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Autore: Mannu    11/08/2012    2 recensioni
La libertà di ciascuno termina dove inizia quella altrui. Ma quando due persone decidono di stare insieme le cose si complicano. Aggiungiamo che una delle due persone è Miki, inquieta, incerta, perennemente insoddisfatta di se stessa e che ancora non sa esattamente cosa vuole dalla vita...
Tutto inizia con un capriccio, ma stavolta uno davvero pericoloso. Sfidare il mortale abbraccio di Giove!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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GIOVE CONTRO
1.


- Dove vai? Aspetta!
Allungò una mano e cercò di afferrarla sopra il gomito, ma la pelle umida di sudore di lei gli scivolò via dalle dita. Dalla forza di quella stretta cui era appena sfuggita con uno strattone si era accorta che lui non stava affatto scherzando. Gliel'aveva letto negli occhi che gli aveva puntato addosso per un istante, lampeggianti di rabbia tra i ricci cupi. Puntò dritta verso le docce delle donne.
- Mi vuoi ascoltare per un minuto? - nonostante il tono seccato e la voce alta lei non si fermò. Gli altri frequentatori della palestra li avevano notati: alcuni sorridevano pensando al solito bisticcio tra innamorati. Stavolta no, si disse. Era infuriata: si rifugiò dentro il bagno delle donne, al momento vuoto, e lui la seguì. Quando sentì la porta aprirsi subito dietro la sua schiena lo fronteggiò.
- Dimmi che non stavi dicendo sul serio! - sbottò lui.
- Certo che dico sul serio. E vedrai che lo faccio!
- Troppo pericoloso. Ho detto che non te lo permetto!
- Smettila di comportarti da paparino! Non sei mio padre e nemmeno lui potrebbe impedirmi di fare quello che voglio.
- Certo che posso impedirti di suicidarti, invece! A me non ci pensi?
- E tu a me ci pensi? - gridò lei, il viso deformato in una maschera d'ira.
La porta si era aperta e una giovane cliente della palestra aveva fatto capolino. A quello strillo rinunciò a usufruire dei servizi igienici, tornando subito sui suoi passi e chiudendo bene la porta.
Il silenzio che seguì lo scatto della porta sembrò doversi protrarre all'infinito. Ci pensò lui a interromperlo.
- Ripensaci per favore, io...
Alzò le mani con l'intenzione di posargliele sulle spalle, ma lei le colpì con rabbia per allontanarle. Non contenta lo spintonò con forza inaspettata, in pieno petto, due volte. Colto alla sprovvista dovette retrocedere per riguadagnare l'equilibrio. Era proprio furiosa. Lasciò cadere le braccia muscolose lungo i fianchi in segno di resa.
- Vengo con te.
- Fai quel cazzo che ti pare! È la cosa che ti riesce meglio, no? - fu la violenta risposta, urlata.
Non era mai stata un tipo facile: orgogliosa, forte, decisa. E resistente: gliene erano successe di tutti i colori, ma lei era sempre lì, con la sua voglia di fare, di andare avanti da sola, con la sua sola forza. Lodevole, senza dubbio: ma aveva dei limiti anche lei e temeva che li avesse raggiunti. Era sotto un forte stress. Certo, ce n'era voluto: aveva vissuto più disavventure lei in un anno che tutti gli astronauti che lui conosceva nella loro vita messi insieme. Aveva una grande forza dalla sua, ma anche una bella dose di sfortuna. Stava esagerando però. Ora se li stava davvero cercando, i guai. Infatti se quelli derivati da un po' di inesperienza erano comprensibili, quelli cui lei voleva andare incontro ora erano del tutto gratuiti. Pertanto incomprensibili per lui. Ciò che le era accaduto al molo fantasma di Apollo sarebbe stato facile da evitare se solo lei avesse saputo i rischi che correva. Le era corso incontro tutte le volte che aveva potuto, ed era perfino rimasto coinvolto in pericolose avventure insieme a lei. Potevano vantarsi di essere sopravvissuti al tuffo in una nebulosa!
Ma ora questo! Aveva trascorso un mese abbondante insieme a lei trascurando i suoi doveri sul Raja. Alla fine della sua ultima disavventura si erano parlati a lungo per chiarirsi e le cose sembravano essersi sistemate. Le aveva dato una mano, avevano fatto dei lavoretti insieme, aveva prestato servizio sulla sua nave come specialista. Si erano allenati insieme: aveva ripreso a frequentare assiduamente la palestra con lui ed era stato contento di vederla così entusiasta da attrezzarsi con pesi nuovi per potersi allenare anche durante i viaggi. Sia lui che il suo allenatore l'avevano riempita di consigli, entrambi convinti che volesse solo mantenersi bella e in forma. Non c'era una sola ventisettenne al mondo che non desiderasse un fisico snello e tonico: lei non era sembrata da meno.
Invece c'era dell'altro. Non si era affatto tranquillizzata, non era ancora in pace con se stessa. Non del tutto, almeno. Pochi minuti prima, chiacchierando mentre completavano fianco a fianco ciascuno la propria scheda di esercizi, era saltata fuori la verità. Quasi per caso, forse per sbaglio, repentina come un tradimento. E altrettanto dolorosa.
- Non so cosa dire...
- Non dirmi niente! Non fare niente! – strillò ancora lei.
L'aveva lì davanti, provocante e sensuale, inguainata nella divisa da atletica unisex succinta e aderente, coi colori della palestra. La desiderava: l'avrebbe abbracciata com'era solito fare, avrebbe voluto affondare il viso nei suoi bellissimi capelli ricci, lucidi e voluminosi: quando li portava sciolti le conferivano quell'aspetto fiero e maestoso che lui adorava. Ma non poteva toccarla, non osava farlo. Ogni reazione alle sue parole era una fiammata, un'onda di liquido incendiario. Rabbia concentrata. Non riusciva a capire cosa avesse fatto per creare in lei tutto quel risentimento. Non dopo tutto quello che si erano detti.
- Calmati e stammi a sentire un minuto! - sbottò. Se bisogna fare la voce grossa sono capace anch'io, si disse. Ma non era arrabbiato quanto lo era lei: era solo confuso e un po' frustrato.
- Mi pare ci sia una certa differenza tra il godere della propria libertà e il rischiare la pelle per niente! Direi che...
- Ah! Di nuovo i tuoi discorsi sensati! Risparmiali per qualcun altra! - lo interruppe subito lei con un'altra vampata. Era arrossita come spesso le capitava quando era preda di forti emozioni. Dapprima le si imporporavano le gote e poi tutto il viso si infiammava. Maggiore l'ardore che la pervadeva, più la pelle s'arrossava. In quel momento era avvampata dalla base del collo fino alla radice dei capelli. L'aveva vista così solo sotto sforzo, nel tentativo di sollevare un manubrio troppo pesante per lei.
- Ancora questa storia? - esplose lui, alzando la voce – Ti ho già spiegato tutto!
- Non mi hai ancora spiegato perché devi correre sempre sulla tua nave... trovi sempre una motivazione per mollarmi da sola!
- È da più di un mese che trascuro i miei doveri sul Raja per stare con te!
- Povero caro! Mi si spezza il cuore...
- Incredibile... - ora stava esagerando: se voleva farlo arrabbiare davvero ci stava riuscendo – Sei... sei gelosa di un'astronave!
- Non sono sicura che sia un'astronave!


Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Sempre calmo, pacato, controllato. Le dava ai nervi quand'era così. Stava riuscendo a farlo alterare, ma aveva dovuto sputargli addosso una cattiveria dopo l'altra. Da tempo sospettava che avesse un'altra. Troppi dubbi, troppi sospetti. Non aveva voluto credere a quel bastardo di Mahamiri che l'aveva avvertita: una in ogni porto. Aveva fatto finta di niente quando l'aveva sorpreso in compagnia della sua ex moglie, occhi negli occhi in un locale per coppiette. Sembrava passato un secolo ma non erano nemmeno sei mesi. Le aveva anche accarezzato la schiena nuda, facendola incendiare di gelosia. Quella puttana, pensò con rancore ricordando le forme mozzafiato della bella donna, elegante e sexy. Ricordava come se fosse ieri una conversazione origliata a metà: dall'altra parte c'era di certo una donna, e non una qualsiasi se si era rivolto a lei con parole come “cara”, “tesoro”, “angelo” e “ti penso sempre”. In particolare un “ciao bella” udito per caso, non rivolto a lei, era un ago arroventato infilzato nel cuore. Non poteva essere un caso, una serie di coincidenze. Ebbene sì: era gelosa da morire. Non poteva resistere col tarlo del dubbio che tornava periodicamente a tormentarla.
- E non sono nemmeno sicura che sia solo un'astronave! - aggiunse, insinuando il peggio. Si sentiva la pelle ardere: avrebbe voluto scorticarsi il cuoio capelluto con le unghie pur di non sentire più il prurito che la stava facendo impazzire.
Parve ingigantirsi davanti ai suoi occhi. Strinse le labbra e gonfiò il petto come se stesse inspirando aria in preparazione a un urlo di battaglia. Quasi ebbe paura che potesse esplodere: non le aveva mai torto un capello, nemmeno quando recentemente lo aveva morsicato a sangue durante un rapporto sessuale un po' diverso dai soliti. Sembrava passato un anno da allora, ma erano trascorsi poco più di trenta giorni.
Invece esalò un lungo sospiro, abbassò gli occhi e parve farsi piccolo davanti a lei.
- Non ti fidi di me – mormorò. Le si strinse qualcosa dentro il petto ma era decisa a non farsi piegare da niente, stavolta.
- Tutto quello che ti ho detto, che ho fatto... non conta nulla per te – continuò lui alzando la voce – Davvero nulla?
Non era certa di quello che voleva dirgli. Era bravo a disarmarla ostentando il suo bel viso ampio da bravo ragazzo, e gli occhi che la intenerivano ogni volta. E quelle grandi mani calde che sembravano potere tutto su di lei. L'avevano già sconfitta troppe volte e non voleva perdere ancora. Era stanca di perdere.
- Non mi incanti più, bello – gli rispose infine con cattiveria, tanta da sentirsi in colpa nel momento stesso in cui parlava – ora le regole le faccio io. Si gioca a modo mio.
- Non dire...
- Silenzio! - lo interruppe subito: sapeva perfettamente che avrebbe taciuto. Lui non sopportava di parlare senza essere ascoltato e lei non gli avrebbe dato modo di dire altro.
- Siamo nel bagno delle donne e io sto per spogliarmi per fare la doccia. Se quando sarò nuda ti vedo ancora qui, strillerò così forte da farmi sentire in tutta la fottuta palestra. E oltre. Chiaro?
Aveva sibilato quelle parole tra i denti, incurvandosi in avanti senza nemmeno rendersene conto. Raddrizzò la schiena per recuperare preziosi centimetri in altezza, visto che era di poco più alta di lui, e per dimostrare che non stava scherzando cominciò a spogliarsi, dirigendosi verso la doccia più vicina. Abbassò bruscamente una spallina scoprendo un seno e si voltò appena in tempo per vedere la porta chiudersi. Era rimasta sola.
Ora poteva piangere.
   
 
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