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Autore: Ezrebet    21/08/2012    8 recensioni
...Hermione Granger, la sanguesporco, la Grifondoro che aveva attraversato la sua strada mille volte, l’essere che aveva costituito un affronto per lui per il solo fatto di esistere.
Anche adesso, la sua presenza lo sgomentava, ma per tutt’altre ragioni che non riusciva a chiarire nemmeno a sé stesso...
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Prologo
Paziente n.7

I passi ruppero il silenzio improvvisamente, attirando le infermiere fuori dalle stanze. Molti sguardi seguirono l’uomo alto e biondo che percorreva il corridoio del reparto, di norma chiuso al pubblico. Nessuno, però, s’attentò a fermarlo. Sapevano tutti che il primario aspettava visite per la degente n.7. Ed infatti, l’uomo si fermò proprio davanti alla porta contrassegnata dal numero sette; sulla soglia, c’era il dottor Jordan, che si spostò per lasciarlo entrare.
“La paziente è monitorata ventiquattr’ore su ventiquattro, nutrita e idratata tramite flebo. E’ sottoposta a sollecitazione motoria tre volte al giorno e si esegue check up completo ogni settimana” sussurrò Jordan, mentre il nuovo venuto puntava lo sguardo sulla donna distesa tra le coperte candide e lo lasciava poi scorrere sul braccio, trafitto dagli aghi per le flebo e per gli indicatori di pressione e battito cardiaco. Poi, fissò ancora il viso di lei.
“La situazione, come ben sa, è stabile da mesi” aggiunse il medico sospirando “Non mi sento di esprimere un parere definitivo, ma la mia precedente esperienza in casi come questo mi porta a ritenere che non sia possibile invertire il coma”.
Jordan era perplesso. Gliene avevano parlato come di un grande chirurgo e si era aspettato un uomo molto più vecchio, non il ragazzo che aveva di fronte, che sembrava appena uscito dal liceo.
Come se avesse sentito i suoi pensieri, questi si voltò ed incontrò i suoi occhi, lasciandolo interdetto; lo scrutava con un’espressione molto più adatta ad un anziano scienziato che ad un giovanotto quale era lui.
“Vorrei vedere la cartella, se possibile”disse.
Jordan gli porse i fogli che teneva in mano “Naturalmente. Provvederò oggi stesso a mandarle il file”.
Passarono alcuni minuti, durante i quali Jordan lo osservò scorrere velocemente i dati riportati e poi riconsegnargli il tutto.
“Crede di poter organizzare il trasferimento domani stesso?” gli domandò in tono cortese e distaccato, mentre tornava a guardare la paziente addormentata.
“Ma si, certo” fece Jordan “Il ministero ha già mandato le autorizzazioni necessarie. Mancava soltanto il suo consenso, dottor Malfoy”.
Draco Malfoy si avvicinò di più al letto, girò intorno alle sponde rialzate, abbassò lo sguardo sul volto della donna, pallido, rilassato in un sonno senza sogni. Le guardò i capelli castani, tagliati corti e ben pettinati, le braccia abbandonate sulla coperta, le forme del corpo appena accennate.
“E’ stata ritrovata nei pressi della stazione ferroviaria. Dallo stato dei suoi vestiti, siamo quasi certi che sia stata coinvolta in un incidente o in una esplosione e poi abbandonata. E’ un vero mistero, dal momento che non ci sono state evenienze del genere né quel giorno né nella settimana precedente” lo informò il primario “La polizia ha sospeso le ricerche. Nessuno è venuto a reclamarla e così non è stato possibile darle un’identità. Pare che sia uscita dal nulla”.
Malfoy annuì senza voltarsi.
“Il ministero, in accordo con i vertici dell’ospedale, pensa che nella sua clinica la paziente possa trovare adeguata assistenza” aggiunse “Noi abbiamo fatto quanto abbiamo potuto”.
Proprio in quel momento, suonò il cercapersone di Jordan, che mormorò “Devo andare. Il trasferimento è fissato per domani, allora”.
Rimasto solo, Draco si concesse di riprendere fiato. Lo fece, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dalla ragazza. Era proprio lei.
Quando Arthur Weasley l’aveva contattato, aveva rispedito il gufo al mittente per tre volte. Aveva letto il quarto messaggio, nella speranza di porre fine a quell’indesiderata corrispondenza. E ciò che aveva letto l’aveva lasciato esterrefatto.
Dopo l’iniziale sbalordimento, aveva deciso di rendersi conto di persona e dopo quasi un anno di isolamento, era uscito dalla villa sotto gli sguardi spaventati degli elfi, materializzandosi davanti a quell’ospedale di babbani.
Weasley non aveva mentito, era proprio Hermione Granger.
Pallida, magra, niente riccioli, sospesa tra la vita e la morte. L’espressione del viso di lui s’irrigidì mentre gli scorrevano davanti agli occhi le immagini delle battaglie e sentì di nuovo il braccio bruciare… ma era un’illusione, solo un’illusione.
Rimase a guardarla a lungo, incapace di schiodarsi da quel letto, incapace di muoversi da lì. Hermione Granger, la sanguesporco, la Grifondoro che aveva attraversato la sua strada mille volte, l’essere che aveva costituito un affronto per lui per il solo fatto di esistere.
Anche adesso, la sua presenza lo sgomentava, ma per tutt’altre ragioni che non riusciva a chiarire nemmeno a sé stesso.
Fu l’infermiera ad avvertirlo che da lì a poco sarebbe arrivato il fisioterapista per la seduta. Così, dovette uscire, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata alla donna.
Percorse a ritroso il corridoio, trovò la toilette, vi si chiuse dentro. Si appoggiò alla porta, chiuse gli occhi, sentì il battito del cuore rimbombargli nelle orecchie come impazzito.
Tutto il suo isolamento non era servito a niente; suo malgrado, la realtà lo scaraventava indietro, in un vortice che aveva tentato di sfuggire.
Barcollò fino al lavandino, si spruzzò frenetico un po’ d’acqua gelata sul viso, voleva riprendersi, dominare quelle sensazioni, riconquistare il distacco. Ma c’era un solo posto dove l’operazione gli riusciva.
Raccogliendo tutte le sue forze, si smaterializzò alla volta di casa.

