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Autore: __chemicalburn    16/08/2012    2 recensioni
"Nancy è la traduzione del brano di Leonard Cohen Seems So Long Ago, Nancy, dall'album Songs from a Room del 1969. L'artista canadese, di cui De André aveva già interpretato altri pezzi (Suzanne, Joan of Arc), scrisse il testo ispirandosi alla storia vera di una giovane suicida di Montréal. La canzone era già stata tradotta l'anno precedente da Claudio Daiano, che l'aveva pubblicata nel suo album Io come chiunque (sulla pista di Cohen), dedicato a traduzioni di Cohen."
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sei tu Nancy?
No, Nancy è diversa. Nancy è bionda con gli occhi azzurri e spenti, come il cielo vietnamita durante i bombardamenti americani.
Lei ha i polsi graffiati e le labbra rotte, il rossetto Chanel sbavato che le ha regalato la madre. 
Nancy ha le gambe coperte di lividi e cicatrici. C'è scritto "mostro", sopra, e in un suo dizionario orrendamente realista è sinonimo di "papà". Papà, che le spegne le sigarette sulla schiena e la butta dalle scale per una risposta sbadatamente lasciata a mezza bocca. Ma lui è innocente, la casa è così spoglia che i ladri lascerebbero dei doni.
Nancy è stesa a terra con le sue bottiglie rotte di vodka.
Nancy è l'amica fragile. Nei suoi occhi non c'era proprio niente, nei suoi occhi non c'era quasi niente. 
Lei che muore un po' ogni volta che il mondo va a dormire; che si butta via tra le gambe di sconosciuti nei vicoli alcolici e bui della città, per riprendere l'autobus o comprare le sigarette.
Affittarsi per pagare l'affitto.
Nancy che cammina nell'indifferenza generale, tra i nostri occhi troppo distratti per notare le sue calze verdi. 
Verdi come i prati che guardava dal finestrino del treno. Come la speranza di vivere per qualcuno, in qualcuno.
Nancy che si difende usando noi, che la usiamo.
Lei che non chiede mai a nessuno se ci sarà anche domani, dormendo di spalle con le lacrime che annegano i suoi "perché?". Ma lo senti che vorrebbe urlare, che vorrebbe abbracciarti le parole e la schiena. Quante volte sono restato in silenzio a contarle i nei e le bruciature di sigaretta.
Nancy è stesa a terra con il laccio emostatico a fermarle il sangue.
Lei ha costellazioni segrete tra le scapole. Ci nasconde le ali che ha paura di avere, di dover usare.
A lei dissero che con il tempo avrebbe fatto meno male, che si sarebbe abituata a guardare le schiene delle persone; che quelle ali si sarebbero schiuse.
Lei è l'unica a sperare che non succeda mai.
Dice che un conto è andare via, ben altro conto è volare altrove.
Nancy che ha un telefono rotto sul comodino. Dice che sarebbe bello, un giorno, sentirlo squillare.
Nessuno la chiama mai, nessuno ha mai sbagliato numero.
Lei, a volte, lo prende e comincia a parlare da sola, a raccontarsi le sue monotone e distruttive giornate, le sue nottate sporche. Sorride, parlando con sé come avesse trovato, finalmente, un'amica. Ma si odia, in silenzio.
Nancy è stesa a terra con l'anima in fiamme e il trucco sfatto.
Tutti la cercano e la vogliono, Nancy la preda.
Nancy il trofeo.
Nancy che prendi e scopi quando vuoi, ma non puoi amarla perché è sbagliato, perché lei è sbagliata. Frasi che condensano tra le pareti gialle di quella casa aperta al pubblico. Dicono che ci sia amore un po' per tutti, che tutti abbiano un amore sulla cattiva strada.
Ma Nancy è l'eccezione. Il pugno allo stomaco, la crosticina che non puoi ignorare. L'amore che non puoi darle, l'amore viscerale che senti guardandola nella sua totale fragilità.
Lei che è un bicchiere di cristallo dimenticato al bancone d'un pub. Lei che è l'angelo dei demoni notturni.
