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Autore: Beatrix Bonnie    15/08/2012    5 recensioni
Il dominio tirannico di Gellert Grindelwald sta diventando inarrestabile: con un colpo di stato ha preso il potere a Berlino, si è fatto nominare a vita Cancelliere Supremo della Federazione e ora impone la sue leggi razziali contro i Sanguesporco. Il suo vecchio compagno di scuola Cyrillus VonTraust, Principe di Baviera, deve trovare la forza di denunciare quello che sta accadendo e ribellarsi al regime della menzogna. Perché un'anima retta non può mentire.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gellert Grindelwald, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Für der Obergute'
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La forza della verità

Monaco di Baviera, 1926



Cyrillus Otto VonTraust non era il tipo di uomo che si lambiccava in pensieri contorti: la sua vita era sempre stata limpida, lineare, certa. C'era solo una strada che poteva percorrere e quella aveva percorso, senza preoccuparsi di dover scegliere qualcos'altro. Onore, rispettabilità, correttezza erano le uniche parole che conosceva il suo vocabolario. Non doveva affatto tormentarsi nel soppesare le varie opzioni, perché gli avevano inculcato un totale a assoluto rispetto delle regole: bastava seguire quelle e avrebbe vissuto una vita corretta. Chiunque non rispettava le regole doveva essere evitato e, nei casi più gravi, denunciato alle autorità competenti.
Se ne stava ritto in piedi, con le braccia incrociate dietro la schiena, ad osservare il cielo notturno dalla finestra della torre più alta del suo castello di famiglia, situato poco fuori Monaco di Baviera.
Nulla poteva sconvolgere la sua imperturbabile sicurezza.
Nulla se non un regime dittatoriale portato avanti dal suo vecchio compagno di scuola, Gellert Grindelwald.
C'erano un sacco di pensieri contorti che turbavano la sua mente, in quel periodo.
La piccola Gerwine sospirò nel sonno e Cyrillus si voltò verso di lei con uno sguardo paterno.
Sua figlia, la sua piccola principessa. Come poteva permettere che il suo gioiellino crescesse in un mondo del genere?
A lui non piaceva scendere in campo in prima persona, non piaceva prendere posizioni che rischiassero di rovinare la sua imperturbabilità, eppure era costretto ad ammettere di non poter ignorare gli sconvolgimenti che stavano attraversando la sua amata nazione in quegli ultimi anni. Violenza, spedizioni punitive, indottrinamento, fede cieca negli ideali del Cancelliere. E un clima di odio e disprezzo. Un futuro che non avrebbe mai voluto per sua figlia.
Ma come avrebbe potuto opporsi a Gellert Grindelwald, lui che aveva l'appoggio della più influente famiglia magica della Germania, i Principi di Vestfalia, oltre ad avere in pugno l'esercito, la polizia segreta e l'intera popolazione della Federazione Germanica?
Che cosa poteva fare?
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta e lo strappò dai suoi pensieri.
«Avanti» borbottò l'uomo, con un sospiro affranto.
La figura minuta di sua moglie apparve nella stanza. «Cyrillus, caro, c'è qui il signor Belleri per te» gli annunciò, con quel suo tenero accento polacco che non aveva mai perso, nonostante ormai vivesse in Germania da molti anni.
Il mago fece un cenno d'assenso con il capo. «Grazie, arrivo» mormorò poi, conscio di dover dare una qualche risposta alla moglie. La donna gli rivolse un sorriso insieme dolce e preoccupato, poi lasciò la stanza.
Cyrillus tornò, per una frazione di secondo, ad osservare la luna, che pareva ancora più lontana, a causa delle nuvole che la offuscavano; infine, con un nuovo sospiro, si incamminò verso il salotto di ricevimento degli ospiti.
Durante il tragitto, perso com'era nei suoi pensieri, non ebbe nemmeno la brillante idea di chiedersi il motivo per cui il contabile della sua fabbrica di calderoni dovesse venire a disturbarlo direttamente a casa, a tarda sera. Per questo, quando se lo ritrovò davanti in carne ed ossa, fu come se si fosse appena ripreso da un incantesimo Confundus.
Che cosa era accaduto di così urgente da non poter aspettare il giorno successivo per comunicarglielo?
«Herr direktor...» mormorò il signor Belleri, con un breve inchino di saluto. Si torceva tra le mani il borsalino grigio e sembrava decisamente a disagio.
