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Autore: Cali F Jones    19/08/2012    2 recensioni
I miei scleri assurdi sono da considerarsi normali, a questo punto. La storia ricalca il famoso libro di Lewis Carroll "Alice in Wonderland" con i personaggi di Hetalia. Ma quello che per Alice è stato solo un viaggio in un mondo immaginario, per Alfred, il protagonista, sarà un viaggio alla scoperta del proprio Io nascosto, del proprio passato e dei propri errori.
Il rating cambierà nel corso della storia.
Capitoli:
1. Late {Ritardo}
2. Brothers {Fratelli}
3. Opium {Oppio}
4. Intermezzo
5. Tea {Tè}
6. Game {Gioco}
7. Trial {Processo}
8. Home {Casa}
9. Past {Passato}
10. America
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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1. Late {Ritardo}


-Al, ti dispiacerebbe smetterla di giocare con quel gatto e darmi una mano?-
Alfred sbuffò scocciato: ma perché Matthew doveva continuamente assillarlo così? A volte era ancora più rompiscatole di Inghilterra!
-Perché non ti rilassi un po', Mattie? Dai, vieni, andiamo a fare due tiri a baseball!- esclamò il giovane americano, strattonando il fratello per un braccio. L'altro si liberò velocemente dalla presa e lo rimproverò: -Alfred! Lo sai che sei in ritardo con il lavoro! Ho accettato di darti una mano a mettere tutto in ordine a patto che anche tu facessi qualcosa e non passassi l'intero pomeriggio sul divano ad oziare. Perciò adesso smettila e datti da fare. Non vorrai un altro richiamo da parte del tuo capo?-
Alfred rimase un poco scioccato a vedere suo fratello rispondergli così a tono. Di solito, lui era quello tranquillo e pacifico, che non si alterava mai per niente. Eppure quel giorno sembrava così dannatamente serio. Che cosa gli aveva preso? Alfred sospirò e fece per uscire dalla stanza, quando la voce del fratello lo fermò: -Hey! Si può sapere dove hai intenzione di andare?-
-Vado fuori a prendere una boccata d'aria-.
-Al, abbiamo del lavoro da fa...- Non fece in tempo a finire la frase che l'altro se n'era già andato, richiudendosi la porta alle spalle. -Idiota!-.

