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Autore: Alkimia    19/08/2012    8 recensioni
[CONCLUSA]
«Stanotte ho sacrificato la verità e la mia anima per il tuo futuro, Loki. E ti giuro che farò tutto quanto è in mio potere perché questo futuro sia il più radioso che un individuo possa ottenere».
Il bambino fece uno sbadiglio e chiuse più volte gli occhi, come se volesse dormire. Lei gli posò un bacio sulla fronte liscia e pallida poi se ne andò.

Ogni storia ha un “prima”. Prima del male, prima della caduta, prima della sconfitta c'erano i due figli di Odino e la loro precettrice.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Preamboli di dubbia utilità:
Nella mitologia norrena, Snotra era una delle divinità maggiori (gli Æsir) residenti ad Asgard, il suo nome viene associato alla schiera di divinità benevole e protettive ed era nota per la sua saggezza, per la sua attitudine a comprendere le cose e per il suo nobile aspetto (tra l'altro, wikipedia docet, snotr significa appunto “assennato”).
Considerando che la versione “marveliana” di Asgard è parecchio riveduta e corretta, la mia fantasia perversa ha fatto del personaggio di Snotra una sorta di studiosa, istitutrice dei figli di Odino.
La storia (fino a eventuale nuovo ordine del mio musO ispiratore... perché lui è un maschio, ma è una lunga storia) è composta da sei capitoli/episodi più un eventuale epilogo sul quale io e Loki ancora dobbiamo metterci d'accordo. Ogni capitolo è collegato a una citazione di una canzone di Fabrizio De Andrè perché ognuno ha i suoi vezzi... 
“Io sono la regina dei refusi”. Citazione pseudo-colta. Per quanto spesso io rilegga le cose prima di postarle, mi sfugge sempre qualcosa. Sorry.
Pareri, critiche, commenti, suggerimenti sono sempre bene accetti.
Buona lettura.

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UNA GOCCIA DI SPLENDORE


1° Episodio

“E neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro”

Le stelle erano al loro posto, inesorabili.
Snotra non aveva mai trovato particolarmente confortante il silenzio e l’immobilità delle notti di Asgard né amava l’inattività e la mancanza di illuminazione. Le sue notti erano fatte di lunghe ore scandite dal tremolio delle fiamme e dalla loro luce dorata che le permetteva di leggere le pagine dei suoi libri o di scrivere i suoi appunti e vergare le sue memorie.
Quella notte però non riusciva a rimanere concentrata. Aveva letto tre volte l’inizio di un capitolo ma la sua mente rimaneva impermeabile alle parole impresse sulla carta.
Richiuse il pesante volume che teneva poggiato in grembo e si avvolse una ciocca di capelli attorno all’indice, con un gesto distratto. Da un po’ di tempo aveva cominciato a notare che il rosso dei suoi capelli era diventato meno scintillante. In tutti i Nove Regni gli individui nascono, crescono, invecchiano, si disse, perché mai ad Asgard avrebbe dovuto essere diverso? Anche ad Asgard il tempo scorre, per quanto lentamente; anche ad Asgard le persone muoiono.
Il pensiero le incupì lo sguardo e la donna si ritrovò a fissare la lingua di cielo visibile tra le tende di seta dorata, una stringa di nero chiazzato di stelle. L’aria portava l’odore della pioggia e anche qualcos’altro: presentimenti funesti che Snotra cercava inutilmente di ignorare.
Da quanti giorni il figlio di Odino era partito? Il tempo aveva preso a scorrere ad un ritmo strano e lei aveva perso il conto dei tramonti trascorsi da quando Thor aveva lasciato il palazzo per tornare su Midgard e riportare indietro Loki.
Loki era vivo.
Doveva restare un segreto, secondo il volere del Padre degli Dei, ma non c’era quasi nulla che riuscisse a rimanerle celato tra quelle pareti dorate e quella di mantenere un segreto era un’abilità che a Thor era sempre mancata. Era stato lui, infatti, ad andare da lei e chiederle se c’era un modo per tornare su Midgard, se nella biblioteca del palazzo c’era qualche testo che spiegasse come viaggiare attraverso i Nove Regni senza l’ausilio del Bifrost. Quando gli aveva chiesto il motivo di questa domanda formulata con evidente apprensione, il figlio di Odino non era stato in grado di mentirle.
«Devo tornare sulla Terra. Loki si trova lì ed è mio dovere riportarlo a casa».
Snotra si era lasciata sfuggire un moto di stupore e si era portata la mano al petto sentendo il cuore pulsarle al ritmo di un'emozione alla quale non sapeva dare un nome.
«Dunque, lo hai perdonato?» aveva chiesto semplicemente, dopo qualche istante di silenzio. Non era l’unica domanda che le si era affacciata nella mente dopo quella rivelazione, ma era l’unica la cui risposta le importasse davvero.
«Ho provato a… comprenderlo»
«E ci sei riuscito?»
«Non lo so. Ma è mio fratello».
Credi che lui abbia perdonato te?
Il coraggio di dare voce a quest'altra domanda però le era mancato. Snotra aveva semplicemente posato una mano sul braccio di Thor e gli aveva rivolto un mezzo sorriso triste. Esisteva un modo per lasciare Asgard anche ora che il Bifrost era distrutto; se in passato Thor fosse stato un alunno un po’ più diligente lo avrebbe saputo, come lo sapeva suo fratello.
Snotra si scoprì incapace di restare seduta alla sua scrivania e decise di recarsi alla biblioteca del palazzo per riporre il libro che non era riuscita a leggere.
La biblioteca era diventata il suo regno incontrastato e lei aveva fatto dello studio e della cura degli infiniti testi del palazzo la sua ragione di vita, fin da quando aveva smesso di essere la precettrice dei figli di Odino che il tempo voleva troppo cresciuti per aver ancora bisogno di insegnamenti.
Il tempo sa essere un tale mentitore, alle volte.
Aveva appena posato il volume sullo scaffale, allineandolo ordinatamente con gli altri, quando sentì il rombo lontano di un tuono. La notte si arrese alla tempesta e Snotra seppe che Thor era tornato e quasi certamente non era tornato da solo. Il principe non era quel genere di persona disposta ad arrendersi.
La donna si appoggiò con le spalle alla fiancata di un alto scaffale, il cuore le martellava nel petto e lei sentì evaporare il suo consueto buon senso. Sarebbe stato saggio tornare nelle sue stanze e fingere di non sapere, come avrebbe voluto il Padre degli dei, e invece si ritrovò a camminare verso i gradini che conducevano al pianterreno, lungo l'angusto corridoio che portava a un'entrata secondaria del palazzo riservata alle guardie.
