Film > Sky High
Ricorda la storia  |      
Autore: E u r eka    21/08/2012    1 recensioni
Sani e salvi. Forse non lo erano mai stati. Sempre con un piede sul baratro o nella fossa, come piaceva dire a Warren, salvi ad ogni modo non lo sarebbero stati più. E sani, sempre secondo Warren, conveniva esserlo o non ci sarebbe stato di ché divertirsi nel tempo libero. Che era sempre troppo poco.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
sani

 

 

Sani e salvi

 

 

 

 

Dicono che i sogni abbiano sempre un fondo di verità, che dietro le immagini sfilacciate e nebulose dei nostri sonni più agitati si nascondano le parole segrete dei desideri inconfessati. In somnis veritas. La fragilità mera e scomposta di un cuore fragile perché giovane, inesperto, pieno di speranze da diluire col tempo nella realtà stinta e fin troppo scialba a volte.

Layla non credeva in quelle sciocchezze o se lo faceva fingeva bene il contrario. Se fosse stato vero quel che si diceva, avrebbe forse avuto di ché preoccuparsi. C’era, infatti, qualcosa di biasimevole probabilmente nel sogno che la vedeva portavoce di tutti i Popoli e le Nazioni, in qualità di novella Madre Natura. In quello e nel fatto che fosse adorata e venerata come una sorta di dea, ma soprattutto in quanto solitamente seguiva quel primo: occhi neri e mani di fuoco a scorrerle la pelle come se volessero togliergliela, privarla di un orpello inutile e troppo sensibile alle lusinghe di una minaccia che era anche attrazione assieme. Bruciare viva. Ardere e splendere. Sarebbe davvero stato così orribile?

Si poteva avere paura del fuoco e al contempo desiderarlo come l’aria?

Si poteva amare ciò che sarebbe stato meglio, naturale temere invece? Quello che solo volendo avrebbe potuto distruggerla, riducendola in cenere e brandelli vaporosi di nulla? Che compariva ogni notte con un vibrare sommesso in petto e poi scoloriva al risveglio, nell’ultimo bagliore dell’illusione? Lacrime incredule e uno stropicciarsi d’occhi assonnato e smarrito, un torpore che riusciva a blandire a malapena il vuoto e la solitudine, la verità schiacciante di una bugia indisciplinata.   

Si poteva amare il proprio nemico giurato? Forze contrarie e avverse, ma bilanciate. Cadere nell’errore più comune e peggio, perfino banale, ma col sorriso sulle labbra e gli occhi ridenti di chi pecca con piacere?

Sì, diceva ogni mattina al suo riflesso nello specchio. Mille e uno volte sì. Sempre e per sempre, .


***

 

Era successo tutto perché erano vivi.

Detto così suonava ingenuo, da sciocchi, ma era la verità. E la verità spesso è fatta di banalità, particolari che presi singolarmente appaiono come delle sciocchezze, ma riuniti finiscono inevitabilmente col sembrare tanto più complessi invece. È ciò che rende la vita meravigliosa: il fatto che oltre ad essere imprevedibile sia impossibile contenerla in una parola. Complicata, estemporanea, da scoprire poco alla volta.

Era successo tutto perché erano vivi.

Appena una settimana prima c’era stato un attacco in periferia e quel giorno ce n’era stato uno nuovo: un altro supercattivo spuntato fuori dal nulla. Erano come funghi quelli, velenosi e nocivi. Non importava quante volte si vincesse contro di loro; tornavano, tornavano sempre. Nella norma, aveva perciò pensato Layla con esagerata leggerezza. Si era autoimposta alla calma, aveva finito in fretta di farsi la treccia, posato il telefonino sulla mensola dei libri ed era uscita, salutando sua madre con un bacio veloce. Vado e torno, aveva detto. L’abbraccio frettoloso di sua madre era stato appena più vigoroso del solito, ma al momento non ci aveva fatto caso. Aveva letto la preoccupazione nel suo sguardo forse? O era stato solo istinto il suo? Eppure era sembrato davvero tutto come al solito. Arrivata al punto sotto attacco, però, nell’epicentro dello scontro, con gli alberi sradicati e con crepe nelle strade asfaltate profonde quanto faglie in scala, la vista di Will nella sua tuta in pelle più simile a poliestere, il solito sorriso spavaldo che le vittorie gli avevano lasciato in regalo nel tempo e il pugno già pronto  a calare, non era riuscita a placare quella strana sensazione d’inquietudine che le si era annidata dentro. Nello schieramento a falange, spalle dietro e supereroi davanti, in prima linea lei, Will e Warren erano un triangolo di forze bilanciate, pur se diseguali. Alla base c’era la fiducia reciproca, la comprensione, la sicurezza che a guardarsi la schiena ci fossero due paia d’occhi in più, di potersi appoggiare completamente l’uno agli altri e viceversa. Un treppiedi, ecco cos’erano.

Ad ogni modo, comunque, qualcosa era andato storto quella volta. Disattenzione, un attimo di momentanea distrazione. Era bastato questo. Il braccio del congegno del supercattivo, un gigante di ferro alto quattro metri per tre, era apparso all’improvviso e le era piombato addosso di botto mentre lei cercava di raggiungere Will per metterlo in guardia da un altro che era ad appena pochi metri di distanza. A pensarci ora le veniva da ridere. Perché se fosse stato Will ad essere colpito, non sarebbe successo niente, proprio un bel niente. Will era come fatto di metallo. E al metallo, si sa, il metallo non fa un baffo. Ma un fiore, un misero filo d’erba, anche un chicco di grandine un po’ più grande riuscirebbe a piegarlo.

L’impatto le aveva tolto il respiro. Aveva sentito le costole incrinarsi sotto il colpo mostruosamente forte e inatteso, il sapore del sangue riempirle la bocca. Bianco e rosso e poi sprazzi di nero ad accecarla.

Non aveva osservato la colonna di fuoco che subito era comparsa dal nulla e l’aveva divisa dal robot, che l’aveva protetta come una barriera. Non aveva visto l’espressione colpevole di Will aldilà della cascata di fiamme, il suo smarrimento, la sua paura. C’era stata solo rabbia e un urlo che, se possibile, le era sembrato quasi più arrabbiato del suo, tacitato dal dolore, e che le aveva riempito la testa snebbiandogliela un poco. Solo che lei era arrabbiata con se stessa, della propria stupidità. Lui per cosa poteva esserlo?

Sani e salvi. Lo erano sempre stati fino a quel momento.

Finché non si è a un passo dal perdere qualcosa, non si riesce ad apprezzarne il valore.

Ora ci credeva. Proteggere la città era stato una specie di gioco fino a quel momento, un gioco pericoloso, certo, visto come un lavoro part-time che toglieva loro ore buche da riempire altrimenti con lunghe passeggiate al parco, film al cinema o uscite da persone normali, da ragazzi quali erano in effetti. Non era un gioco, non nell’accezione più comune del termine perlomeno, ma era come se lo fosse. Non si era mai preoccupata prima di non tornare. Uscendo di casa, chiudendo la porta verde dietro di sé, non aveva mai pensato che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta che vedeva le aiuole davanti al portico, o l’orto sul retro, o che passava di fianco al cedro che aveva piantato nel vialetto a quattro anni.

Non si era mai preoccupata di non tornare. C’era stata la paura in passato, ma era stato qualcosa di così comune e banale. Si aveva paura di tante cose per turbarsene ogni volta: di un compito in classe ad esempio, di un’interrogazione, paura dell’altezza prima che Will le mostrasse quanto bello potesse essere il cielo visto nel cielo, della fame nel Mondo o per una specie in via d’estinzione. Non aveva mai avuto paura di morire. 

Era una novità. Ed era orribile. Peggio. Era come morire prima di morire.

