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Autore: Gulminar    22/08/2012    9 recensioni
“Sei una guerriera?”
Rivolse uno sguardo privo di emozioni in direzione della voce, una ragazzina sui dodici anni la osservava incuriosita dalla sedia accanto. Aveva lunghi capelli neri e occhi verde scuro, con una sfumatura di giallo. Una bellezza strana, selvatica.
“Sono un medico ninja.” Rispose.
“Non ho mai visto un medico ninja con la spada.” Osservò divertita la ragazzina.
“Era di una persona a cui volevo molto bene.”
“Il tuo ragazzo? È morto in battaglia?”
Alla sua età, Sakura non si sarebbe mai sognata di porre una domanda del genere con tanta leggerezza. Fu tentata di tirare un ceffone a quella ragazzina impertinente.
“Sì.” Rispose, riportando l’attenzione al proprio bicchiere.

Sono passati anni dalla fine della quarta grande guerra ninja, la pace regna ma non per Sakura. Nonostante le promesse fatte agli amici e gli impegni presi con se stessa, c'è qualcuno che non può dimenticare. Quando la speranza si riaccende, seppur flebile e quasi assurda, non può fare a meno di partire per una misteriosa destinazione.
Personalissima interpretazione del mondo di Naruto.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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Arayashiki
La calda estate dei Santi Distruttori

 

Visione dell’inverno 2008

Scritta fra primavera ed estate 2009

A Manuela,
che leggendola mi ha detto di non smettere mai di scrivere.

 

PRELUDIO


L’odore del fuoco impregnava l’aria, anche ora che l’ultima battaglia si era conclusa. Numerosi focolai ruggivano ancora, in diversi punti di ciò che restava del villaggio. Occhi ardenti nel sipario anonimo della notte. La cenere cadeva dal cielo accumulandosi sopra le cose, come un sudario sulle vite spezzate dalla guerra. Chi non era impegnato a occuparsi dei feriti, doveva cercare di spegnere gli incendi. Erano il Paese del Fuoco ma ora il fuoco era un nemico, che rischiava di distruggere quel poco che restava di loro.
Vociare confuso nelle orecchie, ordini, grida, lamenti, imprecazioni. Alcuni lo sfioravano, altri gli gettavano uno sguardo prima di allontanarsi. Tutti troppo intenti per chiedere dettagli. Probabilmente, la maggior parte di loro non sapeva ancora della sua vittoria.
Una calma tetra gli era scesa nell’animo. Il giorno successivo si sarebbe alzato con la certezza che non ci sarebbero state altre battaglie. Aveva combattuto l’ultima, l’aveva vinta ponendo fine alla guerra. Una vittoria per cui non poteva gioire, in cui aveva perso parte di sé. Era più corretto dire che Kurama aveva vinto. Senza di lui, sarebbe stato un altro il cadavere che il fiume aveva portato via.
“Naruto.”
Non si era accorto dei due barellieri che gli si erano accostati, troppo immerso nella calma tetra che rendeva ogni cosa lontana. Sentì una mano umida di sangue afferrargli il braccio, riconobbe la persona sulla barella.
“Hinata.” Rispose per automatismo.
Mentre tornava dal luogo dell’ultimo scontro, gli avevano riferito che era stata ferita ma non era in pericolo di vita. Ecco perché era corso lì, in quella zona era stato approntato un grande campo ospedale. I feriti erano troppi, le strutture sanitarie principali al collasso da giorni. Alcuni magazzini erano stati svuotati e riempiti di brande e medicinali, nella parte più protetta del villaggio. Aveva immaginato dove la stessero trasportando, ma attraversare Konoha nelle sue attuali condizioni l’aveva sfinito. Si era fatto distrarre dalla vista dei fuochi, di morti e feriti, la calma tetra lo aveva distolto anche dai pensieri fondamentali.
“Come stai?” Gli chiese lei.
Naruto fece scivolare la sua mano nella propria.
“Bene.” Mentì, si sforzò di sorridere. “Ce l’ho fatta. La guerra è finita.”
In realtà era un miracolo che stesse ancora in piedi, anche lui avrebbe dovuto farsi medicare. Non aveva fretta, che si occupassero prima degli altri. Hinata sorrise in modo tirato.
“Lo so, non ne ho mai dubitato.”
“Verrò da te più tardi, portatela dentro.” Ordinò ai barellieri.
Ascoltò i passi allontanarsi, poi la calma tetra tornò a ottundergli i sensi. Non riusciva a togliersi dalla testa il momento culminante della battaglia, l’ultimo sguardo del suo avversario prima di essere annientato. Un ninja troppo abile e potente, non meritava quella fine, ma era anche un traditore e in quanto tale andava eliminato.
Non sarebbe mai andato orgoglioso di averlo fatto.
Il terrapieno, su cui sorgevano i magazzini, digradava dolcemente verso un boschetto di magnolie. Stranamente, la furia della guerra lo aveva risparmiato. Notò una persona ai limitari del bosco e sentì blocchi di ghiaccio formarsi nello stomaco, il cuore perdere un battito e accelerare. Lei gli dava le spalle, pareva contemplare l’oscurità immobile fra i tronchi.
Discese lentamente il pendio, rischiando di cadere a ogni passo, era allo stremo. Una coppia di paramedici si avvicinò per offrirgli aiuto, annuì, ma impose loro di aspettare un momento. Prima doveva parlare con lei.
La ragazza osservava risoluta il bosco, come dimentica di ciò che la circondava. Era uno dei migliori Ninja Medici di Konoha ma quella notte avrebbe faticato a esercitare la professione.
Naruto lo capiva.
Lei non diede l’impressione di essersi accorta di lui, stringeva ancora nella mano destra la spada del Principe degli Assassini.
“Sakura, io…”
“Zitto!”
Fu come prendere una frustata in faccia. Naruto non poté vedere se stava piangendo, ma dal tono si sarebbe detto di sì. Voleva dirle che, fino all’ultimo, aveva sperato di non doverlo uccidere, ma non sarebbe servito. Rimase in attesa, sperando che fosse lei a dire qualcosa.
“Non parleremo mai più di lui, promettimelo.”
Naruto chiuse gli occhi, li sentì appesantirsi di lacrime. Sakura era la sola che non aveva mai smesso di sperare in un suo pentimento, aveva sofferto più di tutti. Lo amava, non aveva mai smesso di farlo, non era mai riuscita ad accettare che lui fosse irrimediabilmente malvagio.
“Te lo prometto.”
La osservò finché non svanì fra i tronchi delle magnolie, solo a quel punto fece cenno ai paramedici che potevano occuparsi di lui.