Il rumore della pioggia e l'aria umida entravano dalla porta che qualcuno aveva lasciato aperta. Nella penombra, Snotra scorse il profilo di una guardia in piedi accanto al battente e si nascose dietro a una colonna, restando a fissare impietrita la scena di Loki che attraversava la soglia, seguendo con indolenza Thor e Odino, i polsi incatenati, lo sguardo fiammeggiante sul viso pallido in parte nascosto da un'ingombrante arnese che gli teneva chiusa la bocca. I loro abiti gocciolavano sul pavimento lucido e lei sentì una lama di dolore attraversarle il petto.
Loki era vivo, ancora una volta i fratelli che lei aveva istruito e visto crescere non si erano uccisi a vicenda, ma nel tetro spettacolo che scorreva silenzioso davanti ai suoi occhi, la donna non trovò nulla che la facesse sentire sollevata.
Odino mormorò alcuni ordini alle guardie che si erano recate con lui in cortile e queste si allontanarono, assieme a Loki e a Thor, lungo parte opposta del corridoio.
Se non altro, al dio degli inganni era stata risparmiata la pubblica umiliazione di essere trascinato in ceppi davanti a tutto il popolo della Patria Eterna.
La donna osservò il re di Asgard fermarsi a metà del corridoio e sospirare; fu un sospiro colmo di pena che di certo non aveva allentato di un solo grammo il peso che il sovrano doveva avere nel petto.
«Snotra». La voce di Odino fece quasi eco, suonando tanto stanca quanto autoritaria.
Lei uscì dal suo nascondiglio, incapace di staccarsi dalla colonna, convinta che le gambe non l'avrebbero sostenuta. Forse avrebbe dovuto chiedere perdono per quella sortita, ma ritenne più sensato non dire niente, anche perché lo sguardo velato del suo re le aveva come portato via la voce.
«Potevi risparmiarti questo spettacolo penoso» mormorò Odino, quasi inespressivo, senza alcuna nota di rimprovero.
«Prima o poi avrei visto o saputo, mio re» replicò lei, chinando il capo con fare umile.  
Il Padre degli dei fece vagare lo sguardo sul soffitto istoriato, come se cercasse di scorgere nella penombra i tratti delle rune incise sulle pareti, inseguendo pensieri densi come le nuvole che si erano addensate nel cielo. Dopo lunghi istanti di silenzio, si avvicinò alla donna e le posò una mano sulla spalla.
Snotra osservò la luce sbiadita proveniente dai bracieri posti troppo lontano calcare i chiaroscuri sul viso del re e all'improvviso fu consapevole di quanto lui fosse vecchio e stanco.
«Hai portato un gran fardello per molto tempo, mi fa quasi orrore pensare che sia stato vano» disse Odino, poi all'improvviso le sue labbra si incresparono in un sorriso privo di allegria, più simile a una smorfia di pena.
«Non era un fardello, mio re, era una promessa... e non sono stata in grado di mantenerla».
«Rammenti la notte in cui Loki fu portato via da Jotunheim?».
«Era una notte assai simile a questa, mio re. Era una notte di buio e pioggia».

***

Era una notte di buio e pioggia. Ma prima della pioggia c'era stata la neve.
L'aria sembrava avere il sentore del metallo, Snotra ne inspirava grandi boccate cercando di imprimersi nella mente l'odore della guerra, come se abituarsi a quel senso di minaccia incombente potesse farla abituare anche alla paura.
Il vento gelido soffiava contro il tessuto teso della tenda, producendo secchi schiocchi che impedivano ai pensieri di restare concentrati su qualcosa di costruttivo.
L'esercito di Asgard, troppo numeroso per poter attraversare il Bifrost dopo ogni battaglia, si era accampato in una vallata ai margini di un enorme lago ghiacciato, a poche ore di marcia dal cuore della Capitale di Jotunheim le cui alte torri di pietra scura svettavano verso un cielo lontanissimo fatto di nubi argentee e stelle cieche.
Lei era solo una fanciulla ma Lord Alcuin, il suo maestro, aveva preteso che lo accompagnasse e, dopo lunghe settimane di guerra, lei ancora non sapeva se definirlo un bene o un male.
Lord Alcuin, il primo studioso della corte di Asgard, era vecchio e aveva bisogno di assistenza, di qualcuno che trasportasse i volumi che si era caparbiamente trascinato dietro e che lo aiutasse a sistemare le pagine e pagine di appunti che scriveva per redigere le cronache della Campagna di Jotunheim, la guerra di Odino contro il popolo di Laufey, re dei Giganti di Ghiaccio, che aveva sfidato l'autorità del Padre degli dei minacciando il benessere di Midgard.
Una folata di vento fece alzare il telo che chiudeva l'accesso alla tenda, lasciandolo a sventolare come una bandiera e lasciando che la neve turbinasse all'interno.
«Maledizione».
Snotra imprecò. Su Jotunheim la neve non cadeva in soffici fiocchi, era come se volesse lapidare la terra, annegarla, distruggerla. La giovane gettò una coperta sui libri impilati sul tavolino addossato ad una parete di tela, cercando di proteggere i volumi dai cristalli di ghiaccio che stavano piovendo dentro il riparo.
Dall'apertura irrimediabilmente spalancata, Snotra scorse un lembo di cupo paesaggio dove il bianco della neve combatteva una battaglia persa in partenza contro il nero del cielo. Poco dopo sentì lo scricchiolio di passi che si avvicinavano goffi, incespicando sul suolo ghiacciato.
«Mio signore!» esclamò la giovane, scorgendo la malferma figura di Lord Alcuin arrancare verso la loro tenda. «Venite dentro, vi prenderà un malanno».
Snotra non amava particolarmente il suo maestro – che la trattava come una sciocca buona solo a trasportare pesi e ad annuire ai suoi lunghi e tediosi discorsi, ma il fatto che un uomo anziano se ne andasse in giro da solo, nell'infinita tormenta di neve che Jotunheim offriva ad ogni tramonto, le sembrava un vero e proprio oltraggio al buon senso. Con un sospiro rassegnato, corse fuori dalla tenda e prese Lord Alcuin sottobraccio, trascinandolo dentro e passando i minuti seguenti a combattere contro il vento nel tentativo di chiudere l'entrata.
Aveva appena fissato il telo a un picchetto per tenerlo fermo, con le dita intirizzite e doloranti per il freddo, quando si sentì un tremendo boato, come se il cielo stesso fosse crollato sotto il peso delle nuvole.  
Il fragore di quel suono la fece rabbrividire più del vento gelido. Lord Alcuin alle sue spalle si tolse il cappuccio della pesante mantella, e mosse a vuoto le labbra sotto i lunghi baffi candidi prima di trovare la forza di parlare.