Ma perché erano tutti sempre così nervosi? Non riusciva a capirlo; non potevano essere tutti come lui? Non sarebbero mai andati lontano a preoccuparsi così tanto. Era come se stessero correndo una maratona, che stessero giocando una partita tutti contro tutti. Una volta arrivati a destinazione, cosa avrebbero ottenuto? E, soprattutto, c'era una destinazione?
I piedi di Alfred affondavano nel manto erboso estremamente morbido. Lui era una delle nazioni più giovani. Eppure non capiva: perché gli altri si affannavano così tanto? In fondo, non era meglio godersi la vita? Alzò gli occhi al cielo, beandosi per qualche minuto di quell'infinito mare azzurrino che si apriva sopra la sua testa in tutta la sua bellezza e maestosità. I suoi occhi cristallini sembravano essere diventati tutt'uno con quel cielo primaverile. Una leggera brezza soffiò, portando con sè il profumo dei primi fiori che cominciavano a sbocciare sugli alberi. Alfred chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal vento che gli smuoveva leggermente i ciuffi biondi.
-Mezzogiorno? È già mezzogiorno? Sono in ritardo! Sono tremendamente in ritardo!-
Una voce improvvisa distrasse il giovane americano, costringendolo a spalancare gli occhi. Chi aveva parlato? Si guardò attorno. Nessuno. Eppure...eppure lui aveva sentito una voce. Sembrava quasi...
-Devo sbrigarmi, devo sbrigarmi!-
Giappone! Sì, era sicuramente lui! Ma...dov'era?
Continuando a scrutare l'orizzonte con occhi fessurizzati, America si portò una mano a grattarsi la nuca con perplessità, quando, ad un tratto, sentì qualcosa scivolargli in mezzo alle caviglie. Abbassò lo sguardo, ritrovandosi letteralmente senza parole. Lì, che cercava di districarsi tra le sue gambe e l'erba fin troppo alta c'era un piccolo coniglio. Ma ciò che maggiormente stupì America fu il fatto che questi...aveva le sembianze di Giappone! Lo squadrò per qualche secondo: era un coniglio, su questo non c'era dubbio! Aveva il pelo bianco, due lunghe orecchie che si facevano spazio in mezzo ad una chioma nera a caschetto ed indossava uno yukata color blu baltico.
-Sono in ritardo! Sono tremendamente in ritardo!- ripetè, iniziando a correre in mezzo all'erba.
-A-Aspetta!- lo richiamò indietro Alfred, prendendo ad inseguirlo quando si rese conto che i suoi richiami non avevano effetto alcuno -Giappone! Aspetta!-
Ma il piccolo coniglio seguitava a balzare a destra e a manca, diringendosi velocemente verso la grande quercia nel bel mezzo del giardino. America correva affannosamente dietro di lui, cercando di raggiungerlo. Giunto in prossimità della quercia, lo vide fermarsi, infilare una mano all'interno dello yukata ed estrarne un piccolo orologio da tasca.
-Oh cielo! Come sono in ritardo!- esclamò ancora il coniglio, riprendendo a saltellare agilmente attorno alle radici della pianta. Alfred lo seguì ancora, finché non lo vide infilarsi in un buco, probabilmente la sua tana, scavato in precedenza. "Ma....cosa..." pensò un po' titubante il giovane, scrutando l'apertura nera che si apriva sotto i suoi piedi. Era troppo piccola affinché lui potesse passarci e, probabilmente, il coniglio si era già dileguato. Ma...dannazione! Era identico a Giappone!
Con un sospiro un po' deluso, Alfred si voltò, facendo per andarsene, ma, ad un tratto, il pavimento sotto ai suoi piedi tremò. La terra iniziò a frantumarsi sotto il suo peso. Allungò le mani in avanti, dimenandosi e cercando un qualsiasi appiglio, ma invano. Il terreno sotto ai suoi piedi crollò e il giovane americano venne letteralmente inghiottito dalla voragine.
Mentre precipitava in caduta libera in quel lungo tunnel che sembrava non finire mai, i suoi pensieri andarono da tutt'altra parte. Aveva già sentito una storia simile, di una bambina che, inseguendo un coniglio con orologio e panciotto, si era ritrovata in un mondo sotterraneo insieme ad alcuni strani personaggi. Era una storia che, quando era piccolo, Inghilterra gli leggeva spesso. Evidentemente a lui piaceva molto e non sembrava mai annoiarsi quando il più piccolo lo implorava di leggergli ancora quella favola. Ma...un momento? Come si chiamava quella storia? Qual era il titolo? Dannazione, eppure una volta la conosceva così bene! Ad un tratto, come un fulmine a ciel sereno, l'illuminazione arrivò: Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma certo! Come aveva fatto a dimenticarsene?
La caduta proseguiva ormai da diversi minuti. Possibile che quel tunnel non avesse mai fine? Ma quanto stava andando in profondità?
Mano a mano che precipitava, la luce naturale del giorno si era fatta sempre più lontana, diventando ben presto un puntino irraggiungibile. Il buio più totale avvolgeva il giovane, impedendogli di capire dove si trovasse e, soprattutto, per quanto ancora sarebbe caduto nel vuoto. Era una sensazione a dir poco angosciante. Ad un certo punto, dopo un altro paio di minuti in caduta libera, sotto di lui iniziarono a profilarsi diverse sagome e, a giudicare dal pavimento in mattonelle rosse e bianche che di lì a poco avrebbe fermato la sua caduta, doveva essere giunto al capolinea. Atterrò sul pavimento sbattendo violentemente la schiena.
-Aaah, merda!- mormorò, un poco intontito, cercando di mettersi a sedere e massaggiandosi con una mano la zona dolorante. Dove cavolo era finito?
Si guardò attorno con aria circospetta. Era una stanza, non esageratamente grande e completamente vuota. Le pareti sembravano fare tutt'uno con il pavimento in mattonelle bianche e rosse. Una sola di queste era occupata da una porta in legno d'ebano, all'apparenza piuttosto pesante, mentre sulle altre erano appesi dei quadri. Tre, per l'esattezza. Uno per parete.
Appoggiando entrambe le piante dei piedi a terra e fornendosi una spinta con i palmi, si drizzò in piedi ed iniziò a scrutare i tre quadri. Sulla parete frontale rispetto alla porta in legno vi era una tela. Nessun disegno, nessuna scritta, Nessuna cornice. Una semplice tela bianca. Alfred rimase a fissarla per qualche secondo, sperando, magari, di scorgervi qualche gioco di luce o qualche illusione ottica, ma nulla. Dopo circa un minuto, decise di lasciar perdere e si diresse verso la parete destra. Il dipinto ivi appeso, incorniciato in un semplice riquadro in legno malamente intagliato, rappresentava due persone, un uomo e una donna, in abiti tipici dei nativi americani. Il ragazzo scrutò quei volti, le loro rughe, ogni singolo dettaglio. Era come se li avesse già visti da qualche parte, ma non riusciva a ricordarli. Più si sforzava, più nella sua mente la loro immagine diventava soffusa, meno nitida. Sospirò, decidendosi infine per l'ultima parete. Osservò il quadro. Era circondato da una cornice d'argento con qualche sporadica decorazione in ottone. L'immagine al suo interno lo fece per un momento rabbrividire. Era un ragazzo, identico a lui. Aveva lo stesso colore degli occhi, dei capelli, gli stessi tratti del viso. L'unica differenza era la sua espressione: sul suo volto non era possibile leggere nient'altro se non rabbia, odio, frustrazione. Sentimenti, quelli, che non avevano mai veramente e profondamente toccato Alfred, nemmeno nei momenti più difficili. Ma lui...sì, lo riconosceva. Riconosceva quel volto così simile al suo, riconosceva l'ira nei suoi occhi, riconosceva quella divisa grigia.
Allungò una mano verso la tela, boccheggiando, cercando di proferire una parola che, però, timidamente rimaneva lì, introppolata. E, così com'era nata, gli morì in gola quando una voce alla sue spalle lo sorprese.
-Alice! Alice! Sei tornata!-
Fratello.


*Angolo dell'autrice*
Bene bene bene, ecco il primo capitolo. Temo di essermi fatta in vena di qualcosa (forse Frappuccini, non lo so) per aver trovato l'idea di scrivere una roba del genere. No, seriamente, non chiedetemi come mi è venuta!
Comunque sia, al momento la storia sembra quasi una favoletta, ma più avanti si volgerà molto di più sul genere introspettivo. Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. Recensite, mi raccomando, voglio sapere cosa ne pensate. Aggiornerò presto (:
Grazie per aver letto!
Cali ~

  
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