Sakura attraversò il bosco lentamente, non procedette in linea retta, vagò fra i tronchi cercando inutilmente di fermare le lacrime. Non voleva piangere ancora per lui, non era giusto. Aveva dimostrato a più riprese la sua incurabile malvagità. Non aveva esitato a creare una banda di assassini su ciò che restava di Alba, per poi scagliarla contro Konoha, dove vivevano le sole persone che gli avessero voluto bene. Era un mostro eppure, quando gli avevano riferito che era morto per mano di Naruto, era scoppiata in lacrime. Nel caos che aveva seguito la notizia, non ricordava nemmeno chi le avesse consegnato la spada.
Inciampò in una radice affiorante e cadde in ginocchio, ottenne solo di singhiozzare più forte. Mentre con le mani sembrava voler stritolare l’arma, tutto ciò che le restava di lui, a parte un coprifronte dimenticato in un cassetto.
“Schifoso bastardo!”
Avrebbe voluto urlarlo, ma qualcuno poteva sentire e venire a controllare. Voleva stare sola a piangere tutte le lacrime che le rimanevano.
Il giorno in cui le avevano riferito che lui si era unito ad Alba aveva pianto, ma anche in quel caso le sue speranze non erano crollate. Si era illusa che fosse entrato nell’organizzazione per tenerla lontana da Konoha, per difendere tutti loro. Invece il Villaggio della Foglia era stato il loro primo obiettivo. Aveva sperato che non prendesse parte agli attacchi, invece, caduti i capi di Alba, era stato lui stesso a prendere in mano la situazione. Sì, non si era sporcato le mani direttamente, era sempre rimasto nelle retrovie, ma i ninja assalitori erano stati ai suoi ordini.
In rari momenti, aveva vaneggiato su di lui che veniva a cercarla in segreto, immaginava se stessa che lo convinceva a rinunciare alla follia. Fantasticava ancora come una bambina.
Affondò un pugno nel terriccio scuro.
Usando un tronco si rimise in piedi, era fra i pochi che non avevano combattuto, eppure sentiva di non avere energie. Si lasciò alle spalle il bosco di magnolie. In quel punto del villaggio, la violenza dei combattimenti non era giunta, il suono degli incendi era lontano, una quiete irreale avvolgeva l’oscura via che raggiunse.
Una panchina di pietra, la stessa fottuta panchina sulla quale lui l’aveva abbandonata anni prima. Si sedette e continuò a piangere in silenzio, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare.
Grazie.
Era tutto ciò che le aveva detto, a lei che era disposta a seguirlo ovunque, a diventare una traditrice a sua volta pur di rimanere con lui.
“Bastardo.”
Avrebbe dovuto essere impegnata con i feriti, ma aveva deciso che quella notte era per il suo dolore e che il resto avrebbe aspettato. Nella triste penombra, si concesse un’ultima debolezza. Immaginò che il Villaggio della Foglia non stesse bruciando, che non ci fosse stata una guerra, che lui fosse tornato da lei dopo aver sgominato Alba. Altre fantasie da bambina, altre lacrime per amore di un bastardo che non lo meritava, che di lei si era a malapena accorto. Immaginò che lui le stesse accanto sulla panchina, le sue sentenze brevi, pregne di cinismo in cui lei non avvertiva cattiveria vera. Immaginò la sensazione delle sue labbra sulle proprie.
Fece uscire la spada dal fodero di una manciata di centimetri, la scarsa luce parve danzare sulla lama perfetta. Deliberatamente, strinse la porzione scoperta, sentì l’acciaio penetrarle nelle dita, il sangue scorrere. Represse un gemito di dolore e si portò al volto la mano martoriata. Il sangue fuoriuscì attraverso gli interstizi fra le dita chiuse a pugno, scese dal polso all’interno della manica, le colò sul mento e lungo il collo. Lacrime e sangue, era tutto ciò che lui le aveva donato in cambio di un amore senza condizioni.
Giurò sul proprio sangue che sarebbe stata l’ultima volta che piangeva per lui.