Qualcuno la sollevò da terra e quando la prese in braccio, fece così male che un grido le rimbombò nelle orecchie. Non capì se fosse stata lei a produrlo. Sapeva solo che faceva male, malissimo. Non respirava. Sputò del sangue e sentì imprecare attorno a lei. – Calma, - soffiò una voce, così vicina da sovrastare qualsiasi altro rumore, anche il pulsare impazzito del sangue nelle orecchie, mettere a tacere di poco il dolore. – Sta’ calma, hippie. Ora ti portiamo al sicuro. L’ospedale è dietro l’angolo. –

Layla voleva annuire, voleva sentirlo ridacchiare e minimizzare, fare il gradasso come al solito e che le dicesse che era una fortuna che avessero attaccato proprio quella parte della città, quella che aveva il Maxville Hospital ad appena due isolati, ma boccheggiò. La sua testa ricadde ciondolante contro la spalla che la sorreggeva e svenne.  


***


Si risvegliò e fu proprio come riemergere da uno dei sogni pesanti che le capitava di fare a volte, che la lasciavano completamente spossata e con un vago senso di nausea. Attorno a lei tutto era bianco: le lenzuola di cotone ruvide, le pareti, la luce filtrata dalle veneziane, i pochi mobili e la camicia d’ospedale che indossava sopra le bende. Perfino il cielo oltre il vetro della finestra squadrata era bianco, coperto di nuvole a pecorelle simili a grappoli d’uva. Non era sola e nell’accorgersene, trovarsi la mano stretta in quella di sua madre, sorrise debolmente. Lei dormiva, il volto pallido e segnato in mezzo a tutto quel chiarore asettico, i capelli più arancioni che mai. Indossava una salopette sporca di terra. Probabilmente si trovava nella serra a lavorare quando l’avevano avvertita. Era corsa lì, senza cambiarsi, magari pensando di trovarla morta o in fin di vita e… Layla ansimò e si ritrovò a fare i conti con ciò che era successo. Nonostante la fasciatura e le garze, la testa ronzante e leggera, vaporosa per via dei medicinali, sentiva un dolore sordo che non aveva nulla a ché vedere con le ferite fisiche. Gli occhi e la gola bruciavano, ma non abbastanza. Non era abbastanza.

Faceva male, ma non abbastanza da tramortirla o renderla poco lucida.

Pianse e quando sua madre si svegliò, piansero entrambe, l’una abbracciata all’altra, incuranti del fatto che le ferite avrebbero potuto riaprirsi: rabbia e sollievo allora, qualcosa di simile alla mancanza di non sapeva neppure lei bene cosa, spazzarono via il resto.


***


Will comparve sulla soglia della sua camera tre giorni dopo. Strascicava i piedi ed aveva lo sguardo basso, le occhiaie e un brutto colorito. Sul momento Layla pensò di scherzare sul fatto che tra loro due fosse difficile stabilire chi fosse messo peggio, ma poi Will alzò gli occhi dal pavimento e le parole le morirono sulle labbra.

- Non è nulla, - si ritrovò a dire, ma contro di lei la voce le uscì velata e seppur ferma ancora troppo debole per risultare convincente. Will fece un passo in avanti. – Non è vero che non è nulla, - replicò con severità, - e tu lo sai. – Evitava di guardarla apertamente, preferendo fissarsi le scarpe da ginnastica.

- Sì, okay. – Layla sollevò le mani in segno di resa. – Forse non è proprio nulla, ma comunque non è grave come sembra. Vedi? – Mosse le braccia come per persuaderlo a darle ragione. – Sto davvero bene. Cioè meglio. Volevo dire meglio, sì. Non fa neppure più male. –

Lui sospirò e si lasciò cadere di fianco al letto, sulla sedia vuota. Dopo mille insistenze e la minaccia vuota di ritorsioni future, alla fine era riuscita a convincere sua madre a tornare a casa per riposare, dopo giorni di veglie trascorsi al suo capezzale. Ora tutta la fatica immane fatta le sembrava nulla in confronto ai grandi occhioni feriti del suo migliore amico. Lì c’era qualcosa di più da ricucire di un cuore preoccupato a morte. C’era un senso di colpa da spazzare via. Qualcuno aveva commesso un errore. Un errore che l’aveva quasi uccisa. A Will, responsabile o meno, non sarebbe bastato dire che non era stata sua la colpa, che non c’era stato niente di sbagliato in quel che aveva fatto, che se c’era da biasimare qualcuno, quella persona era solo lei e la sua incapacità di riuscire a non preoccuparsi per loro. O meglio a non preoccuparsi abbastanza di se stessa.

- Mi dispiace. – Fu un sussurro sospirato simultaneamente quello che seguì e dopo un attimo teso e circospetto si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. Lo sguardo di Will si fece meno distante e serio. Le prese la mano con la flebo e gliela strinse piano, con una delicatezza che rischiò di commuoverla. – Non mi hai portato nulla, - notò Layla dolcemente, sentendosi d’un tratto meno sola. Non erano stati giorni esattamente felici quelli precedenti. Il dolore fisico e quello mentale, gli strascichi di spavento e gli incubi non le avevano dato tregua. Ora però la stanchezza era qualcosa di greve che pesava sulle spalle e sulle palpebre, ma senza insistenza. – Beh, - fece lui, si portò l’altra mano dietro al collo, in imbarazzo. – So che la cioccolata non ti piace e i fiori… sbaglio o l’ultima volta che ho provato a regalartene uno, mi hai detto che era disumano strappare una pianta al suo habitat naturale solo per far piacere a qualcuno? –

- Le mie parole esatte furono uccidere, - lo riprese bonariamente. – E non è vero che la cioccolata non mi piace. Sono solo contraria all’uso smodato che se ne fa in quella bislacca festa commerciale che è San Valentino. –

Quello sembrò strappare un sorriso a Will. – Se cerchi di convertirmi al movimento ecologista, allora significa che stai davvero meglio. –

- Non necessariamente, - intervenne una voce dalla porta e nell’ascoltarla, Layla dovette sforzarsi per non voltarsi di scatto ad osservare il proprietario. Un male diverso si affacciava ora, familiare eppure nuovo. La mano le tremò un poco e Will, che la teneva ancora, le lanciò un’occhiata sbalordita.

– D’altronde sarebbe capace di delirare di energia rinnovabile e green economy anche col suo ultimo respiro, non è così, hippie? – Il vecchio nomignolo suonava stranamente questa volta e anche la domanda retorica dava un segnale, come di allarme, per metterla in guardia. C’era qualcosa di diverso e vago negli occhi di Warren, qualcosa che lei, girandosi a guardare, si ritrovò a cercare di scoprire. Il fatto di sentirsi a propria volta esaminata e messa a nudo non serviva a diminuire il disagio. Tutt’altro. Non era rabbia, né dispiacere o preoccupazione, quindi, piuttosto una luce simile all’avversione. Ostili e risentiti, erano in tutto e per tutto simili agli occhi del ragazzo che anni prima le aveva quasi bruciacchiato la mano sulle scale del cortile della Sky High.   

Deglutì senza poterselo evitare. Distolsero lo sguardo insieme e Will, che li aveva osservarti sgranando la bocca, si affrettò a richiuderla, mantenendo però un’espressione intontita che in un’altra occasione li avrebbe fatti scoppiare a ridere tutti e tre.

Warren si posizionò all’altro lato del letto, sedendosi sul bracciolo della poltrona bitorzoluta che campeggiava vicino alla finestra. Layla aveva gli occhi socchiusi e si guardava le mani con una fissità ridicola, rigirandosele come se non le avesse mai viste prima e non sapesse bene che farci, come impegnarle. Warren si scompigliò i capelli con una smorfia. – Certo che dai grattacapi pure da malata tu, eh? Dimmi a quale persona normale non si possono portare né fiori né dolci perché considerati atti di cannibalismo o peggio. –

Layla alzò di scatto la testa, sul volto una muta protesta a quell’accusa ingiusta, mentre quella di Will invece si chinava in tutta fretta, sussultando un poco per le risate mal trattenute. Lei non ebbe il tempo di lamentarsi però, perché Warren le fece cadere in grembo un pacchetto di biscotti all’anice.