Nancy è il fuoco nero che brucia ogni cosa.
Nancy è l'autodistruzione.
Nancy è stesa a terra con i pantaloni sbottonati e una Lucky Strike tra le dita.
Ecco le sue labbra infernali che ti sfiorano il collo, ti mangiano i sogni; le sue mani fredde sui fianchi e perdi completamente il senso delle cose. Ti scordi di te. Per il tempo in cui lei è sopra le tue gambe sei solo una comparsa del cortometraggio che sta girando.
Nancy che si specchia nella luna e rivede la bambina seduta sul suo trono che erano le spalle del padre.
Lei che ha la sfera di cristallo sotto il letto ma non sa leggere il futuro; Nancy che di futuro non ne ha.
Nancy e le sue vene viola, le incrostazioni che fanno infezione ma ha troppa paura degli ospedali.
Nancy che ha paura del buio, come me. Nancy che si perde in quel buio e cerca in ogni notte una stella da seguire.
Lei che aspetta sempre seduta sul marciapiede con la testa tra le mani e la morte nel cuore.
Nancy è stesa a terra con un pubblico di vecchi ubriaconi a fissarle le aperture.
Lei che trova sempre una parola per chiunque, lei che trova una carezza per tutti meno che per lei.
Lei che balla tra i lampioni con le borse sotto gli occhi, dove nasconde le sue mille sfaccettature, i colori che ha inventato, le parole che non ricorda e gli incubi che la inseguono ogni volta che tenta di dormire.
Nancy che ha paura dell'amore, che ha paura di suo padre, della polizia. 
Nancy che vive nella paura, che vive di paura. Nessuno che abbia mai avuto il coraggio di stringerle la mano, di baciarla delicatamente di fronte a tutti. Mai nessuno che abbia voluto affidarle qualcosa.
Lei che aveva un gatto, Romeo, che scappa ogni giorno ritornando la mattina successiva.
Nancy è stesa a terra circondate dalle foto di famiglia che ha strappato.
Lei che è abbastanza vicina da sentire il segnale disturbato dei miei pensieri, da tendermi la mano mentre annego nel fiume in piena di paura.
Nancy ha il sangue inquinato, le ossa incrinate e i sogni distrutte.
Nancy è una grande città rasa al suolo dalle guerre, un'artigiana durante la rivoluzione industriale.
Profuga in letti sconosciuti e distanti, mai comunicanti. Di colpo lontana, abbastanza da perdersi di vista, da non sentire più lo smog che lasciavo chiamandola tra la folla.
Nancy è una predatrice d'emozioni, preda degli eventi. 
La voce roca e stanca di Kurt Cobain, la chitarra spezzata di John Frusciante e le birre lasciate a sgasare.
C'è una foto della mia stanza, senza lei. Senza l'ossigeno necessario a renderla abitabile. Senza Nancy.
Nancy è abbastanza lontana da guardami nell'insieme, in quello stupido e piccolo concentrato di squarci di mondi paralleli. Eppure sono nel suo stesso sistema solare, stesso universo, stato. Stessa vita, fino a ieri.
Nancy è stesa a terra, voleva essere di più.
Nancy è un falso d'autore, lo schizzo di una storia normale.
Mi piace stringerle la mano quando il mondo è troppo impegnato a guardarsi allo specchio e noi siamo liberi di essere qualcos'altro. Poi si tornava alla normalità e uscivamo, mai insieme.
Con Nancy è sempre una lotta per conquistare lo stato d'animo contrario a quello corrente.
Nancy è sempre l'arrivo quando parto e la partenza quando arrivo. Corsa a vuoto, amore sprecato.
Nancy è la fata di un amore malato e confuso, mai amato ma sempre cercato.
Nancy è stesa a terra con gli occhi chiusi; questa volta non si riapriranno.
Nancy è scivolata via dal terzo piano, i suoi pezzi di cielo spento resteranno un miraggio.
Nancy è scivolata via...
 
E nel vuoto della notte, quando hai freddo e sei perduto, è ancora Nancy che ti dice - «Amore sono contenta che sei venuto.»
  
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