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Autore: Ortensia_    17/08/2012    2 recensioni
[ IN SOSPESO ]
La calma di casa Vargas verrà improvvisamente sconvolta, quando Feliciano riuscirà a convincere Lovino ad adottare una bambina.
Una bambina particolare, però.
«Se proprio vuoi un bambino facciamo qualcosa di buono e non adottiamo uno di questi casinisti qui sotto, porca puttana.»
Feliciano si sorprese delle parole del fratello: dunque lo aveva convinto?
Gli rivolse un sorriso allegro, grato che avesse acconsentito davvero «veh, qualcosa di buono? Ad esempio?»
Senza alcuna esitazione, Lovino, aprì il cassetto della scrivania ed estrasse un opuscolo sui paesi dell’Europa dell’Est, sbattendoglielo sulla faccia.

[Accenni Itacest]
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando i Vargas tornarono in albergo erano appena passate le sedici, e nonostante il fuso orario di Minsk fosse soltanto sessanta minuti più avanti rispetto all’ora italiana, era ben visibile sul loro viso quanto fossero provati a causa del cambiamento.
Fra tempo e temperatura non sapevano davvero chi fosse il peggiore. Anzi, Lovino non lo sapeva, ma Feliciano sì: nessuno dei due.
Il minore dei fratelli Vargas era decisamente più determinato a togliersi quel vestito di dosso, prima di tutto.
La piccola Natalia non aveva detto una parola da quando erano usciti dall’Istituto, e fuori da quelle mura piene di crepe e ricoperte penosamente di strati giallognoli di intonaco, sembrava ancor più diversa da tutti gli altri bambini.
Un bambino normale, un bambino senza genitori, che era rimasto chiuso all’Inferno dai primi giorni di vita fino ai sei-sette anni, avrebbe certamente cercato la mano di uno dei due, nonostante i primi attimi di imbarazzo, ma lei se ne stava con il broncio in mezzo a loro, e certe volte la vedevano allungare faticosamente il passo, ma impegnarsi in assurde smorfie per nascondere la fatica sul suo viso. Doveva essere davvero orgogliosa della propria immagine: aveva subito rifiutato con uno scossone deciso della testa l’offerta di Feliciano di portarla in spalla.
Un bambino normale avrebbe accettato subito, e si sarebbe lamentato per tutti quei metri percorsi a piedi, al freddo, perché nonostante fossero a primavera inoltrata, l’impressione che le nuvole stessero per sgretolarsi in fiocchi di neve era davvero pressante.

Guardandola, Lovino, avrebbe scommesso che quel nano da giardino sarebbe diventato una donna forte e carismatica, ma si rendeva conto che fare previsioni del genere quando ancora non sapevano se sarebbero riusciti ad adottarla in tutto per tutto era inutile e avrebbe soltanto inferto più dolore su un’eventuale e possibilissima delusione.

«Finalmente!»
Feliciano esplose di gioia e si precipitò subito in bagno, ovviamente goffamente e quasi inciampando, a causa del vestito che evidentemente aveva il potere di impedirgli piuttosto facilmente movimenti semplici come un balzo ed una corsa appena accennata.
Quando Lovino scostò gli occhi dalla porta appena chiusa e, rivolgendoli verso il basso, incontrò lo sguardo pungente della bambina, non poté che sobbalzare appena: quegli occhi vispi e silenziosi, di quel violaceo che a tratti pareva misto all’azzurro, gli incutevano un’inquietudine che non riusciva a spiegarsi.
«Hai fame?» gli sembrò la cosa più sensata da dire, ma lei scostò placidamente gli occhi dai suoi e si arrampicò sul letto matrimoniale della stanza, coricandosi a pancia sotto, al centro di questo, ovviamente senza dire una parola.
«Che educata …» bofonchiò.
Parlava il maestro dell’educazione, che ovviamente non si rendeva neppure conto che quella, per lei, era molto probabilmente la prima volta su un letto così grande, morbido e pulito, in una stanza profumata, dove l’aria era tanta e di pochi, e non manchevole e di troppi.
«Tanto il cibo farà schifo come nell’Istituto.»
La sentì bofonchiare, con il viso spinto contro le coperte profumate del letto.
«Fa come ti pare, ma non potrai rimanere per sempre senza mangiare.»
E vedendola immobile, con le gambe e le braccia allargate, quasi volesse occupare tutto lo spazio del letto, Lovino capì che per almeno qualche ora avrebbe dovuto lasciarlo a lei.
Mancavano ancora diverse ore alla cena, ed osservando il letto, completamente occupato da quell’ingranato mostriciattolo, la piccola poltroncina in pelle rossa vuota, e la finestra, appena illuminata da un freddo sole, si sentì sprofondare nella noia più totale.
«Ahn-» quel lieve brontolio, proveniente dal bagno, attirò subito la sua attenzione, e allora scorse Feliciano sul bordo della porta osservarlo con sguardo quasi supplichevole.
«Lovi, emh … mi-
Mi aiuti con le ascelle?»
Il maggiore rimase a guardarlo esterrefatto, per poi sospirare appena e trattenere un sorriso divertito.
«Sempre meglio di niente …»