I suoi preferiti.

Ammutolita, cincischiò il fiocco verde che legava la confezione e farfugliò un ringraziamento. Warren sembrò sentirlo a malapena. Sprigionava lingue di fuoco sui polpastrelli e poi ci soffiava sopra. Sembrava un bambino con quell’espressione svagata di sorpresa ed ogni fiammella era una candela di compleanno da spegnere. Esprimi un desiderio. 

Lui sollevò gli occhi e la trovò in flagrante mentre era intenta a guardarlo. Nessuno dei due sembrò intenzionato a scostare lo sguardo. Dopo un lasso di tempo che le parve impossibile da quantificare, il discreto tossicchiare di Will servì a riportarla alla realtà. Aprì la bocca, probabilmente con una scusa per andarsene già pronta sulla punta della lingua, ma Layla lo prevenne. – Avete intenzione di farmi fuori dal gruppo? – chiese a mezza voce.

Quel pensiero l’aveva assillata per giorni ed esprimerlo in quel momento richiese una dose massiccia di coraggio. Con la coda dell’occhio li vide scambiarsi un’occhiata, prima che Will protestasse con un “Certo che no” troppo accorato per risultare credibile. Lei strinse il lenzuolo fino a far sbiancare le nocche.

- È inutile che ci giriamo attorno ed è inutile mentire, - intervenne inaspettatamente Warren dopo una pausa che pesò come piombo nella stanza. - È quello che ti meriteresti e lo sappiamo tutti qui dentro, perciò smettiamola di fare gli ipocriti. –

- Quello che… mi meriterei? – fece eco lei. Il volto di Warren era una maschera d’irritazione. – Sì, hai capito bene, quello che ti meriteresti, - confermò brusco, come se una volta non fosse stata abbastanza crudele da sola, non fosse stata sufficiente.

- Warren, - lo richiamò Will in tono d’ammonimento, ma Warren masticò un’imprecazione e gli si ritorse contro. – Diciamo le cose come stanno, Stronghold! Figlia dei fiori non è adatta ai combattimenti corpo a corpo più di quanto non lo sia una formica, - la indicò usando il braccio come una sferzata. - Questa volta ci è andata bene, ma la prossima? Chi vuole averla sulla coscienza? Di certo non io. –

- Non ci sarà una prossima volta, - affermò Layla.

- Come? – disse Warren girandosi a squadrarla e c’era una nota di cattiveria nella sua voce. – Come, esattamente, non intendi essere un peso? Farai la bua ai cattivi con la forza del pensiero? Li tramortirai a suon di proteste e paroline gentili? Tè e pasticcini? Finora non ci è scappato il morto. Vediamo di non giocarci la sorte. E te lo dico ora, davanti a lei: se resta, io mi tiro fuori. –

- Ora stai esagerando, - lo avvertì Will con insolita durezza. – Non andare oltre. –

Warren lo considerò con disprezzo. – Se davvero tieni a lei come dici, dovresti dirle le cose come stanno, una volta per tutte. Pensi che tenerla sotto una campana di vetro serva a qualcosa? Ecco dove ci ha portato. La tua campana si è rotta e lei è quasi morta! –

- Credi che non lo sappia forse, ma cosa posso fare? Noi abbiamo bisogno di lei! Il gruppo ha bisogno di lei! –

- Dì piuttosto che tu hai bisogno di lei. E questo è il valore che dai alla sua vita? Dipendere da lei, saperla vicina e in costante pericolo è più importante del saperla al sicuro anche se lontana? –

Layla taceva, pallida e rigida nel lettino. Warren, accorgendosene, serrò gli occhi e storse la bocca.

- Parliamone fuori, – ordinò in tono sbrigativo a Will, ma lui non lo sentì, accecato com’era dalla piega che aveva preso la conversazione. La preoccupazione si era trasformata in un rinfacciarsi d’opinioni divergenti. Era come osservare una partita di ping pong, pensò Layla, senza esclusioni di colpi, fossero anche obliqui o a tradimento. 

- Tu non la conosci come la conosco io! Non sai di cosa ha bisogno, cosa vuole! – rinfacciò Will. Aveva i pugni serrati e le braccia stese lungo i fianchi.

- A quanto pare neppure tu se sei davvero convinto che ciò che vuole sia essere ammazzata, – replicò Warren. Layla trasalì, non riuscì ad impedirselo, e così pure Will, che ammutolì. Lui e Warren si contesero con lo sguardo per qualche istante, foschi in volto e rabbuiati, i corpi allungati e intimidatori a formare un arco incombente sopra di lei. Infine Warren sospirò e dopo pochi secondi si passò il dorso della mano sulla faccia, ritraendosi. Appariva stravolto, come se tutta l’energia gli fosse stata prosciugata di colpo, lasciandolo quindi privo e disarmato.

– Scusa, - borbottò di malavoglia a nessuno in particolare, con fare snervato. - Comunque non è questo il punto, non lo è mai stato. Non stiamo mettendo in discussione che voglia far parte del gruppo, né che voglia partecipare, ma cosa sia più giusto per lei. Distingui tra le due cose. Non è ciò che sa fare, ma ciò che può fare. Capisci la differenza? Riesci a vederla? Questo, - allargò le braccia come se avesse voluto racchiudervi il mondo intero all’interno, confinare ogni pericolo o nemico affrontato fino a quel momento, - tutto questo finirà con il distruggerla, te ne rendi conto? –

- Non finché ci sarò io! Non permetterò che le succeda nulla di male! –

- Molto… eroico da parte tua, - Warren esitò con evidente scherno e ogni parola suonò simile a una presa in giro, - ma dov’eri allora quando è stata colpita? Sono cose che non puoi prevedere queste! –

Will inspirò a fondo. - Non puoi neppure tu, - ribatté subito con uguale forza. - Ed essere messa da parte non la farà felice. Non adesso soprattutto, non dopo quello che è successo. –

- Ma sarà viva, dannazione! Sarà viva… -

Fu quella parola. Quell’unica, piccola preziosa parola. Un’unica parola e il minuscolo lampo che aveva attraversato il volto di Warren nel pronunciarla. Layla ebbe un tuffo al cuore e le mille cose che aveva provato le crollarono addosso di schianto, di nuovo.   

- È stato così terribile? –

Gli sguardi di entrambi si spostarono su di lei e la attraversarono come se fosse fatta di fumo e aria, mero fantasma tornato a perseguitarli. Poi la misero a fuoco, prendendo atto di colpo di quanto avevano detto e di averlo fatto proprio davanti a lei, dimentichi che potesse sentirli. Le loro espressioni comunicavano un uguale rammarico, ma anche risoluzione. Determinazione a farla fuori se necessario o peggio: a soffocarla di attenzioni e premure, asfissiarla con il loro desiderio feroce di proteggerla. Il cipiglio di Layla si approfondì. – Le mie ferite stanno guarendo e io… - si passò una mano tra i capelli, improvvisamente smarrita, scoprendoli sfibrati al tatto. – Non ricordo molto, - concluse e riprese fiato come dopo una lunga apnea. – Mi hanno detto che sono stata portata a braccio e che ero grave, ma non tanto da rischiare la vita. Sono svenuta perché il dolore era troppo forte e… voi c’eravate. Io non ricordo… non… - si zittì e li guardò in cerca di conferme.

