelli di quel secolo come quello precedente. La gente credeva meno alle streghe e ai vampiri ma credeva ancora, abbastanza da poter ogni tanto attribuire proprio a queste creature non troppo mistiche le cause di morti misteriose, ma non abbastanza da spendere ancora energie per caccie simili a quelle compiute più e più volte nell’ Ottocento. Sinceramente mi importava poco, ero un Originale e sarei fuggito come sempre. Anche se dovevo ammettere che Las Vegas mi piaceva, anche se ancora doveva diventare l’enorme centro che era diventato poi nei secoli successivi. Era una città ricca di vita, soprattutto nei sobborghi dove si facevano da parte le regole e venivano avanti quelli pronti a infrangerle. Prostitute, locali malfamati, giri di quella che si poteva definire la prima reale malavita cominciavano a diffondersi a macchia d’olio e la cosa mi piaceva parecchio.
Arrivai con sorprendente rapidità al centro del bosco, completamente perso nei miei pensieri, tanto che percepii maledettamente in ritardo quel rumore che avrebbe dovuto mettermi all’erta molto prima. Un cuore pulsava, temerario e vigoroso, pompando più sangue possibile anche se sembrava averne ancora meno a sua disposizione. Sentivo le arterie restringersi e riallargarsi, in affanno, quasi cercassero di cambiare un destino che ormai era segnato. Quel corpo stava morendo e non stava morendo per cause naturali. Sentivo il flebile rumore del sangue che veniva sottratto a quel cuore affaticato per affluire in un altro, apparentemente inesistente.
Vampiro, la soluzione era più che chiara.
Ma quale vampiro avrebbe osato recarsi in un bosco così vicino a un’abitazione come quella mia e di Rebekah. Sicuramente nessuno che ci conosceva abbastanza da temerci. Sicuramente nessuno di nostra conoscenza. Diversamente da quel che si poteva pensare in quella città i pochi vampiri che si erano avventurati vedevano di stare alla larga di come noi era più forte di loro. Non avrebbero mai osato sfidarci in modo così oltraggioso, a meno che non volessero andare incontro alla morte.
Con passo sempre più calmo fluido, simile a quello di una pantera che si avvicina alla sua preda per calcolarne la posizione, mi avvicinai alla fonte del rumore. Gli alberi coprivano per bene il punto scelto, abbastanza da rendere inudibili dal sentiero eventuali urla. Più mi avvicinavo e più sentivo il pressante odore di sangue raffermo invadermi i polmoni. Era come se non ci fosse solo quel corpo morente ma molto altro da nascondere.
Quando raggiunsi la piccola radura mi fermai ai margini, protetto dall’ombra che il cielo grigio e freddo mi offriva. A terra giacevano ben cinque corpi, immobili e freddi con le gole squarciate. La mia mente osservò oziosamente che erano tutte donne, abbastanza giovani da poter essere considerate appena entrate nell’età da matrimonio. Chiunque le avesse dilaniate in quel modo così rude non aveva fatto molta differenza per il colore della pelle o dei capelli. Non sembrava esserci un ragionamento logico solo…fame. Ed era una fame che mi sembrava di conoscere bene.
Andava oltre la sete bruciante che si poteva certo sicuramente percepire costantemente infondo alla gola, andava ben oltre alla voglia di sentire quel nettare ferroso e divino scorrere nel corpo. Era una sete di controllo, di pienezza, di vita che ero costretto a provare anche io.
Dopo aver analizzato distrattamente i corpi i miei occhi si alzarono incontrando, al centro di quella specie di cimitero rudimentale e irrispettoso, quello che doveva essere il giovane artefice dello spettacolino. Teneva saldamente stretta al suo corpo la ragazza da cui stava bevendo, gli occhi posati sulla gola nella quale erano affondati i canini. Aveva i capelli ramati, forse più vicini al color caramello, la mascella squadrata, la pelle giovane, abiti stropicciati e dall’aria di essere stati utilizzati più e più volte per quanto risultassero infondo eleganti e pregiati. Portava calzoni di una tonalità più scura rispetto a quella dei capelli, che gli fasciavano dolcemente il corpo ricadendo su scarpe dalla nota fattura Italiana. Doveva aver fatto un lungo viaggio per arrivare fino a lì ma non ne sembrava provato. La fatica infondo sfiorava appena il suo corpo, almeno quanto sfiorava appena il mio.
Percepii più che vedere il sguardo alzarsi dal corpo della giovane, ormai da considerare inutile per qualunque utilizzo, posandosi sulla mia figura, che intanto aveva fatto qualche passo verso il centro della radura. Il giovane aveva uno sguardo perso nel niente, colpevole e infondo irrefrenabile. Sapeva quel che aveva fatto, si sentiva male per questo e probabilmente per molto altro eppure non sapeva e non voleva fermarsi. Era diventato uno Squartatore vuoto, senza anima ma infondo non sapeva che quell’anima aveva solo bisogno di qualcosa che non riusciva a trovare. Le labbra scolpite erano macchiate del nettare vitale che aveva sottratto alla donna che lentamente aveva lasciato cadere a terra, lo sguardo vacuo e immobile, fermo su di me. Sapeva di essere stato scoperto ma aveva già capito che non sarebbe successo niente di male con me lì. Io non volevo che gli succedesse qualcosa di male.
Con un movimento rapido e veloce gli fui davanti, l’indice posato sul rivolo di sangue che stava raggiungendo la mascella per poi arrivare inevitabilmente a macchiare il tessuto candido. Non sapevo che mi stesse prendendo ma quando i miei occhi incontrarono quelli verdi e chiari del ragazzo fu come se la mia fame fosse saziata. Eppure non lo conoscevo nemmeno, non lo avevo mai visto in vita mia!
Raccolsi la stilla rossastra e pulii lentamente la sua bocca, lui ancora immobile, il fiato lento e irregolare mentre non capiva nemmeno lui che gli stesse accadendo.
Non importava saperlo a nessuno dei due.
Lentamente scoprii la pelle del suo volto, ormai praticamente pulito, senza che lui osasse o volesse muoversi. Avvertivo nei suoi occhi lo stesso desiderio che avvertivo nei miei e che sapevo essere inspiegabile. Ma infondo nemmeno lui voleva spiegarlo. Dischiuse lentamente le labbra, sfiorando involontariamente il mio polpastrello. Una scossa elettrica mi percorse violentemente il braccio, a quell’innocente e involontario contatto. Sgranai leggermente gli occhi, colto di sorpresa e infondo spaventato da quella reazione. Sì, l’ibrido imbattile aveva paura. Paura di sé stesso e di quel che gli si stava muovendo dentro…
Chi sei…
Mormorò il giovane, dimenticandosi quasi di dare un accento interrogativo alla frase. In quel momento mi ripresi, con un movimento veloce e impercettibile mi portai a distanza debita e lo osservai, con un ghigno di sfida dipinta in volto.
Dovrei chiedere a te chi sei, mio caro…e a quanto vedo dovrei anche chiederti quante altre donzelle hai intenzione di fare fuori oggi…non mi sembra un comportamento troppo rispettoso e galante.
Ammisi con malizia e sensualità istintive. Infondo ero fatto così, non potevo farci troppo
 