«Ha detto che non vuole mangiare niente?» Feliciano si fermò davanti alla porta, sistemandosi nuovamente la parrucca.
«Già.
Dice che fa schifo.»
«Facciamo così, andiamo a cena e se c’è qualcosa di buono glielo portiamo qui, veh~»
Della serie: come viziare al meglio una bambina, eh Feli?
«Feliciano, aspetta-»
Feliciano aveva appena aperto la porta, quando si ritrovò a socchiuderla nuovamente.
«Cosa c’è?»
«Non possiamo lasciarla qui in camera da sola …»
«La finestra è chiusa, non ci sono oggetti appuntiti e la porta si apre solo-»
«Dall’interno, idiota.»
«… È bassa, magari non ci arriva-»
Il meridionale squadrò l’altro, raggiungendolo sulla porta per aprirla e uscire fuori in corridoio, e rivolgersi ad una donna di servizio.
«Mi scusi, noi dovremmo andare a cenare, non è che potrebbe tenerci d’occhio la stanza?»
Quando gli occhi di ghiaccio della grossa inserviente si puntarono su di loro, si sentirono entrambi percorrere da un brivido di freddo.
La donna rimase troppo a lungo ad osservare Feliciano.
«Quanto tempo pensate di impiegare per la cena?»
«Sicuramente meno di un’ora.» Lovino puntò i suoi occhi su di lei, quasi come se volesse distogliere la sua attenzione da Feliciano.
«Mh, vedrò di pulire più lentamente, ma voi sbrigatevi.»
«Grazie.»
E il meridionale non si risparmiò un’occhiataccia stizzita, circondando le spalle di Feliciano per avviarsi con lui lungo il corridoio.

Quando furono più lontani, il minore non poté trattenersi dal sussurrare le sue difese.
«Questa volta mi sono depilato da ogni parte.»
«Mhn, vediamo soltanto di sbrigarci con questa cazzo di cena.»

Detto fatto.
Gli italiani sono sempre stati buone forchette, e non appena Feliciano e Lovino ebbero modo di assaggiare quella cucina non poterono fare a meno di dare piena ragione alla piccola Natalia.
«Dobbiamo assolutamente trovare qualcosa di mangiabile-» Lovino brontolò rabbioso, passando la tessera magnetizzata nella fessura della porta ed aprendola senza fare caso all’inserviente, che era rimasta lì a controllare come promesso e che ora aveva interrotto le sue pulizie per osservarli ed esaminarli.
Feliciano, per pura cortesia, si dovette sforzare di ringraziare con voce più femminile possibile, per poi chiudersi la porta alle spalle.
«Magar-»
«Sh!» il meridionale si portò velocemente l’indice sulle labbra, ed il fratello comprese subito che uno dei modi migliori per farsi scoprire era parlare a voce alta con qualcuno dietro la porta che pareva più Sherlock Holmes in vesti da inserviente. «Magari la colazione sarà migliore …» sussurrò poi il settentrionale, soffermando il proprio sguardo sulla bambina, ancora addormentata sul letto.
«Vado a chiedere se hanno una stanza da tre.»
«Va bene.»
E mentre il settentrionale tornava finalmente in bagno per togliersi vestito, parrucca e tutto il resto degli accessori, Lovino uscì nuovamente in corridoio, trovandolo completamente vuoto.
Quella donna si era presa la briga di rallentare il proprio lavoro, anzi, fermarlo del tutto, solo per aspettarli ed esaminarli.
Sbuffò, sentendosi le vene pervase dallo stress che già era riuscito ad accumulare in un misero giorno.