Gli elfi gli corsero dietro fin sulla soglia dello studio. Senza nemmeno voltarsi, disse loro “Lasciatemi in pace. Non voglio essere disturbato. Da nessuno” precisò.
Fu Dobby ad intervenire, tenendo gli occhi fissi al pavimento “E’ arrivato un gufo, padrone”.
Draco si bloccò, le mani strette sulla maniglia della porta “Smettila di chiamarmi così” lo redarguì, poi “Portatemi il messaggio e sparite”.
Nel giro di dieci secondi stringeva tra le dita la pergamena, arrotolata stretta  da un nastro dorato. Chiuse la porta, si fermò in mezzo alla stanza e sciolse in fretta il nodo, leggendo frenetico.

“La paziente giungerà alla villa domani mattina alle otto e mezza. Ci sono per te una cartella clinica e alcuni indumenti forniti dalla clinica. Procederemo all’Oblivion alla stessa ora. Attendiamo notizie. A. Weasley”

Slacciò il mantello, lasciandolo scivolare a terra, e sprofondò nella poltrona, coprendosi il volto con le mani.
Avevano tutti troppa fiducia in lui. E poi, quello stesso pensiero appena formulato, lo fece ridere. Era a tal punto frastornato da non ricordarsi chi era veramente, un Serperverde.
Forse io posso dimenticarlo, ma nessun altro lo farà.
L’isolamento che si era auto imposto l’aveva illuso. Chiudersi nelle antiche mura della villa avita, lasciare fuori il mondo, magico e babbano, con la scusa di dedicarsi alla sua attività di ricerca. Una scusa che in qualche modo l’aveva salvato dalla morbosa curiosità dei maghi. Nessuno aveva mai osato avvicinarsi. All’inizio qualcuno aveva provato ad invitarlo a convegni, a situazioni mondane, gli avevano perfino offerto di insegnare, ma nel giro di poco tutti avevano capito l’antifona. Draco Malfoy, unico superstite della dinastia, graziato dal Tribunale speciale per la Guerra Magica, non voleva essere disturbato. In sostanza, voleva essere dimenticato dal mondo.
Certo, era più elegante lasciar credere che si fosse dedicato anima e corpo alla ricerca medica, ad elaborare nuovi antidoti e pozioni per debellare ogni genere di morbo magico o babbano, ma la realtà era che Malfoy voleva essere dimenticato, disperatamente.
Alzò gli occhi sul ritratto che dominava la stanza. Lucius e Narcissa lo fissavano alteri, rinchiusi per sempre nel tondo sulla parete est dello studio. Non avrebbero approvato il suo esilio volontario, avrebbero detto che uno come lui, erede di così alto lignaggio, meritava un ben altro stile di vita. Erano considerazioni che aveva già fatto e che di certo avrebbe fatto ancora. In quell’anno, la solitudine gli aveva permesso di scoprire molto di sé stesso, senza avere il fiato sul collo da parte di nessuno. Aveva scoperto di provare un certo interesse per la tecnologia, una notevole invenzione babbana, di apprezzare i loro computer, la loro musica, perfino la loro moda. Di questo suo padre si sarebbe senza alcun dubbio rammaricato.
La sua professione di ricercatore in medimagia e pozioni era alla base dell’interesse per lui da parte di Arthur Weasley, ministro dei rapporti col mondo babbano da un anno a quella parte.
Ripensò alla lettera che gli aveva mandato, alle parole che aveva usato.