«Apri questa tenda, ragazza» biascicò, con la voce ancora un po' incrinata per lo spavento.
Malgrado l'ordine ricevuto, Snotra restò immobile a fissare il nulla davanti a sé, fino a quando un grido di mille bocche non fece vibrare l'intero accampamento.
Ci attaccano. Siamo perduti.
La giovane si voltò, guardandosi attorno con aria febbrile. Solo dopo avrebbe realizzato qual'era stato davvero il suo pensiero di quei tremendi minuti: se fosse accaduta qualche disgrazia, avrebbe dovuto portare in salvo Alcuin o i libri del palazzo di Asgard con le annotazioni per le Cronache della guerra?
Alla fine, si costrinse a trovare la forza d'animo per scostare il telo che chiudeva la tenda e che lei aveva così faticosamente risistemato. Una folata di aria gelida la investì con violenza, spingendole in viso un nugolo di cristalli di ghiaccio, tanto che la ragazza temette che le avrebbero ferito il viso.
La neve era fitta come nebbia solida e solo dopo molti sforzi lei riuscì a mettere a fuoco lo spettacolo che si presentava all'orizzonte.
Una delle torri del palazzo di Jotunheim era crollata. Il cuore del regno dei Giganti era stato spezzato: avevano vinto.

Nel giro di pochi minuti, il grande accampamento divenne una distesa di fuochi. I soldati già si preparavano per una notte di festeggiamenti e la neve aveva lasciato il posto da una pioggia fitta e gelata, così pungente da sembrare una cascata di dardi.
Snotra ascoltava nel silenzio della sua tenda quella pioggia innaturale martellare contro il tessuto impermeabile. Non era sicura che fosse un buon segno e comunque l'esercito che aveva combattuto quell'ultima battaglia ancora non faceva ritorno.
Eppure, canzoni allegre si levavano tra lo scoppiettio delle fiamme – di quelle che erano riusciti ad accendere malgrado il temporale.
Snotra si sporse oltre l'uscio del suo rifugio, bagnandosi i capelli rossi come quelle stesse fiamme che danzavano nei bracieri sotto le tettoie improvvisate.
L'improvviso nitrito di un cavallo a pochi metri da lei la fece sobbalzare. La giovane si riparò gli occhi con una mano, cercando di vedere meglio oltre la cortina di acqua che scorreva a catinelle. Il destriero emerse dal nulla, come se fosse fatto della stessa ombra insidiosa che avvolgeva ogni angolo di Jotunheim, con in sella un soldato dal mantello di velluto dorato appesantito dalla pioggia e premuto contro la schiena. Solo quando l'uomo smontò dalla sella e le si avvicinò, lei si rese conto che si trattava di un alto graduato dell'esercito di Asgard, sicuramente un generale.
«Dov'è Lord Alcuin?» le domandò bruscamente.
«Nella tenda».
Senza aggiungere altro, il generale entrò nel riparo, con il mantello gocciolante che gli rimaneva attaccato alle spalle e il dorato dell'armatura nascosto da macchie di sangue e fango. Snotra, ormai fradicia, lo seguì.
«Gli ordini erano di parlare con voi, se fosse accaduto qualcosa» disse il nuovo arrivato guardando Lord Alcuin. Da fuori arrivavano acuti i nitriti di protesta del cavallo lasciato in balia del temporale.
«La guerra è vinta, ma il Padre degli dei risulta disperso. Gli ultimi che l'hanno visto, riferiscono che era ferito forse gravemente» asserì lapidario il militare.
Lord Alcuin scattò in piedi. Era molto anziano, di corporatura esile, indebolito dalle troppe primavere che aveva vissuto, ma la forza della disperazione rese quel suo gesto particolarmente scattante e fluido. Un'ombra di panico gli attraversò lo sguardo velato da vecchio. Era un uomo pieno di sé e del tutto privo di umiltà, ma era pur sempre uno dei più fidati consiglieri a palazzo, un sapiente di Asgard, e amava il suo re con tutta la devozione di cui un cuore sarebbe stato capace.
Snotra non sapeva se provare più pena per il suo anziano maestro o se temere per quel re che non aveva mai visto, se non raramente da lontano, nei corridoio della reggia dove viveva da sei mesi come apprendesti dello studioso.
«Organizzate delle ricerche sul campo di battaglia, con uomini fidati. Non date la notizia fino a quando non avrete trovato qualcosa» ordinò Lord Alcuin in tono pratico. Snotra ignorava se fosse mai stato un soldato, di certo aveva letto molte cronache belliche e in ogni caso, per quanto fosse  presuntuoso, non era uno stupido.
Il generale fece un rapido cenno di assenso e uscì. Lord Alcuin si lasciò cadere sulla sedia e nascose il viso nel palmo della sua grande mano rugosa.
Snotra restò in piedi a rabbrividire per le vesti e i capelli fradici, pensando a cosa sarebbe accaduto se Odino non fosse stato ritrovato o se fosse stato trovato morto. Il suo unico figlio, Thor, era un bambino ancora in fasce e sua moglie, la regina Frigga, sarebbe riuscita a preservare il trono e la pace del regno nell'attesa che il principe crescesse?
La fanciulla si morse il labbro. Erano pensieri sciocchi e sconsiderati, se li avesse espressi ad alta voce forse avrebbero potuto accusarla di tradimento, ma le settimane trascorse a pochi passi da un campo di battaglia avevano smorzato in lei la fiamma della speranza che dovrebbe ardere maestosa nel cuore di ogni giovane.
Snotra si avvolse i capelli in un panno e si sedette in terra, accanto a Lord Alcuin, posandogli gentilmente una mano candida e liscia su quella che lui teneva appoggiata al ginocchio, con il dorso percorso da vene azzurrine e screziato da piccole macchie. Poteva anche non amarlo come una discepola avrebbe dovuto amare il suo maestro, ma ora provava una gran pena per lui, una pena che sarebbe divenuta le pena di tutti loro se il re non fosse tornato.
Seduta in quella posizione scomoda, con il freddo che le penetrava fin dentro le ossa, Snotra si preparò a una lunga attesa, fatta di incertezza e apprensione.

I minuti e forse le ore a seguire furono uno stillicidio di tempo che scorreva lento. Il suono della pioggia era ipnotico e rendeva i pensieri una massa di immagini aggrovigliate nella mente della ragazza che ormai non sentiva più nemmeno il freddo.
Prima di quel momento, Snotra non aveva mai davvero riflettuto su quanto fosse aleatorio il benessere del mondo in cui viveva; tutto poggiava su un trono e sulle spalle di chi vi era seduto. Essere re doveva significare una tale condanna...