Fu Warren a risponderle. - Non ti hanno mentito, - pronunciò con lentezza, quasi ricordare gli costasse una certa fatica. - È vero, non stavi morendo, ma… - corrugò le sopracciglia, - eri ricoperta di sangue ed eri fredda come un pezzo di ghiaccio. Quando sei svenuta, ho pensato, abbiamo tutti pensato che fossi davvero morta. –

Lei cercò di riportare alla memoria quei momenti, ma nella sua mente c’era solo buio, anche se caldo e rassicurante. - Io non avevo freddo, – disse dubbiosa, prima di riuscire ad evitarselo.

Warren annuì. - Ho provato a riscaldarti e sembra aver funzionato. È la prima cosa che si impara. L’ipotermia è una conseguenza della perdita eccessiva di sangue. Ho solo cercato di far fruttare le lezioni in Accademia. –

- Pensavo che quelle fossero per le spalle. –

- Mia madre è un’infermiera, - Warren scrollò la testa con semplicità. - Praticamente sono cresciuto in un Pronto Soccorso. –

Will, che era rimasto zitto durante quell’ultimo scambio, scelse quel momento per alzarsi. Lei gli gettò un’occhiata avvilita. - Will, io… - cominciò, ma lui la bloccò sul nascere, abbozzando un sorriso debole.

- Lascia stare, Layla. Non importa. Tu pensa a guarire ché al resto ci pensiamo noi. Ci vediamo domani, d’accordo? Torno a trovarti in mattinata, promesso. E con dei cioccolatini di contrabbando stavolta. –

Lei annuì e Will si sporse per salutarla con un bacio sulla guancia. 

- A domani, – bisbigliò Layla.

- Ciao, - rispose Will con un’ultima carezza sulla testa. Agitò la mano in saluto, fece un cenno verso Warren, a cui lui rispose di rimando con un secco movimento del capo, poi uscì. Warren rimase per un pezzo ad osservare la porta, anche dopo che era scomparso.

- Gli passerà. Non è davvero arrabbiato, – disse Layla per consolarlo.

Com’era da prevedersi visto il soggetto in questione, Warren non si lasciò incantare. - E fa male, - si girò a misurarla a muso duro. - Io lo sarei, lo sono, – si corresse.

Layla fece un’aria stupita. - Sei arrabbiato con me? –

- Sono arrabbiato per te. – Warren alzò gli occhi al cielo, spazientito. - Quello che è successo non sarebbe mai dovuto succedere. Non a te. –

Quell’ammissione la colse di sorpresa quasi più del resto. Non era arrabbiato con lei perché si era fatta cogliere di sorpresa, ma per il solo fatto che fosse stata ferita. Capire quello le tolse un peso dal petto.

- Warren… - lo richiamò. Nel frattempo lui si era avvicinato alla finestra e aveva spostato le veneziane per gettare uno sguardo attento attorno, sulla strada in basso e sugli edifici dei caseggiati limitrofi, per accertarsi della reale sicurezza del luogo in una pratica che denotava una competenza ormai dovuta all’abitudine. Su quelle stesse strade devastate in cui appena pochi giorni prima avevano combattuto, su cui lei era stata colpita. Persa in quei ricordi cupi, si accorse a stento che Warren avesse preso a fissarla, in attesa.

- Se prometto di diventare più forte, mi permetterete di rimanere nel gruppo? – domandò d’impulso.

L’aveva fatto arrabbiare di nuovo. Se ne accorse, anche se lui cercò di dissimulare, dal modo in cui irrigidì la schiena e tirò indietro le spalle, dall’impercettibile fremere delle narici e dalla ruga che gli tagliò in due la fronte. Si ficcò le mani nelle tasche e lei vide che le stringeva a pugni.

- Vedi come sei? – l’aggredì con veemenza. - Fai la stupida crocerossina. Le persone come te non sono fatte per la battaglia, non sono fatte per combattere. Ci sono alcuni che sembrano nati apposta, altri che semplicemente non lo sono. Tu sei così. Sei una pacifista, hippie. Fa parte di quel che sei e nessuno qui vuole cambiarti. Non ti cambieremmo neanche un capello. –

Layla si ritrovò ad arrossire e si affrettò a nascondere il sorriso che le era spuntato come una colpa, abbassando il mento.

- Quando uscirò di qui, sai… quando sarò guarita, - mugugnò, guardando ovunque tranne che lui, - noi due potremmo uscire. –

- Cosa? – A giudicare dal tono appariva spiazzato. Non avendo altra scelta se non di accertarsene di persona, sollevò gli occhi e si accorse che più che perplesso Warren la stesse esaminando con un’aria sconvolta, quasi le fosse spuntata una seconda testa sul collo o un paio di corna. Qualcosa nella sua espressione pareva perfino allarmata. Suo malgrado, questo le diede il coraggio per proseguire: - Una volta fuori potremmo uscire qualche volta, io e te insieme. Per un appuntamento, se ti va. –

Ora era il turno di Warren a deragliare l’attenzione lontana da lei e sembrava d’un tratto deciso a non rivolgerle lo sguardo. - Non credo che sia una buona idea, – disse alla fine.

- Perché? – si sforzò di chiedere lei.

- E Stronghold? Spezzargli il cuore rientra tra i propositi dell’anno? Dopo l’infarto di due giorni fa è un obiettivo fattibile in effetti. – Il ghigno e l’ironia suonavano false, fiacche. 

- Will non mi ama, – dichiarò calma, al ché lui scrollò le spalle, non dando mostra di voler prendere sul serio quanto avesse appena detto. - Sciocchezze, -  replicò. - Tutti ti amano, hippie. –

L’aveva detto con tale ferma convinzione che lei non seppe cosa rispondergli. - Sei la prima persona che è venuta a trovarmi, – disse Layla a mo’ di spiegazione, quasi quello potesse risolvere ogni cosa e raccontare quanto non era capace di dirgli, a parole come nei fatti.

- La seconda, – specificò lui con un gesto vago verso la porta.

Sei l’unico che desideravo vedere però.

Non si accorse di aver espresso a voce alta quel pensiero finché non lo sentì sospirare. Lo sguardo che le rivolse, inquieto nella fermezza e ugualmente tenebroso, le spezzò il respiro, facendole schizzare il cuore in gola.

- Devo andare, Layla. –

Si avvicinò al letto, ma sembrò esitare sul da farsi. Scrollò la testa e si sporse per posarle un bacio sulla fronte. Fu un contatto breve e leggero, come quello che era stato il bacio di Will, ma a differenza dell’altro questo bruciò sulla pelle e bastò a riempirle gli occhi di lacrime. Davvero, stava diventando troppo emotiva, dannazione! Li chiuse, sperando che lui non se ne fosse accorto, e in silenzio lottò contro se stessa, contro il laccio di emozioni e quel garbuglio simile a un grumo che non andava giù, non si decideva a scomparire. Fu dopo che fu uscito che se ne accorse. Per la prima volta Warren l’aveva chiamata senza appellativi o vezzeggiativi di sorta. Solo con il suo nome.         

***

 

L’interno de La Lanterna di Carta era caldo e accogliente. Servivano a ricreare un ambiente piacevole le pareti rivestite da pannelli in legno di noce, i tavoli rettangolari e le sedie a muro, simili a comodi divanetti di cuoio rosso, l’odore sottile d’incenso nella sala, mischiato a quello penetrante di fritto, verdure e brodo delle vivande. Era come una seconda casa per lei, ospitale e confortevole. Ne conosceva ogni angolo e anfratto, ogni sfumatura e fragranza. Avrebbe potuto camminare bendata o ad occhi chiusi tra i tavoli, orientarsi a piedi nudi sulle piastrelle di terracotta, addormentarsi col frastuono del pentolame e il chiacchiericcio dei clienti, delle secche disposizioni impartite in mandarino e dei frusci di carta colorata, il rumore dei biscotti della fortuna spezzati, delle bacchette che tintinnavano contro la porcellana delle ciotole. E tanto altro e tanto altro ancora.

