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Autore: pernome    21/08/2012    6 recensioni
Raccolta di OS estive.
C'è Greta e la sua indecisione,
Giovanni e le Merit, insieme alla sua reputazione traballante, e tanti altri.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La presunta santità di Greta

  

Due uomini sdraiati sul rispettivi teli mare, appiattiti come sogliole contro il sole, in cerca del minimo raggio di sole, prova tangibile sulla pelle delle loro vacanze. 
Uno, alto e dinoccolato, la pelle non più fresca come un tempo, si crogiolerà di quell'abbronzatura con i colleghi rimasti in città, e magari riuscirà anche a inventarsi una storia con una ragazza del posto. Non troppo giovane comunque, meglio non esagerare. Si beerà raccontando di una venticinquenne in cerca di attenzioni, pelle color cioccolato e lunga chioma castana, poi si guarderà attorno guardingo e aggiungerà che la moglie non si è accorta di nulla per tutta la vacanza. 
Trentanove anni buttati nel cesso, con una consorte bigotta, la pancetta, i capelli sul brizzolato andante e con qualche accenno di stempiatura precoce.
 
L'altro, qualche ombrellone più in là e qualche anno in meno, osserva le onde appoggiato sui gomiti, con i suoi Ray-Ban inforcati e una canzone dei The Black Keys nelle orecchie. 
Vent'anni e già spera di andarsene da quel posto desolato dove abita. Una zazzera castana lo protegge dal sole, il corpo asciutto e leggermente muscoloso è steso sulla superficie del telo aderendo completamente.
 
Due uomini con poco o niente in comune, tranne una cosa: Greta. 
A qualche sguardo da loro due, due occhioni verdi e vispi osservano la situazione, combattuti sulla decisione da prendere. 
La ragazza non si capacità del fatto di preferire gli uomini maturi ai suoi coetanei, nonostante molte volte con le amiche abbia trovato giustificazioni ben plausibili per le sue preferenze. 
Osserva l'uomo brizzolato qualche ombrellone più in là e vede un uomo interessante, capace di intrattenere un discorso serio e di portarla a cena fuori, con la sua macchina e senza bisogno di dividere la benzina. 
Lo osserva fino a quando lui non si volta, come attirato dal suo sguardo indagatore. 
Le sorride sotto quegli occhiali sottili e scuri, passati di moda da almeno otto anni, e si volta poi a guardare il mare. 
Greta, senza nemmeno far caso alla donna sdraiata accanto all'uomo, si sfila gli occhiali e si alza, mostrandosi in tutti i suoi vent’anni, sistemandosi il costume succinto e si avvia verso la riva, sculettando e scuotendo la chioma castana e lunga. 
Voltandosi, immersa nell'acqua, incrocia un paio di Ray-Ban, un volto divertito e non può fare a meno di distogliere lo sguardo imbarazzata, nascondendo la testa nell'acqua.
È quella la cosa che meno sopporta dei ragazzi della sua età, il bisogno di giudicare le scelte e i gusti delle persone senza nemmeno conoscerle. Il ragazzo non ha distolto lo sguardo quando Greta riemerge, il suo volto è ancora divertito e i suoi occhiali scuri sono ancora fissi su di lei. 
Questa volta decide di prendere in mano la situazione e tenere testa al ragazzo che, per tutta risposta, alza le braccia e si lascia cadere sul telo mare, chiudendo gli occhi. 
Quando Greta si ricorda il motivo per cui è entrata in acqua e cerca lo sguardo dell'uomo, quel che trova è la sua schiena che cammina verso casa.

