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Autore: lispeth_    22/08/2012    2 recensioni
Guardava quegli occhi neri come la pece percorrere tutta la stanza. La stava cercando, sentiva il suo respiro ansioso di poterla toccare un'altra volta. Roxanne voleva urlare, ma facendo così avrebbe rivelato il suo nascondiglio all'assassino. La sua risata le fece gelare il sangue. "Ti troverò Roxanne Holmes, non puoi scappare" ringhiarono le sue labbra. Non era umano, era un mostro. E andava fermato, prima che fosse troppo tardi.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I’m only human
I’ve got a skeleton in me
but I’m not the villain, 
despite what you’re always preaching.

 


Le ore si susseguivano troppo velocemente. I minuti scorrevano rapidamente più forte dei battiti del suo cuore.
Si era resa conto che fosse inevitabile non soffrire e quindi si era lasciata travolgere dalla tempesta a testa alta, rimanendone comunque schiacciata sotto al suo peso. Strinse i pugni sul suo banco chiudendo gli occhi. Il dolore era insopportabile. Una ferita ancora aperta che non riusciva a rimarginarsi.
Si perse nei suoi pensieri per quelli che lei sembrarono secondi in realtà passarono esattamente due ore. Venne svegliata dal torpore dalla sua amica Renee che cominciò a strattonarle il braccio.
Invidiava il suo entusiasmo in quel momento. Voleva la sua leggerezza nel vivere più di ogni altra cosa invece di essere condannata al continuo dramma.
Non era nata per quello. Sua madre le aveva promesso di proteggerla in ogni istante della sua vita.
Non lo stava facendo e si sentiva in colpa ad essere arrabbiata con lei e vedeva crescere la sua bambina solamente da spettatrice muta. Roxanne provò a pensare al nulla, giusto per cancellare per qualche secondo la sua vita.
Si accorse che il giorno era arrivato.
La festa in maschera.
E pensare di andare a casa di Kayla perdendo tempo prezioso con il suo ragazzo la fece ritornare ai pensieri precedenti che cercava di cancellare.
La mattina successiva Sawyer se ne sarebbe andato alle prime luci dell’alba. Poteva considerarsi un contrasto visto che sarebbe stato un “tramonto” della loro relazione, fino al suo ritorno.
La cosa che non riusciva a sopportare era il fatto che Sawyer avesse aspettato così tanto tempo per dirle della sua decisione. Avrebbero trascorso il loro tempo in modo diverso anziché litigare.
“Oddio non vedo l’ora di infilarmi il mio vestito nuovo e far schiattare di invidia quella stronza di Cheryl” blaterò Renee improvvisamente facendo tornare l’amica al presente. Roxanne roteò gli occhi pensando che fosse la cosa più noiosa al mondo ma almeno l’avrebbe distratta dal resto. Poteva essere una soluzione vincente, ma non aveva voglia di sforzarsi troppo.
Non era asociale, non era nemmeno una ragazza tranquilla. Quello era anche il genere di festa che le piaceva, peccato che fosse spuntata nel momento sbagliato.
Si sentiva terribilmente vuota.
E non poteva più contare sull’aiuto di Sawyer. Non in quel momento.
Era come se tutte le persone attorno a lei prima o poi svanissero nel nulla. Una sorta di maledizione che si prendeva gioco di lei. E aveva deciso di tirar fuori bandiera bianca e sventolarla al mondo.
Cheryl comparve davanti alla sua strada con la sua solita andatura da supermodella zoppa.
“A quanto pare verrai anche tu alla festa di Kayla questa sera. Peccato che tu non abbia un cavaliere, in fondo chi uscirebbe mai con te?” aveva sempre la stessa voce acida. Non sarebbe mai cambiata. Come il suo modo di inclinare la testa di lato mentre aspettava una risposta alle sue provocazioni.
“Ho sentito che tu invece non ci andrai con Adrian”  rispose di rimando mantenendo il suo sguardo. Sarebbe sempre stata una battaglia aperta tra loro due. Sia Cheryl che Roxanne non avrebbero mai ammesso di essere schiocche a bisticciare in quel modo, erano troppo uguali. Nessuna delle due però l’avrebbe mai ammesso.
“Oh si l’ho lasciato io. Non era alla mia altezza” mosse i capelli corvini di lato per poi cominciare a lisciarseli con la punta delle dita. Lo faceva sempre quando era nervosa.