Layla si sedette ad un tavolo laterale, incassando la testa tra le spalle. Prese il menu di plastica rigida con le traslitterazioni in mandarino a margine, senza neppure darsi la pena di leggerlo. Se lo mise davanti al viso e cercò di sbirciare oltre, in direzione delle cucine. Al lucido bancone nero c’era la proprietaria, la signora Wing, che abbaiava le ordinazioni al cuoco e si occupava come di consueto del registratore di cassa. Lei aveva sempre pensato che assomigliasse a una tartaruga. Piccola, tenace e rugosa, le sue dita scorrevano spedite sui pulsanti della cassa, un vecchio tipo sferragliante con bottoncini di rame e una levetta da abbassare, mentre prendeva e restituiva i soldi del conto. Al collo portava una catenella d’oro e c’era chi diceva che a quella fossero appese le chiavi del locale, altri che giuravano fossero zanne di un qualche animale leggendario trovato sui banchi del mercato nero: scaglie di dragone o artigli di fenice che donavano l’immortalità. Lei conosceva la storia, quella vera, non le fantasie di mille avventori dalle menti macchinose. Erano fedi quelle che si teneva vicine al cuore. La storia della signora Wing era infatti di quelle tristi che si leggono solo nei libri, specie se ambientate nei sobborghi malfamati di Londra e se hanno per autore Dickens.

Layla si perse nelle sue fantasticherie per un po’, ma come da lontano le giunse la voce di Warren e bastò a farla ritornare in sé.

Stava prendendo le ordinazioni ad una coppietta ed era di spalle. Improvvisamente impaziente, Layla rimase immobile a fissarlo di nascosto, sapendo di essere ridicola, ma non sentendosi in grado di fare diversamente. Come accorgendosi di essere osservato, a un tratto lui smise di trascrivere gli ordini sul taccuino e si voltò verso la sua parte. Ci fu un attimo di esitazione, poi assottigliò gli occhi e le fece un brusco cenno di saluto. Finì di scrivere, portò l’ordine alla signora Wing, che gli sbraitò qualcosa a cui lui rispose genericamente e in tutto questo era stato talmente veloce che quando tornò, lei si era a stento rituffata dietro il menù.

Ebbe appena il tempo di risollevare la testa che se lo ritrovò ad un palmo dalla faccia. Sussultò e si morse le labbra, punta sul vivo per essere stata colta di sorpresa. Warren aveva i capelli legati e un accenno di barba, il grembiule scuro della divisa sui jeans e le maniche della maglietta rimboccate sugli avambracci. In generale oltre alle occhiaie sfoggiava l’aspetto un po’ trasandato di chi ha troppo poco tempo per indulgere in cose del genere “spazzola e rasoio”. – Che ci fai qui? – l’apostrofò con malagrazia.

Layla deglutì a vuoto e imbastì un sorriso di circostanza. – Sono venuta a festeggiare! – annunciò in tono squillante. Alcuni avventori si girarono a guardarli, compresa la coppietta di poco prima, ma Warren sembrò non farci caso. – Cosa? – chiese, esitando appena. Lei ne approfittò per provare a tranquillizzarsi.

- Mi hanno dimessa, – lo informò quasi casualmente. Gli occhi di entrambi corsero d’impulso al busto, lì dove c’erano le ferite in via di guarigione. Al di sotto del bordo dell’accollata t-shirt s’intravedeva una striscia di tessuto che solo un occhio allenato avrebbe intuito essere parte di un bendaggio più complesso. 

Warren la guardò in silenzio per un po’, indugiando più del dovuto sulla scritta giallo fluorescente “YOU SAY I’M LAZY. I SAY I’M ON ENERGY-SAVING MODE”. – Vedo, - mormorò infine. Layla arrossì, proprio mentre lui si voltava indietro, interpellato. – Devo tornare al lavoro. –

Layla annuì, ma vedendolo allontanarsi lo richiamò. – A che ora finisci? –

Warren sembrò infastidito più che indeciso sul risponderle o meno. – Oggi faccio orario completo. -

- Il turno di dodici ore? – domandò lei per sicurezza, sporgendosi in avanti.

- Sì. –

- Non importa, - Layla gli rivolse un sorriso abbagliante e per un lungo istante tutti nella sala ebbero l’impressione che l’aria profumasse e fosse più luminosa, la luce delle lanterne e delle candele più intensa. Ma fu appunto un attimo. Durò giusto il tempo di un’illusione, o di un gioco di prestigio. Quello necessario per dare la speranza che non finisse mai. – Aspetterò qui, - concluse e tornò ad appoggiarsi contro lo schienale imbottito, rimettendo mano al menù con un’aria concentrata.

Più tardi l’atmosfera divenne di nuovo insolitamente calda quando lui ritornò e senza che lo avesse chiesto, le servì un’insalata di cetrioli, delle arachidi sbucciate e una ciotola di riso. – Per l’attesa, - grugnì Warren e finse di non sentire la risata che lei gli riservò in regalo.  

Non fu una serata lunga o spiacevole quella per gli avventori de La Lanterna di Carta, ma insolitamente brillante e con l’aria che pareva ribollire assieme alle fiammelle delle candele al gelsomino, nei centritavola di foglie e fiori non più secchi e di un verde che non era mai parso più vivido. 


***


Layla guardava nervosamente alle sue spalle, nella vetrata della porta d’accesso del locale. Era un gesto inutile dal momento che il vetro era opaco e non permetteva di vedere l’interno, ma si sentiva a disagio e sulle spine e farlo le dava l’impressione di esorcizzare la paura in qualche modo. Per di più non sapeva come occupare il tempo mentre aspettava Warren. Si rigirava il giubbotto tra le mani ormai da tanto che lo aveva tutto stropicciato e intanto cercava anche di ricordarsi di inspirare normalmente. Pochi minuti prima lui le aveva fatto capire di aver finito e quando era andato a cambiarsi, si era avviata fuori. Aveva sperato che l’aria fresca della sera ormai inoltrata, tersa e luccicante di stelle sopra i palazzi e i grattacieli, sarebbe servita a calmarla un poco, ma si sentiva ancora un fascio di nervi. Pronta a scattare al minimo suono. Qualcosa di morbido le strusciò contro le gambe e lei trasalì. Guardò in basso, allarmata, e un grosso gatto nero rispose alla sua occhiata spaventata con una apertamente annoiata. Layla rise della propria paura irragionevole, dandosi della sciocca per essersi fatta prendere dal panico per così poco. Si accovacciò e cominciò a grattargli il collo, assorta. Fu così che Warren la trovò: accucciata sui gradini del ristorante, con un gatto in grembo e lo sguardo trasognato. Rimase fermo un istante di troppo a fissare i riflessi d’ambra che le lanterne appese sopra l’entrata davano ai suoi capelli, come onde d’oro rosso e poi si mosse.

Le batté una mano sulla spalla e Layla si riscosse con un sorriso ancora più bello del solito perché destinato solo a lui. – Sei libero ora? – domandò, alzandosi e rimettendo giù il gatto. Doveva essere un randagio perché non aveva il collarino. Il gatto lo esaminò con i malevoli occhi gialli ridotti in fessure e soffiò, rizzando la coda. Warren fece una smorfia stanca. – Libero per le prossime sei ore, – precisò, massaggiandosi il collo.

Layla aggrottò le sopracciglia per la disapprovazione e si sistemò meglio la tracolla sulla spalla. A giudicare da come la piegava doveva pesare un quintale e conoscendola essere piena di cianfrusaglie del tipo di volantini per partecipare a proteste animaliste  e concimi o becchimi vari. – I tuoi orari di lavoro sono disumani, – disse come al solito, assumendo quindi il cipiglio bellicoso che avrebbe fatto piangere d’orgoglio e invidia un sindacalista.

