Film > Iron Man
Ricorda la storia  |      
Autore: MrEvilside    15/08/2012    4 recensioni
Pepper Potts stava affogando.
Affogava nella consapevolezza di essersi macchiata le mani di sangue, nelle menzogne, nella disperazione, nella solitudine. Aveva creduto di poter sopportare qualsiasi cosa, aveva creduto di poter diventare davvero qualcuno.
E adesso era qualcuno – il suo nome era sulla bocca di chiunque – ma affogava.

Attenzione! Disturbo della doppia personalità.
[ V classificata al contest Il seme della follia indetto da Akamint ]
[ Post Pepperony, TashaPepper ]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Natasha Romanoff, Tony Stark, Virginia 'Pepper' Potts
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lie to me
 
Virginia Pepper Potts era terribilmente stanca.
Non ricordava più l’ultima volta che, guardandosi allo specchio, si era vista senza occhiaie; ormai erano diventate compagne inseparabili per lei e di tanto in tanto era talmente rassegnata alla loro presenza che dimenticava di coprirle con il trucco.
Non si trattava soltanto della spossatezza fisica, altrimenti avrebbe potuto reggerla senza un solo lamento.
Fin da bambina si era impegnata in qualsiasi cosa facesse, era parte del suo carattere sforzarsi per ottenere i migliori risultati possibili. Era una donna orgogliosa, Pepper. Ma da tempo quella stanchezza che la ossessionava non aveva più nulla a che spartire con il semplice stress da stakanovismo.
Quando aveva cominciato a lavorare con Tony Stark, si era sentita realizzata. Il posto al fianco di quell’uomo sembrava esserle stato cucito addosso, tanto era a proprio agio nell’occuparlo.
Sebbene comprendesse anche lo svolgimento di compiti ingrati, come portare fuori la spazzatura quando lui non ne aveva voglia, per lei aveva rappresentato il miglior traguardo in cui avrebbe potuto sperare: fare parte di qualcosa di davvero importante, qualcosa che garantiva la sicurezza degli Stati Uniti, e lavorare a stretto contatto con uno degli uomini più intelligenti del pianeta.
Non si era resa conto che, accettando quel lavoro, aveva mosso il primo passo verso la distruzione.
Con il senno di poi, era fin troppo semplice giudicare quella decisione come un grave errore, mentre all’epoca era stata così orgogliosa di essere stata scelta. Proprio lei, proprio la ragazzina con le lentiggini e gli occhiali che veniva additata come “secchiona” e non aveva mai avuto un ragazzo.
Aveva dato tutto a quel lavoro, tutto. Tempo, denaro, sentimenti.
Dall’alto della propria arroganza, era stata convinta di non fare la fine di ogni altra donna che avesse incrociato Tony Stark, ma naturalmente aveva sbagliato. Ancora. Si era innamorata di lui.
Con lentezza, ma senza che lei potesse opporsi in alcun modo, i suoi obiettivi avevano cominciato a cambiare. “Fare bene il mio lavoro” era stato soppiantato da “Proteggere Tony a tutti i costi” e quel “a tutti i costi” aveva presto visto i propri frutti, nel momento in cui Pepper aveva schiacciato il bottone che avrebbe liberato l’energia del reattore Arc.
Aveva esitato soltanto perché Tony era sulla traiettoria dell’esplosione. Non aveva esitato all’idea di uccidere una persona, per quanto si trattasse di Obadiah Stane, che aveva tradito tutti loro. L’aveva ucciso lei, anche se Tony se ne era preso la responsabilità.
Ma non era stato lui a premere quel bottone.
Ciononostante, aveva voluto arrendersi a quella piccola menzogna e seppellire la verità in fondo al proprio cuore, perché pensare che Iron Man aveva combattuto per legittima difesa era meglio che pensare che Pepper Potts aveva ucciso per vendetta, perché aveva visto Tony legato e imbavagliato in mano a dei terroristi senza scrupoli in un video salvato nel computer di Stane.