* 

Le città di mare sono sempre le mete preferite per qualsiasi tipo di turista. Dall'imprenditore al muratore fino all'artigiano, d'estate si è tutti uguali, in cerca della tintarella con un costume che, riguardando le foto, ci farà vergognare di averlo indossato. Alcuni addirittura di averlo comprato. 
Di sera, Greta ama sedersi sul muretto accanto alla passeggiata del paesino dove abita a guardare i turisti, le loro facce, i loro coloriti, i loro vestiti. 
Di sera c'è una vastissima quantità di persone che si riversano in quel paesino, su quella passeggiata, e Greta, in attesa che il resto del gruppo decida cosa fare, -cosa che richiede almeno tre ore buone-, sta li, con le gambe penzolanti a osservare le facce e le espressioni di tutte le persone che le passano davanti. 
Quella è una sera come le altre, Carola e Luigi stanno ancora chiamando gli altri a rapporto davanti al muretto per decidere della serata, -sono più o meno le undici di sera-, quando Greta incrocia uno sguardo, una giacca di lino bianca e una zazzera di capelli tendenti al grigio. 
Ripensa a quella mattina e l'uomo che lei aveva trovato tanto attraente, come in risposta ai suoi pensieri, le fa un sorriso. 
Potrei essere sua figlia, pensa Greta, attorcigliandosi una ciocca di capelli con la mano. Poi l'uomo passa, camminando, e la supera. 
Non sa cosa le prende, non sa cosa la spinge da dietro, ma Greta improvvisamente si ritrova catapultata in mezzo alla passeggiata affollata, le mani in tasca con un' atteggiamento fintamente tranquillo e la nuca dell'uomo davanti a lei, continuamente sotto il suo sguardo, per non perdere nemmeno uno spostamento. 
Lo vede rallentare e così rallenta anche lei, accostandosi ogni tanto al muretto per non farsi notare troppo. 
Lo vede fermarsi, da solo, a prendere un gelato, e quando si accorge che si sta voltando, dopo aver pagato, e si sta dirigendo verso il muretto dove è appoggiata lei, è troppo tardi. 
Lui si affaccia, lo sguardo rivolto al mare, dà un assaggio al gelato e sorride, silenzioso.
-È un bel posto, vero?- 
La coglie di sorpresa, voltando lo sguardo solo dopo aver parlato. Il gelato in mano. 
-D'estate. C'è parecchia gente ora.. ma tra un po' spariscono tutti-
È solo un uomo che vuole far conversazione, si ripete Greta come un mantra, cercando di mantenere la calma e di comporre frasi con un nesso logico.
-E tu cosa fai per divertirti?- l'uomo ha uno sguardo stranamente compiaciuto, la osserva.
-Il gelato.. sta colando-, balbetta Greta, poi allunga una mano per aiutarlo, ma la ritrae imbarazzata subito dopo. 
-Qui c'è poco. Lungo il litorale c'è qualche locale ma ci vanno i picciriddi, quindi noi ci andiamo pochissimo-.
Lui la guarda confuso e lei si affretta a tradurre. 
-I bambini, i ragazzini!-
L'uomo sorride. Nel frattempo ha ripulito i danni del gelato e se ne è mangiato una gran parte. 
Improvvisamente a Greta vien voglia di gelato. 
-E tu quanti anni hai..-
-Greta-, risponde lei, concludendo la sua frase. 
-Ettore-, sorride sornione. 
Anche il nome è da uomo, pensa Greta sorridendogli e porgendogli la mano. 
-Ho ventun'anni, comunque- 
-E quindi non sei una piccirudda?- 
Greta ride del tentativo dell'uomo, e in quella risata Ettore la vede in tutti i suoi vent'anni, e ha sete, una sete insaziabile, e la vorrebbe baciare li, appoggiata a quel muretto, ma sa che rovinerebbe quella bella risata, allora lascia che rida, e se ne sazia. 
-No, non sono una picciridda-, gli ultimi rimasugli della risata lasciano la sua bocca e quelle labbra si richiudono, rimanendo incurvate. Come quelle dell'uomo. 
-Di dove sei, Ettore?- quel nome le riempe la bocca, riesce a sentirlo scorrerle  attraverso la gola e fuoriuscire dalle labbra schiuse come fosse fumo denso. 
-Son di Milano-, avrebbe potuto capirlo dall'accento, dalle vocali strette, dalla bocca quasi sempre chiusa. 
Non gli avrebbe chiesto l'età e a lui non sembrava dispiacere la cosa. 
-Tu sei di qua, immagino-, San Paolo, un piccolo paesino sul mare in provincia di Messina.
Niente a che vedere con la metropoli e il caos di Milano. 
Greta non è mai nemmeno stata a Milano.
Una brezza leggera passa attraverso i loro corpi, facendoli rabbrividire. Istintivamente Ettore prende la sua giacca e, sfilandola, la porge alla ragazza. 
Greta incrocia il suo sguardo e, come se non ci fosse stato nessun'altro, i loro occhi si fissano gli uni agli altri. Ettore sente il suo corpo avvicinarsi a quello di Greta, come padrone di una forza sconosciuta. 
-Greta, ti abbiamo cercato ovunque-, una voce arriva da dietro le spalle della ragazza e un braccio le cinge i fianchi, allontanandola dal corpo dell'uomo. 
Lei guarda il ragazzo che l'ha chiamata per nome interdetta e rimane in silenzio. 
-Tieni la giacca, me la dai un altro giorno. La passeggiata è piccola. Ciao Greta-, è una promessa. Ma Greta non capisce niente, risucchiata dagli eventi. Vede Ettore allontanarsi. 
Non sa che dovrà spiegare alla moglie, che lo aspetta a casa, come mai è senza giacca. 
Lo vede scomparire tra la folla e, delusa, si volta verso il ragazzo dietro di lei, in attesa.
-Chi sei, come sai il mio nome?- la voce di Greta è un sussurro, le braccia rigide lungo il corpo e lo sguardo puntato sul viso compiaciuto davanti a lei. 
Senza Ray-Ban è ancora più strafottente, pensa mentre osserva i suoi lineamenti. 
-Piacere, Giorgio-, sorride, consapevole del suo fascino da ragazzo slavato, giovane e pieno di progetti. 
-Hai il nome da maggiordomo- lo smonta lei, guardandolo in cagnesco, -e cosa vuoi da me?- 
-Ti stavo ovviamente salvando da una serataccia, e ti sto anche proponendo una bellissima serata, anzi nottata, soddisfacente!- 
Greta lo osserva, a metà tra lo schifato e il risentito. 
-E cosa ti fa pensare che la mia si prospettasse una serata deludente?- 
-Io non ho mai usato il termine deludente, quindi evidentemente sei consapevole del fatto che avresti concluso la serata a farlo alla missionaria in una camera ad ore.-
Greta si morde il labbro, ma cerca di mascherarlo attaccando nuovamente Giorgio. 
-E quindi hai pensato bene di propormi.. te?- e con lo sguardo attraversa l'intera figura del ragazzo, simulando una faccia schifata. 
Naturalmente deve sforzarsi tantissimo per essere convincente, il ragazzo ha un corpo proporzionato, reso mulatto dal sole caldo della Sicilia e in lui c'è tutta la spavalderia e la bellezza dei vent’anni. 
Lui si alliscia la barbetta incolta sulla guancia e sorride, indifferente. 
-Esatto-, si limita a rispondere, ammiccando. 
-Continuo a credere che avrei passato una serata migliore con Ettore-, una scia di colonia proveniente dalla giacca conferma quelle parole, raggiungendo le sue narici delicatamente. 
E Greta di nuovo vede quello sguardo negli occhi di Giorgio. Giudizio, stupido giudizio giovanile. 
La rabbia, che si era affievolita, riemerge prepotente. 
-È inutile che mi guardi in quel modo, lui non ha niente meno di te. Anzi, penso proprio che lui abbia molte cose in più..- 
-Si, una moglie e un mutuo da pagare-, risponde Giorgio piccato. 
-Sei solo invidioso perché non ho notato te ma lui. Sei ferito nell'orgoglio, ammettilo! Beh, sappi che sono convinta che passerei una serata migliore con lui.-, Greta si blocca, prende fiato, e sta per ricominciare quando lui le prende una mano e la trascina, sussurrando: -Mettimi alla prova!-.