Warren si strinse nelle spalle con disinvoltura. – Non più di tanti altri. –

Saltò i gradini con un unico scatto e si girò per aspettarla, afferrando poi la borsa prima che lei avesse il tempo di ridire o lamentarsi o al contrario ringraziarlo. Cosa più che improbabile conoscendola. L’indole femminista tacque stavolta, acquietata, e lui accolse la cosa con una strana sensazione di mancanza che però mise subito a tacere. Presero a camminare l’uno di fianco all’altra, in silenzio. Entrambi fingendo di non accorgersi dalla silenziosa scorta in pelliccia e artigli che li seguiva e che miagolava ogni qualvolta uno dei due si voltava ad osservarlo. La strada era deserta ed era piacevole passeggiare così, di notte, senza un pensiero che non fosse il piacere della reciproca compagnia, senza l’obbligo di dover riempire l’assenza di rumori o suoni parlando di cose vuote. Gli era mancato tutto quello. Gli era mancata lei. La presenza stabilizzante che pareva emanare un’aura quieta e mite. Warren si accigliò. Troppo mite. – E comunque è per via di Sally. Ha la febbre e io devo coprire anche i suoi turni. –

Layla assentì. – La ragazza madre, giusto? –

- Quando smetterai di chiamarla a quel modo? – la riprese. – Ormai è sposata ed è più grande di te. –

- A lei non sembra dispiacere, - obiettò lei, ma appariva già meno assente mentre faceva vagare lo sguardo attorno e lo puntava sulle aiuole ai margini del marciapiede. Forse non se ne accorgeva neppure, ma al suo passaggio ogni corolla si spalancava, come per darle i suoi omaggi e poi si richiudeva nel bozzolo caldo del riposo. C’era profumo dolciastro di fiori nell’aria.   

- Tutte così voi donne. Basta un po’ di fumo negli occhi per domarvi. –

- “Non puoi domare chi non vuole essere domato”, – recitò Layla in falsetto.  

Warren si girò a guardarla con un mezzo sogghigno. - Questa l’hai fregata ad un biscotto della fortuna. –

- Non è vero! – si difese lei e nella penombra Warren non poté controllare se fosse arrossita. - Non dire bugie, hippie. Non sai mentire e quando ci provi ti riveli una pessima bugiarda. –

- D’accordo, - cedette Layla, - ma era azzeccata, no? –.

Lui roteò gli occhi. - Fin troppo. –

D’un tratto non la sentì più al suo fianco e si girò a cercarla d’istinto. Layla si era fermata sotto un lampione, ad appena un metro di distanza. Era immersa in una parabola di luce e il pulviscolo le ronzava attorno come polline o polvere di fata. Lei nella luce e lui nell’ombra, pensò Warren con un sorriso storto. Non c’era immagine più giusta o veritiera, parossismo della realtà. Eppure anche il buio poteva assorbire un po’ di quel calore o accendersi di qualche barbaglio. Con uno schiocco delle dita fece apparire dapprima poche scintille e poi un fuocherello grande quanto il palmo della mano. Se lo posizionò sotto al volto, all’altezza del mento.  

Poteva immaginare cosa lei vedesse in quel momento: un viso disegnato col carboncino ed occhi troppo cupi, di quelli che ti aspetteresti di incontrare solo nei vicoli o negli angoli più pericolosi, col terrore che intanto ti mangia il cuore e lo risputa a manciate.  

- Warren… - incominciò, tormentandosi le dita in preda all’agitazione, - mi dispiace. –

- Per cosa? –

- Lo sai… - Layla evitava di guardarlo, - per quello. –

Warren s’irrigidì di riflesso e la voce gli si ridusse in un ringhio arrabbiato: - Se con quello ti riferisci al fatto che tu mi sia quasi morta tra le braccia, allora no, non lo so. –

- Non riesco a immaginarlo. –

- Cosa? – domandò lui, cauto. Riaprì le mani che senza accorgersene aveva serrato a pugno e sgranchì le dita.

- Il contrario, - rispose Layla. Sollevò gli occhi e lui vide che erano febbrili. - Non riesco quasi a credere che sia stato vero e che sia successo a me… Se fossi stato tu… - proseguì, ma la voce le si ruppe e non fu in grado di continuare. 

- Ora smettila, – l’interruppe Warren duramente. La raggiunse in un balzo e la afferrò per le braccia come se avesse intenzione di scrollarla. - Avere paura di qualcosa che non è successo è ridicolo perfino per te. –

- Ma potrebbe, – insistette Layla a voce bassa, sembrando già meno scossa.

- No. –

- Sì, invece! –

- No. È di me che stiamo parlando, non di uno stupido decerebrato tutto muscoli e niente cervello. –

Suonò talmente sicuro che riuscì a strapparle un sorriso incerto e sollevato insieme. – Grazie, – la sentì bisbigliare.

- Di niente, hippie. –

- Sono felice di essere viva. –

Lui arcuò appena le sopracciglia, simulando sorpresa. - Ah, sì? –

- Sì, - replicò Layla tranquilla, scrutandolo da sotto in su tra le ciglia abbassate. - Non mi chiedi perché? –

- Perché potrai salvare balene e panda, immagino. –

Warren fece un cenno di sufficienza e Layla lo rimproverò con un’occhiataccia. – Chiedimelo, – lo pregò sommessamente. 

Lui sospirò. - Perché? -

Layla tirò indietro le spalle e raddrizzò la testa, puntando lo sguardo nel suo. Serrava le labbra e cercava di nascondere poco e male un principio di sorriso, ma senza successo. - Ovviamente anche per fare quello, ma soprattutto perché così sono ancora in tempo per fare questo. –

Si alzò sulle punte e poi con grande delicatezza, quasi temesse un rifiuto o piuttosto di cadere in pezzi come un vaso di cristallo messo sotto pressione se avesse azzardato movimenti più improvvisi, posò le labbra sulle sue. Non chiuse gli occhi, non subito almeno. Aveva ancora la polvere di fata attorno al viso pallido e riflessi d’ambra nei capelli, simili a strascichi di sogno, ma gli occhi verdi erano nitidi e di una tonalità precisa: quella della speranza prima che la realtà la frantumi invece di rafforzarla. Quando si staccò, senza che lui avesse corrisposto a quel bacio timido, appena sfiorato, li chiuse con una smorfia addolorata. Li riaprì e fissandoli, ancora così vicini e già così diversi, amareggiati dalla delusione del vedersi respinta e pieni di paure, Warren pensò di aver perso qualcosa che non sarebbe tornato mai più. Solo perché non era stato abbastanza rapido nel capire cosa volesse. No, non nel capirlo, ma nel prenderselo. Layla si mosse per allontanarsi, ma lui la fermò prima che potesse. La baciò con forza, irruente, e non gli importò che i loro nasi cozzassero né che lei inghiottisse un mugolio per la sorpresa. Layla gli si abbandonò contro e gli passò le braccia dietro al collo. La baciò di più, dimenticandosi perfino di respirare eppure sentendo comunque con violenza il profumo della sua pelle – sapeva di fiori ed erba appena tagliata e agrumi –, come un incendio dentro di lui. Il suo respiro pungeva sulla lingua e nel palato come menta piperita.

Nel separarsi le tenne ferma la nuca e intanto le scrutava il viso con decisione. - Sai di buono. –

Layla annuì senza imbarazzo, come se avesse appena detto qualcosa di profondamente intelligente e non una cosa di cui pentirsi o provare vergogna. - È lavanda, - gli spiegò con naturalezza. –  Da quando sono tornata a casa, mia madre insiste per farmi degli impacchi ogni giorno. Dice che serve ad accelerare il processo di guarigione, l’aromaterapia…  - s’interruppe perché Warren aveva appoggiato la fronte contro la sua. – Dille che approvo, – disse prima di baciarla ancora.