Il corso delle sue riflessioni fu interrotto dallo scalpiccio degli zoccoli di alcuni cavalli fuori dalla tenda. Lord Alcuin si alzò e si diresse verso l'uscita con la rigidità di un condannato a morte che sale al patibolo. Snotra lo seguì con il cuore in tumulto.
Il maestro scambiò con il generale parole che la fanciulla non fu in grado di udire, entrambi si allontanarono verso una zona dell'accampamento e lei li seguì per un tratto di strada fangosa, mentre l'acqua torbida delle pozzanghere le inzaccherava l'orlo della veste di lana.
«Tornatene nella tenda, ragazza» le abbaiò contro Lord Alcuin. «Di certe faccende una donna meno sa e meglio è».
Snotra strinse i pugni, irritata. Non pretendeva di entrare nel merito di faccende riguardanti la guerra o la politica, ma era una donna che si apprestava a diventare una studiosa, il sapere sarebbe stato la sua vita e troppo spesso quel maestro bigotto le aveva negato la possibilità di conoscere, anche se poi non si era fatto scrupoli a condurla con sé su Jotunheim. Ma non era quello il momento di recriminare, né lei sentiva di averne la forza. Strinse stizzita i pugni, afferrando i lembi della veste per sollevarla e affrettare il passo mentre tornava nella tenda.
I fuochi e le canzoni continuavano a levarsi verso quel cielo ostile da ogni angolo dell'accampamento.
Snotra si sentì esausta, di colpo. La tensione non si era ancora allentata e i pensieri pieni di incertezza e timore continuavano ad agitarsi nella sua mente, eppure si sentiva come se ogni fibra del suo essere si fosse spenta di colpo. Quando sollevò il telo per entrare nella tenda, le sembrò enormemente pesante. Si trascinò dentro senza rendersi conto delle lacrime che le erano salite agli occhi.
Forse fu per la stanchezza che il grido di spavento non le arrivò mai alle labbra.
Dentro la tenda c'era qualcuno, una figura imponente, in piedi accanto al tavolino dei libri. Uno scampolo di raziocino filtrò attraverso la nebbia dello sgomento e la giovane riuscì a mettere a fuoco Gungnir, la lancia di Odino che il visitatore stava usando come sostegno.
«Mio re...» mormorò Snotra, troppo sorpresa per decidere se fosse opportuno inginocchiarsi in quella situazione tanto inusuale.
La risposta che giunse dal silenzio all'interno della tenda fu il vagito di un bambino. Per un istante la giovane fu convinta di averlo solo sognato.
Odino mosse qualche passo in avanti, continuando a puntellarsi sull'asta della sua lancia. Si avvicinò al cono di luce proiettato da una lampada e la fanciulla poté vedere il foro sanguinante sul volto del re di Asgard, dove prima c'era il suo occhio destro.
Snotra aveva visto molti feriti in quei giorni e il sangue e la carne martoriata avevano quasi smesso di farle ribrezzo, ma quello sfregio sul volto del Padre degli dei le fece tremare il cuore: neanche i re sono invincibili, neanche loro possono essere sempre al sicuro.
Fu solo dopo un lungo istante che lo sguardo della ragazza cadde sul bambino, un maschio, che il re teneva nella piega del braccio. Sembrava che il piccolo stesse piangendo, ma senza lacrime e senza singhiozzi, semplicemente sembrava soffrire ed essere consapevole di quella sofferenza più di quanto fosse naturale per un neonato.
«Sei l'allieva di Lord Alcuin» disse Odino all'improvviso, la sua voce era stanca e sarebbero trascorsi secoli prima che Snotra lo sentisse di nuovo parlare con quel tono fiaccato dagli eventi.
La fanciulla spostò più volte lo sguardo tra il bambino e il volto deturpato del dio, chiedendosi da quale parte cominciare a sentirsi sconvolta.
«Padre degli dei... vi stanno cercando...» farfugliò, pur essendo consapevole di quanto la cosa fosse irrilevante in quell'esatto momento e di quanto quell'informazione dovesse essere superflua.
«Ne sono certo» replicò Odino fissandola con l'unico occhio rimastogli. Quello sguardo trapassava come una lama. «Qual'è il tuo nome?».
«Snotra, mio re».
Il Padre degli dei indicò il bambino con un cenno del mento e la ragazza si avvicinò per prenderlo in braccio, osservando che il piccolo era del tutto privo di vestiti o coperte. Snotra si chiese come fosse possibile che un esserino dall'aria tanto fragile sopravvivesse in quel freddo ostile restando completamente nudo.
I Giganti di Ghiaccio non indossano vesti...
Un fremito di paura fece tremare le gambe della ragazza quando la consapevolezza della scoperta si accese nella sua mente.
Odino sembrò averle letto nel pensiero.
«È il figlio di Laufey ed è un innocente» dichiarò lasciandosi cadere seduto sulla sedia di Lord Alcuin. «Lo avevano abbandonato al margine della città. Voglio che sia condotto ad Asgard».
Il bambino spinse istintivamente il capo verso il petto di Snotra, forse sperando di essere allattato, ma da dove la sua pelle era entrata in contatto con il tessuto bagnato di fredda pioggia degli abiti di lei aveva cominciato a spandersi un alone bluastro. Dopo qualche secondo, il piccolo cominciò a piangere con singhiozzi striduli.
La fanciulla era combattuta tra l'orrore e la pietà. Ma se il suo re aveva deciso di mostrare misericordia per quella creatura, chi era lei per decidere diversamente?
«Mio re, ad Asgard nessuno lo accetterà» rispose in tono pratico.
«Ad Asgard nessuno lo saprà» replicò Odino e Snotra seppe che quelle parole contenevano un ordine preciso, pesante come una condanna. «Ma tu devi fare qualcosa per me».
«Cosa, mio re?». Oltre a portare per sempre il fardello di un simile segreto?
«La regina si trova sola ai confini di Asgard, in ritiro per pregare i nostri avi per la buona riuscita della guerra. Darò ordine ad Heimdall di aprire il Bifrost per te, tu andrai da mia moglie e le porterai il bambino».
La giovane spalancò la bocca per lo stupore.
«Intendete dire...». Non avrebbe dovuto indugiare o discutere le decisioni del suo sovrano, ma quello che Odino le stava chiedendo le sembrava inconcepibile.
«Intendo dire che il bambino verrà allevato da me e dalla regina. L'erede di Laufey cresciuto come un principe di Asgard: un domani potrebbe essere la sola speranza di un'unione pacifica con Jotunheim».
Snotra deglutì, il bambino si lamentava e scalciava debolmente tra le sue braccia.