Aveva celato quei ricordi nella parte più angusta della sua mente, ma non erano stati cancellati. Niente avrebbe mai potuto cancellarli.
E, inesorabili, avevano cominciato a rosicchiare il suo cuore.
Successivamente, allontanarsi da Tony e recuperare il loro vecchio, comodo rapporto tra segretaria e datore di lavoro era diventato sempre più improbabile e ridicolo.
Quando l’uomo l’aveva promossa ad amministratore delegato, un angolo della sua anima era stato contento, aveva sperato che, con il carico di lavoro che le sarebbe pesato addosso, sarebbe riuscita a distrarsi dal pensiero di Tony che le salvava la vita, Tony che le sorrideva, Tony che era sul punto di baciarla e poi la lasciava sola su un balcone, ad aspettare un drink che non sarebbe arrivato mai.
Era stato allora che la loro relazione aveva preso a sgretolarsi.
Pepper non era una sciocca: sapeva che Tony le nascondeva qualcosa, sapeva che ogni volta che le sorrideva le stava mentendo spudoratamente, sapeva che dietro ai suoi comportamenti infantili e inopportuni doveva esserci qualcosa. Qualcosa di orribile, se preoccupava persino Anthony Stark al punto da spingerlo ad affogarne la consapevolezza nell’alcol, così tanto alcol che la donna aveva dovuto assistere, impotente, mentre combatteva furiosamente contro il suo migliore amico.
Doveva essere stato in quel momento che si era resa conto di non amarlo più.
Anche se lui poi l’aveva baciata e lei si era stretta a lui, grata d’essere stata tratta in salvo e di essere ancora viva, non lo amava più e lo aveva messo in chiaro quando nessuno dei due era più stato ubriaco della gioia d’aver sconfitto Vanko, quando erano stati entrambi abbastanza seri per ascoltarsi, per capirsi.
Aveva temuto che Tony avrebbe preferito allontanarla da sé ed era stata pronta ad accettarne le conseguenze, ma stranamente l’uomo aveva rispettato la sua decisione e non aveva fatto cenno di volersi separare da lei, almeno sotto il profilo lavorativo. Era diventato protettivo, preoccupato, premuroso, ma Pepper non vi aveva dato troppo peso, aveva attribuito quel comportamento a una speranza istintiva di Tony di poterla riavere e si era sforzata di assecondarlo, in attesa che l’uomo si facesse una ragione della loro storia finita, mai davvero iniziata.
Troppo presto si era accorta che, sebbene il loro rapporto si fosse ridotto a un’amicizia molto profonda, era ancora estremamente legata a lui, più di quanto sarebbe stato lecito.
Quando lo riaccompagnava a casa in macchina dalle Stark Industries, di tanto in tanto scopriva tagli e lividi disseminati sul suo corpo, specialmente lungo le braccia, e, se gli chiedeva spiegazioni, intuiva immediatamente che Tony le stava nascondendo la verità per placarla. E si sentiva ferita come allora, come quando lo amava, e sprofondava un po’ di più nell’abisso.
Una nuova abrasione, una nuova menzogna, lei che andava giù di qualche altro centimetro.
C’erano state delle sere in cui, da sola nel proprio appartamento, si convinceva che la pressione l’avrebbe schiacciata, che non poteva più reggere.
Pepper Potts stava affogando.
Affogava nella consapevolezza di essersi macchiata le mani di sangue, nelle menzogne, nella disperazione, nella solitudine. Aveva creduto di poter sopportare qualsiasi cosa, aveva creduto di poter diventare davvero qualcuno.
E adesso era qualcuno – il suo nome era sulla bocca di chiunque – ma affogava.
Poi era arrivata Natasha.
O meglio, c’era sempre stata, ma finalmente Pepper si era accorta della sua presenza. Lei – Pepper lo sapeva – era stata la mano che aveva afferrato nel tentativo di trarsi fuori dall’acqua e respirare di nuovo aria pulita.