Roxanne l’aveva sempre messa in soggezione. Perfino quando erano amiche per la pelle alle elementari. Lei era la classica bambina con l’apparecchio che tutti prendevano in giro mentre Roxanne … oh lei era la ragazza misteriosa che decideva di mettersi a leggere un libro anziché giocare con i compagni di classe. Eppure nonostante la sua distanza era presente nei discorsi di chiunque.
Odiava i suoi capelli, il modo in cui fossero dannatamente rossicci e naturali e nonostante fosse una normalissima ragazza aveva sempre quel qualcosa in più che affascinava chiunque. Cheryl si ricordava ancora quanto aveva sofferto. Quanto aveva faticato per diventare quello che era diventata: la reginetta del ballo che tutti volevano. Ma Roxanne le rovinava sempre i piani.
Perfino Adrian era caduto nella sua trappola. E per quanto quel ragazzo non le interessasse più, non sopportava l’idea che gironzolasse attorno alla sua rivale.
Roxanne Holmes era una ammaliatrice e andava eliminata.
Sarebbe bastato un semplice colpo di pistola in mezzo agli occhi e sarebbe stata cancellata dal mondo in un secondo.
Uno sparo. Un ultimo respiro e i suoi problemi sarebbero scomparsi. Sorrise a quel pensiero ravvivandosi i capelli corvini con la mano. Dalla sua parte Roxanne non disse nulla, si limitò semplicemente a puntare i suoi occhi cioccolato in quelli altrettanto scuri della ragazza dalla gonna troppo corta.
Cheryl fece una leggera smorfia e prima ancora che la sua rivale potesse rispondere se ne andò lasciando una leggera scia del suo profumo alle spalle. Aveva ben altro a cui pensare. Susan le aveva rubato il cavaliere per la festa in maschera. Doveva sostituirlo al più presto altrimenti sarebbe andata al ballo da sola.

“Benvenute” disse Kayla con tutto l’entusiasmo che poteva mettere.  Il suo vestito era rosa confetto perfettamente aderente al suo esile corpicino. Una maschera di seta bianca era incorniciata dai suoi capelli biondo scuro piastrati apposta per la serata. Si divertiva ad essere ammirata ma non la considerava una cosa necessaria, anzi pensava fosse del tutto inutile. Roxanne e Renee stettero comunque qualche secondo a squadrare quella seta svolazzare ad ogni movimento della ragazza.
“Grazie” si trovò a dire Roxanne senza nemmeno accorgersene. Tutta quella situazione le sembrava assurda, ancora non riusciva a capire come si era lasciata convincere da Renee a venire a quell’insulsa festa.
I vestiti. La musica. Le persone.
Paradiso e inferno nella stessa stanza decorata di rosa e lustrini argento.
Renee adocchiò immediatamente Susan appiccicata al suo cavaliere in mezzo alla pista da ballo. Una maschera di pizzo nero copriva solamente la parte superiore del viso di Adrian Kain lasciando in bella vista la sua arma letale silenziosa. Roxanne cercò di non farci caso e decise di puntare immediatamente il tavolo degli alcolici, in realtà sperava che il punch fosse stato corretto apposta per farle mandare giù tutto quello sciroppo rosa confetto.
Dio come diavolo avrebbe fatto a resistere per tutta la notte?
La musica rimbombava nella stanza a ritmo dei fianchi di Britney Spears. Susan Reeves era aggrappata ai capelli biondi di Adrian e li arricciava con le sue dita affusolate. Guardò il ragazzo negli occhi e poi sorrise timidamente.
“Sicuramente Cheryl mi ammazzerà” affermò a voce alta.
“Per cosa?” le chiese il ragazzo premendo le sue mani sui fianchi della ragazza. Lei arrossì ancora una volta e si guardò attorno.
“Per essere venuta al ballo con te. Tu eri come dire…di sua proprietà” disse infine al suo orecchio stanca di urlare a causa della musica troppo alta.
“Non sono di proprietà di nessuno” rispose Adrian tirando un sorriso troppo perfetto per essere vero. “E comunque non credo che debba importare più di tanto di quello che pensa Cheryl” aggiunse facendole fare un giro su stessa alla sua compagna di ballo.