Di ritorno a mani vuote dalla reception, il meridionale non poté che rientrare in camera sotto forma di fascio di nervi.
Quando vide il letto completamente invaso dalla bambina -ma come diavolo faceva un nano simile ad impadronirsi di un tale spazio?- e la poltrona occupata da un Feliciano esausto e profondamente addormentato, sospirò e adagiò la propria schiena contro la porta, osservando la luce fioca del lampione oltre la finestra.
«Mi tocca dormire per terra, mhpf, fantastico …» le sue labbra si incrinarono in una smorfia, quando si scostò dalla porta e raggiunse l’armadio, per afferrare due coperte e sistemarne una su Feliciano e un’altra su Natalia.
«E non ci sono neanche più coperte, né cuscini.
Che palle, Bielorussia, devo starti proprio sul cazzo-!»
E mentre voltava le spalle alla finestra, vide anche la luce fioca del lampione spegnersi, e lasciare posto ad una luce ben differente, ancor più dolce e delicata: quella della neve.

Si sedette a terra, adagiando la schiena al lato del letto, infondo, cercando di non pensare a quella scomodissima posizione, ma soltanto a quanta voglia avesse di dormire.

«Buongiorno Lovi!»
La voce del fratello lo fece sussultare, e in un attimo si ritrovò a gemere, con le dita che cercavano disperatamente di massaggiare il collo e le prime vertebre della schiena.
«Cazzo …»
Non poteva dirsi un gran risveglio, quello del maggiore dei fratelli Vargas, mentre l’altro era già in piedi e stava sfoggiando un grosso sorriso, apparentemente senza motivo.
Si sollevò in piedi a fatica, e allora incontrò lo sguardo vispo della piccola Natalia, seduta sul letto, ma che se ne vedeva bene dall’uscire dalle coperte, che parevano quasi formare un grosso nido morbido e caldo intorno a lei.
«Mhn, dormito bene immagino-»
Protestò l’italiano, ma la piccola non lo degnò di risposta.
«Ordino la colazione.»
Lovino tirò su la cornetta e attese solo qualche attimo; quando uno dei baristi rispose, la reazione fu immediata.
«Oh, fanculo, Feliciano parlaci tu, che sei sicuramente più internazionale di me.
Non so, crucco, inglese, una delle due di sicuro la sanno-!» il meridionale si sedette al fianco della bambina, e allora entrambi si misero ad osservare Feliciano, in attesa che facesse da mediatore per comunicargli le opzioni previste dalla colazione del primo di Maggio.
«Non avete il cappuccino?»
La smorfia di disapprovazione che per un attimo si disegnò sul volto del settentrionale fu indescrivibile.
«Ah, allora io prendo un caffè.
Se no ci sono la cioccolata e il tè-» si rivolse poi a voce più bassa a Natalia e Lovino.
«Io prendo la cioccolata.»
«Prendete il tè-» Natalia sembrava alquanto decisa di ciò che aveva appena detto, e i due italiani non poterono che rimanere in silenzio e aggrottare la fronte confusi.
«E poi o biscotti o croissant.»
«I biscotti. È meglio.» Natalia annuì decisa, ma Lovino ebbe da obbiettare, probabilmente solo per il gusto di ostacolare la piccola peste che gli aveva appena causato un mal di schiena ed un torcicollo terribili.
«Croissant.»
«Per lo meno prendilo alla marm-»
«Cioccolato.»
Feliciano li osservò per qualche attimo, prima di riprendere la conversazione al telefono, come se stesse cercando di capire se Lovino fosse davvero sicuro della sua decisione.
«Bene, allora: una cioccolata calda e un croissant al cioccolato, due tè e due biscotti.»
Natalia si lasciò sfuggire un lieve sorriso, trionfante per quella vittoria ottenuta almeno per metà sul fronte italiano, mentre Lovino si ritrovò a sbuffare irritato.