«Padre degli dei, la vostra saggezza vi pone al di là di qualsiasi critica» disse, imponendosi di mantenere un atteggiamento contegnoso, sperando che i suoi occhi e la sua espressione non tradissero il suo sconcerto. «Ma se davvero è questo ciò che auspicate per il futuro di questa creatura, un domani dovrete rendergliene conto, almeno con lui dovrete farlo. E quando accadrà...»
«Quando accadrà ci amerà come una famiglia e sarà in grado di capire, in nome di quell'amore» replicò secco Odino. «Era destinato a morte certa, ora avrà una vita, un padre, una madre e un fratello».
Snotra comprese che una sola parola in più l'avrebbe spinta oltre il limite del confronto che il suo sovrano era disposto a tollerare. Non erano le azioni di Odino ad essere sbagliate, quanto il loro movente, ma la giovane non poté fare altro che sperare nella lungimiranza del Padre degli dei e accordargli la sua fiducia. E se anche non fosse stata disposta a farlo, questo non l'avrebbe assolta dallo svolgere il compito che Odino le aveva appena affidato.
«La regina,» mormorò la giovane appoggiando il bambino su una branda, «si chiederà che nome dargli».
Odino si alzò dalla sedia e si trascinò fino al giaciglio dove Snotra era intenta ad avvolgere il piccolo in una mantella, prima di mettersi a cercare vestiti asciutti per se stessa.
C'era una tenerezza sincera nello sguardo che il Padre degli dei stava ora rivolgendo a quel figlio che aveva deciso di adottare. Allungò una mano verso di lui e il bambino gli strinse debolmente l'indice tra le dita sottili.
«Loki» disse, come se fosse stata una folgorazione improvvisa.  

Odino lasciò la tenda di Snotra dopo qualche minuto, per tornare dai suoi soldati e rassicurarli, unendosi ai festeggiamenti per la vittoria. Lei si cambiò i vesti bagnati, mentre il bambino, Loki, si divincolava debolmente sul materasso della branda, anche lui troppo provato per continuare a piangere.  
La sua pelle aveva conservato in parte quell'alone bluastro e i suoi occhi erano arrossati in modo innaturale. E i suoi occhi sembravano così dannatamente imploranti. Imploravano per la fame e per il calore, per delle braccia che lo stringessero.
Snotra si avvicinò alla branda e restò in piedi a scrutare l'esserino sul materasso; ebbe di nuovo la sensazione che lui fosse in qualche modo consapevole di quello che aveva attorno. Gli sfiorò un piedino che si dibatteva tra le pieghe delle coltri di pelliccia e lì dove la sua mano era passata a sfiorargli la pelle, l'alone bluastro sparì per lasciare posto a un normale colorito roseo e perfetto come quello di qualsiasi bambino.
«Da quanto tempo ti avevano lasciato solo a morire?» chiese Snotra in un filo di voce, mentre gli occhi del piccolo si fissavano nei suoi.
Era sciocco e forse anche rischioso indugiare e trattenersi lì quando aveva ordini precisi, impartiti direttamente dal Padre degli dei, ma l'intero accampamento era troppo impegnato a festeggiare la vittoria e a celebrare Odino per ricordarsi di lei o ritrovarsi anche solo per sbaglio a passare nell'angolo remoto del campo in cui era piantata la sua tenda. Indugiare, comunque, non le avrebbe reso quel compito più gradito né avrebbe allentato la morsa che le attanagliava il petto. Fare ciò che le era stato ordinato continuava in qualche modo a sembrarle un tradimento. Un tradimento verso quello che era sempre stato il suo mondo, o un tradimento verso la creatura che ora aveva davanti agli occhi.
Snotra amava la conoscenza. La conoscenza è l'esatto opposto della menzogna.
«E tu sei contaminato» disse, stupendosi della freddezza della sua voce, preoccupandosi per un istante che il bambino potesse accorgersene. «Sei contaminato dalla solitudine e dall'abbandono. Quanto amore occorrerà per cambiare le cose?».
Alla fine, la fanciulla distolse lo sguardo e chiuse gli occhi, prendendo piccoli respiri per cercare di mantenersi lucida. Avvolse il bambino in una coperta e si gettò una mantella sulle spalle.
Fuori dalla tenda il vento ululava acuto, come se Jotunheim stesse piangendo la propria disfatta.
Quando Snotra uscì all'aperto e la pioggia le sferzò il viso, si chiese se anche il sangue dei Giganti di Ghiaccio fosse gelido.
«Che i miei avi m'assistano» mormorò prima che la luce del portale del Bifrost le invadesse lo sguardo.

Dietro le sue palpebre c'era solo bianco. La luce sembrava esserle entrata dentro gli occhi, fino a consumarli. Non fu il suo sguardo a dirle che era a casa, fu l'odore nell'aria, che non sapeva più di metallo e acqua stagnante, fu il calore che la sorprese di colpo, rendendole quasi insopportabile il peso della mantella sulle spalle.
Snotra cercò faticosamente di mettere a fuoco l'immagine della grande cupola dorata attorno a sé e fece appena in tempo a vedere Heimdall sollevare dalla fessura di metallo la lama della grande spada che azionava il Bifrost.
Senza dire una parola e senza degnarla di uno sguardo, il Guardiano del regno si voltò e tornò al suo posto, all'ingresso della cupola, immobile come una statua.
La fanciulla si accorse che Loki si era addormentato tra le sue braccia, sopraffatto dalla stanchezza e dalla fame. Pensò che quando si sarebbe svegliato avrebbe dovuto nutrirlo o non sarebbe sopravvissuto al viaggio verso i confini del regno.
«Un cavallo ti attende alle porte della città» disse la voce cavernosa di Heimdall, distante e profonda come se giungesse da un altro luogo.
I suoi passi disegnavano una fugace scia opalescente sulla superficie luminosa del ponte dell'arcobaleno. Davanti ai suoi occhi Asgard si ergeva maestosa nel suo immutato e opulento splendore, con le torri che svettavano verso un cielo terso, di un azzurro luminoso come una stola di raso perfettamente stirata. Snotra abbassò lo sguardo su Loki e non fu sorpresa di accorgersi che la sua pelle aveva adesso un colore perfettamente normale, un rosa appena un po' troppo pallido; forse da grande sarebbe stato un bellissimo principe. Quel pensiero la fece sospirare e lei si impose di continuare ad attraversare il ponte, fino all'enorme cancello dorato che segnava l'ingresso della Patria Eterna.
Come aveva detto il Guardiano, c'era un cavallo ad attenderla una volta varcato il cancello.
Snotra alzò gli occhi al cielo e fu allora che si accorse dei due corvi che volavano in circolo sopra la sua testa, due macchie nere che si muovevano rapide contro l'azzurro del cielo.