Era un brav'uomo, Roberto Belleri. Passionale, amante della buona tavola e delle chiacchiere, ma insieme un gran lavoratore, come solo un Italiano poteva essere. Sapeva fare bene il suo lavoro e per questo Cyrillus l'aveva assunto, sebbene sapesse perfettamente quali fossero le sue origini familiari: entrambi i genitori Babbani, per di più immigrati. Ma Cyrillus non si preoccupava di quelle sciocchezze, fintanto che si trattava di gente onesta e brava nel proprio impiego.
«Signor Belleri, che succede?» domandò il padrone di casa, invitando l'ospite a sedersi.
L'Italiano scosse la testa e spostò il peso da un piede all'altro, facendo capire che voleva restare in pedi. «Mi dispiace disturbarla a casa, herr direktor, ma sono stato costretto dalle circostanze» mormorò l'uomo, soppesando le parole, come se temesse di essere udito da orecchie indiscrete.
«Quali circostanze?» domandò Cyrillus, con perfetta innocenza. Il suo subconscio sapeva a cosa si stesse riferendo il contabile, ma aveva scelto la tattica della negazione.
«Sono costretto a dimettermi dal mio incarico, herr» rispose invece il signor Belleri, arrivando subito al punto.
Cyrillus non riuscì a comprendere l'informazione per parecchi secondi: era qualcosa che deviava dallo schema mentale a cui era stato istruito.
Poi, del tutto incoerentemente, chiese: «Non ha ricevuto il trattamento che sperava?»
Come se davvero pensasse che l'improvviso licenziamento potesse derivare da quello.
Il signor Belleri gli rivolse un sorriso tirato. «Affatto, herr direktor. Mi sono trovato benissimo a lavorare con lei».
Cyrillus fece un cenno del capo a mo' di ringraziamento, ma non riuscì a trovare le parole per chiedere all'Italiano il motivo per cui se ne volesse andare, dal momento che, in cuor suo, lo conosceva già.
Il signor Belleri tentennò per un attimo, rigirandosi il borsalino tra le mani. Infine alzò lo sguardo sull'altro e rivelò: «Ci vogliono sequestrare la bacchetta, herr. Dicono che l'abbiamo rubata, che non siamo veri maghi. Ci chiudono nei ghetti: non possiamo più lavorare insieme ai Purosangue, non possiamo contaminarli...»
La sua voce si spense in un mormorio indistinto. Aveva paura, perché aveva visto con i suoi stessi occhi quello che erano in grado di fare gli uomini di Grindelwald, che si facevano chiamare Obermenschen. Aveva visto quel ceco sanguinario, Zielinski, uccidere a freddo un Magonò, con il suo maledetto pugnale rituale, un athame che si diceva fabbricato dai folletti. L'aveva visto godere del sangue versato.
Aveva paura.
Roberto Belleri era un uomo tranquillo: sapeva cucinare una parmigiana davvero eccezionale, si dilettava di poesia italiana e sapeva fare bene il suo lavoro. Non era un eroe, non era un bravo duellante. Ma non voleva sottostare ad un regime ingiusto e sottomettersi alle follie di un uomo che imponeva le sue leggi razziali senza che nessuno riuscisse a fermarlo.
Probabilmente sarebbe fuggito, ma non prima di aver seminato il dubbio in un uomo dalla mente più fertile di quanto volesse ammettere: il Principe di Baviera Cyrillus Otto VonTraust.
Lui aveva i mezzi, le capacità e la forza per opporsi a Grindelwald, se avesse voluto. Aveva solo bisogno di una piccola spinta. «Herr direktor...» lo chiamò, cercando di dare alla sua voce un tono sicuro.
L'altro alzò gli occhi su di lui, incerto.
Il signor Belleri tentò un sorriso, poi mormorò: «Il mio poeta preferito ha sempre la parola giusta al momento giusto. Lui dice che un'anima beata non può mentire».
Parlare del suo adorato Dante gli dava sempre un senso di sicura tranquillità: la poesia aveva un effetto benefico su di lui. Sorrise, nuovamente sereno, anche se leggeva negli occhi del suo interlocutore un certo sbigottimento: non gli importava, avrebbe instillato il dubbio nella sua mente, in un modo o nell'altro.
«Lei è un uomo retto, herr direktor. Un'anima onesta» gli disse con sincerità. «Io so che lei ha la forza di dire la verità, sempre». «Dire la verità? Su cosa?» domandò Cyrillus, incapace di capire a fondo quel discorso.