Un ragazzo ubriaco si scontrò parecchie volte contro Roxanne scusandosi ripetutamente. Conosceva quel ragazzo, e si stupiva di vederlo in quello stato. Nessuno si immagina un patito di chimica che fa parte della banda in una festa del genere, eppure Mark Hooper era proprio ubriaco e intenzionalmente continuava a caderle addosso come un manichino senza gamba.
“Mark perché non ti siedi e recuperi un po’ del tuo equilibrio?” sbottò la ragazza poggiandosi al muro per non cadere. Quei tacchi non le davano molta stabilità ma decise ugualmente di mandare giù tutto d’un fiato un bicchiere di punch alla frutta. Sorrise nel sentire un lieve aroma di vodka scorrerle giù per la gola.
“Scusa Roxanne è colpa del tuo vestito” biascicò il ragazzo barcollante mentre tentava di persuaderla con un sorriso decisamente calcolato male.
“Non cominciare Mark non sono dell’umore giusto. E soprattutto non con te”
“Oh e a chi ti preservi? Adrian?” chiese il ragazzo poggiando la sua mano sul fianco della ragazza rossa.
“Ma perché tutti la vedono in questo modo? Insomma è solo un nuovo ragazzo, nemmeno fosse il principe d’Inghilterra” urlò coperta comunque dalla musica assordante. Strinse il bicchiere di plastica che teneva in mano deformandolo solamente al centro. Era assurdo come quel nome comparisse nel discorso di chiunque, era quasi una maledizione incancellabile.
“Datti una calmata stavo solo scherzando” disse il ragazzo biondiccio in sua difesa, immediatamente si distanziò da Roxanne prima che potesse esplodere come un vulcano. Lei sospirò cercando di spingere fuori tutta la rabbia intrinseca che teneva dentro con scarsi risultati. In più la sua amica Renee si era appartata con un ragazzo sconosciuto della festa in un angolo della stanza.
E così era di nuovo da sola. Solo in quel momento si rese conto di esserlo davvero. Quella volta Sawyer non l’avrebbe salvata da quella situazione. E nessuno in quella stanza aveva voglia di parlare normale senza finire in un angolo della stanza ad amoreggiare o a pettegolare di qualcuno della loro scuola.
Corse verso il bagno che sapeva essere in fondo al corridoio a destra, come indicato dalla padrona di casa. Chiuse la porta alle sue spalle nel momento stesso in cui le lacrime cominciarono a scendere copiosamente sul suo viso.
Guardandosi allo specchio si vide improvvisamente diversa come una protagonista di uno splendido dramma americano che trasformavano in un telefilm. La sua vita non poteva essere diventata così tormentata dalla tristezza.
Non poteva succedere a lei. Non nello stesso istante in cui pretendeva un po’ di normalità.
Una risata al di là della porta la risvegliò dalla sua riflessione personale. Conosceva quel suono: Susan, probabilmente aveva deciso di cambiare stanza per non dare troppo nell’occhio. Roxanne aprì lentamente la porta del bagno giusto in tempo per vedere l’abito oro di Susan scomparire nella stanza di fronte assieme ad Adrian. Roteò gli occhi pensando di essere ormai stufa di fare considerazioni a riguardo e decise di tornare in mezzo alla gente, in un certo senso l’avrebbe fatta sentire meno sola. Venne immediatamente attaccata da Renee con il trucco leggermente sbavato e un sorriso sornione.
“Rox tesoro, mi dispiace averti lasciata da sola. Robert era molto carino, ma mi sono ricordata di essere venuta con te” si scusò immediatamente l’amica. Parole inutili ma che Roxanne non le avrebbe fatto pesare.
“Oh non ti preoccupare, va tutto bene” si asciugò lentamente una lacrima invisibile sperando che non fosse evidente che avesse pianto. Renee non faceva testo, lei non si sarebbe accorta nemmeno se Roxanne si fosse colorata la faccia di rosa.
“Sei sicura?” le chiese preoccupata l’amica mentre cercava con gli occhi la sua prossima vittima.
“Si sono sicurissima”
“Allora non c’è bisogno che mi preoccupi troppo. E di Sawyer che mi dici?”
Quel nome le fece sentire un tuffo al cuore. Per un secondo si era dimenticata di lui.