Non era mai stata particolarmente brava a cavalcare e viaggiare fino ai confini di Asgard con un neonato in braccio le sembrava un'impresa impossibile. Sbuffò e si tolse la mantella che ripiegò a triangolo. Con estrema cura, avvolse Loki nella parte di stoffa più larga e legò le due estremità più sottili al pomello della sella, pregando che reggesse.
Il bambino durante tutta quella manovra, aprì un paio di volte gli occhi ed emise qualche basso lamento, prima di scivolare di nuovo nel sonno.
«Che ne sarà di tutta questa faccenda solo le Norne lo sanno...» borbottò Snotra, dando un leggero colpo di talloni nel fianco del cavallo.
Attraversò indisturbata gli ampi viali lastricati che convergevano tutti nel piazzale dinnanzi al palazzo del re. La superficie dorata della costruzione rifletteva un'immagine distorta e sbiadita della città che si stendeva ai suoi piedi in un dedalo di palazzi, torri e giardini pensili. Asgard era perfettamente uguale a come l'aveva lasciata il giorno in cui aveva seguito Lord Alcuin e l'esercito di Odino su Jotunheim, eppure adesso Snotra guardava la sua terra con occhi diversi; ora che la guerra le aveva insegnato come tutto fosse fragile e precario, anche l'incolumità del re, anche il cuore del re. Asgard le sembrava assai più simile al riflesso distorto contro la facciata dorata della reggia che non all'immagine reale che offriva di sé agli occhi dei suoi abitanti.
Snotra spronò il cavallo, con estrema cautela, preoccupata che l'animale cominciasse a muoversi troppo velocemente e mettesse a repentaglio il suo equilibrio e quello del piccolo che viaggiava con lei. Il destriero trottò placido attraverso una via laterale che costeggiava il palazzo, in pochi minuti se lo lasciarono alle spalle anche se la sua ombra incombeva sulla ragnatela di stradine secondarie che costituivano i quartieri meno belli della città.
La giovane aveva lasciato Jotunheim e le sue lunghe notti, ora che vedeva il sole cominciare a tramontare nel cielo della sua città si sentiva quasi turbata dall'idea del buio. Non le piaceva, non le era mai piaciuto, quando calava la sera e tutto rallentava fino a fermarsi nel riposo della notte. E lei aveva ancora della strada da fare.
Approfittò delle ultime ore di luce per fermarsi e cercare un posto in cui comprare del latte.
Non conosceva quella zona della città, la zona meno ricca. Anche se la sua famiglia non era particolarmente benestante, era comunque di nobile levatura e negli ultimi anni la giovane aveva visto solo templi, biblioteche e case di studiosi più nobili e ricchi di lei. E aveva incontrato tanta gente che aveva nascosto a malapena la propria perplessità – e in alcuni casi il proprio disappunto – davanti all'idea che una giovane donna di buona famiglia avesse deciso di dedicarsi allo studio invece di cercare un marito o tentare di entrare a corte come dama di compagnia.
«Questo posto pullula di persone stupide, Loki» mormorò Snotra, scendendo di sella e slegando il bambino dal groviglio con il quale lo teneva assicurato alla sella. «Essere intelligenti è molto faticoso alle volte, ma è anche più divertente».
Legò le briglie del cavallo a un palo in una piccola piazza doveva aveva scorto una bottega di generi alimentari. I due corvi planarono verso il basso e si andarono ad appollaiare sull'estremità di quello stesso palo.
Nella bottega, Snotra comprò una mezza misura di latte che si fece mettere in un piccolo otre, e un pezzo di pane per sé. Tornò dove aveva lasciato il cavallo e cominciò a versare il latte a piccolissimi sorsi tra le labbra schiuse di Loki che beveva avidamente, tendendosi sempre di più verso il collo dell'otre.
«Non posso andare più veloce di così, esserino ingordo» borbottò la ragazza. «Finirei per farti soffocare».
Il piccolo lasciò cadere all'indietro la testa e di nuovo i suoi occhi si fissarono in quelli di Snotra. Erano occhi dal colore indefinito, come quelli di tutti i neonati. Ogni cosa in lui ora era anonimo e indefinito, come per tutti i bambini molto piccoli, e guardandolo la fanciulla cominciò a sperare che la decisione di Odino fosse stata assai più saggia e sensata di quanto le era apparso in un primo momento. Perché mai Loki non avrebbe dovuto essere come tutti gli altri? Perché mai l'amore di una famiglia non avrebbe potuto preservarlo da ogni male?
Snotra gettò via l'otre ormai vuoto, e cullò per qualche minuto il piccolo tra le braccia. Ora che era al caldo e nutrito, il bambino fece anche qualcosa di assai simile a un sorriso. Forse era una smorfia senza senso, come quelle dei bambini durante i loro primi mesi di vita, ma a Snotra sembrò davvero un sorriso e le parve bello come un miracolo.
Tenendo Loki stretto contro il suo petto, la giovane cominciò a sbocconcellare distrattamente il pezzo di pane che aveva comprato per sé, assaporando il silenzio che ascoltava più che il sapore di ciò che stava masticando.
Asgard non era un posto rumoroso. Era un luogo ordinato e piano di luce, l'antitesi del caos, un faro di speranza e un'oasi di pace in mezzo al continuo rumore dell'universo.
La guerra era finita, i nemici erano stati battuti, piegati, sconfitti. Era tornato il silenzio e l'ordine. E tutto sarebbe rimasto immutato per secoli, forse per sempre.
La mente di Snotra si strinse attorno a quegli improvvisi pensieri piacevoli, come la schiena di un gatto sotto la mano del padrone che lo accarezza in risposta alle sue fusa.
Fu il gracchiare improvviso dei corvi a riportarla alla realtà. A farle spalancare gli occhi e a rammentarle che era lì per eseguire gli ordini del suo re, ordini che la turbavano, ordini che non condivideva...
Spezzò ciò che era rimasto del suo pane e lo gettò ai piedi del palo, dove i corvi volarono a beccarlo con voracità.
Mentre fissava impensierita i due uccelli che si contendevano le ultime briciole, le arrivò alle narici un odore acido e sgradevole e Snotra si ritrovò a sobbalzare sgranando gli occhi nel vedere il rigurgito di latte che colava sulla sua spalla. Loki continua a fare le sue smorfiette simili a sorrisi.
«Oh, ti prego...» borbottò lei arricciando il naso. «Pensavo che fossimo amici e invece ti comporti da piccolo furfante».
Cercò di pulire alla meno peggio quel disastro, pensando all'imbarazzo di quando avrebbe dovuto incontrare la regina, poi tornò in sella e proseguì il suo viaggio.
Man mano che si allontanava dal cuore della città le strade si facevano più strette, meno trafficate e più polverose.