   

***

Non avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe stato così. Il suo primo bacio.

Beh, tecnicamente il primo era stato quello scambiato con Will a qualche miglia di distanza dal suolo terrestre, ma ora poteva riconoscere in tutta onestà che quello col suo migliore amico nonché ex ragazzo fosse stato solo uno sfiorarsi, timido e molto tenero certo, ma non un vero bacio, per nulla comparabile a quel loro. Se qualcuno glielo avesse riferito solo un paio di anni prima non avrebbe mai neppure creduto che il suo primo vero bacio l’avrebbe scambiato con Warren, ma questi, oh, erano solo miseri, ininfluenti, sorvolabili dettagli.

Il respiro di Warren contro il viso, quello era come aveva pensato che sarebbe stato. Era bollente sulla sua pelle e le sembrava di sentire ad ogni sfregamento delle loro mani o dei suoi palmi lungo le braccia e la vita il crepitare elettrico di energia statica. Le falangi e le dita di lui scorrevano tra i capelli, trapassandoli da parte a parte. Aveva provveduto a scioglierle i codini con una rudezza per nulla delicata, ma la sua bocca a quel punto era già sulla sua e Layla pur se a malincuore aveva ingoiato il rimbrotto e preferito tacere, ascoltando il risuonare forsennato del cuore contro lo sterno con un senso di trionfo. E la accarezzava Warren – la testa e il collo, le spalle e i fianchi -, come se anche lui avesse sempre desiderato farlo, come se avesse aspettato una vita e ora non potesse più farne a meno. Non volesse farne a meno.

Quando si scostarono l’uno dall’altra, ansanti, arrossati, Warren nascondendo un sorriso che lei al contrario non si negò – felice, felice, felice -, la soddisfazione faceva risplendere i loro occhi cupamente nella penombra della stradina.

Ora dì che è stato tutto un sogno, pareva dire il suo sguardo e Layla poggiò la testa contro la sua spalla, scoppiando in risatine liberatorie per la tensione accumulata in precedenza.

– Fa’ divertire anche me, hippie. – Warren le sollevò il mento, chinandosi fino ad avere il naso ad un soffio dal suo.

Lei non rispose e Warren la baciò di nuovo. – Warren, - lo chiamò dopo poco, rimanendo però inascoltata. - Wa - tentò allora più forte, premendogli le mani sul petto e voltando il viso di lato per scansare l’ennesimo bacio infuocato. 

- Zitta, – disse lui. Le sfiorò la fronte con le labbra. Sapeva d’olio, di carta bruciata e di biscotti della fortuna. - Se vuoi riprendere fiato ti consiglio di stare zitta. Detto da te il mio nome suona pericoloso. –

Layla aveva il respiro corto, come pure migliaia di domande incastrate in un groppo di emozioni senza suono in gola. Provò a schiarirsela, ma senza ottenere i risultati sperati. - Perché? – chiese rauca.

- Mettiamola in termini pratici come piace a te. –  Warren le passò il pollice sulla mandibola con un sorriso che esplose minaccioso, simile a una miccia da sempre pronta a deflagrare. - Tu dillo e potresti non tornare a casa stasera. A tuo rischio e pericolo, fa’ la tua scelta. –

Layla mantenne il mento ben alto, gli occhi ardenti e le guance accese. Un tramonto di fuoco ed ombre, pensò Warren, così bello da rendere ancora più feroce il bisogno di sottrarlo alla vista altrui, di metterlo al sicuro lì dove nessuno avrebbe potuto rovinarlo o rubarglielo. – Warren, – scandì con semplice determinazione.

Quella notte non ci furono stelle o luci, nessun artificio. Ci furono solo loro: due ragazzi e troppe cose da dire non espresse, voci che non trovavano via di fuga, intrappolate di propria volontà nel loro stesso abbraccio soffocante.

 

Sani e salvi. Forse non lo erano mai stati. Sempre con un piede sul baratro o nella fossa, come piaceva dire a Warren, salvi ad ogni modo non lo sarebbero stati più. 
E sani, sempre secondo Warren, conveniva esserlo o non ci sarebbe stato di ché divertirsi nel tempo libero. 
Che era sempre troppo poco.

 

 

 

 

 

 

 

Un paio di settimane dopo…

 

 

 

 

- Layla e Warren. Warren e Layla. –

Seduta su una panchina del parco, Layla spezzettava del pane e poi lo lanciava alle anatre nel laghetto di fronte. Era autunno, gli alberi attorno apparivano incastonati in un contesto di sfumature calde nonostante il vento pungente, a tratti gelido, che li privava delle foglie: un turbine color terra e muschio, carminio e bronzo-rame.

- Cosa stai facendo? – le chiese Warren. Aveva un braccio poggiato dietro di lei sulla panchina, indolente, la testa reclinata all’indietro ad osservare il cielo azzurro polvere e un’espressione che fino ad un istante prima doveva essere stata distante anni luce e ora appariva solo incuriosita.   

- Suonano bene insieme, non trovi? “Layla e Warren”, – spiegò con un sorriso soddisfatto e riprese a canticchiarli a mezza voce come il motivetto di una melodia inventata di sana pianta.  

Warren mosse una mano per zittirla, seccato. - Ho capito il concetto, puoi smettere ora. Mi fai venire mal di testa così, – si lamentò, coprendosi la faccia col braccio.

Layla non se la prese per il tono scorbutico, da moccioso che fa i capricci, né perse tempo a pensare a possibili ripicche; d’altronde l’emicrania costituiva di per sé già una punizione sufficiente a suo avviso. Warren non aveva un carattere irascibile o lunatico. Solo che dopo il lavoro, specie il turno del pranzo, era facile che si irritasse e in quel caso tendeva alla scontrosità più tetra. Fece spallucce e riprese a dar da mangiare alle anatre, dopo essersi aggiustata la sciarpa annodandosela meglio attorno al collo. La lana le pizzicava la pelle della gola, ma era una sensazione quasi gradevole tutto sommato e a cui era abituata.

- Hai intenzione di dirglielo? –

Intuendo a cosa si riferisse, Layla si voltò ad osservarlo distrattamente. Ancora una volta pensò con un brivido che davvero avrebbe preferito vederlo un po’ più coperto. Solo con una maglietta risvoltata e la giacca di pelle buttata accanto e presto scordata, sebbene emanasse calore anche così conciato, le veniva voglia di infagottarlo in strati di pullover e abbracciarlo stretto. E non necessariamente in questo dovuto ordine di priorità. Scosse la testa, sapendo di avere assunto un’aria accigliata e si riscosse. - A Will? – domandò.

Warren fece una smorfia. - A chi altri? – 

- Certo che sì, - disse stupita. Per un istante smise perfino di sbriciolare il pane. Incrociò le mani sul sacchetto di plastica riciclata che lo conteneva e lo fissò con meraviglia. - Non vuoi che lo sappia? –

Fu Warren a sorprendersi stavolta, anche se cercò di non darlo a vedere; le lanciò un’occhiata in tralice. - Perché non dovrei volerlo? –

- È tuo amico, – rispose Layla in tono d’ovvietà.

- Anche tuo. –

- Nel mio caso è diverso. –

- Spero proprio di sì, - Warren scostò di poco il braccio dal viso, rivolgendole un mezzo sogghigno canzonatore. - Io non l’ho mai baciato. –

Layla gli diede una spinta leggera. – Stupido, - lo rimproverò. - Mi riferivo al fatto che praticamente lo conosco da sempre. La sua prima parola è stato il mio nome, sai? – Sorrise intenerita al pensiero e per i ricordi della loro infanzia che quello aveva saputo rievocare.