*

La vista era sicuramente la parte migliore di quel piano folle che Giorgio aveva organizzato all'ultimo momento. 
Ci sono posti, in una città, che anche chi ci abita da una vita non ha mai visto, talmente sono nascosti o privi di ogni sorta di pubblicità. 
La vista del paese dal Monastero di S. Placido, a Pezzolo, era uno dei suoi pezzi forti.
Isolato, difficile da raggiungere e con una vista spettacolare. 
Ci aveva portato qualche ragazza, e non per la vista, ma questo a Greta non lo avrebbe detto. Lei era li per la vista, e basta. 
Greta abitava in quel posto da tutta la vita, bazzicava giornalmente per Pezzolo e dintorni, eppure non aveva mai visto uno spettacolo tanto splendido. 
Arrabbiata, si gira a guardarlo, ma lui non la sta osservando, i suoi occhi riflettono le milioni di luci che si estendono sotto di loro, come una grande tavolozza scura punteggiata d'oro. 
Greta odia dover apprezzare tutto questo, odia dargli una soddisfazione che non merita, però non può fare a meno di guardare affascinata lo spettacolo. 
Giorgio sa che lei si sta sforzando di rimanere impassibile, ma gode dei suoi occhi che si aprono, grandi e luminosi, estasiati loro malgrado dalla vista. 
-Allora?- non può fare a meno di chiedere, e lei si riscuote a quella domanda, e torna fredda e distaccata. 
-Allora cosa? Un po' banalotto. Abito qui, tonto. Lo vedo tutti i giorni questo posto-, lo sbeffeggia lei, allontanandosi dal parapetto. 
-Allora sai anche cos'è questo..-, si allontana da lei, indicando con il braccio teso l'edificio a poca distanza da loro. 
-Ma che mi importa cos'è..-, afferma incerta Greta. 
-È un monastero-, sorride Giorgio, e si volta, dandole la schiena. 
-Muoviti-, aggiunge qualche passo dopo. 
Lei si affretta a seguirlo, cercando di non perderlo dentro qualche ombra. Il paese, da quella parte, appare spoglio e desolato, e Greta ne è affascinata, persa in quei vicoli e in quelle tavole calde che sorpassavano di fretta, senza dargli la giusta attenzione. 
Si stupisce quando sente la mano di Giorgio afferrare la sua per non perderla, ma non si ritrae, continua a camminare dietro di lui, incurante delle vecchiette fuori dalle porte che li osservano e parlottano all'orecchio. 
Sorpassano anche loro e, nonostante Greta sia diffidente, si sente come sotto l'effetto di una droga, estasiata dal mondo esterno, da quei balconcini carichi di fiori che spuntano sopra le loro teste, dalle case abbandonate a se stesse ricoperte di edera, dal profumo di gelsomino che permea ovunque e che supera il profumo di colonia sul colletto della giacca che ha ancora appoggiata sulle spalle. 
La lascia scivolare, quella giacca, senza nemmeno rendersene troppo conto, rimane li, afflosciata all'angolo di una stradina sconnessa e isolata, e il suo vestitino rosso si libera da quel cupo grigiore e risplende più vivo di prima mentre Greta viene trascinata via, tirata gentilmente da quella mano ossuta e abbronzata. Giovane. 
-Ti spiace se prendiamo il treno?-, il ragazzo si volta appena a guardarla, mentre prosegue la sua corsa. 
Greta, affannata, non manca di apparire infastidita. 
-Non hai nemmeno la macchina? Lui non mi avrebbe fatto andare in treno-, cerca di mantenere un tono infastidito, ma un sorriso gli affiora sulle labbra e le rovina la recita. 
-Va bene-, sorride lui, e prima che lei possa rendersene conto la tira con uno strattone, la raccoglie come fosse una piuma e le alza le gambe, prendendola in braccio. 
-Mettimi giù!-, grida Greta, non riuscendo a capire se il respiro è mozzato per via della paura o del riso. 
-Come una vera signora, non salirai con i piedi sul treno, contenta?-, gli occhi di lui si soffermano per un attimo su quelli di lei, a poca distanza gli uni dagli altri, per poi tornare a guardare la strada. Greta si sente alzare nuovamente e di colpo si ritrova su un treno flebilmente illuminato, ancora in braccio a Giorgio. 