Che gesto egoista pensare solamente a sé stessa. Se lui l’amava al suo stesso modo probabilmente avrebbe sofferto anche lui di quella distanza, per non parlare dell’ansia della guerra.
La paura di poter morire da un momento all’altro per mano di un tuo simile.
E poi Roxanne si stupiva che la gente credesse ancora in un Dio che voleva solamente il bene dell’umanità. Avrebbe voluto chiedere a quelle persone da dove provenisse tutto quell’odio. Probabilmente non si erano chiesti dove si originasse tutto quel male. Non fece nemmeno tempo a voltarsi verso la sua accompagnatrice da vederla volare verso un nuovo ragazzo. La gente proprio non si rendeva conto quando tendeva ad esagerare.
Renee era la donna dell’esagerazione. Bisognava metterle un cartellino appeso alla maglietta che indossava ogni lunedì per rendere chiaro a tutti il concetto. Lei amava essere amata, ma era in grado di voler bene a una persona più di sé stessa. Era quel genere di persona che affermava di essere “innamorata dell’amore” pur non sapendo esattamente che cosa volesse dire. Purtroppo a volte si rinchiudeva nel suo mondo, nella sua piccola bolla colorata e piena di allegria da non accorgersi del resto del mondo. All’infuori di essa c’era Roxanne, ma ormai era abituata a quella situazione.
Non si arrabbiò con lei decidendo di lasciarla fare senza cominciare uno stupido monologo interiore riguardo la vita sociale degli adolescenti e decise di oscurarsi nuovamente a quel mondo giusto per qualche minuto. Prese lo stesso corridoio del bagno e della stanza delle meraviglie di Adrian barra Susan.
Camminava  a passo  lento con le mani dietro alla schiena senza cercando di concentrarsi sul quadro dall’altra parte del corridoio piuttosto che lasciar la sua mente al libero arbitrio.
Stava cercando in tutti i modi di non lasciarsi coinvolgere dalla propria vita nonostante fosse così complicato. Non voleva pensare a Sawyer. Non voleva pensare a suo padre, a suo fratello Noah, a sua madre che probabilmente non sarebbe stata fiera di lei, a Renee. Non voleva nemmeno menzionare nella sua mente il nome Adrian Kain, per quanto potesse essere insistentemente tentatore.
Voleva semplicemente azzerare tutto quello che aveva nella testa e ricominciare dall’inizio. Un blackout mentale.
Improvvisamente arrivò il buio.
Le luci si spensero con un rumore sordo lasciando tutti disorientati. Qualcuno urlò mentre altri si misero a ridere. La padrona di casa si faceva sentire più di tutti mentre cercava disperata il contatore delle luci illuminandosi la strada con il suo telefono cellulare. Roxanne invece se ne stava ferma nel corridoio come paralizzata.
Non aveva mai amato il buio, soprattutto quando non era certa di quello che ci fosse attorno a sé. Cominciò a respirare profondamente mentre con le mani cercava il muro sul quale appoggiarsi. Un leggero venticello caldo le sfiorò la nuca. Qualcuno era dietro di lei. Ne era sicura al cento per cento, prima non c’era quel leggero sentore di sigarette ed alcol.
“Chi sei?” chiese impaurita Roxanne non trovando una risposta alla sua domanda. Quel respiro silenzioso le faceva venire i brividi e continuava persistente a girarle attorno come un avvoltoio. Sicuramente doveva essere un ragazzo della sua scuola che voleva farle paura.
E ci era riuscito. Il cuore di Roxanne batteva talmente forte da rimbombarle nelle orecchie.
Provò a camminare in avanti tenendosi ben salda al muro del corridoio, cercò in tutti i modi di avvicinarsi alle voci della festa.
“Ci sono dei problemi tecnici, per il momento munitevi di torce, sono vicine al tavolo del buffet” disse ad alta voce Kayla cercando di riportare l’ordine come un poliziotto. A tutti vennero consegnate delle torce. La prima cosa che fece Roxanne fu quella di puntarla alle sue spalle non trovando nessuno.  Tutti i presenti ripresero le conversazioni di pochi minuti prima e parve strano non vedere presenti Adrian e Susan. Probabilmente erano ancora rinchiusi nella loro stanza privata gioendo che la luce fosse andata via. Roxanne si avvicinò alla stanza poggiando l’orecchio sulla porta curiosa di sapere quello che stavano facendo. Sfortunatamente non arrivò alcun suono oltre la porta.