Al tempo del loro primo incontro, era ancora abbastanza gelosa di Tony da non vederla di buon occhio per la sua bellezza ed efficienza; nel momento in cui aveva capito che la donna non mirava affatto al conteso letto di Iron Man, aveva cominciato ad apprezzarne l’intelligenza, la sagacia e la professionalità.
Era bastato poco perché, dovunque si trovasse, Natasha fosse al suo fianco.
Natalie Rushman, così si faceva chiamare, e quando Pepper aveva scoperto che il suo vero nome era Natasha Romanoff e che nulla di quanto le aveva raccontato era vero, un angolo del suo cuore le era stato grato di quelle bugie. Perché, nella sofferenza che ne era derivata, Pepper aveva riconosciuto gli stessi sentimenti che un tempo la animavano verso Tony.
Era libera. Libera dell’influenza di Tony Stark. Libera di amare qualcun altro.
Non era semplice stare con una donna che rischiava di morire per lavoro, ma Pepper aveva fatto l’abitudine alla propria attitudine a innamorarsi delle persone meno raccomandabili.
Era stato difficile, non poteva negarlo, ma era stata anche felice.
Di colpo, però, tutto aveva cominciato ad andare a rotoli. Ancora una volta.
Il peso di quella relazione, dei problemi che generava l’amore tra due donne, in particolar modo se una delle due era l’amministratore delegato delle Stark Industries, del timore che Natasha potesse non rientrare a casa, un giorno, timore che era cresciuto ogni momento di più dopo il pericolo che la donna aveva corso nella battaglia contro Loki, le era crollato addosso all’improvviso. Era stato semplicemente troppo.
Natasha aveva iniziato a dare più importanza a lei che allo S.H.I.E.L.D. e ad assentarsi sempre meno spesso per lavoro. Pur di rimanerle vicino e concederle l’attenzione di cui Pepper aveva bisogno, aveva persino deciso di tornare al proprio posto come sua segretaria.
Ma non era felice.
Natasha non era nata per condurre una vita sedentaria come quella a cui si stava sottoponendo per amore di Pepper. Lei vedeva la sofferenza nei suoi occhi e odiava, odiava perché sapeva che era solo colpa sua.
Odiava Natasha, perché l’aveva fatta innamorare. Odiava il suo lavoro presso lo S.H.I.E.L.D. Odiava lo S.H.I.E.L.D., perché se non fosse esistito Natasha sarebbe stata normale. Odiava se stessa, perché non aveva senso odiare tutto il resto e lei ne era perfettamente, orribilmente consapevole. Lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva.
Le cose erano precipitate al punto che Tony l’aveva obbligata a prendersi una vacanza – lei, che riceveva a malapena un giorno di ferie quando era il suo compleanno e non se ne era mai lamentata – e aveva chiesto a Natasha di prendere il suo posto.
Al punto che, anziché partire per un qualche villaggio esotico come Tony le aveva consigliato, Pepper si era ammalata.
Al punto che anche Natasha, al ritorno nel loro appartamento, aveva sempre nuovi lividi.
Con un colpo di reni che diffuse una sgradevole sensazione di dolore nel suo corpo, ormai abituato  a muoversi soltanto lo stretto necessario, Pepper si allungò verso il comodino, prese il bicchiere che si trovava sopra di esso e ingollò una lunga sorsata d’acqua, in cerca di refrigerio. La febbre doveva essere salita ancora, la testa le girava e non riusciva a trovare la forza di alzarsi dal letto.
C’erano giornate in cui stava abbastanza bene da girovagare per la casa, a volte persino di leggere qualcosa, e giornate in cui stava così male che temeva di aver preso qualcosa di davvero grave e litigava con Natasha nel tentativo di costringerla ad ammettere che stava per morire.
E poi c’erano le giornate peggiori, quelle in cui era così spossata che non aveva energie per fare nulla e giaceva immobile nel letto, quelle in cui il ricordo di Obadiah Stane le occludeva i polmoni e le dava la terribile, vivida impressione di stare per morire affogata. Morire, così come era morto lui perché lei aveva premuto un bottone.