Giorgio, che è riuscito nel suo intento e, anche se lei non lo vuole ammettere, la sta facendo divertire. 
-Mettimi giù, ci staranno guardando tutti-, biascica Greta tra la sue braccia. 
-Tutti chi?- Giorgio guarda quel visino poco truccato compiaciuto, mentre lei, come una tartaruga, esce da un guscio trasparente e si guarda intorno, oltre le spalle di Giorgio. 
Lui la sente rilassarsi tra le sue braccia e poi vede il suo viso puntarlo, indispettito. 
-Cosa credi di fare? Mettimi giù immediatamente, non ti lascerò molestarmi in questo modo!-, la sua voce si è alzata di qualche ottava e sul suo viso, malcelata, c'è un'espressione divertita. 
Giorgio capisce ciò che intende fare e le tappa la bocca con la mano più vicina al suo viso. Lei si dimena, invano. 
-Sta buona, tanto non c'è nessuno che ti può sentire-, sono entrambi come complici di un gioco indefinito. 
Il treno si ferma in modo brusco e Giorgio scende con Greta ancora tra le braccia. 
Lei, che fino a qualche istante prima ancora cercava di liberarsi dall'abbraccio di Giorgio, ora è estasiata davanti a ciò che si trova davanti. 
Un labirinto intricato di viette e negozietti nascosti si estende davanti a lei. 
-Dove siamo?- 
-È un segreto-, Giorgio la lascia scivolare giù dalle sue braccia e la poggia a terra, attento a non alzarle il vestito, che inevitabilmente scorre e gli fa sfiorare un lembo di pelle delle gambe di Greta, che se lo abbassa velocemente imbarazzata. 
-Dimmi dove siamo-, insiste Greta, gli occhi illuminati. 
-Zitta e seguimi-, le risponde lui, poi le prende nuovamente la mano e la trascina dietro di se. 
Nizza di Sicilia, un paese ricco di stradine caratteristiche, li accoglie tra le sue mura, al riparo da occhi indiscreti, Greta e Giorgio camminano mano nella mano, illuminati dalla sola luce delle flebili lanterne ai lati delle abitazioni. 
Greta si sta lentamente, -e inconsapevolmente-, sciogliendo di fronte all'originalità e alla simpatia di Giorgio, che gli fa da chaperon senza essere noioso, raccontando di una città ricca di cultura e curiosità. 
-Però vuoi andartene..-, sussurra Greta a un certo punto. Lo ha notato fin dalla prima frase, l'amore era misto di risentimento, rancore. 
-Come?-, Giorgio rallenta il passo per poterla vedere meglio in viso. 
-Ami questi posti, li conosci meglio delle tue tasche, eppure muori dalla voglia di scappare. Perchè?-, non riesce a capire il motivo, ma il suo tono è triste, quasi rassegnato. 
-Sono posti stupendi, solo non per me-, si limita a rispondere Giorgio, -ora vieni-, le stringe la mano e si avvicina a un chioschetto, trascinandola. 
Lei lo sente farfugliare qualcosa all'uomo dietro al bancone che gesticola e poi armeggia con cucchiai e bicchieri. 
Due minuti dopo Giorgio torna a guardare Greta con due buste bianche in mano. 
-Scommetto che non hai mai fatto colazione in spiaggia-, sorride, ed è un sorriso larghissimo, felice, degno di un ventenne. 
-Colazione?- Greta non ha il tempo nemmeno di pensarci che viene nuovamente tirata dal braccio di Giorgio.
-..ma saranno le due di notte!-, Greta lancia un gridolino di disapprovazione, poi si lascia portare da lui. 
Arrivano alla spiaggia con il fiatone, nonostante non ci sia alcuna fretta. Giorgio le da uno strattone e Greta finisce sulla sabbia con un tonfo. 
-Bel lancio-, esclama Giorgio, ridendo, mentre la ragazza lo guarda imbronciata. 
-Hai perso tutti i punti che stavi accumulando-, farfuglia, mettendosi seduta.
-Perché, stavo accumulando punti?-, chiede Giorgio, guardandola con un sorriso sghembo. 
-Non ti montare la testa, era una classifica mia personale-
-Mi piace far parte delle tue classifiche!-, il sorriso sghembo è ancora li, e lei allunga una mano per schiaffeggiarlo e toglierglielo di dosso, ma lui si scosta. 
-Pensiamo alla colazione!-, Giorgio armeggia con le due buste estraendo da una due bicchierini e dall'altra due enormi brioche. 