 “Hermione Granger è l’unica rimasta, è la superstite della Battaglia Finale, non merita ciò che la sorte avversa ha deciso per lei. So che tu puoi provare a modificare ciò che pare inevitabile, perciò ti chiedo, come suo amico prima che come ministro, di tentare”.

La storia era ormai stata scritta. Harry Potter e il suo gruppo di eroi grinfondoro erano morti nella battaglia epocale contro Voldemort; pur uccidendo lui e il suo esercito di mangiamorte, gli eroi erano morti tutti, il loro sangue aveva bagnato la terra magica, era penetrato in essa, restituendola a nuova vita. Anche Hermione Granger era morta, e il suo corpo non era stato trovato, probabilmente disintegrato in una delle terribili esplosioni che avevano caratterizzato la lotta. C’era una targa in marmo bianco, all’ingresso del Palazzo del Governo Magico, posta a ricordo del sacrificio dei giovani dell’Ordine.
Draco si massaggiò le tempie, nel tentativo di lasciar scivolare da sé le immagini del Funerale di Stato, cui aveva assistito da sorvegliato speciale. Sulla sua testa pendeva l’accusa di aver contribuito al terrore voluto dal Signore Oscuro, la condanna a vita era data per scontata. E invece il nuovo governo, tra cui spiccava la figura di Weasley, i cui figli erano tutti periti in guerra, lo aveva graziato. Niente processo, niente accuse, nessun provvedimento. Il giorno successivo alla cerimonia funebre, una pergamena controfirmata da tutti i membri governativi lo dichiarava libero.
Ricordava perfettamente il suo spaesamento, la sensazione di poter morire subito, l’onda di sollievo e terrore insieme che l’avevano assalito mentre l’avvocato gli leggeva il foglio.
Ed era tornato alla villa. Vi si era rinchiuso dentro, le parole di Weasley, le uniche parole che il ministro gli aveva rivolto, la mattina della sua liberazione che gli riempivano cervello e stomaco e cuore.
“Sei l’unico rimasto, Draco Malfoy. Abbiamo il dovere di lasciarti vivere, di lasciarti provare”.
Fosse campato cent’anni, Draco non avrebbe mai scordato lo sguardo che l’uomo gli aveva rivolto, pieno di dolore e speranza mescolati insieme, un sentimento così vivo ed intenso da averlo trafitto da parte a parte.
 