Il tramonto era già trascorso da un po'. Snotra arrivò a un bivio sul sentiero si fermò a fissare la biforcazione segnata tra l'erba, indecisa da quale parte andare.
I corvi gracchiarono con forza e fecero un rapido giro a mezz'aria. La fanciulla osservò un piccola piuma nera staccarsi del loro manto e volteggiare leggera nel vuoto prima di sparire, portata via da una folata di vento. I due uccelli le planarono a un palmo dal naso, facendo innervosire il cavallo che pesò nervosamente gli zoccoli contro il terreno, poi volarono verso destra continuando a gracchiare sempre più forte.
«Ho capito!» esclamò Snotra stizzita, battendo una mano sul collo del cavallo cercando di calmarlo. Quando l'animale smise di scuotere la testa e di pestare gli zoccoli, lei tirò gentilmente le briglie e lo guidò verso la diramazione del sentiero che proseguiva verso destra.

I due corvi continuarono a mostrare a Snotra la via, fino a condurla a una costruzione che si ergeva al centro di una radura. Come molti degli edifici di Asgard, aveva la facciata di metallo dorato, anche se il fatto che fosse immersa nella boscaglia rendeva quella superficie meno lucida. Era una grande palazzina, ma assai più bassa delle costruzioni che si ergevano in città e a differenza della città, il bosco non era affatto silenzioso, ma non c'era nulla di sgradevole nella sinfonia di suoni che quel luogo spandeva nell'aria, quel misto di foglie che frusciavano nel vento e frinire di grilli e versi lontani di rapaci notturni che cominciavano la loro caccia.
La fanciulla si sentì quasi in pace, fino a quando il bambino legato alla sella non cominciò ad agitarsi, ricordandole il motivo della sua presenza lì.
I corvi si appollaiarono sull'arcata del portone, dove la luce di una grande luna faceva scintillare i solchi delle rune incise sul metallo.
Snotra smontò di sella e lasciò il cavallo legato accanto a un albero. L'animale si mise placidamente a mangiare l'erba che cresceva nello spiazzo davanti alla palazzina.
«Benvenuto a casa, Loki» mormorò la giovane, prendendo tra le braccia il piccolo e dirigendosi spedita verso l'ingresso della costruzione.
Aprì il pesante portone e si ritrovò in un atrio buio, illuminato a malapena da un paio di vecchie lampade ad olio fissate alle pareti. Quella costruzione doveva essere antica, aveva anche l'odore delle cose antiche, come quello dei vecchi libri nella biblioteca della reggia, con il loro sentore dolciastro e quasi impercettibile.
I corvi entrarono da una finestra aperta e volarono in cerchio nell'atrio vuoto per poi lanciarsi in picchiata verso una scalinata che conduceva di sopra. Mentre saliva i gradini, Snotra si rese conto di quanto era spossata da quel viaggio, di come la stanchezza ora riusciva ad avere la meglio su qualsiasi pensiero. Non pensava più alla tremenda peculiarità della sua missione, né a tutto quanto concerneva il bambino che aveva tra le braccia, anche se sapeva, nel profondo, che il ricordo di quella notte non le avrebbe mai più permesso di dormire.
Il piccolo palazzo era deserto. La regina aveva scelto di ritirarsi davvero totalmente dal mondo e questo era un bene per i piani di Odino: in nessun'altra maniera si sarebbe potuto ingannare un intero regno sui natali di Loki.
Ingannare un intero regno...
Quelle parole avevano ripreso a farle eco nella mente, attraverso la nebbia della stanchezza.
Snotra cercò di dimenticarle o le sarebbe mancato il coraggio di continuare a camminare lungo quel corridoio per consegnare definitivamente quel bambino alla sua nuova famiglia.
Perché?
Strinse Loki un po' più forte a sé. Avrebbe potuto decidere di non fare come Odino aveva comandato, avrebbe potuto decidere di crescerlo lei quel bambino e crescerlo nella verità. Le menzogne generano solo problemi, lo aveva sempre saputo. Una menzogna di quella portata avrebbe generato disastri enormi...
Ma se avesse detto la verità sulle origini di Loki, probabilmente lo avrebbero ucciso – e forse avrebbero ucciso anche lei per insubordinazione, oppure l'avrebbero bandita, come prevedeva la legge per coloro che disobbedivano agli ordini diretti del re. E se anche non avessero ucciso Loki, lo aveva detto lei stessa: ad Asgard nessuno lo avrebbe mai accettato. Sarebbe stato condannato comunque all'infelicità, ad essere un reietto, a vivere in mezzo al popolo che aveva ucciso i suoi progenitori.
Snotra sentì il peso di tutte quelle riflessioni piegarle le gambe e si ritrovò a cadere con le spalle contro il muro come unico sostegno. Le pareti del corridoio vorticarono davanti ai suoi occhi e lei sentì solo il verso stridulo dei corvi di Odino che le martellava graffiante nelle orecchie. Per un attimo ebbe l'impressione che gli uccelli le stessero per volare addosso, forse le avrebbero cavato la lingua per costringerla per sempre al silenzio, forse le avrebbero strappato anche gli occhi per impedirle di scrivere la verità.
La verità...
Una verità pesante come il granito di cui era fatta la torre crollata del palazzo di Jotunheim. La vita e forse la felicità di Loki valevano la dannazione di una giovane anima? Valevano una tale menzogna?...
Snotra sentì qualcosa che le si posava sul viso, ma non era un artiglio di corvo, era una mano che le stava accarezzando la guancia. La fanciulla aprì gli occhi di colpo e vide il viso della regina chino su di lei.
«Stai bene, fanciulla?» le chiese.
Frigga aveva grandi occhi scuri, occhi di madre, toccati dalla dolcezza e dalla pietà.
Snotra sussultò, cercando di rimettersi in piedi e assumere un contegno adatto alla circostanza.
«Mia regina...» mormorò, al culmine dell'imbarazzo, accennando una riverenza.
«Siamo lontane dalla corte e siamo sole» disse Frigga in tono quasi divertito. «I convenevoli e le formalità non occorrono».
La regina tese le braccia per lasciare che Snotra le desse il bambino.
«Sapete già tutto, mia regina?» chiese la giovane, timidamente. Frigga annuì e, per quanto ne fosse curiosa, la ragazza pensò che il modo in cui Odino comunicava con sua moglie non la riguardasse affatto.
La regina guardava Loki già come una madre. Aveva sempre avuto cuore, o almeno questo era ciò che Snotra aveva capito dai racconti delle dame di corte, ma sembrava che dalla nascita del principe Thor la sua bontà e la sua dolcezza fossero aumentate. Forse è questo che fanno i figli ad una donna, pensò la fanciulla, la rendono migliore, la riempiono di bontà.