-Hai mai mangiato la mezza con panna a mare?- chiede lui, eccitato all'idea. 
-Mai a quest'ora!-
-C'è sempre una prima volta- poi le porge la brioche e il bicchiere pieno di granita e panna. 
Mangiano in silenzio, però non c'è imbarazzo, è un silenzio quasi studiato, desiderato da entrambi. Lo scroscio delle onde accompagna i loro movimenti, mentre danno un morso alla brioche o mentre la inzuppano nel caffè gelato. Le luci dei lampioni rischiarano i loro volti, le sfumature ambrate dei capelli di Greta, le ombre leggere del viso di Giorgio. 
Giorgio ha ventitré anni e questa è una di quelle sere in cui non vorrebbe mai andarsene da quei posti meravigliosi. Guarda negli occhi di Greta e vede il riflesso del mare cristallino, delle stelle e capisce perché ama quei paesi, perché li conosce così bene. Sente di appartenere a loro e che loro, ogni singola via, ogni lampione, ogni fiore su ogni balcone gli appartiene, lo tiene in vita, alimenta la sua voglia di vivere. 
Greta ha finito di mangiare e lo osserva, assorto nei suoi pensieri. 
-Torniamo nelle stradine, ho voglia di camminare-, sussurra lei e questa volta è la prima ad alzarsi e a prendergli la mano. 
Giorgio si lascia portare, guardandola divertito, nel suo vestitino rosso, aderente. 
Sembra così uguale alle altre ragazze, eppure c'è sempre qualcosa di diverso in lei, di strano. Un vestito rosso striminzito qualsiasi ragazza lo porterebbe coi tacchi, e invece Greta indossa dei sandali alla schiava, della stessa tonalità della sua pelle, che la fanno sembrare quasi scalza. 
Una collana le pende dal collo e i capelli sono sciolti, ribelli e lunghi dietro la schiena. 
Giorgio la osserva mentre le gli cammina davanti, trascinandolo, ed è sempre più convinto che questa è una di quelle sere in cui questi paesi sono speciali.
Greta si gira a guardarlo e, lui ne è convinto, la vede ammiccare. 
Si ritrovano presto nel dedalo di stradine intricate del paese. -Ti piace il posto?-
-È stupendo-, Greta sorride, anche se Giorgio non la può vedere in faccia. 
-Ma non ti montare la testa.. più di quanto non lo sia già- 
Lui romane in silenzio, ma sente il suo respiro regolare interrotto dal gorgoglio di una risata. 
-Ora puoi smettere di tenermi la mano, non scappo-, la voce di Greta è bassa, non vuole svegliare nessuno, anche se probabilmente la maggior parte delle case è disabitata. 
-Non ho intenzione di lasciarti-, tiene stretta la presa alla mano della ragazza, che cerca blandamente di divincolarsi. 
-Dai, sarebbe impossibile, e stupido, scappare qui-, lui la guarda negli occhi per qualche istante e poi le lascia andare la mano, che scivola lentamente lungo il fianco della ragazza, immobile. I loro occhi si incrociano e Giorgio, istintivamente, avvicina il suo corpo a quello della ragazza, la mano, poco prima in quella di Greta, cinge un fianco del vestito rosso e spinge il suo corpo contro il muro poco distante. I loro respiri si incrociano, si fondono l'uno all'altro, amalgamandosi in una danza sensuale. Le labbra sono a pochissimi sospiri le une dalle altre, Greta può sentire la barba ispida solleticarle il viso, ma non si avvicina, non riempie quello spazio prima del bacio, e aspetta che sia lui a farlo, a superare quello scoglio, a sprofondare nel mare. 
E quando lui si tuffa lei è li ad attenderlo, ed è quello il momento in cui Ettore rimane sullo sfondo, insieme alla sua giacca e alla sua colonia, e al suo dopobarba. Superato dal profumo di salsedine, dal caldo di due corpi che si toccano, si sfiorano, e dal solletico di una barba trascurata. Superato dalla gioventù. 
Ettore tornerà a casa, quella sera, e racconterà a sua moglie di aver appoggiato la giacca chissà dove mentre si gustava un gelato. La moglie probabilmente gli crederà. Magari ritroverà anche la giacca in un angolo della strada. 
Giorgio, invece, avrà Greta. 

