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Autore: nightswimming    17/08/2012    4 recensioni
Allargò le braccia e chiuse gli occhi.
“Pietre nelle tasche. Che cosa digustosamente letteraria.”
Magdalena sobbalzò e per poco non perse l’equilibrio. Mulinò le braccia, cercando disperatamete di ribilanciarsi, il cuore che le batteva a mille nelle tempie.
“Chi è lei?” urlò, la paura che le sfondava il petto. Non si fidava a sufficienza delle proprie capacità motorie per provare a girarsi e fronteggiare lo sconosciuto.
Cristo, doveva darsi una calmata. Stava per uccidersi – che senso aveva agitarsi così?
“Sherlock Holmes,” rispose la voce, in tono monotono e indifferente. Come se parlare con un’aspirante suicida in bilico sul muro di protezione di un ponte fosse ordinaria routine per lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: questa fantastica versione di Holmes e Watson è di esclusiva proprietà di Steven Moffat e Mark Gatiss, siano benedetti, mentre le tenniste Steffi Graf e Monica Seles sono di esclusiva proprietà di loro stesse. Voi vi starete chiedendo: “cosa diavolo c’entra?” e avete pienamente ragione, ma vi assicuro che più avanti nella storia le cose si faranno più chiare. :D
Scrivo per pura gioia da fan e Dio me ne scampi se da tutto questo ci guadagno anche solo un centesimo.
 
 
 
 
 
 
 
 
John Watson inspirò profondamente e strinse le labbra in una piega severa, quasi dura.
“No”.
Sherlock Holmes continuò imperturbabile a prestare attenzione al suo cellulare.
No cosa, John?”
“No che non è inutile, Sherlock” ribatté lui, obbligandosi a mantenere un tono fermo ma conciliante.
Non c’erano due parole capaci di stare peggio in una stessa frase come conciliante e Sherlock Holmes.
Il detective alzò lo sguardo dal suo Blackberry e sporse in avanti il labbro inferiore.
“Detersivo per lavandini”. Atteggiò ancora di più una smorfia di finta riflessione. “Detersivo impiegato per togliere eventuale sporco da un oggetto che si lava già da solo a ogni singolo uso che ne viene fatto”. Chinò nuovamente il capo sul cellulare. “Inutile a livelli di guardia, direi”.
John lo guardò come se fosse sul punto di scagliargli addosso con forza il suddetto detersivo per lavandini.
“Come il tuo parere sulle faccende domestiche, d’altronde”.
Gli voltò le spalle, ma non prima di aver internamente gioito della sua espressione indignata.
“Stai diventando una noiosa casalinga, John” lo raggiunse la sua voce infastidita dal reparto dei surgelati.
Si girò nuovamente per guardarlo: avanzava accanto a caciotte, salami e yogurt con passo maestoso e il cappotto che volteggiava attorno alle sue gambe ad ogni falcata, dribblando l’occasionale carrello con grazia.
Ridacchiò. Era un’immagine esilarante, quasi parodica – qualcosa di molto simile al costringere un rugbista a un’esercizio di danza classica.
Piccoli lord sociopatici fanno la spesa, capitolo primo.
“Lo sono sempre stato. Avresti dovuto vedere l’infermeria militare: era sempre uno specchio, grazie a me”.
Sherlock alzò un sopracciglio.
“Avvincente”.
“Vero? Ora aspettami qui in coda, che mi sono dimenticato il sale grosso”.
Lui sbuffò ma gli tolse con uno strattone melodrammatico il cesto di mano e si mise dietro a una famiglia piena di marmocchi esagitati che presero a fargli le boccacce.
John rise apertamente.
“Ricordati che l’infanticidio è un crimine, Sherlock”.
“A che cosa ti serve, il sale grosso?”
“A spararti meglio”.
Lo vide lanciare un’occhiata che avrebbe ghiacciato l’inferno alla deliziosa bimba con le trecce che allungava le sue manine grasse verso di lui.
“A cucinare, Sherlock, mi sembra ovvio. Hai bisogno d’altro, già che faccio un altro giro?”
“Un’endovena di nicotina” sibilò seccamente. Poi sorrise, se così si poteva chiamare quell’esposizione forzata dei denti. “Per favore”.
 
