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Autore: Dolceamara    27/02/2007    4 recensioni
Il mito della nascita di Eros, Harry e Draco.

Siamo io e lui.
Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amore

 

 

Siamo io e lui.

Io e lui soltanto in questa stanza, da diverse ore oramai.

Io soffocato tra le pareti, lui soffocato tra le mie braccia.

E’ passato molto tempo da quando tutto questo è iniziato.

Troppo, troppo poco, non saprei.

 

Quando nacque Afrodite, gli dèi tennero banchetto, e fra gli altri c’era Poros (l’Espediente), figlio di Metis (la Perspicacia).

Dopo che ebbero festeggiato venne Penia (la Povertà) a mendicare, e se ne stava vicino alla porta.

Successe che Poros, ubriaco di nettare, entrato nel giardino di Zeus, appesantito com’era, fu colto dal sonno. Pienia allora, per la mancanza in cui si trovava di tutto ciò che ha Poros, escogitando di avere un figlio da questi, giacque con lui e concepì Eros.

 

Ci siamo conosciuti milioni di volte a dire il vero.

Incontrati, scontrati, centinaia di volte.

Ma una sola tra queste ha fatto nascere qualcosa in noi.

O perlomeno ha nutrito quel piccolo germoglio che ci spaccava in due il cuore.

Una festa.

L’occasione più stupidamente banale per conoscere qualcuno… o per farlo conoscere al nostro letto.

Eravamo ubriachi, fradici da capo a piedi, dentro e fuori.

Una dannata e osannata festa serpeverde. Tra le più divertitenti, ma anche le più pericolose.

Si festeggiava l’arrivo di una nuova studentessa ad Hogwarts… non me ne ricordo più nemmeno il nome: era semplicemente una patetica scusa per far sì che gli insegnanti approvassero una festa nel cuore della notte e sospendessero le lezioni il giorno dopo, almeno di qualche ora.

Fatto sta che alle 3 del mattino la sala grande era ancora gremita di persone e la musica continuava a strillare vagando per i meandri di quel soffitto sconfinato.

La nuova ragazza poveretta barcollava di braccia in braccia che se la ritrovavano addosso, l’equilibrio diluito dall’alcool. Ognuno la abbandonava a qualcun altro, finchè quella all’improvviso non finiva sul pavimento, si rialzava e ricominciava la danza più bizzarra della nottata.

Potevi chiedere davvero a chiunque, ma nessuno e dico nessuno si ricordava il suo nome.

Ad ogni modo, glissando… eravamo ubriachi fradici.

Il motivo?

E chi se lo ricorda.

Di problemi da bere via ne avevamo tutti e due a sufficienza.

Lui comunque immagino avesse appena litigato col padre… me lo ricordo ancora il livido che aveva sulla spalla. Penso che lui per giustificarlo mi avesse detto qualcosa tipo che era caduto dalle scale, aveva battuto contro uno spigolo, un elfo domestico lo aveva bruciato con un ferro da stiro… sì insomma qualcosa del genere.

Ma Harry Potter quella sera si sentiva un idiota, non uno stupido.

Sapete, quando si beve, si beve tanto, ti prende tutta una smania di parlare di tutto con tutti.

Arpioni la prima persona che ti capita a tiro e zack, quella è eletta dalla Regina Madre il tuo psicologo personale della serata.

Destino sfacciato, io e Draco ci eravamo arpionati a vicenda.

E parla, riparla e straparla… finchè Potter non è diventato Harry.

Malfoy è diventato Draco.

Gli insulti sono diventati scuse.

Le scuse sono diventate verità.

Curiosa eh l’ebbrezza?

Vabbé, bando alle ciance.

Ci siamo addormentati.

Prima io, prima lui, che ne so.

So solo che prima di trovare quella stanza dove siamo crollati dobbiamo aver percorso qualcosa come mezzo castello spalla contro spalla (giusto per reggerci a vicenda), e quando ci siamo svegliati… è semplicemente successo.

A chi cazzo frega se l’abbiamo fatto dolcemente, selvaggiamente, stupidamente o vattelapesca?

E’ successo.

Punto.

Bom.

Amen.

E credo che sia stato anche fottutamente bello, sebbene sapete… non è che possa esserne poi così sicuro.

Da quel momento però abbiamo avuto un segreto da condividere.

Che non era certo il luogo dove si trova la cartina per trovare il tesoro di Alì Babà, ok, ma era pur sempre un segreto.

Qualcosa che ci univa.

E altroché se ci ha uniti.

In tutti i sensi.

 

 Dunque, in quanto Eros è il figlio di Poros e Penia, gli è toccato un destino di questo tipo.

Prima di tutto è povero sempre, ed è tutt’altro che bello e delicato, come ritengono i più.

Inoltre è duro, ed ispido, scalzo e senza casa, si sdraia sempre per terra senza coperte, e dorme all’aperto davanti alle porte o in mezzo alla strada, e, perché ha la natura della madre, sempre accompagnato con povertà.