Fu un sollievo quando udì lo scatto metallico della serratura, un suono che riempì il vuoto e la disperazione che la circondavano e la tirò fuori dai suoi incubi.
«Sono tornata» annunciò la voce familiare di Natasha, fredda ma con un sottofondo di affetto che soltanto chi la conosceva bene poteva cogliere. Quel retrogusto di dolcezza a malapena palpabile era sufficiente, purché la donna continuasse a stringerle la mano, a impedirle di finire con la testa sott’acqua. «Come stai oggi?»
Nel giro di pochi secondi Natasha apparve nel suo campo visivo, sulla soglia della camera da letto, e la studiò con attenzione con i suoi grandi, penetranti occhi grigi.
«Abbastanza bene» mentì Pepper, la voce un rantolo rauco. Nessuna delle due ci credette.
«Sono contenta». Natasha sedette sul bordo del letto, le prese di mano il bicchiere, vuotato per metà, e lo ripose sul comodino. «Hai mangiato qualcosa, vero?»
Pepper non avrebbe mai creduto che un’assassina capace di adattarsi a qualsiasi compito, per quanto arduo potesse essere, potesse stancarsi lavorando in un ufficio, eppure Natasha aveva gli occhi cerchiati, i riccioli rossi scomposti e la camicia bianca, che quella mattina era stata perfetta, adesso era spiegazzata e la donna non sembrava curarsene affatto.
«Non molto» ammise, si tirò a fatica a sedere e appoggiò la schiena contro la testiera del letto. «Ma tu sei esausta, potrei preparare io qualcosa».
In realtà non aveva molta fiducia nelle sue possibilità di essere in grado di scendere dal letto e mettersi ai fornelli, così come non ne aveva Natasha. La loro relazione era intessuta di menzogne, ma ormai a Pepper non importava più. Voleva soltanto che la sua ancora di salvezza non le permettesse di affondare, perché sapeva che in quel caso non avrebbe più avuto alcuna speranza di tornare a galla.
Senza rispondere, Natasha accennò un debole sorriso, venato di stanchezza, Pepper appoggiò una mano sul suo braccio e si protese verso di lei, in cerca del suo viso, delle sue labbra morbide.
Il suo bacio gentile fu come una carezza di guarigione per il suo corpo indebolito, un alito di fresco per la sua bocca riarsa e secca. Pepper fece scorrere le braccia intorno al suo collo e Natasha le cinse la vita, la strinse a sé, le accarezzò i fianchi e la schiena e, non fosse stata tanto affaticata, Pepper avrebbe provato una ben familiare scossa di desiderio.
Ma non c’era nulla, ormai era come terra arida sulla quale Natasha si ostinava a spargere acqua, testardamente convinta che sarebbe nato un fiore.
Quando Pepper si ritrasse per riprendere fiato e la manica della camicia di Natasha scivolò indietro nel movimento e le scoprì l’avambraccio, quella bolla di falsa gioia esplose con uno schiocco sonoro che per un istante provocò a Pepper un furioso giramento di capo.
«Cos’è questo?» sibilò, ogni parola che stillava rabbia e dolore, e afferrò il braccio della donna prima che lei potesse ritrarlo, girandolo verso l’alto per vedere la macchia violacea che ne copriva una buona parte. «Cos’è questo, Natasha?» Una nota di disperazione incrinò la maschera d’ira che si stava sforzando di indossare. Non voleva mostrarsi così debole. «Qual è la verità? Perché ogni volta sei ferita? Hai ricominciato a lavorare per lo S.H.I.E.L.D., non è così?»
Poiché la donna taceva, la sua voce si alzò di qualche ottava. «È vero, Natasha?»
Natasha non distolse lo sguardo da lei. Malgrado la martellante sensazione di tradimento, Pepper non poté che ricordarsi ancora una volta perché la amava tanto. Natasha non distoglieva mai lo sguardo da lei.