--

Quel che poi conta son le solite piccolezze
Rileggendo non ti piace mai ciò che scrivi (o almeno, a me capita sempre così!). Però questa os è come un'inaugurazione del profilo. 
Ci sono molte cose che mi piacerebbe dire ma mi limiterò a fare gli appunti sul testo. 
Il titolo è tratto e riadattato dal titolo della canzone di Dente, "La presunta santità di Irene". 
I luoghi esistono tutti, anche se hanno dei nomi poco da "storia romantica fantasticamente bella". Il racconto è veritiero in ogni suo dettaglio, per quanto mi ricordi U.U
Il termine "picciriddu" esiste ed è Messinese (oddio, poi non so se si dice alla stessa maniera anche a Catania o a Palermo)!
Dentro ci sono riferimenti ai Ray-Ban, marca di occhiali da sole (e da vista) molto conosciuta, riferimenti ai The Black Keys che sono un gruppo musicale (AMMOREH) e poi stop. 
Diciamo che non è un insulto agli uomini attempati, poichè sono una sostenitrice dell'amore verso gli uomini "maturi", però ci sono uomini e uomini, e a me quelli sposati che si cercano la ventenne stanno proprio QUI. LOL 
Spero nessuno la prenda come un insulto o chessò. 
Se siete arrivati fin qui, tanto di cappello. 
Alla prossima, Nom.


 

   
 
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