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Autore: Pillow Fort    16/08/2012    1 recensioni
“ Domani vengo da sola, ” disse. “ Ed avremo tutto il tempo di parlarne, papà. ”
“ Parlare di cosa? ” chiese, sussultando leggermente alla parola 'papà'.
“ Di quello che hai fatto alla mamma, ” rispose criptica. “ Di quello che è successo nel 2009, e di quello che è successo fino ad ora. ”
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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With every grain of sand, Time is slipping through my hands.

Una testolina bionda e riccioluta fece capolino dalla porta, suggellando la sua entrata con una risata squisitamente puerile; fece in tempo soltanto a togliersi il respiratore dal volto, e a nasconderlo dietro la schiena, prima che quella piccola peste scalasse il vecchio letto, e si sedesse al suo fianco. La flebo rimase ancorata alla sua vena, dando libero sfoggio a tutte le sue sofferenze“ Sei venuto da solo? ” chiese retoricamente, aspettandosi di vedere la testa color cenere della madre da un momento all'altro. Il bambino scuoté il capo, indicando la porta.
“ Non entra? ” incalzò, accarezzando dolcemente la sua mano paffuta, ancorata al tessuto bianco del lenzuolo; da quando gli aghi bucavano la sua pelle, quella mano non si spostava mai dal lenzuolo, quasi che avesse paura di essere contagiato.
“ Telefono, ” rispose semplicemente l'altro, giocherellando con i bottoni del suo giacchetto.
Il suo comportamento era sempre così scostante, o almeno lo era da quando lui era stato ricoverato in ospedale. Passava dai sorrisi ampi, ai gorgoglii vispi, alle smorfie imbarazzate, per arrivare, infine, al mutismo.
Per un attimo pensò che quel bambino, come lui, si ritrovasse a vivere giorno per giorno, senza aver un singolo ricordo, o quasi, di quelli precedenti. “ Cosa hai fatto oggi? ” riprovò, cercando di intavolare una conversazione.
“ Mamma mi ha portato all'asilo, ” cominciò a raccontare. “ Ma io non voglio andarci, voglio stare con nonna. ”
Lui annuì, pronto a sommergere il bambino con una quantità di domande tali da far impallidire chiunque. Non sapeva effettivamente perché sentisse l'irrefrenabile voglia di conoscere tutto di quel bambino, perché si sentisse così legato nei suoi confronti. Ma, pur ignorando il perché, non avrebbe certamente smesso di farlo; lo  faceva stare bene, e stando al sorriso sornione del piccolo, faceva star bene anche lui.
“ Ti capisco perfettamente, ” ventilò. “ Neanche a me piaceva l'asilo. ”
“ Anche tu sei stato giovane come me? ” chiese con malcelata sorpresa.
“ Sì, ” gli rispose. “ Ma non ero bello come te, anzi ero molto più grassoccio di quella vecchia strega d'infermiera, che sta all'ingresso. L'hai vista? Quella senza denti? ”
Il bambino annuì, ridendo di gusto per le facce buffe, che faceva parlando. “ Ed ero anche più brutto di quell'altra infermiera, quella così secca da sembrare una scopa! Ah, te lo dico io! Quella grassoccia mangerà quella secca, o la utilizzerà come uno stecchino! ”
Il bambino continuò a ridere. “ Quella grassoccia non voleva farci entrare, ” asseri poco dopo, quando l'anziano signore smise di fare le smorfie, e lui poté finalmente smettere di ridere.
“ Vedi? Oltre ad essere grassoccia è anche cattiva, ” insisté, gesticolando. “ Perché non volevano farvi entrare? ”
Il bambino scosse la testa, lasciando cadere lì il discorso. “ Come eri da giovane? ”
“ Come pensi che sia stato? ”
“ Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, me l'ha detto la maestra dell'Asilo! ” gli rispose piccato.
“ Quella dell'asilo dove non vuoi andare? ”
“ Sì, lei. ” rispose il bambino, incrociando le braccia al petto.
