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Autore: kleines licht    12/08/2012    1 recensioni
You took my breath, but I survived
I don't know how, but I don't even care
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I walked, I ran, I jumped, I flew
Right off the ground to float to you
There's no gravity to hold me down for real
 
But somehow I'm still alive inside
You took my breath, but I survived
I don't know how, but I don't even care
 
So how do you expect me
to live alone with just me
'Cause my world revolves around you
It's so hard for me to breathe
 
Sono seduta sul sedile posteriore dell’auto di Nathaniel e aspetto solamente di vedere l’aeroporto davanti a noi, del resto mi importa decisamente poco. Stringo ancora tra le mani il ciondolo che mi ha regalato mia madre ormai troppo tempo fa, l’ipod appoggiato sul sedile, poco distante da me. Mi lascio semplicemente invadere dalla voce di Jordin Sparks. Canta di come vivere sena aria, di quanta fatica abbia fatto per avvicinarsi a qualcuno e di quanto vuoto abbia lasciato, di quanta fatica faccia a vivere da sola nel mezzo del niente, quando il mondo che aveva gravitava intorno a una persona che non c’è più. Me lo chiedo anche io a questo punto, se sia possibile vivere senza aria e comincio a pensare che infondo una parte di noi sia programmata per vivere anche dopo che tutto quel che ci circondava si distrugge. Anzi è programmata per cercare una via di fuga, qualunque cosa che possa portarci a scappare da quel che abbiamo distrutto e cercare qualcosa di meglio, o almeno è quello che pensavo quando ho prenotato questo dannato volo per Atlanta. Cosa pensavo in quel momento rimane un bel mistero, forse ero così avvolta dall’aria che respiravo, per quanto malsana fosse, che avevo smesso di pensare che qualcosa può anche andare storto prima o poi. Ero soffocata da quello che avevo considerato il mio mondo e avevo cominciato a…cancellare tutto il resto. Beh magari non proprio tutto, tutto il resto. Qualcosa sì, ma non tutto.
Controllo lo schermo del cellulare per la centesima volta e incontro ancora quegli occhi azzurri e sconvolgenti, il sorriso appena accennato, tutto perfettamente in ordine. Non c’è niente in quell’immagine che possa sembrare o essere sbagliato. Sembra che quella figura sia stata creata per essere ammirata e onorata ogni ora del giorno e della notte. Beh magari non proprio onorata no? Perché mi sembra che avessi cominciato a considerare questa follia come tale, ovvero una cavolata assurda…non eri tu che si voleva ritirare?! Domanda come al solito puntigliosa la mia dea interiore. Giace in un posto della mia anima, le mani sui fianchi e l’aria di rimprovero. Sbuffai sonoramente, al niente. Vero, la mia parte razionale aveva cominciato a funzionare qualche settimana prima, o almeno sembrava in grado di funzionare. Cominciavo a sospettare fosse solamente perché le cose con Michael si erano messe decisamente bene…non c’era niente tra noi che sembrasse voler cambiare, niente che preannunciasse una tempesta. Pensavo che ormai sfuggire dal mio paese d’origine fosse inutile, che senso aveva scappare da un posto dove c’era tutto quel che desideravo?
Poi è precipitato tutto, come ogni volta. Michael si era dimostrato il solito ipocrita e l’idea di andarmene da lì per quanto stupida mi era sembrata la soluzione migliore. Avevo bisogno di aria migliore, nuova. Avevo bisogno di fare qualcosa che cambiasse per sempre o almeno in parte il mio destino. A sentir Nathaniel stavo sbagliando tutto: stavo considerando una semplice “gita fuori porta” la carta per cambiare ogni cosa. Ma dannazione andare in America non mi sembrava per niente una “gita fuori porta”, piuttosto mi sembrava il viaggio di una vita.
Inutile precisare che cominciassi davvero a sentirmi come tutte quelle donne che, molti secoli prima, avevano cominciato a spostarsi per andare nel Nuovo Continente. Me le vedevo sfilare davanti, i bambini in braccio e le lunghe vesti che sfioravano terra raccogliendo appena la polvere delle strade…