 

Ci vedevamo di notte, di giorno, in quelle ore imprecisate dove non sai dire se quella palla in cielo sia la luna o il sole.

Ci spogliavamo lentamente, velocemente, voracemente, dolcemente, rabbiosamente, malinconicamente.

Ci baciavamo con foga, con voglia, con disprezzo, con amore.

E lo facevamo anche davanti a tutti se era necessario.

Non ce ne fregava un emerito cazzo.

Di noi, di loro.

Sono volgare? Vogliate perdonarmi, ma la rabbia è rabbia.

Litigavamo, altroché se litigavamo.

Sul Quiddich.

Sulla scuola.

Sulla famiglia.

Sui professori.

Sulla morte.

Sul sesso.

Sull’amore.

Arrivavamo a strapparci i vestiti di dosso per la disperazione a volte.

Passavamo ore ed ore ad urlarci contro tutto ciò che la vita ci aveva tolto e rifletteva nella persona che ci stava di fronte.

Ci sentivamo poveri.

Poveri di affetto, di gioia, di tranquillità, poveri persino l’uno dell’altro.

Lui si sentiva troppo pallido, io troppo scuro.

Lui si sentiva troppo fragile, io troppo forte.

Lui si sentiva ossessionato, io ignorato.

Ma era amore.

Di quelli crudi, nudi, carne da cuocere e mettere nel frizer subito dopo.

Di quelli come cavalli impazziti in una campagna sterminata dopo essere stati rinchiusi tutta la vita in un recinto minuscolo.

Ci urlavamo sul viso, sul petto, sulle mani, sul pube, sulle piante dei piedi.

Come è successo un mese fa… solo che stavolta ci siamo urlati sul cuore.

Non è mai facile tra noi, non lo è nemmeno guardarci durante una lezione, figuriamoci sfiorarci, toccarci l’un l’altro non solo con le mani, ma con le parole.

Eppure siamo sempre riusciti a scaldarci a vicenda quando ne avevamo bisogno.

A trovare il nostro cantuccio tiepido vicino o lontano al fuoco che scoppietta.

Stavolta però è stato diverso.

Stavolta ci siamo piantati un pugnale nel cuore.

Uno stiletto lungo e affilato, macchiato della nostra insoddisfazione, del nostro senso di debito col mondo.

L’amore non è affatto dolce e delicato come tutti lo annunciano.

 

***

 

- Draco, ti prego -

Non credevo di essere ancora in grado di dire qualcosa.

Dopo un mese intero che non parlavo con lui (che a dire il vero non parlavo nemmeno con nessun altro), pensavo di aver sbriciolato la mia voce come un biscotto al latte nel tè.

- Per favore -

Non è semplice parlare ad una porta.

Dopo la prima parola la vedi già animarsi e sghignazzare della tua pateticità.

La battuta “Apri o sfondo la porta” non è una minaccia alla persona che sta dentro alla stanza, ma una vendetta personale nei confronti della porta.

Ancora più difficile è parlare al silenzio.

Quello è peggio perché per provocarti non fa proprio nulla… e tu non hai alternative che prendertela con te stesso.

- Draco… voglio parlare, solo parlare! -

Poi all’improvviso la porta si era aperta. Alleluia.

Lui era lì, una mano che tremava su un fianco, l’altra che tremava sulla maniglia.

- Solo parlare? E io che credevo volessi divertirti col mio letto! -

Brivido.

Aveva citato le mie stesse parole: “mi diverto più col tuo letto che con te!”

Ok è vero, ero stato un idiota, ma ero furioso.

Stavo già per iniziare ad implorare perdono “gattino abbandonato mode on”, quando ho guardato i suoi occhi.

Gonfi.

Rossi.

Lucidi.

Rabbiosi, ma tremendamente, dolorosamente, convulsamente malinconici.

Allora non sono riuscito a fare altro.

Con la gola infiammata di limone l’ho abbracciato.

Con tanta, tanta, tanta forza.

Senza lasciarlo andare nemmeno quando ha cominciato a dimenarsi, nemmeno quando ha cominciato a insultarmi, nemmeno quando ha iniziato a piangere.

Ed ora siamo qui, io e lui, in questa stanza, con tra le mani lo stiletto che ognuno ha estratto dal cuore dell’altro.

Abbracciati in silenzio, abbandonati sul pavimento, avvinghiati nel calore come se ne andasse della nostra stessa vita.

Nel nostro angolo di tepore: vicini, vicinissimi al fuoco.

 

Per ciò che riceve dal padre invece, egli è insidiatore dei belli e dei buoni, egli  è coraggioso, audace, impetuoso, straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di saggezza, pieno di risorse, ricercatore di sapienza per tutta la vita, straordinario incantatore, preparatore di filtri, sofista.

E per sua natura non è né mortale né immortale, ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive, quando riesce nei suoi espedienti, talora, invece, muore.

Ma poi, ritorna in vita.

 

End.

 

 

 

 

 

 

 

  
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