“Rox che diavolo ci fai qui?” un torcia le venne puntata direttamente negli occhi accecandola per circa dieci secondi. Renee si scusò con la sua solita risatina e puntò verso il basso la sua torcia.
“Stavo facendo un giro mentre tu te ne stavi a ciondolare con la maggior parte del sesso maschile in questa stanza” disse irritata la ragazza dai capelli rossi incrociando le braccia al petto.
“Si scusa per quello ecco…”
“Non ti preoccupare ho capito benissimo. Non sono così arrabbiata”
“Perfetto allora che ne dici se ci andiamo a bere qualcosa insieme in segno della nostra amicizia?”
“Ti raggiungo” disse Roxanne per poi osservare la sua amica danzare in mezzo alla folla con la torcia puntata verso l’alto.
Tornò a guardare la porta al suo fianco e decise di aprirla fregandosene delle buone maniere. La stanza era completamente buia, come volevasi dimostrare, ma nessuno fiatò per sua improvvisa entrata in scena.
“Ehilà avete finito?” chiese in modo sarcastico la ragazza non trovando risposta. Improvvisamente venne tirata indietro e zittita da una mano posta sulla sua bocca. Era poggiata a qualcuno che la stava trattenendo e per quanto potesse divincolarsi non riuscì a liberarsi. Si arrese a quell’attacco e attese in silenzio nuovi risvolti.
“Shh sta zitta” le sussurrò una voce all’orecchio. Capì immediatamente che quello che la stava trattenendo era Adrian, ma non riusciva a capire perché mai lo stesse facendo. Lentamente la sua mano si tolse dalla sua bocca e le permise di parlare.
“Che diavolo stai facendo?” gli chiese la ragazza cercando di mantenere un tono basso.
“Non c’è tempo di spiegare dobbiamo uscire da questa casa”
“Sei pazzo per caso?”
“No, fidati”
“Fidarmi di te? Andiamo chi mai potrebbe fidarsi di te?”
Adrian fece lentamente scivolare la mano sul suo fianco facendole provare un leggero brivido. Scivolò lentamente lungo la sua gamba per poi afferrare la torcia. Il bagliore prima puntò verso il muro rosa della camera di Kayla per poi mostrare il corpo sfregiato di Susan. Roxanne volle immediatamente urlare ma venne bloccata da Adrian che cercò nuovamente di trattenerla.
“Ti ho detto di stare zitta”
Roxanne annuì non sapendo più che cosa fare. Guardava il corpo di Susan senza vita con le lacrime agli occhi. Chi mai avrebbe fatto una cosa del genere? Colpire una ragazza innocente al suo primo ballo in maschera. Una meschinità da essere punita: ma il colpevole di tutto quello chi era?
Le luci tornarono senza nessun preavviso e il sangue sul vestito oro di Susan era più visibile.
Venne liberata dalla sua presa e immediatamente si voltò verso Adrian con la camicia imbrattata di sangue. Roxanne lo guardò negli occhi senza nessuna paura sicura della sua teoria: Adrian aveva ucciso Susan, i suoi occhi erano colpevoli.
“So a cosa stai pensando. Ma non sono stato io devi credermi” disse immediatamente il platinato guardando la sua stessa camicia e pulendosi le mani del sangue della povera ragazza vittima.
“Non potrei pensare il contrario, tu e Susan eravate gli unici in questa stanza”
“Non sono stato io” incalzò immediatamente lui prendendola per le spalle e avvicinando il viso a quello della ragazza. I suoi occhi sembravano spaventati, il nero era più freddo del solito.
Sembrava essere più terrorizzata del solito. Era sicura che in quel momento non sarebbe potuta scappare.
“Roxanne!” Renee chiamò con forza la sua amica raggiungendola.  La ragazza rossa si voltò verso l’amica perdendo di vista Adrian.
“Rox stai bene?” chiese l’amica per dopo rimanere paralizzata nel vedere Susan accasciata a terra. Per un primo momento credette che avesse bevuto troppo e avesse perso i sensi. Improvvisamente si accorse del sangue, dei tagli e del fatto che non respirasse. Urlò come avrebbe probabilmente fatto anche Roxanne attirando l’attenzione di tutti. In un minuto tutti gli invitati furono dentro a quella stanza in presenza di quell’orribile misfatto.