Venni bruscamente interrotta nelle mie congetture dalla radio altissima che Nate aveva appena acceso. Evidentemente la sua sveglia biologica è appena suonato nel suo cervello, abbastanza da annullare le inutili prediche per l’ora in cui si era svegliato solo per portarmi all’aeroporto.
I Green Day cantano di camminare da soli nella radura dei sogni infranti, mentre Jordin dice di essere sopravvissuto in qualche modo, senza voler nemmeno sapere come.
You took my breath, but I survived
I don't know how, but I don't even care
Ero sopravvissuta anche io, a modo mio e in qualche maniera complicata sulla quale mi rifiutavo di indagare. Sinceramente non voglio nemmeno pensare a come mi ero ridotta per quel cretino, ora ho la mia nuova avventura da vivere.
E non sono nemmeno sola, per mia fortuna. Non mi sarei mai inventata una cosa del genere di sana pianta, ci mancherebbe altro! Non sono così pazza, o meglio preferisco non mostrarmi tale. La ragazza tranquilla e carismatica che ogni mattina si sveglia dal letto con una nuova idea ha ormai perso il suo smalto, ma anche nel suo giorno migliore non avrebbe saputo partorire un’idea così pazza. Non c’entra la lontananza tra la mia amata Australia e l’America stessa, quello è solo un dettaglio. E’ l’idea di base che sembra più un’idea da stalker –non che non lo fossi, alle volte- che altro! E l’artefice di tutto questo non poteva che essere quella matta di Katlin. Australiana alla lontana e solo da parte della madre, l’anima meno normale che abbia mai conosciuto. Quest’ultima e mia madre sono state compagne di scuola da giovani e si sono riscoperte solo di recente. Katlin vive in Francia, al momento, anche se ha vissuto per parecchi anni in Italia, in Germania e in Gran Bretagna. Sì è una di quelle persone che ha ufficialmente girato il mondo, e senza troppi complimenti. Suo padre è sempre stato un uomo di mondo, d’altronde, ma non è mai tornata in Australia. Si può quasi dire che non l’ha mai davvero vista, cosa assai ingiusta. Trovarla è stato,se per questo, un bel colpo di fortuna, uno di quelli che capitano a una persona su tremila. Facebook e Twitter fanno comunque dei miracoli, ogni tanto, e questo è uno di questi. Ci eravamo trovate per caso, e lentamente è nata quella che non posso che considerare una vera amicizia. Mia madre si fida di lei come se la conoscesse di persona e io non vedo l’ora di incontrarla.
Clicco ancora una volta il tasto di blocco del telefono e finalmente trovai quel messaggio che tanto agognavo: Katlin. Lo apro, già pronta a sorridere. E’ praticamente il contrario di me: solare, pazza fino l’inverosimile, nutre speranze anche irrealizzabili su praticamente ogni cosa di questo mondo e soprattutto sa convincere le persone come ben pochi sono capaci di fare
Hei dormigliona già in viaggio? Non rispondermi se sei sull’aereo, mi servi ancora per il nostro famoso piano! Il mio muffin al cioccolato ti saluta, ci vediamo quando arrivi… e spero per te che tu sia riconoscibile.
La solita testarda. Le ho spiegato almeno un centinaio di volte che il suo “piano” è troppo anche per me ma sembra  non volermi sentire.  In somma che diavolo le è saltato in testa quando ha deciso che, una volta andate in America, avremmo fatto tappa obbligatoria ad Atlanta per incontrare il cast di Vampire Diaries? Non sto dicendo che non è uno dei miei desideri, a chi non piacerebbe?! Semplicemente mi sembra qualcosa di esagerato, da fan che farebbe l’inverosimile per un autografo. E poi che potremmo mai dirgli? E’ fuori discussione uscirsene con cose come “Ian non sai quanto ti considero bello” o “Ian se anche ora ti togli la tua maglietta a me non dispiace” come pensa Katlin. Che è un bel ragazzo lo capisce anche da solo e poi è una di quelle cose che risulta al primo posto nella mia classifica di cose imbarazzanti.
P!nk risuona nell’abitacolo della macchina mentre canta di una storia finita. Rispecchia perfettamente quel che penso al momento di tutto quel che è successo.
I’ve been crying, I’ve been crying, I’ve been dying over you
Tie a knot in the rope, trying to hold, trying to hold,
But there’s nothing to grab so I let go