Il signor Belleri si fece mortalmente serio. «Su Grindelwald e su quello che sta facendo. Denunci queste ingiustizie, herr VonTraust» rispose. Dopodiché, si avviò verso la porta per congedarsi, ma prima di uscire dalla stanza si voltò un'ultima volta indietro. «È stato un onore conoscerla» mormorò, con un cenno di riconoscenza. Infine, abbandonò la sala, lasciando Cyrillus in uno stato di profonda angoscia. L'uomo ripensò alle parole dell'Italiano e si sentì scombussolato, come se qualcuno gli avesse affatturato la mente. Che cosa voleva dire Belleri? Che cosa significava che lui aveva la forza di dire la verità?
Avrebbe dovuto denunciare Grindelwald?
Era una cosa...
che aveva già fatto. Tanti anni fa.

Castello di Durmstrang, 1898



«Gellert, dove stiamo andando?» chiede Cyrillus, seguendo il compagno con passo tranquillo e braccia intrecciate dietro la schiena. È il suo modo abituale di camminare, sintomo esteriore della sua naturale imperturbabilità.
Gellert invece ha un modo tutto suo di incedere: i passi sono piccoli e frettolosi, le braccia tese e la mano destra in continuo movimento -la contrae, la distende, la stritola nel mantello; è un camminare nervoso, di chi ha in testa sempre mille idee e mille progetti e ha paura di dimenticarseli.
Si volta verso Cyrillus e gli fa segno di tacere e seguirlo.
Il ragazzo non discute, perché per il suo quieto vivere è sempre disposto ad assecondare gli altri, purché il tutto non richieda un eccessivo impegno.
Gellert si ferma davanti ad un muro anonimo di uno dei corridoi dei sotterranei. Le pareti del castello di Durmstrang sono azzurrine, perché sono intrise di una magia particolare che serve ad assorbire la luce del sole che si riflette sulla neve, immagazzinarla e rilasciarla pian piano nei lunghi e bui giorni invernali. Ma quelle dei sotterranei restano cupe e umide, perché non sono protette dalla magia; inoltre, gli studenti non dovrebbero recarsi per nessun motivo nei sotterranei, tanto meno senza esplicito permesso di un professore. «Gellert...» comincia a dire Cyrillus, ma è costretto ad interrompersi quando la bacchetta dell'altro illumina uno strano simbolo inciso sulla pietra. È un triangolo, dentro cui è inscritto un cerchio, tagliato da una linea retta. «L'hai fatto tu?» domanda Cyrillus, rivolto a Gellert, e la sua voce trabocca di disappunto. Non sa cosa rappresenti quel simbolo, ma non approva quello sciocco e immotivato atteggiamento di ribellione all'ordine costituito. Il loro compagno Emil ci vive con quel comportamento sprezzante, Gellert ogni tanto gli va dietro, mentre lui lo disprezza completamente.
Negli occhi insondabili di Gellert passa un lampo di follia. Ma è solo un attimo ed è già passato; forse è uno scherzo della luce della sua bacchetta. Il ragazzo rivolge al compagno un sorriso fugace, poi appoggia il suo palmo destro sopra il simbolo inciso nel muro e sussurra delle parole in runico, ma la sua voce è troppo flebile, perciò Cyrillus non riesce a cogliere cosa abbia detto.
Non appena Gellert stacca la mano dalla parete, l'incisione si espande, fino ad aprirsi in una porta.
Un sibilo eccitato sfugge a Gellert, mentre spinge la porta, che si apre docile al suo tocco delicato.
Cyrillus proprio non riesce a capire cosa ci sia di emozionante in un passaggio segreto: il castello di Durmstrang è pieno di passaggi segreti; perfino lui ne conosce un paio, per quanto non li usi, dal momento che è severamente vietato farlo.
«Gellert, davvero, perc...» la voce gli muore in gola.
La stanza dove sono entrati è in un disordine così caotico da essere quasi asfissiante: libri ovunque, cartacce, bauli, una sedia rotta... lo sguardo di Cyrillus non riesce nemmeno a cogliere tutto il marasma che c'è lì dentro, come se la stessa confusione gli ferisse gli occhi. In perfetto contrasto con tutto il resto, sta al centro della stanza una scrivania che sembra quasi un tavolo operatorio: vi regnano un ordine e una pulizia che hanno del maniacale.