“ E perché non vuoi andarci? ”
“ Ho già risposto a questa domanda. ” asserì con tono lamentoso. “ Rispondi alla mia. ”
Prese un grande respiro, e tossicchiò leggermente; in cuor suo sperò che quella visita non durasse ancora per molto, un po' per le domande 'spinose', un po' per la mancanza d'aria, che si faceva ogni secondo sempre più forte e marcata.
“ Di che colore sono i miei capelli? ” chiese, toccandosi la testa.
“ Grigi, ” rispose il bambino, utilizzando ancora quel tono lamentoso.
“ Prima erano neri. ”
“ Neri? ” chiese, osservando con un cipiglio il volto dell'anziano signore, che annuì sorridente. “ Non eri biondo come me? E non avevi neanche gli occhi marroni come i miei? ”
“ Gli occhi non cambiano, ” asserì, accarezzandogli la guancia con fare paterno. “ E come ti ho già detto, tu sei molto più grazioso di quanto non lo fossi io alla tua età. ”
Il bambino annuì, corrugando la fronte, e puntellando il dito sul mento; fu una questione di secondi, ma il volto puerile del bambino parve invecchiare, diventando, per giunta, un volto di donna. Il problema venne quando arrivò il momento di dare un nome, ed un cognome a quel volto: la sua memoria si annebbiò, diventando simile alla cappa di un camino in funzione, e la sua testa vorticò pericolosamente.
“ Quindi io e te non ci somigliamo per niente? ” riprovò il bambino, puntellando i suoi occhi marroni in quelli verdi dell'anziano signore. “ No, ” gli rispose. “ Tu sei migliore di me, e lo sei sempre stata. ”
“ Ma io sono un maschio! ” sbraitò il bambino punto nell'orgoglio; quella è l'età in cui i bambini si vergognano delle bambine, e viceversa, pensò sogghignando. “ Lo so, lo so. ”
“ E come mi chiamo? ”
Il fumo, lungi dal farsi più rado, parve compattarsi nella sua mente, creando una sorta di muro massiccio, e difficile da scavalcare; l'entrata della ragazza color cenere fu provvidenziale.
“ Mikey,  ” disse la ragazza con fare materno. “ Lascialo stare. ”
Il bambino fece una smorfia di disappunto. “ Ma noi due stavamo solo parlando, vero nonno? ”
L'anziano signore ebbe un sussulto, che acuì il senso d'asfissia.
“ Forse è ora di andare via, Mikey, ” mormorò la ragazza, osservando il petto dell'anziano signore; i suoi movimenti erano irregolari, fin troppo repentini. “ Perché non vai un attimo da papà e gli dici di accendere la macchina? ”
Il bambino corrugò la fronte non troppo convinto dalla scusa che la madre gli aveva rifilato. “ Ciao, nonno! ” esclamò, stringendogli la mano, ancora unita alla sua. “ Ci vediamo domani. ”
Il signore gli fece un cenno di saluto con la mano, utilizzando l'altra per riprendere il respiratore, e per riporlo sul viso non appena il ragazzino uscì dalla stanza. “ Mi dispiace, ” sussurrò, più a sé stesso, che ad altri.
“ Dispiace a tutti, ” gli fece eco la ragazza color cenere. “ Ti serve qualcosa? ”
“ No, cara. ” le rispose.
La ragazza gli sorrise, lasciando un languido bacio sulla sua guancia.“ Domani vengo da sola,  ” disse. “ Ed avremo tutto il tempo di parlarne, papà. ”
“ Parlare di cosa? ” chiese, sussultando leggermente alla parola 'papà'.
“ Di quello che hai fatto alla mamma, ” rispose criptica. “ Di quello che è successo nel 2009, e di quello che è successo fino ad ora. ”
Chiuse gli occhi, gemendo febbrilmente all'ennesima fitta dolorosa, che percorse la sua testa. “ Domani? ” chiese, cercando conferma.
“ Domani, papà. ” le rispose quella. “ Ora riposa. ”
La ragazza cenere spense la luce, e lo lasciò solo con le sue fitte, e con quel muro di fumo, che la parola 'papà' pareva aver scalfito almeno un po'.
  
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