«Che schifo!»
Lovino si ritrovò quasi a sputare il boccone mandato giù con terribile fatica, sotto lo sguardo perplesso di Feliciano.
«Per lo meno il tè e i biscotti sono decenti …» e a questo proposito, il settentrionale non poté che dedicare un’occhiata complice alla piccola Natalia, che pareva piuttosto soddisfatta della lezione appena impartita -indirettamente- a Lovino.
«Tieni Lovi.»
Feliciano accennò un sorriso, porgendogli la tazza di tè, ancora piena per metà, e due biscotti.
«Almeno mangi qualcosa, visto com’è andata ieri sera …»
«Grazie-»
Si ritrovò quasi costretto ad accettare, perché ormai aveva un vero e proprio buco nello stomaco e la fame iniziava a divenire incontrollabile.
«L’avevo detto che faceva schifo-
Vorrei tanto assaggiare qualcosa di buono, almeno una volta …»
Quella della piccola parve piuttosto una riflessione scappata al silenzio dei pensieri e detta senza volere a voce.
«Se fossimo in Italia mangeresti un sacco di cose buone, veh!»
«Sì …?»
E gli sguardi dei due italiani si incontrarono subito, complici: la cosa iniziava a farsi interessanti, e nessuno dei due poté negarsi un sorriso divertito sul volto.

«Abbiamo gli ingredienti!»
Feliciano entrò nella stanza sventolando un pacchetto di mozzarella, con aria piuttosto entusiasta, e anche alla piccola Natalia sfuggì un sorriso: non capiva perché, ma c’era qualcosa che le diceva che quella sarebbe stata una giornata molto diversa dalle altre.
Una giornata speciale.
«Allora-» Lovino afferrò la borsa della spesa, guardando al suo intero ed esaminando il tutto per bene.
«Feliciano, pensi tu al sugo? Io e la peste pensiamo all'impasto, magari.»
«Va bene!»
Dio solo sapeva che cosa avrebbero ritrovato le inservienti dopo la preparazione di una pizza in camera.
«Allora, metti un po’ d'acqua qui.»
«Al centro?»
Il grosso piatto era adagiato sul letto, con al centro la farina che pareva quasi formare un cratere dove la piccola Natalia avrebbe dovuto versare l’acqua, così la bambina si decise a rimanere seduta sulle gambe di Lovino, chinato di fianco al letto, e versare lentamente il liquido, stringendo fra le piccole mani la bottiglietta.
«Ecco brava, va bene così.
Adesso il sale.»
Ed entrambi presero un pizzico di sale con cui cosparsero il “cratere” di farina.
«E ora?»
«Ora devi decidere tu: se ti metti ad impastare questa cosa ti sporcherai tutte le mani e poi dovrai lavartele per bene-»
Lovino non sapeva neppure perché le stesse parlando così, perché si stesse atteggiando in un modo così gentile nei suo confronti: non era possibile che si fosse già affezionato a lei dopo un giorno passato a patire un assurdo dolore a collo e schiena, no?
«Impasto!»
Senza farselo ripetere due volte, la bambina affondò le mani nella farina, che presto, inumidita dall’acqua e con l’aiuto dello lievito, divenne un vero e proprio impasto.
«Io ho finito col sugo.»
«Bene, portala a lavarsi le mani, io penso al resto.»
Quando Lovino rimase solo davanti all’impasto, sospirò perplesso.
«Senza matterello. Mhn.»

«La mangiamo o la picchiamo?»
«Ah! Spiritosa!» Lovino strinse i denti, cercando di appiattire il più possibile l’impasto e farlo aderire per bene al tegame, mentre una goccia di sudore gli attraversava velocemente la tempia.
«È così difficile?» Natalia dovette trattenere una risata.
«Perché non ci provi tu?»
Ma quando si ritrovò a sforzare l’impasto inutilmente, senza che questo aderisse alla teglia, dovette ricredersi.
«Mhn-»
«Veh! Imparerai Natalia, non preoccuparti~»
Feliciano sorrise, per poi tenderle il contenitore del sugo e il grosso cucchiaio di legno con cui avrebbe dovuto cospargere l’impasto.
Quando la bambina smise di cospargere l’impasto col sugo, gli italiani si ritrovarono con un piatto pieno di cubetti di mozzarella ed una piccola ampolla con delle foglie di basilico, ma i loro sorrisi scomparvero in un attimo.