«No, Pepper. Non è la verità. Sai che non è la verità».
E tutto andò a rotoli di nuovo.
 
 
«Natasha, sono serio». L’uomo separò con i denti il lembo di garza dal rotolo e lo legò con cura intorno al graffio che le sfregiava il polso. «Non so per quanto tempo ancora Fury sia disposto a chiudere un occhio».
Ed era serio davvero, perché non fece alcuna battuta sull’unico occhio di Nicholas.
Si limitò a fissarla intensamente, come soltanto Tony Stark sapeva fare. Quello sguardo che sembrava affondare nelle viscere di una persona e carpirne ogni verità, come avrebbe potuto fare con un elemento chimico. C’era un avvertimento, in quegli occhi scuri, ma anche sincera preoccupazione.
«Non si preoccupi, signor Stark, posso ancora controllare la situazione» lo rassicurò Natasha, sottraendo il braccio alle sue cure.
Quel taglio sarebbe stato più difficile da nascondere, considerò nello scrutare la fasciatura. Era troppo vicino alla mano e la manica della camicia non sarebbe stata sufficiente a celarlo. Pensosa, sfregò il pollice del braccio sano contro la garza e si morse il labbro, un gesto istintivo che le capitava di fare quando rifletteva.
Fu costretta a mettere da parte le proprie preoccupazioni dalla voce di Tony e dal suo sguardo, che non accennava a voler smettere di dardeggiare su di lei. «Io non dubito delle tue capacità, ma credo che non dovresti rinunciare così alla tua vita».
La donna sollevò la testa di scatto, gli occhi color metallo screziati di collera e incredulità. «Come può dire questo, proprio lei che le è così legato?»
L’uomo non reagì, consapevole che quello scatto d’ira non era per lui. Anche Natasha lo sapeva, lo sapeva fin troppo bene, perché in un’altra occasione la durezza, l’apparente insensibilità di Tony non l’avrebbe scalfita. Al contrario, sarebbe stato lui a ricordarle, sgomento, che era umana e doveva pur avere un cuore, da qualche parte.
Con un sospiro, la donna si ravviò i capelli scarlatti e non aggiunse altro.
«Il motivo per cui ti sto dicendo questo è esattamente che le sono così legato» ribatté l’uomo, quando ritenne che Natasha era sufficientemente calma per dargli davvero ascolto. «Tu stai soffrendo, lei sta soffrendo e questo non migliora affatto le cose. Dovresti permettere a Fury di portarla nell’ospedale specializzato dello S.H.I.E.L.D., dove riceverebbe le cure di cui ha disperatamente bisogno. Credi che mi faccia piacere dare il consenso per segregarla in un ospedale psichiatrico? Ma Pepper è distrutta. Lo sai benissimo, Natasha. Non può durare».
Era vero. Era dannatamente, tristemente vero.
Per quanto lei potesse essere forte, tenace, innamorata, non avrebbe potuto reggere ancora a lungo. Un mese, forse due. Non di più. E c’era anche la possibilità che Pepper resistesse ancora meno, che attraversasse una soglia oltre la quale Natasha non avrebbe potuto fare più niente per proteggerla. E allora l’avrebbe persa, l’avrebbe persa davvero, per sempre.
Non ebbe la forza di rispondere. Tony affrontava l’argomento con lei periodicamente, ma fino a quel momento Natasha aveva ribattuto, aveva rifiutato. Adesso non poteva.
Non per lei, ma per Pepper.
Indovinando il significato del suo silenzio rassegnato, l’uomo allungò una mano e le diede un inaspettato buffetto su una spalla. La donna non incoraggiò quella manifestazione d’amicizia, ma non si ritrasse.
«Domani degli agenti verranno a prenderla». Tony si sforzò di assumere un tono fiducioso, ma Natasha aveva l’impressione che ad ascoltare le sue parole fosse un’altra persona. «Non perdere la speranza. Non è un addio. Potremo andare a farle visita tutti i giorni e i medici la aiuteranno a guarire».