Gellert emette un sospiro soddisfatto. «Questo è il mio laboratorio» annuncia, rivolgendo a Cyrillus un sorriso indecifrabile. Sembra orgoglioso e insieme un po' folle.
Cyrillus scuote la testa con bonaria rassegnazione: sa che il compagno è un tipo un po' particolare e non si riesce mai a capire che gli passa per la testa, ma non può evitare di sorridere all'idea che si sia creato un laboratorio personale. Per farci cosa, poi? «Guarda» lo chiama Gellert eccitato. Si avvicina alla scrivania e solleva davanti agli occhi quella che sembra una banalissima bacchetta magica. «Sto cercando di ricreare la Bacchetta di Sambuco!» «La Bacchetta di Sambuco?» gli fa eco Cyrillus.
Gellert impugna l'arma in modo febbrile e i suoi occhi azzurri si dilatano fino a sembrare due vertiginosi dischi di nulla. «Sì, la bacchetta più potente al mondo! Quella della storia dei Tre Fratelli!» grida eccitato.
Cyrillus sbuffa. Non ha sufficiente empatia nei confronti del prossimo per accorgersi del cambiamento nella voce dell'altro: ora è eccitata e più potente rispetto al suo solito tono flebile e incolore. «Quella è solo una favola per bambini» tenta ragionevolmente di ricordargli. «No!» grida Gellert, afferrando al volo un libro dal marasma negli scaffali. È assurdo come sappia esattamente dove si trova ogni cosa anche in quel terribile caos. «C'è della verità dietro la favola» continua il ragazzo, mostrando la sua copia delle Fiabe di Beda il Bardo: è piena di scarabocchi, disegni a matita e pagine piegate per tenere il segno.
«I Doni della Morte esistono e quando io li avrò riuniti tutti, sarò il padrone della Morte. Sarò tanto potente da potermi mettere a capo di una rivoluzione epocale!» comincia a delirare Gellert. «Il nuovo secolo vedrà il nascere di una nuova era in cui i maghi non dovranno più nascondersi ai Babbani. E ne sarò io l'artefice!»
Con quelle parole afferra d'improvviso il braccio di Cyrillus e lo attrae a sé, sebbene l'altro si ben più alto e massiccio. I suoi occhi sono ormai spalancati come se avesse avuto un'apparizione divina. «E tu ed Emil sarete al mio fianco. Insieme, per la rivoluzione!»
annuncia eccitato.
Cyrillus si libera della presa dell'altro con un forte strattone. «Io non sarò artefice di nessuna rivoluzione» decreta sicuro. Lui ha un assoluto e totale rispetto dell'ordine costituito. Perché è così e così deve essere. Basta.
Certo, facile avere rispetto dell'ordine, quando tu sei al vertice. È quello che gli rinfaccia sempre Emil. Ma quello è un cialtrone sobillatore, non vale nemmeno la pena di ascoltarlo.
Gellert irrigidisce la mascella alla risposta dell'altro. È un movimento impercettibile, ma si coglie che il ragazzo è ora sull'attenti. I suoi occhi sono tornati quelli inscrutabili di sempre, due cristalline gocce d'acqua. Nessuna emozione trapela, ma è il suo improvviso cambio di atteggiamento che denota quanto ora si stia muovendo con cautela.
Anche Cyrillus raddrizza di poco le spalle, tranquillo ma deciso a non cedere. Non ha mai capito bene cosa si nascondesse nell'animo insondabile del compagno di scuola, ma sa che è un po' strano e bisogna andarci coi guanti di pelle di drago. Cambia umore all'improvviso e quando lo fa è capace di travolgerti come una tempesta. Non per niente è finito nella Fazione del Vento.
«La rivoluzione ci sarà, Cyrillus. Non puoi farci nulla» decreta Gellert, con una calma così innaturale da essere quasi più spaventosa della sua follia di prima. Si avvicina nuovamente al tavolo e appoggia la bacchetta al suo posto. Infine, si volta verso il compagno e gli sussurra: «Scegli ora la parte giusta da cui stare».
Cyrillus emette uno sbuffo. «Stai delirando, Gellert. Non ci sarà mai alcuna rivoluzione: i maghi sono conservatori per natura» gli risponde usando un tono ragionevole. Sta per aggiungere qualcosa, quando il suo occhio cade su alcuni titoli di libri: “Filosofia delle Maledizioni Oscure”, “Il dolore come strumento di potere”, “Magia e dominio: perché dobbiamo stare sottomessi ai Babbani?”.