*
 
“Andiamo. È un’occasione speciale”.
“Sherlock…”
“Me lo merito, John!”
“E cosa avresti fatto per meritartelo?”
“Esisto. Vivo. Respiro. La mia presenza su questo mondo è un dono continuo”.
“Pfff. Scusa un attimo, chiamo Anderson e chiedo cosa ne pensa al riguardo. Ho proprio voglia di farmi due risate”.
“Ho fatto la spesa con te. Io non faccio mai la spesa con te”.
“Questo semmai evidenzia ancora di più la tua disgustosa pigrizia - di certo non ti aiuta ad ottenere quello che vuoi”.
Una sola”.
“…”
“…Per favore”.
John alzò gli occhi al cielo, allungò una mano verso il tavolino e gli lanciò in grembo il posacenere rubato a Buckingham Palace. Sherlock lo prese al volo con un versetto deliziato.
Aveva detto le due paroline magiche, dopotutto. Conoscendo il soggetto in questione si poteva tranquillamente gridare al miracolo.
“Aaah, sì. Sì sì sì”.
John gli puntò addosso l’indice teso.
“Una di numero, non di più”.
Sherlock si mise una sigaretta fra le labbra e la accese con un’espressione di gioia profonda che rasentava l’oscenità. Tirò due lunghe boccate e fece precipitare la cenere nel prezioso oggetto di cristallo (il quale, se John  aveva fatto bene i suoi conti, doveva valere come tutta la sua pensione di invalidità) con un gesto denso di una ritualità molto rimpianta.
“Non dovrebbe essere difficile per una mente geniale come la tua concepire il fatto che fumare fa male” commentò con tono di rimprovero. Sherlock rovesciò la testa indietro sul divano ed espirò un lungo filo di fumo in direzione del soffitto.
“Non guastarmi questo raro piacere, John” mormorò, gli occhi chiarissimi socchiusi appena, le spalle rilassate.
John rabbrividì. Un brivido caldo, di provenienza sconosciuta. Cosa c’era di così sconvolgente in quella voce baritonale che pronunciava la parola “piacere”, d’altronde? Non riusciva a capirlo.
Sventolò una mano in aria con fare stizzito per scacciare il fumo e quei pensieri fastidiosi da davanti a sé.
“Certo che potresti almeno scomodarti ad aprire la finestra!”
Nessuna risposta. Aveva chiuso gli occhi in preda alla beatitudine, e sembrava non averlo nemmeno sentito.
Si trattenne dal tirargli un cuscino soltanto grazie allo scalpiccìo dei passi della signora Hudson sulle scale.
“Sherlock? John?”. Al lieve bussare, gli occhi di Sherlock si riaprirono e rotearono verso l’alto in preda all’esasperazione. “Siete presentabili?”
John avrebbe tanto voluto chiederle per quale motivo si ostinasse a fare sempre quella domanda stupida quanto superflua. Era mezzogiorno passato, loro erano da poco scesi a fare la spesa, quindi aveva la certezza di non sorprenderli ancora in pigiama – e allora perché diavolo chiedeva se fossero presentabili? Cosa accidenti avrebbero dovuto fare, per non essere presentabili?
“Sesso”.
John sobbalzò sulla poltrona. Sherlock stava spegnendo la sigaretta nel posacenere con piccole, eleganti torsioni del polso, un angolo delle labbra piegato beffardamente all’insù.
“Come?...” chiese, maledicendosi per il tono scandalizzato che si era ritrovato ad utilizzare e per il tè che si era appena versato su tutta la camicia.
Sherlock non nominava mai il sesso al di fuori della scena del crimine, quando gli serviva per spiegare il movente di un omicidio. A lui il sesso, apparentemente, non interessava; di sicuro non lo conosceva. La frecciatina di Mycroft era stata illuminante al proposito. Dato che non avrebbe mai tirato in ballo di propria spontanea volontà un argomento di cui sapeva poco o niente, col rischio di uscire sconfitto da un’eventuale discussione, John era genuinamente sorpreso di fronte a una menzione così plateale di quella parola.
Oltretutto, la sigaretta gli aveva arrochito la voce (ormai, grazie a Dio, non era più abituato a fumare) e lui aveva pronunciato la parola “sesso” con un tono inferiore di un’ottava rispetto al suo abituale.
La cosa non avrebbe dovuto turbare John – Dio, non se ne sarebbe dovuto neanche accorgere – eppure, sempre per quello strano motivo che non riusciva a spiegarsi, la cosa lo turbava eccome.
“Come?” ripetè, schiarendosi la voce per darsi un tono.
Sherlock gli rivolse uno di quegli irritanti sguardi da “ma è ovvio!” che facevano andare in bestia chiunque, da Anderson (specialmente Anderson) a lui stesso.
“La risposta alla tua domanda” disse semplicemente.
“Io non ho fatto alcuna domanda” ribatté in fretta John.
“Ma l’hai pensata”.
John rimase a fissarlo senza neanche battere le ciglia, incredulo; Sherlock si piegò in avanti e unì le punte delle dita di fronte a sé con fare professionale.
“Ogni volta che la signora Hudson chiede il permesso di entrare con quella frase, ti irrigidisci istintivamente. Le spalle, i lineamenti del viso, tutto. E non è perché ti dà fastidio l’intrusione che potrebbe posticipare il tuo pranzo - la signora Hudson ha fatto irruzione in questa casa in ore molto più improbabili di questa, e tu non sei mai stato turbato come adesso -  no, è questo modo specifico della signora Hudson di presentarti che ti urta e ti fa pensare: “che razza di domande fa? Cosa diavolo potrebbe impedirci di essere presentabili a mezzogiorno inoltrato?...”
Si alzò dal divano con un movimento fluido e si diresse ad aprire la porta, curandosi di mantenere il contatto visivo.
“La risposta è: sesso. Teme di interromperci. Tutti, temono di interromperci. Ah, a parte qualche patetico individuo che lo spera intensamente, in modo da essere in grado di rendere più vivace la sua noiosa esistenza lanciandosi su qualche gustoso gossip”. Alzò anche l’altro angolo delle labbra. “Dovresti lasciar perdere i pettegolezzi, John. Sembra che non facciano bene ai tuoi nervi”.
Aprì la porta, e in un secondo il suo sorriso trionfante era scomparso per lasciar posto a un’espressione educatamente interrogativa.
“Buongiorno, signora Hudson. Ha bisogno?”

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: ciao a tutti, questa è la mia prima fic su Sherlock e voi non avete idea del nervosismo da debuttante che mi sta assalendo in questo momento XD
Mi scuso per la cortezza del capitolo, che, come è scritto, è soltanto un prologhino introduttivo piccino picciò.
A presto, mi auguro, e spero vi piaccia. :*

 

   
 
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