Quella era una menzogna. Pepper era troppo consumata dentro per tornare come prima.
Non si poteva cancellare tanto dolore neppure con la miglior cura al mondo, lei lo sapeva meglio di chiunque altro. Nel corso degli anni aveva visto agenti impazzire per molto meno.
Nonostante la morsa che le attanagliava le viscere, la donna scelse di non assecondare quell’ennesima commedia, di non rinchiudersi in un’altra bolla di falsità. Non avrebbe tollerato di veder esplodere anche quella.
«Le voglio fare solo una domanda, signor Stark» disse, il tono serio, controllato, l’espressione impenetrabile. «Perché ha avuto il coraggio di avanzare questa proposta solo ora? Perché non quando Pepper» doveva trovare il coraggio di ammettere quello che non avevano mai affermato ad alta voce, doveva, per tutti e due e anche per Pepper «picchiava lei?»
Tony trasalì impercettibilmente a quelle parole, ma quando parlò la sua voce era ferma. «Perché anche io l’ho amata, Natasha. E, come te adesso, non volevo rinunciare alla speranza che si riprendesse. Ma le cose non andavano mai meglio, e quel che era peggio era che lei non si accorgeva affatto dei suoi scatti d’ira e credeva che io le mentissi, che ogni giorno rischiassi la vita a sua insaputa e questo non faceva che danneggiarla ancora di più. Se non ne fossi uscito, se non fossi subentrata tu al mio posto, sarei impazzito anche io. E ora non potrei perdonarmi se permettessi a te di farlo».
Era la prima volta che raccoglievano la forza necessaria ad ammettere l’entità di quell’inferno.
Natasha sentiva uno sgradevole tremore lungo la spina dorsale che sapeva anche Tony stava provando, ma in un certo senso era anche liberatorio.
Dire la verità, smettere di mentirsi nell’illusoria speranza che un giorno qualcosa sarebbe cambiato. Accettare ognuno le proprie colpe, prendersi la responsabilità del baratro in cui Pepper era caduta, senza che nessuna mano fosse abbastanza robusta per afferrarla e fermare la sua catabasi. Era doloroso, ma anche giusto.
Era come se si fossero finalmente liberati di un grosso peso.
«Grazie dell’onestà, signor Stark» commentò la donna, gelida e formale com’era stata addestrata, ma c’era una punta di sincera gratitudine nella sua voce, sepolta sotto qualche strato di autocontrollo da soldato.
Fu sufficiente. Doveva esserlo.
 
 
Nella stanza che le avevano assegnato c’era una piccola finestra, posta proprio sopra il suo letto, da cui poteva guardare fuori. C’era un giardino, non molto grande ma ben curato e in primavera si colorava di mille tinte quando le piante erano in fiore. Era una vista rassicurante, che la manteneva ancorata alla realtà e non le consentiva di sprofondare nei ricordi.
Era in quei momenti, le aveva spiegato il medico, che subiva gli attacchi e faceva del male alle persone che le stavano vicino.
Di conseguenza, doveva cercare di tenere la mente occupata, sebbene spesso fosse troppo debole per leggere o sostenere una conversazione troppo a lungo. Allora si raddrizzava contro i cuscini e osservava la vita oltre la finestra.
Non poteva dire che ne fosse felice, ma provava un tepore che non avvertiva più da tanto, troppo tempo.
Adesso sapeva che né Tony né Natasha le avevano mentito sull’origine di quelle ferite, ma che avevano sempre cercato di proteggerla da se stessa. Adesso sapeva che soffriva di doppia personalità, e ogni tassello era andato al suo posto.
Adesso, finalmente, aveva smesso di affogare e non aveva più bisogno di una mano che la tenesse a galla. La verità era abbastanza.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Iron Man / Vai alla pagina dell'autore: MrEvilside