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Autore: Cali F Jones    15/08/2012    2 recensioni
Questa è una storia incentrata su Danimarca e ho preso ispirazione da un paio di fan art piuttosto famose (riconoscerete la scena se le avete viste). Il personaggio si trova coinvolto in una battaglia campale e fa le sue riflessioni sulla vita, sulla morte, sul significato dell'essere nazioni e sulla famiglia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Danimarca, Nordici
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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L'alabarda mi trascina a terra. Il peso di quell'arma, a me un tempo così familiare, sembra essere diventato insostenibile. Pesa. Quella che fino a qualche istante fa è stata la mia più fedele amica, ora si ribella a me e mi trascina verso l'abisso, verso l'oblio, condannandomi a morte certa. Amica mia, perché? Perché anche tu mi abbandoni?
Cerco di risollevare la mia arma, ma ella ha ormai deciso quale sarà il mio destino. La ferita al braccio torna a bruciare intensamente. L'odore acre del sangue che ancora vi fuoriesce mi giunge sino alle narici, mentre le mie labbra si dischiudono provando invano a catturare un alito di vento, un soffio d'aria. Respirare fa male. Terribilmente male. Alle mie orecchie giungono solo lo stridio delle armi e le urla ovattate dei miei soldati che periscono uno dopo l'altro. Le palpebre sono pesanti, fatico a tenerle aperte. La testa gira, l'equilibrio viene a mancare. Le gambe cedono e le mie mani tremanti si abbandonano, ormai incapaci di reagire. Qualcosa di caldo mi inumidisce l'occhio, la vista si offusca per qualche secondo. Poi sento quella lacrima scivolare lungo la guancia. Non può essere finita. No, no no! Non voglio crederci! Devo rialzarmi, continuare a lottare! Non posso arrendermi così, non posso!
Ma il mio corpo sembra essere del parere opposto. Non ce la fa più. La mia mente vuole qualcosa che il mio corpo non può sostenere. Quale destino più infame? Vorrei combattere ancora e ancora, ma non posso. Poeti e letterati parlano dello spirito e della forza della nostra volontà. Ma sono tutti stupidi, uno più idiota dell'altro! Si sente che loro non hanno mai preso parte ad una guerra, che non hanno mai rischiato la vita. Perché quando sei lì, davanti alla morte, quello che tu decidi non ha importanza; se il tuo corpo non è con te, è finita. È un po' come il gioco degli scacchi. La volontà è la regina, il corpo è il re. Può mancare la volontà, ma l'obiettivo è il re.
Prendi il re e la partita è finita.
Un rigolo di sangue mi bagna la rima buccale. Il mio fianco destro è martoriato da una precedente ferita. Avevo sentito la lama fredda della spada trafiggermi la carne. Avevo sentito i muscoli lacerarsi uno ad uno sotto il taglio feroce e il sangue fuoriuscire copiosamente.
Provo nuovamente al alzarmi. Niente da fare. Le ginocchia tremano, le gambe febbricitanti non sono in grado di reggere il mio peso. Ricado, mentre il nemico si fa beffe di me. Mi osserva, ride e mormora qualcosa che non riesco a sentire. Probabilmente vuole che io lo implori, vuole vedermi strisciare a terra come un verme. Vuole che lo preghi per la mia vita. Come biasimarlo? A tutti piace sentirsi Dio in questo genere di situazioni. Avere la vita e la morte di una persona nella tua mano. Fragile come una farfalla. Chiudi il pugno e la farfalla muore. Ma non sarebbe divertente, prima, sentirla implorare pietà? Riconoscere la tua supremazia su di lei, sulla sua vita. Ti fa sentire un Dio. Ah, questo lo so, lo so bene il piacere che si prova in quei momenti, quando hai preso la regina e ti manca una mossa per arrivare al re. Quante volte mi ero divertito con questo gioco alle spalle dei miei nemici, quante volte mi ero divertito a giocare a Dio? È il mio turno ora. La ruota gira. Nulla da dire.
Chiudo gli occhi, aspettando il colpo di grazia. È finita. È davvero finita. Peccato. Ci sono ancora tante cose che vorrei fare, posti che vorrei visitare, persone che vorrei conoscere, guerre che vorrei combattere. Ma sarei uno stupido a resistere ora, no? Non ho alcuna possibilità.
Sorella morte, tu con la falce e io con l'alabarda. Abbiamo mietuto vittime insieme. Ora tocca a me. Ci vedremo presto, sorella.