Warren si adombrò impercettibilmente. - Una cosa deliziosa, davvero, – scandì a denti stretti. Layla nascose un sorriso impertinente che lui avrebbe di sicuro trovato offensivo, oltre che fuori luogo. - Sei geloso? – lo provocò. Non ottenne altra risposta se non un brontolio di avvertimento.    

Allora scoppiò a ridere e batté le mani come una bambina. - Sei geloso! – esclamò.

Warren riemerse dalla cupezza, freddandola con gli occhi. - Smettila di fare la ragazzina. –

- Si dà il caso che io sia una ragazzina, – gli rinfacciò lei e rise più forte. Smise quando Warren l’asserragliò a sorpresa in un abbraccio improvviso. Era stato tanto inaspettato e veloce che dapprima si ritrovò quasi senza fiato. La guancia premuta contro la scapola di Warren, si ritrovò a soffocare un’imprecazione. Warren rise come se le avesse letto nel pensiero e la risata gli rimbombò in petto, gorgogliante sotto le orecchie di Layla.    

- Non lo sei invece o non potrei fare questo. – Le prese la mano e baciò l’interno del polso con lentezza, poi piegò la testa in avanti e le sfiorò la gola, sciogliendo il nodo della sciarpa. Aprì il cappotto e dopo averlo sbottonato le sue mani corsero sull’addome, sotto al maglione. Layla rabbrividì, ma non per il freddo. Le dita di Warren erano piccoli mulinelli d’aria calda, rilassanti e carezzevoli, i suoi baci vortici  in cui sprofondare ed essere avviluppati. Le baciò la porzione di pelle sotto la clavicola, tirando la scollatura più in basso di quanto fosse possibile in teoria. E intanto le sussurrava all’orecchio con tono accattivante: - E questo… E anche questo. - La trattenne contro di sé come se volesse rimpicciolirla per farla entrare tutta nell’arco sicuro e circoscritto dalle sue braccia. Il suo sguardo da volpe scintillò scaltro, biasimevole, ad uno sbuffo dal suo. - Allora… Sei una ragazzina? – domandò.

Il sorriso sfrontato con cui avrebbe voluto rispondergli per le rime era troppo arricciato e tremulo agli angoli per risultare autentico. Il fatto era che accanto a lui, specie quando era così vicino, provava tante di quelle emozioni contrastanti da avere l’impressione di essere un pallone aerostatico sul punto di scoppiare. Acquisiva una percezione completamente differente di sé e del proprio corpo. Ogni centimetro di pelle era un sensore pronto a reagire con un’esplosione, diventava recettivo e ardente. Quando Warren la toccava in quel modo, molto semplicemente ogni altra cosa scompariva. Anche adesso. A pochi metri da loro il lago rifulgeva di riverberi amaranto e arancioni, come se fosse coperto di fogli scartavetrati, le anatre starnazzavano reclamando la sua attenzione, ma il cartoccio le giaceva dimentico in grembo, schiacciato dalla presa irruenta delle braccia di Warren chiuse attorno alla sua vita. In casi come quelli Layla si addentrava in uno stato di sospensione assoluta in cui tutto ciò a cui riusciva a pensare era assai poco lucidamente Warren. Warren e il suo calore, la sua energia, la sua fame insaziabile di baci e strette, di lei. Anche se sciocca, ostinata e irrazionale, al tempo stesso poteva dire di non essersi mai sentita così matura e grande e potente. Bloccata nell’abbraccio di Warren, con le sue labbra sulla gola e il respiro rovente sotto la mandibola, le scorreva dentro un fiume di lava incandescente. Un acido corrosivo che erodeva vecchie strutture per crearne di nuove sotto la sua supervisione, di più grandi e resistenti. Indistruttibili. La bambina e la ragazzina morivano per cedere il posto alla donna che era tempo che diventasse. Stava fiorendo, le avrebbe detto sua madre. Sospirò, stringendo le dita attorno alle pieghe della maglietta di Warren, sull’ampia schiena. Sotto i palmi percepiva i muscoli scattanti, guizzi di tendini e di quell’incendio che gli dava l’aspetto da cattivo impenitente. Braci negli occhi di pece e la promessa dell’inferno nel sorriso smaliziato e tagliente riservato ai nemici. 

- Diciamo una donna in erba, – si arrese.

Non poteva vederlo, ma lo sentì arcuare la bocca in un sorriso che poi le posò sulla tempia con sentimento. Si sentiva i nervi scoperti e al contempo rilassata come non mai. - Donna in erba… - ripeté Warren, stringendola di meno e scostandosi un po’, lo spazio necessario per scrutarla in volto con interesse. Nel sole di metà pomeriggio, i suoi occhi avevano una luce divertita cadenzata dal languore che glielo scuriva. - Mi piace, – disse e le tolse una foglia secca che era rimasta impigliata tra i suoi capelli. Le diede fuoco in punta di polpastrelli e la foglia arse fino a ridursi in cenere e riempire lo spazio tra loro dell’odore strano di terra bagnata e zucchero bruciato. Warren ne approfittò anche per scioglierle la crocchia improvvisata, tirandole l’elastico. Le pizzicò una guancia e Layla si sporse per baciarlo piano. Gli picchiettò l’indice sul naso e fece un ampio sorriso luminoso. - Buon per te, Mangiafuoco. –

 

 

 

 


Sono mesi, no anni, che desidero ultimare quello che per me è una sorta di filone, una serie di storie indipendenti tra loro, ma con un tema centrale contrassegnante a unirle: l’evoluzione di un rapporto.
Senza voler usare paroloni, un rapporto è qualcosa di complesso la cui evoluzione, appunto, si basa su molteplici fattori. Primo tra tutti e su tutti, la crescita personale degli individui.
I Warren e Layla che ho presentato qui sono molto diversi da quelli del film. Hanno una percezione differente di sé e del mondo, più matura e consapevole forse, raggiungono la totale presa di coscienza delle responsabilità con cui sono costretti a fare i conti ogni giorno e del ruolo che rivestono all’interno della cittadina in qualità di eroi. Non sono più i ragazzini che giocano a fare i salvatori della Sky High o che sognano di diventarlo. Sono uomini e donne agli albori delle loro carriere, che si barcamenano tra la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta, con tutte le complicazioni e i problemi che il passaggio comporta. Temo di non aver reso al meglio Warren, la sua lotta interiore tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, tra dovere e lealtà nei confronti di Will e i suoi sentimenti per Layla. Sentimenti che esplodono al momento dell’attacco e lo portano finalmente a sfogare tutta la rabbia e la preoccupazione represse, ad arrendersi a ciò che prova senza farsene una colpa eccessiva.       
Non mi soffermo su Layla, troppo emotiva e insicura e poi di colpo sfacciata. Insomma, credo di  aver fatto un bel pasticcio!
Spero però anche di aver cavato qualcosa di buono e nel concludere finalmente, metto la parola fine su Warren e Layla o Layla e Warren, che dir si voglia, xD
Non credo di riuscire più a star dietro a questi due con la stessa facilità del passato. Sono diventati troppo complicati da riportare su carta, sono cresciuti insieme a me e perciò mi è impossibile renderli in modo obiettivo. Nonostante tutte le sciocchezze appena dette, - sono le due di notte e spero me la farete passare liscia almeno stavolta, - mi auguro che la lettura sia stata di vostro gradimento.
Un abbraccio a tutti e buon fine vacanze a chi può ancora concedersi qualche giorno di tregua. Tra qualche ora io parto per una capatina a Genova dai miei zii e non sono in me dalla gioia. Ho i nervi a fior di pelle per la frenesia dei preparativi! Ho sempre il terrore di dimenticare qualcosa, del tipo carta d’identità o biglietti per il treno… speriamo bene (:

 

   

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Sky High / Vai alla pagina dell'autore: E u r eka