Un pianto di bambino squarciò il silenzio. La giovane alzò la testa di scatto, quasi turbata da quel suono.
Il pianto dei bambini piccoli avrebbero dovuto essere sempre uguale, o così Snotra aveva sempre pensato, ma quegli strilli non somigliavano affatto a quelli di Loki.
«Thor» sospirò la regina, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo ma un istante dopo il suo volto si atteggiò in un sorriso.
Snotra restò ferma in mezzo al corridoio, come imbambolata. Ovviamente Frigga poteva rinunciare a qualsiasi cosa in quel suo ritiro di preghiera, ma non poteva lasciare a palazzo un figlio tanto piccolo. La giovane ebbe l'impressione che la regina si trovasse lì anche per la sua stessa sicurezza e per quella del principe: se Asgard avesse perso la guerra, se la Patria Eterna fosse stata invasa e il palazzo violato, loro sarebbero stati fuori pericolo.
«Vieni pure» mormorò Frigga allontanandosi verso una grande porta celata da un drappo color porpora. «Non mi hai detto il tuo nome».
«Snotra, mia regina» si affrettò a dire la ragazza, seguendo la sovrana oltre la porta.
Si ritrovarono in una stanza dall'arredamento semplice ed essenziale: un letto, uno scrittoio, una cassapanca e, naturalmente una culla.
Frigga si sporse all'interno della culla e mormorò qualche parola dolce che fece calmare il pianto del bambino che riposava al suo interno. Poi fece cenno a Snotra di appoggiare Loki sul letto e armeggiò con qualcosa riposto nella cassapanca.
La regina porse alla fanciulla una minuscola veste da bambino e lei se la rigirò tra le mani un po' imbarazzata. Aveva avuto fratelli minori, ma c'era sempre stata qualche balia a prendersi cura di loro e lei non aveva idea di come si facesse indossare quella roba a un neonato.
Frigga sembrò comprendere la sua difficoltà e le tolse il piccolo indumento dalle mani.
«Guarda» le disse sorridendo. Ma non stava sorridendo a lei, stava sorridendo a Loki e Snotra ne fu sollevata.
Dei gesti lenti e delicati con cui la regina vestì il bambino Snotra non avrebbe ricordato molto, in quel momento era troppo presa dai suoi pensieri. Quando riemerse dalle sue riflessioni si rese solo conto del fatto che adesso Loki era avvolto in una casacca di velluto appena troppo grande per lui e che non aveva più niente che sembrasse sofferente.
Ormai è fatta...
Ormai tutto sembrava essere stabilito e non c'era modo di tornare indietro.
Snotra sentì il gelo venefico dell'angoscia salirle dallo stomaco alla testa mentre si chiedeva come sarebbe stato il futuro di quel bambino. Si accorse che non era più in grado di sopportare la vista di Loki e si voltò per non permettere alla regina di scorgere l'emozioni che le scorrevano sul viso. Si avvicinò alla culla sistemata a pochi passi dal letto e si sporse per osservare il bambino adagiato tra le lenzuola morbide.
Il principe Thor era un bel bambino, già grande per avere un anno di età, con un ciuffo di sottili capelli dorati come il grano maturo e due occhi azzurri uguali a quelli di suo padre. Le sorrise quando la vide china su di lui, scoprendo gengive rosa sulle quali stavano per spuntare i dentini.
Istintivamente, Snotra ricambiò quel sorriso e allungò una mano per accarezzare la guancia paffuta con la nocca del dito.
«Dovrebbero dormire» osservò Frigga. «E tu, mia giovane Snotra, dovresti mangiare qualcosa e riposare».
La ragazza sentiva lo stomaco chiuso, ma le parve scortese rifiutare l'invito della regina. Eppure quando si voltò verso di lei e la vide con Loki in braccio, pronta a metterlo nella culla accanto a Thor, le venne quasi l'impulso di strapparglielo via. Celò il pugno serrato per il nervosismo tra le pieghe della veste e respirò lentamente per un istante.
«Permettete, mia regina?» disse, tendendo le mani verso il bambino.
Frigga annuì,
«Certo. Lo hai portato tu qui, hai il diritto di salutarlo come credi».
Ci sarebbero stati giorni, in un futuro lontano, in cui Snotra avrebbe davvero desiderato che quel saluto dato a Loki quella notte fosse stato un addio.
La regina si allontanò e restò ad attendere la sua visitatrice sulla soglia della porta. La fanciulla adagiò il bambino nella culla, accanto a Thor che per un attimo fissò incuriosito quell'ospite inatteso prima che la sua bocca sdentata si aprisse in un sorriso infantile ed emettesse un pigolio che a Snotra piacque interpretare come una risata di contentezza.
«Sì, mio piccolo principe, hai un fratello, fai bene ad esserne contento» mormorò la giovane accarezzando con la punta del dito la manina paffuta di Thor che stropicciava l'orlo del lenzuolo. Poi si chinò a un palmo dal faccino di Loki, cercando di nuovo lo sguardo di quegli occhi dal colore indefinito.
«Stanotte ho sacrificato la verità e la mia anima per il tuo futuro, Loki. E ti giuro che farò tutto quanto è in mio potere perché questo futuro sia il più radioso che un individuo possa ottenere».
Il bambino fece uno sbadiglio e chiuse più volte gli occhi, come se volesse dormire, ma prima di addormentarsi gettò all'indietro la testa calva come a volersi tendere verso Snotra. Lei gli posò un bacio sulla fronte liscia e pallida poi se ne andò.


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Note:
La citazione a inizio capitolo è dal brano “Un matto”.
Per essere precisi, il titolo stesso della fanfiction è una citazione di De Andrè, dal brano “Smisurata preghiera”.
Lord Alcuin è pura improvvisazione (il nome l'ho spudoratamente copiato da “Il dardo e la rosa”).
Ho sempre pensato che ci fosse una spiegazione plausibile per il fatto che nessuno sapesse che Loki non era figlio naturale di Odino e Frigga, a meno che gli asgardiani residenti nel palazzo non pensassero che il secondogenito del re fosse stato portato dalla cicogna. Qui ho provato a dare una mia versione di come potevano essere andate le cose. Va da sé che la differenza di età tra Loki e Thor dovrebbe essere, a rigor di logica, abbastanza esigua per giustificare il fatto che nemmeno lui si sia mai chiesto da dove sia spuntato fuori il fratellino (va bene che nella versione filmica Thor non brilla per intelligenza, ma c'è un limite a tutto...).  
I corvi di Odino, il mito vuole che li mandasse in giro a osservare gli avvenimenti per poi farsi riferire. Qui mi piace immaginare che siano lì non tanto per “controllare” quanto per “vegliare” sul piccolo viaggio di Snotra.
   
 
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