Abbasso la testa e svuoto la mente; meglio non pensare troppo prima di morire. E non sento nulla. Non sento la lama giungere sulla mia testa, non sento dolore, non sento la morte sopraggiungere. Sempre il solito odore pungente di sangue, la ferita nel fianco, poche lacrime che bagnano gli occhi. Alzo la testa e riapro gli occhi.
E li vedo. La torre, il cavallo, il fante e la regina. Davanti a me. Mi danno le spalle. Difendono il loro re.
Li osservo con occhi sbarrati, assolutamente impossibilitato a capacitarmi di quella visione. Sono tornati per proteggermi. Si ergono ora davanti a me, in tutta la loro imponenza, bellissima, stupenda, meravigliosa forza. Norvegia si volta, mi guarda e accenna un sorriso. Non l'ho mai visto sorridere. Ma quello che mi stupisce maggiormente è la natura di quel sorriso. Non è un sorriso di pietà, non nutre nessuna compassione per me ed io stesso non la voglio. Sono o non sono il grande Danimarca? Anch'io ho il mio orgoglio! Il sorriso di Norvegia non ha in se alcuna pietà, alcuna compassione. Sembra quasi, oserei dire, dolce. Sì, un sorriso dolce, di quelli che la madre rivolge al figlio o la moglie al marito. O la regina al re. Poi si volta nuovamente e insieme alla torre, al cavallo e al fante si lancia contro il nemico.
Il frastuono delle armi che si scagliano l'una contro l'altra giunge leggermente ovattato e, per qualche istante, non mi rendo di conto di quanto stia accadendo attorno a me. Poi capisco. Loro, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda sono venuti su questo campo di battaglia per proteggermi, per aiutarmi. E improvvisamente tutto sembra tornare al suo posto.
Una famiglia. Non ho provato sulla mia pelle la sensazione che genera questa parola. Dicono che una famiglia trasmetta amore, affetto, calore. Calore. Siamo paesi del nord, come possiamo sentire il calore? Eppure in questo momento, sul campo di battaglia, non è solo il sangue a scaldarmi le membra stanche ed affaticate. Lo sento, sento finalmente cosa significhi fare parte di una famiglia, avere qualcuno che ti protegga e da proteggere. Qualcuno da amare. Qualcuno da ammirare e da ringraziare. Qualcuno per cui vivere e continuare ad esistere.
Fratelli miei.
E ora vi vedo cadere, uno dopo l'altro, nell'ingrato tentativo di proteggere un idiota come me. Sì, sono un idiota. Dov'è la grande Danimarca? Islanda cade, ferito. Finlandia lo soccorre, trascinandolo via dal tumulto. Anche il fante, Svezia, rimane ferito e si allontana, ancora sulle proprie gambe.
Regina, rimani solo tu. Poi le gambe ti cedono. Ti capisco. È dura la guerra, vero?
Prendi il re. E la partita è finita.
Con un ultimo sovrumano sforzo, serro con veemenza le dita attorno all'asta della mia alabarda. Sorella morte, ci rivediamo. Pianto il piede destro a terra, mi do una spinta e poggio anche la pianta sinistra. Mi alzo. La mano sinistra rimane piegata a coprire la ferita sul braccio destro che ancora duole e si lacera. Il mio volto è sporco di terra, sangue, sudore e lacrime. Un re non dovrebbe andarsene in queste condizioni, no?
Sento la voce di Norvegia alle mie spalle che mi richiama in tono implorante. Non vuole che combatta perché sa che questa sarà la mia ultima battaglia. Eppure, in questo momento, l'unica cosa che mi sovviene è il suo sorriso. Quel sorriso che solo le classiche famiglie felici possono vedere. Noi nazioni passiamo la nostra vita a farci la guerra, ad allearci con i nostri nemici e a combattere quelli che fino al giorno prima credevamo amici. Non esistono leggi, non esiste lealtà, non esistono relazioni. E i nostri capi ci ordinano di uccidere, uccidere e uccidere. E noi piano, nel silenzio della nostra solitudine, piangiamo. Piangiamo per l'uomo, piangiamo per la nazione. Piangiamo per noi stessi, per la nostra immensa, devastante solitudine. Non sentiamo mai quel calore, quell'amore che solo una famiglia, che solo i rapporti con gli altri possono dare. No, nasciamo e moriamo in guerra. Soli come bestie.
Dio, se sei lassù e mi stai ascoltando, ti prego, non lasciarmi mai più da solo.
E mi getto contro i miei nemici. Perirò, lo so. Ho perso. Gli occhi gonfi di pianto. Danimarca, la grande Danimarca che muore così, come il più anonimo dei soldati: sorride un'ultima volta a coloro che ama e cala il sipario.
Prendi il re. E la partita è finita.
Scacco matto.
  
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