Nel leggere quei titoli, da qualche parte all'interno della sua retta coscienza di gentiluomo, qualcosa si ribella. Non può accettare che qualcuno infanghi il buon nome della scuola sbandierando quelle idee. Rivoluzioni, sottomissione dei Babbani, Magia Oscura.
No, Durmstrang è un istituto rispettabile. Certo, ha una tolleranza forse eccessiva verso la Magia Oscura, ma solo perché ritiene che uno studente meritevole e accorto possa ricevere un'istruzione completa solo se studia ogni aspetto della magia. Ma che gli alunni facciano ricorso a pratiche anche minimamente lesive della dignità della scuola in nome di chissà quali sciocchi ideali rivoluzionari è quanto mai inaccettabile.
«Gellert, cosa sono quei libri?» chiede Cyrillus ma, sebbene cerchi di usare un tono neutro, la sua indignazione è palese.
Le labbra dell'altro si incrinano in un debolissimo sorriso di scherno. «Strumenti, nulla più che strumenti» risponde tranquillo.
Cyrillus si irrigidisce ulteriormente. «Il tuo non è un comportamento accettabile. Mi vedi costretto a denunciare la tua condotta al Direttore» replica, utilizzando la sua autorità di Studente d'Élite.
Per una brevissima frazione di secondo, gli pare di vedere una rabbia funesta attraversare il volto di solito così impassibile di Gellert. Ma è solo un attimo. Poi, un aperto sorriso di scherno compare sulle sue labbra sottili.
«Bella mossa, Cyrillus VonTraust» gli sussurra derisorio. «Ma questo non mi fermerà».


No, non l'aveva fermato.
Quando Cyrillus aveva denunciato il compagno al Direttore, si erano scoperti strani esperimenti che il ragazzo aveva condotto nel suo laboratorio, esperimenti sui quali non era stata fatta trapelare alcuna notizia, per cui ne giravano diverse versioni, una più orrida dell'altra. Gellert Grindelwald era stato espulso dall'Istituto di Durmstrang all'età di sedici anni, con la giustificazione ufficiale di “comportamento non adeguato alla scuola”.
Di lui si erano perse notizie per molti anni, finché non avevano cominciato a circolare strane voci sulle sue magie, mentre stava a Berlino. Per questo era fuggito a Monaco di Baviera, dove Emil e Cyrillus l'avevano rincontrato dopo più di vent'anni. Eppure, nemmeno allora erano stati in grado di prevedere le sue mosse: Gellert li aveva sfruttati per crearsi un esercito di sostenitori con i quali marciare su Berlino e prendere il potere della Federazione della Germania Magica, facendosi eleggere Cancelliere Supremo a vita.
Emil, quel pazzo, aveva messo in piedi un pallido tentativo di resistenza. In realtà, era un'organizzazione segreta, ma Cyrillus era certo che dietro quella sciocca opposizione ci fosse il suo vecchio compagno di scuola.
Ora che ci pensava, Emil gli aveva dato uno specchietto comunicante, anni fa, prima di sparire nel nulla. Diceva che avrebbe dovuto chiamarlo, quando avesse vinto quell'inquadrato sistema mentale che si era creato intorno. Gli dava sempre dell'imbacuccato, del rigido pezzo di legno, perché non aveva il coraggio di uscire dalla torre d'avorio che aveva costruito per starsene tranquillo.
Che male c'era a ricercare la sicurezza di una vita basata sulle regole? Le regole sono sempre quelle, non cambiano, non ti imbrogliano, sono prevedibili. Cyrillus stava bene con le sue regole.
Ma cosa avrebbe dovuto fare se qualcuno avesse osato travalicare il limite imposto dalle sue adorate norme per irrompere furioso nel suo spazio di tranquillità personale?
Cosa avrebbe dovuto fare se qualcuno come Gellert Grindelwald avesse osato distruggere quell'ordine che lui tanto osannava?
L'aveva già denunciato una volta, no? Poteva farlo di nuovo.
Il signor Belleri l'aveva definito un'anima beata, un'anima onesta. E un'anima onesta ha sempre la forza di dire la verità.
La verità era che Grindelwald era un folle dittatore che stava imponendo le sue leggi razziali a tutta la Federazione Germanica, senza che nessuno avesse il coraggio di contrastare il suo volere.