Adrian Kain era sparito.

Era successo di nuovo e non aveva potuto impedirlo. Si sentiva debole e impotente di fronte a quel corpo senza vita. Quella povera ragazza aveva ancora una vita davanti a sé e un mostro l’aveva stroncata senza nessuna pietà. Adrian Kain correva nel buio cercando di non entrare nelle zone di luce dei lampioni.
Era tutta colpa sua e il rimorso scorreva nelle sue vene riportandolo indietro nel tempo.
In un attimo era tornato in Texas con Erin, quella ragazza dagli occhi troppo cerulei per essere reali. E ricordava come si erano spenti tra le sue braccia. Era stato fautore del suo omicidio e tutto quello che fece fu fuggire il più lontano possibile come stava facendo in quel momento.

Roxanne era ancora sconvolta. Non riusciva a respirare. Vedere una persona morta davanti ai suoi occhi non era stato esattamente come sapere morta sua madre o la sua amica di infanzia.
Continuava a passarle per la mente il fatto che l’assassino avrebbe potuto uccidere anche lei.
Al buio, dove non avrebbe potuto difendersi in nessun modo.
Magari era stato lo stesso Adrian a girarle intorno quando le luci si erano spente.
Quell’odore di sigarette. Il solo pensiero le fece provare dei brividi.
L’unica cosa del quale era certa era che l’assassino voleva uccidere Susan.
Il suo obbiettivo era lei senza ombra di dubbio.
Lo sapeva nonostante il suo cervello non potesse ancora connettere alla perfezione l’accaduto.
“Sei riuscita a vedere qualcosa?” le chiese nuovamente Renee con il suo solito modo insistente.
“Te l’ho già detto. Non ho visto niente siccome era buio, e l’assassino era dentro alla stanza” sbottò Roxanne alzandosi dalla sedia e uscendo di casa. Aveva bisogno di un po’ d’aria fresca.
Si mise a guardare le stelle leggermente coperte dalle luci provenienti dal quartiere.
Trovò una sorta di conforto nel vederle. Da quando Sawyer gli aveva mostrato il suo angolo segreto aveva cominciato ad apprezzarle di più. Poteva considerarle una sorta di angelo custode con l’impossibilità di cambiare realmente le brutte notizie.
“Caspita, è un peccato che non fossi stato invitato a questa festa” disse Sawyer alle sue spalle.
Comparve come un’apparizione dalla luce di un lampione vestito di tutto punto. Il completo nero era perfettamente abbinato alla maschera nera di pizzo che indossava. Roxanne scoppiò a piangere stufa di trattenere le lacrime.
“Ehi che succede?” le chiese il suo ragazzo preoccupato. Si lasciò andare tra le sue braccia poggiando il viso sul suo petto. Le lacrime cominciarono a scorrere sulla camicia del ragazzo. Cominciò a singhiozzare come una bambina senza freno.
“Susan, è stata uccisa e là dentro sembra una dannata scena del crimine alla C.S.I. e è possibile nella realtà una cosa del genere. Siamo degli stupidi ragazzi del liceo…” Roxanne non riuscì a proseguire nel suo delirio verbale e ricominciò a piangere a singhiozzi. Sawyer la coccolò tra le sue braccia come se stessero ballando una musica immaginaria.
Sarebbe stato bello se il suo ragazzo fosse venuto alla festa. Sarebbero stati a ballare per tutta la sera e magari non sarebbe successo nulla del genere.
Lei pensava che Sawyer fosse l’anello principale che collegasse tutti gli eventi del suo mondo e che una sua assenza creasse il caos.
Era una sua teoria e non avrebbe mai cambiato idea. Per quello aveva paura della sua partenza.
Cosa sarebbe successo durante l’assenza prolungata di Sawyer?
Il dramma si sarebbe calato nel caos. E non si sentì esagerata nel pensare che sarebbe stata la fine di tutto.

Quella sera Sawyer Levine e Roxanne Holmes dormirono insieme.
Un istante perfetto tra quattro mura tinteggiate di giallo.
Un lungo addio di ultimi baci e di lacrime sincere.
La mattina successiva Sawyer partì.
Con la sua divisa volse un ultimo saluto alla sua ragazza e si preparò alla sofferenza più lunga della sua vita.
  
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