                                                                                                                                * * *
 
Avevo gli occhi vitrei puntati sul corpo ormai inerme di mia sorella. Giaceva al suolo, la bocca rosea ancora leggermente dischiusa per la sorpresa, gli occhi sbarrati anche se ormai senza vita. La pelle sembrava improvvisamente invecchiata di almeno cento anni, ingrigita e ormai senza vita.
L’avevo uccisa e non riuscivo a pentirmene.
Il paletto di quercia bianca emergeva per parecchi centimetri dalla sua pelle irrimediabilmente trafitta e non riuscivo a provare altro che odio.
Una parte di me sentiva ancora Stefan nel mio corpo, la sua anima unita deliziosamente la mia. Le mie orecchie ripetevano convulsamente i suoi gemiti, spesso pericolosamente uniti ai miei. La sua pelle bollente, percorsa da mille fremiti, che cozzava amabilmente con la mia, le sue mani che percorrevano inarrestabili la mia pelle ormai sensibile, il suoi capelli che scivolavano leggeri tra le dita, le mie labbra che accarezzavano sensualmente il suo nome.
Era ancora tutto lì, davanti ai miei occhi, mentre con lo sguardo percorrevo ozioso l’enorme stanza del locale che ero solito frequentare con Bekah. Le labbra di Stefan erano silenziosamente appoggiate al bicchiere, mi facevano solo venir voglia di accorciare di nuovo le distanze e farlo mio. Ancora. Non credevo che quella sensazione potesse essere così travolgente e forte da farmi sentire…desiderato sul serio. Era come se dopo tutta quella fantomatica ricerca avessi appena raggiunto il mio posto nel mondo.
E Rebekah era solo lì per rovinarmelo. Come sempre.
Stefan era mio, mio soltanto. Non mi importava nulla di conoscerlo da così poco tempo, non mi importava di niente di quanto sbagliato e insolito potesse sembrare…lui era quello che stavo cercando. Finalmente mi sentivo vivo e completo come mai prima. Mi sentivo felice come non ero stata con nessuna. Era lui la cura a tutto e Rebekah, come sempre, voleva tutto per sé.
Avevo avvertito chiaramente il suo sguardo languido posarsi su di lui, mentre con movenze voluntamente fluide e sensuali attirava la sua attenzione. Sapevo per certo che Stefan provava quel che provavo io, glielo leggevo negli occhi, ma sinceramente non mi piaceva che mia sorella ci provasse con quel  che era mio.
Il resto era stato accecato dalla labbra, ricordavo perciò poco e niente. Sapevo di averla portata con ben poca finezza nel retro del locale e di averla semplicemente uccisa, senza troppi giri di parole. Non mi importava assolutamente di quel che avrebbe pensato se mai gliene avessi  ridato la possiblità: quel che era mio era mio e basta.
Mi faceva solo ribrezzo pensare alle sue labbra sulla pelle vellutata ed eccitata di Stefan, percorrere lentamente il percorso dalla sua mascella al suo collo con la stessa lentezza che avevo usato io. Odiavo pensare alla probabilità che fosse lei a lasciar cadere a terra i suoi abiti, a vedere la sua nudità da me già tanto bramata.
Lui era mio, mio e di nessun altro.
Quella era la semplice verità dei fatti. Quello sarebbe stato fino alla fine: mio.
 
 
ANGOLO AUTRICE
 
 
Dunque ciao a tutti^^
Questa nasce come una one-shoot e non so se ci sarà mai un continuo e se diventerà qualcos’altro, non credo. Al momento è solo il tanto agognato regalo di Lele Alien, una mia carissima amica a cui non potevo certo negare qualcosa no? Beh che dire…spero che piaccia a te ,Lele, ma anche ad altre persone perché no. Non so che cosa sia saltato fuori, a me sinceramente non convince pienamente ma non è certo una novità. Ho fatto un salto temporale perché pensavo che sinceramente lasciare tutto un po’ in sospeso fosse meglio ma non so se sia realmente vero xD Ringrazio ovviamente Lele Alien per il supporto e per l’idea.
Sappiatemi dire che ne pensate ;)
Smile and Shine
Vostra Jules
   
 
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