Ma lui avrebbe avuto la forza di sostenere quella verità?
Si ricordava perfettamente dove avesse messo lo specchietto comunicante di Emil, perché ogni cosa nel suo castello aveva un ordine maniacale. Mosso da una forza di volontà che non era la sua, corse a prenderlo e lo scrutò con titubanza. Lo aveva custodito per cinque anni, senza capirne bene il motivo nemmeno lui.
Emil.
Non sapeva neppure se erano mai stati effettivamente amici. Di una cosa era certo: non sopportava la sua sciocca incoscienza, la costante voglia di stare nell'occhio del ciclone, la sua incapacità di tenersi lontano dai guai e quella sua stupida, intollerabile e fastidiosa tendenza a disattendere qualsiasi regola.
Eppure era costretto ad ammettere che, sia pure con il suo caotico modo di vivere, Emil aveva sempre saputo scegliere la strada giusta da percorrere. Quella dell'onestà, della voglia di combattere per ciò che è giusto, di ribellarsi ai soprusi, di essere scudo per i più deboli. Schild der Schwachen.
L'occhio di Cyrillus cadde sullo stemma di famiglia che troneggiava sull'arcata d'ingresso: uno scudo porpora in campo argenteo, con due S intrecciate, che richiamavano il motto dei VonTraust, “Schild der Schwachen”, ovvero “scudo dei deboli”.
I principi di Baviera si erano sempre eletti a difensori del popolo magico tedesco, contro qualsiasi minaccia. Fürchtegott VonTraust aveva protetto nel suo castello intere famiglie di maghi, durante le lotte con i Goblin del 1678; il cavaliere Glaubrecht VonTraust aveva dato la sua vita per salvare un anziano mago dalla rabbia di un troll di montagna. E questi erano solo i nomi più famosi: tutte le generazioni di Principi si erano prodigate per mettersi al servizio del prossimo.
Cyrillus aveva dimenticato la storia della sua famiglia, preso com'era dalla volontà di modernizzare l'immagine degli austeri VonTraust, lanciandosi nel mercato produttivo con la fabbrica di calderoni.
Ma il suo passato era venuto a bussargli alla porta, ora che gli era chiesto di fare una scelta di campo: arroccarsi nei propri dorati privilegi di Purosangue o avere il coraggio di denunciare i soprusi del governo di Grindelwald?
Agì d'impulso, per la prima volta in vita sua: sfregò la superficie opaca dello specchietto e chiamò il suo vecchio compagno Emil.
Dovette attendere solo pochi attimi prima che il volto di Emil, attorniato di capelli rossi, ormai costellati da qualche ciocca grigia, comparisse sullo specchio. «Cyrillus?» domandò la sua voce sorpresa. Suonava come un'eco lontana.
Ma subito l'incertezza scomparve, per lasciar posto ad un sorriso entusiasta. «Vecchio mio! Quanto tempo!» esclamò allegro.
Cinque anni. pensò Cyrillus, ma non lo disse ad alta voce. «Devo parlarti. È sicuro?» chiese invece.
Emil annuì convinto. «Sicuro come il didietro di un troll» rispose, ricorrendo ad un detto popolare.
Cyrillus prese un profondo respiro. Che cosa stava facendo?
Un'anima beata non può mentire.
E infine si scollò quelle poche parole dal palato: «Emil, voglio entrare a far parte della ribellione contro Grindelwald».
Il suo futuro era segnato.








Buongiorno e buon Ferragosto a voi!
Questa one shot ha partecipato al contest Inferno, Purgatorio o Paradiso? classificandosi terza e vincendo il Premio Dante.
Che dire? Non posso stare senza il mio Gellert Grindelwald! Qui avete apprezzato come mai fu proprio Cyrillus il responsabile della sua espulsione, nonché i dubbi di un Principe purosangue. Nel racconto "Il Cristallo di Ghiaccio", Cyrillus era il capo della resistenza, ma non l'ho mai immaginato come l'eroe senza macchia e senza paura che si scaglia contro le ingiustizie del regime... ci ha messo un po' prima di capire da che parte stare. Me lo sono sempre visto come Schindler del film Schindler's list: qui un'immagine per conferma!
Come al solito, ho chisto alla giudice ValViols di inserire il giudizio in una recensione.
Grazie a tutti!
A presto,
Beatrix B.

   
 
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