«E il forno?»
Inutile dire che alla domanda di Feliciano, Lovino imprecò, sbattendosi la mano sulla fronte.

«Allora, se siamo fortunati nessuno ci vedrà!» Feliciano adagiò la bambina su una lavatrice, per poi chinarsi ad aiutare Lovino ad accendere il forno, sotto lo sguardo perplesso e allo stesso tempo divertito di lei.
Davvero quei due erano convinti che nessuno gli avrebbe visti?
Due italiani, di cui uno travestito, che cercavano di far cuocere una pizza in un negozio di elettrodomestici, aspettando di arrivare per lo meno a tre quarti della cottura per cospargerla anche di basilico e mozzarella.
Come potevano non essere visti?
«Veh! Senti che profumino!»
«Eh appunto!
Feliciano, distrai il personale!»
«Eh?»
«Non voglio finire in una prigione siberiana per aver cucinato una cazzo di pizza in un forno non mio.»
«La Siberia è in Rus-»
«Sta zitta nana! Cazzo Feliciano, sei una bella donna o no?!»
Il minore aggrottò la fronte come preoccupato, per poi deglutire appena, annuendo poco convinto.
«Vado-»
«Ma che non ti tocchino, o li gonfio!»
Lovino poté agire indisturbato, e dopo aver aggiunto basilico e mozzarella, per poi risistemare la pizza nel forno ed attendere altri dieci minuti, lo spense e strinse fra le mani, anzi, fra i guantoni da cucina, la teglia calda della pizza.
«E ora come pensi di uscire?»
«A questo devi pensarci tu.»
Il ghigno sul volto del meridionale non prometteva nulla di buono, decisamente.

Natalia si sentiva terribilmente umiliata, e infatti aveva deciso fin da subito che si sarebbe data un contegno, ma doveva ammetterlo, era disposta anche ad una cosa del genere pur di assaggiare una sola fetta di quel cibo mai visto, che aveva un profumo così buono.
Afferrò il vestito lilla della cassiera, e lo tirò appena verso il basso, con le guance appena gonfie e gli occhi lievemente lucidi.
«Oh, tesoro, non trovi la tua mamma?»
Natalia negò decisa, incrinando le labbra in una smorfia che aveva tutta l’aria di star per scoppiare in uno strillo isterico, accompagnato da un bel pianto.
«Era nel negozio?»
Negò ancora, indicando fuori dal negozio e tirando ancora il vestito della cassiera, che si vide costretta ad accompagnarla fuori.
«Mama!» e mentre alle spalle di una cassiera alquanto confusa si dileguava un italiano e la sua pizza appena cucinata, la bambina si gettò fra le braccia di un altro italiano, travestito da donna, che provvide subito a cambiare strada per evitare le domande della donna bielorussa.
«Che … buon profumo …» in quanto a questa se ne rimase davanti al negozio con le idee leggermente confuse.

«Ce l’abbiamo fatta!»
Quando anche Natalia e Feliciano arrivarono in camera, trovarono la teglia con la pizza già tagliata a fette sul letto.
«Il primo assaggio a te, peste. Te lo sei meritato.»
Lovino le indicò quello che, in quel momento, poteva benissimo definire “ben di Dio”.
Non aveva mai visto un piatto così bello, o sentito un profumo così buono, che le aveva stimolato la fame solo stuzzicandole appena le narici.
Ne prese una fetta senza alcuna fatica, visto che ormai la pizza era divenuta tiepida al punto giusto, e non appena la addentò, i suoi occhi parvero illuminarsi.
«Ma è buonissima!»
E quella fu la prima volta che la videro sorridere veramente, estremamente felice.

Era stata davvero una giornata speciale, per lei.
Che aver portato due sconosciuti stranieri al mal di schiena e al rischio di un arresto l’avesse fatta già affezionare a loro?
Non lo sapeva, questo, ma per la prima volta nella sua vita si era sentita a casa, e aveva sorriso di felicità.
Vera, pura, meravigliosa felicità.
   
 
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