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Autore: Cara Catastrofe    21/08/2012    1 recensioni
-Perché ridi?
-C’è bisogno di un motivo per ridere?
-Oggi mi sai tanto di filosofo o psicologo, sai?
-Sei meno acida stasera.
-Hai ragione, eppure c’è qualcosa che m’impedisce di mandarti al diavolo.
-E sarebbe?
-Non lo so.
Davvero non lo sapeva, era più forte di lei. Come una voce che le sussurrava di non rovinare tutto, non questa volta, non di nuovo.
Questa storia ha partecipato al contest "Amor ch'a nulla amato amar perdona"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nickname Forum:  neve
Nickname Efp: Il suono della neve
Titolo storia: Emblematiche domande sulla felicità
Avvertimenti: nessun avvertimento
Rating: verde

 
Emblematiche domande sulla felicità

Ora mi chiedi come sto, se son felice oppure no

 
 
Era già seduta al tavolo quando lui arrivò.
Odiò la sua camminata sicura, quel sorriso che non smetteva mai di illuminargli il volto.
Odiò semplicemente la perfezione che sprizzava da tutti i pori. Lui, Christopher Wane, l’uomo su cui puoi sempre contare, l’affidabilità fatta a persona.
Pacato le chiese come stesse, se fosse felice.
Questa della felicità è sempre stata una sua mania, un’ossessione, ogni giorno entrava nel suo ordinatissimo ufficio e chiedeva alla gente che lo salutava se fosse felice.
Odiava che a lui importasse davvero come stava.
-Non me la passo male, tu?- disse lei cortese, stanca ormai di ripetergli che anche se non sei felice, non cambia nulla e che il mondo va avanti.
-Non è la stessa cosa- ribatté lui serio.
-Come?
-Non è la stessa cosa essere felici e non passarsela male.
E lei sorrise ancora di più; perché la irritava questa puntualizzazione, perché in realtà adorava che lui badasse a questi dettagli. Rise di gusto e si rispose mentalmente che sì, quando era con lui, era felice.
-Neanche tu mi hai risposto- puntualizzò lei chiaramente divertita.
-Sono felice, però nella mia vita manca qualcosa perché possa esserlo davvero.
Lui considerava queste cose importanti, poteva partire da una semplice domanda e farti riflettere sulla tua vita. Lei credeva seriamente che avrebbe potuto fare lo psicologo, tanto metteva in soggezione.
L’argomento fu lasciato cadere e lei si ritrovò a pensare alla sua vita, al suo lavoro.
Doveva togliersi quell’idea malsana dalla mente e subito, qualsiasi appiglio le sarebbe andato bene pur di smettere di pensare a se stessa.
-Ho sentito che hai dimesso il signor. Deboir oggi.
-Sì, ha reagito positivamente ai farmaci e gli è andata davvero bene.
Lui era così, gli bastava un paziente dimesso, una cura andata bene e la sua giornata assumeva un senso. Amava salvare vite, far sentire meglio gli altri.
Aveva uno scopo nella vita, Chris, un futuro meraviglioso, non come lei che sarebbe rimasta una misera segretaria per sempre.
Non era l’unica a riflettere, da qualche settimana qualcosa era cambiato anche in lui.
E si notava.
Era soddisfatto della sua carriera professionale eppure c’era come questo vuoto che andava riempito, non come medico, ma come uomo.
 

Sono felice accanto a te, non ho difese, tu credi in me

 
Assurdamente gli capitava di sorridere più spesso quando la incrociava, di essere più positivo quando le parlava; quando non c’era lei, gli mancavano anche le sue frecciatine sarcastiche.
E proruppe in una fragorosa risata, la seconda della serata.
-Perché ridi?
-C’è bisogno di un motivo per ridere?
-Oggi mi sai tanto di filosofo o psicologo, sai?
-Sei meno acida stasera.
-Hai ragione, eppure c’è qualcosa che m’impedisce di mandarti al diavolo.
-E sarebbe?
-Non lo so.
Davvero non lo sapeva, era più forte di lei. Come una voce che le sussurrava di non rovinare tutto, non questa volta, non di nuovo.
Poi scoppiò. Quei discorsi senza un perché la irritavano e lei doveva sfogare su qualcuno tutto.
-Sembri proprio uno di quei paladini della giustizia, sempre pronto per aiutare gli altri; sembri quasi dire “ehi! Sono un dottore e farò tutto quello che è in mio potere per salvarla”.
-Credo di non aver capito il senso della frase- mormorò lui.
-Sì una specie di eroe che riesce sempre a fare tutto, che sembra sempre capire tutto. Sembri urlare sempre che ci sei, che capisci, che tu ci tieni davvero a tutti noi. Anche a delle misere segretarie.
Lui ammutolì, proprio non capiva. Cos' aveva sbagliato? Non voleva che lei stesse così.
-Proprio non capisci?Io ti odio, sei schifosamente perfetto. Odiosamente sempre più in alto di tutti noi e non te ne vanti, eppure non so non te ne accorgi di come fai sentire gli altri?
E al diavolo la vocina nella testa che le intimava “stai zitta! Che stai facendo, perché devi farlo andar via?
Era troppo, era furiosa. Lui aveva di nuovo dannatamente ragione e lei se la prendeva con lui, perché la conosceva più di tutti, anche se non gli aveva mai detto esplicitamente come si sentiva, lui lo sapeva. Niente da fare la conosceva troppo era il momento di separarsi.
“Tanto se ne sarebbe andato comunque” si disse come per giustificarsi.
La verità?  Lei odiava il suo lavoro, voleva lui al suo fianco e senza non riusciva a essere felice.
Avrebbe dovuto dire di amarlo, di conoscerlo meglio di tutti, di guardarlo da sempre, dai tempi in cui lui accettò la borsa di studio e si laureò.
 Lei si era fermata prima, quando aveva rinunciato ad andare all’università, quando aveva lasciato tutto e ora lui era troppo avanti.
Avrebbe dovuto di certo, ma è troppo difficile.
Non è forse più facile accusarlo? Dimostrargli un disprezzo che in realtà non covava?
Eppure lui sembrò capire.
Scese da quel podio creato dagli altri per lui, non fu medico, ma uomo  e le si avvicinò.
-C’è un problema, mi sa.
Lei gli lanciò un’occhiata interrogativa.
-Io non ti odio, per niente. Mi rendi felice, mi fai sentire un’idiota. Quando mi fai notare le cose, ai miei occhi sei anni luce davanti a me. Irraggiungibile, tutto quello che faccio è sempre così stupido.
E oggi quando hai riso, mi sono sentito completo- proruppe in una risata, più amara che vera- è come se tu riuscissi a farmi sentire contemporaneamente felice e stupido, davvero molto stupido.
La voce di lei lo interruppe.
-Hai sbagliato i tuoi calcoli. Sei stato di nuovo migliore di me. Sei riuscito a dire quello che senti, tu non sei come me. Sei sincero, gentile e mi invogli a odiarti e a migliorarmi, costantemente. E sai credo che accetterò la proposta che mi hanno fatto e andrò ad iscrivermi a Lettere moderne.
E sorrise anche lei.
Per la gente dell’ospedale lui non era che un medico, per lei era un uomo.
E da sempre per lui, lei non era mai stata una segretaria, lei era il perché del suo sorriso.


Angolo Autrice

Questa storia si è classificata sesta al contest "Amor, ch'a nullo amato amar perdona" è il mio primo tentativo di storia romantica!
A voi la lettura!

  
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