Comincio a cantare con voce sommessa, mentre Nathaniel tiene il tempo sul volante con un sorrisetto e ripete, appena udibile, le parole che conosce. E’ mio fratello, il mio adorabile e assieme odioso fratello maggiore. Ricordo ancora quando tagliava i capelli alle mie barbie e ora invece mi ritrovo a vederlo solo una volta a settimana. Al contrario di quel che dice sempre, ha deciso anche lui di andarsene anche se non troppo lontano. Si è spostato qualche anno fa per vivere a Sidney in uno di quegli attici stupendi con la sua fidanzata, Miluna che ricorda tanto una marca di gioielli più che una ragazza fatta e finita. Non serve a molto puntualizzare che è totalmente diversa da me: capelli biondo platino, sorriso coperto da chili di rossetto, occhi verdi, pelle costantemente imperlata da chili di fondotinta, orecchini pesanti alle orecchie –spesso mi sono chiesta se almeno quando sono a letto assieme se li tolga- e quasi sempre abitini succinti, anche quando fuori fa così freddo che non puoi fare molto se non coprirti tanto da sembrare un enorme pupazzo di neve. Lei appare sempre perfetta, magra, slanciata e io finisco sempre per sentirmi troppo larga, troppo sbalgiata, troppo fuori luogo. Stare con lei non è la mia attività preferita e perfortuna Nate sembra appoggiare l’idea di tenerci lontane.  Penso da sempre che lei gli abbia detto qualcosa su di me, perché mi smebra strano che faccia qualcosa per me senza che glielo chieda in ginocchio! O forse una ragazza che fa surf, che lavora nella clinica veterinaria dei genitori e che frequenta la scuola d’arte è fisicamente incompatibile a una tutta scarpe col tacco, profumo pregiati e occhiali da sole firmati, ed è inutile farlo presente.
Mi rilasso appena sul sedile mentre davanti a noi comincia a mostrarsi l’aeroporto nazionale in tutta la sua grandezza. Ho preso l’aero solo qualche volta e sinceramente non è stata mai una passione, ma non ho molta scelta. Purtroppo non ci sono altri mezzi per arrivare fino in Francia e non ho alcuna intenzione di mostrarmi preoccupata davanti a Nate.
Appena parcheggia salto giù dall’auto –che sembra più fatta per una scampagnata nel deserto che altro- e mi avvicino al cassettone posteriore, alzandomi sulle punte dei piedi per prendere le mie valigie. Nate mi raggiunge in fretta, quasi spinto da una morsa di altruismo che mai avrei pensato di vedergli negli occhi. Con un sospiro da “devo fare sempre tutto io” tira giù il trolley e il bagaglio a mano. La sua faccia sorpresa sembra chiedermi urlando che diavolo ci ho messo dentro ma che pretende? Infondo per tutto il tempo in cui abbiamo progettato di stare via mi servono decisamente parecchie cose.
Prima di ripensarci prendo lo slancio e lo abbraccio.
Ci si sente, fratellone…
Sussurro al suo orecchio prima di aggiustarmi l’abito e prendere la borsa, posandola dolcemente sulla spalla. Mi scosto perché non mi cada tutto, prendo il trolley e mi avvio senza voltarmi indietro verso la porta. Se mi voltassi so che mi verrebbe voglia di mollare o nel migliore dei casi il mio umore diventerebbe pessimo. Sì perché Nate ha il tempismo peggiore di questo mondo: tende a dire le cose peggiori, le notizie più sconvolgenti o cominciare catastrofi nei momenti meno appropriati. Quindi meglio evitare. Mancano ancora due ore al mio volo ma devo fare il check-in cosa che mi preoccupa non poco. Al momento, passata la parentesi di nostalgia, ho solamente voglia di lasciarmi tutto alle spalle per un po’ e conoscere persone nuove.
Appena faccio il mio ingresso nell’aeroporto un gruppo di fotografi e giornalisti si volta verso di me, neanche gli avessi appena chiamati con un fischietto ultrasuoni. Li guardo sconvolta, mentre tornano a chiacchierare visibilmente ansiosi. Stanno aspettando qualcuno…ma chi?
Sinceramente non sono affari tuoi…ma poi pensala come ti pare!
Solita vocina, che non perde certo tempo per farmi notare quando sbaglio qualcosa. In ogni caso l’edificio non è pieno come mi ero immaginata, malgrado ci sia comunque abbastanza gente in giro. Sarà un volo lungo, con una breve pausa a casa di Katlin e poi un volo in sua compagnia verso l’America. Ci abbiamo pensato parecchio e ancora adesso l’idea di atterrare direttamente ad Atlanta mi sembra alquanto audace. Pregusto ancora il sapore della vittoria ottenuta rubando quella piccola concessione alla mia nuova compagna di viaggio.
Non abbiamo certamente intenzione di fermarci ad Atlanta, quella è solo una tappa –gentile concessione della sottoscritta e del suo orgoglio- poi ci sposteremo più o meno velocemente lungo la costa.  Fosse stato per Katlin sarebbe rimasta appostata davanti al set tutta estate!
Rido tra me e me all’idea prima di lasciarmi cadere su una sedia, mentre Bonnie Tyler supplica quegli occhi chiari di tornare indietro…e l’immagine di quel ragazzo così irraggiungibile mi torna velocemente in mente.
ANGOLO AUTRICE:
Bene ciao a tutti^^
Dunque questa storia nasce da un idea balzana che non so come potrà proseguire ma spero comunque che proseguirà :3
Non c’è molto da dire su questo primo capitolo, diciamo che è un po’ un riscaldamento!
Sicuramente a Katlin e la nostra protagonista (il nome lo scoprirete nel prossimo capitolo non ve lo dico ora u.u) succederà qualcosa, forse potete già intuire cosa.
La paura più grande per questa nuova ff è quella di cadere nell’ovvio, cosa che spero non succeda. Per il momento vi lascio :3
Baci e abbracci
Vostra Jude.
   
 
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