 
La prima cosa che vide svegliandosi furono gli occhi verdi e sporgenti di Dobby. Lo fissava, fermo ai piedi della poltrona, nella penombra della stanza.
“Che ci fai qui” mormorò muovendosi appena “Avevo detto di non disturbarmi”.
L’elfo sbarrò ancora di più gli occhi, parve che le orbite si allargassero oltre misura “Padrone deve mangiare. La cena è pronta”.
Draco sospirò “Non voglio che mi chiami così”.
“Ma vorrete mangiare” insisté l’esserino, cocciuto come al solito.
“Si, vorrò mangiare” l’accontentò lui.
Si alzò e lo seguì attraverso i corridoi della villa, fino alla sala da pranzo. Dobby lo fece accomodare e cominciò a servirgli pietanze d’ogni tipo, senza dare rilievo al fatto che Draco assaggiasse appena i manicaretti.
“Dobby, da domani avremo un ospite” disse ad un tratto. L’elfo sembrò petrificarsi all’istante. Se non fosse stato per il movimento frenetico degli occhi, sembrava davvero un statua.
“Suvvia, non esagerare con le tue reazioni” fece Malfoy sollevando le sopracciglia “So che non sei abituato ad avere gente per casa, ma si tratta di una paziente, una persona che tu conosci” lo fissò attentamente “Hermione Granger”.
A quel punto, Dobby si mosse di scatto, malamente, rovesciando un po’ del vino dalla brocca che teneva tra le mani.
“Ti ricordi, dunque”riprese il ragazzo “Starà qui, finché sarà necessario. Non so esattamente quanto, ma starà qui. Ho bisogno di sapere se riuscirai a tenere il segreto” si sporse verso l’elfo, fissandolo “E’ molto importante che nessuno sappia che lei è qui”.
Solo allora Dobby riuscì a parlare “Granger è.. morta con Harry Potter e tutti gli altri”.
Draco scosse la testa “No. Non è morta. Ma ha bisogno di cure”.
Il silenzio non era cosa da elfi, normalmente, ma Dobby era un elfo particolare, da quando Potter l’aveva liberato e, successivamente, Malfoy l’aveva assunto come maggiordomo, in cambio di una piccola rendita, vitto ed alloggio. Così, in quel momento, Dobby stava zitto e Draco era più che certo che stesse rapidamente assimilando la sorprendente rivelazione e meditando sul da farsi. Alla fine, lo vide annuire lentamente.
Solo allora, il Serpeverde poté rilassarsi ed accettare un po’ di vino elfico.
 
L’ambulanza si fermò davanti alla villa alle otto e mezza in punto. Draco e Dobby erano sulla soglia dell’enorme portone, già spalancato. Gli incaricati del ministero fecero levitare la lettiga fino all’ingresso e su per le scale, seguendo l’elfo. Draco si accodò.
La stanza preparata per Hermione si trovava al primo piano, lungo il corridoio che conduceva alla camera padronale. Dobby l’aveva preparata durante la notte, utilizzando lenzuola e tende color glicine, sistemando sul tavolo un bel mazzo di ortensie azzurre, profumando l’ambiente di una delicata fragranza floreale. E ora guardava la ragazza addormentata, incredulo.
Una volta che i messi se ne furono andati, Draco estrasse dalla tasca dei pantaloni una pergamena e la posò sul comodino.
“Questa è la terapia per questa settimana. Trovi le pozioni nell’armadietto in bagno” con un impercettibile movimento della bacchetta fece comparire la flebo ed nello stesso modo inserì gli aghi nel braccio sinistro della paziente “Ogni mattina ne versi una dose nella flebo. Hai capito bene?” al suo assenso proseguì “Al resto, penso io”.
Rimase per un po’ ritto accanto al letto, gli occhi fissi sulla donna, congelata nella stessa espressione da mesi ormai. Un’eroina in bilico tra la vita e la morte.. chissà che cosa penserebbe se sapesse di essere stata affidata alle mie cure, un inaffidabile furetto, il suo tormento.
Sanguesporco, non so nemmeno io che cosa pensare, ammise a se stesso, turbato. Weasley si aspettava troppo dalle sue capacità di medimago. Non aveva mai esercitato in un ospedale, lui era un ricercatore, un pozionista, non aveva mai nemmeno provato a fare diagnosi. Sospirando, mosse ancora la bacchetta e fece muovere le gambe di lei, secondo la scheda di fisioterapia che il dottore babbano gli aveva inviato. La stessa cosa fece con le braccia.
Poi, le sistemò nuovamente le lenzuola ed uscì.
Dobby era seduto sulle scale, un’espressione pensosa stampata in faccia. Draco cominciò a scendere le scale e, senza guardarlo, gli domandò “Possiamo fare colazione?”.
Pensava che fosse meglio non assecondare le elucubrazioni di quello strano elfo, suo unico interlocutore da mesi ormai, e che fosse necessario mantenere la normale routine alla villa. Così, si lasciò servire in silenzio e mangiò tutto, per non dargli nessuna occasione di cominciare un discorso.
Rimase tutta la mattina nel laboratorio a lavorare, cullato dalla musica babbana che riempiva ogni stanza. Mozart. Aveva faticato a convincersi che fosse solo un babbano l’inventore di una melodia simile.
Soltanto nel pomeriggio, si decise a salire sulla torre per mandare il messaggio a Weasley. Con le mani sprofondate nelle tasche, guardò il gufo allontanarsi rapidamente.
 
Prima (e forse unica) ff che scrivo sulla storia di Harry Potter. Spero vi piaccia.
Ezrebet

   
 
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