Aso Shuzen si passò una mano sulla fronte sudata, fermando il carretto che si tirava faticosamente appresso. Aveva passato i cinquant’anni, ma il duro lavoro nei campi aveva temprato il suo fisico e ne dimostrava di meno. Era un uomo calmo, misurato in ogni cosa che faceva. Calma e misurata si poteva definire la sua vita, fino a quella notte.
Aveva accettato di fare il lavoro di suo padre, conducendo un’esistenza tranquilla, senza grandi capovolgimenti. Neanche ciò che stava accadendo in quella strana notte sembrava esserlo, eppure aveva l’inquietante sensazione che non tutto fosse come appariva.
Fece forza con le braccia e riprese a salire, le ruote arrugginite del carro cigolarono alle sue spalle. Di tanto in tanto, alzava gli occhi al cielo per leggere le stelle e capire che ora fosse, era spinto da una preoccupazione per lui insolita. Alla famiglia aveva detto di non aspettarlo, avrebbe passato la notte nel capanno da pesca, ma qualcosa aveva cambiato i suoi piani.
Finalmente superò il declivio dell’argine e vide le luci del sobborgo, il terreno non più inclinato gli permise di allungare il passo. Sapeva che nessuno lo aspettava, ma non era un’ora così tarda perché fossero già tutti a dormire. Quando picchiò forte sulla porta posteriore, sua moglie Makiko si precipitò ad aprire.
“Aso! È successo qualcosa?” Esclamò la donna, notando l’espressione affaticata del marito.
Lui fece un cenno con la testa e prese fiato per rispondere.
“Prepara un letto e le erbe curative!”
“Qualcuno è ferito?”
“Sì!”
Le diede le spalle evitando ulteriori spiegazioni, augurandosi che obbedisse senza seguirlo per fare altre domande. Tornò al carro che aveva lasciato a pochi metri dall’abitazione e aprì le sbarre che ne chiudevano la parte posteriore. Il giovane giaceva nella posizione in cui lo aveva lasciato, era coperto di ferite, sangue e fango, respirava a stento. Aso lo prese fra le braccia e corse verso casa, Makiko lo aspettava nella piccola lavanderia, stava già preparando quanto il marito le aveva chiesto. Adagiò il corpo del giovane sulla stuoia appena disposta dalla moglie, una macchia di bagnato cominciò subito ad allargarsi.
“Chi è?”
“Non lo so. Pensavo fosse morto, ma quando l’ho tolto dall’acqua si è lamentato.”
“Che ferite terribili! Chi può averlo ridotto così?”
“Deve aver combattuto come un demone.”
“O contro un demone.”
Aso stava cercando di rimuovere gli abiti a brandelli del giovane, ma qualunque cosa togliesse scopriva altre ferite.
“È incredibile che sia ancora vivo in queste condizioni, deve avere una forza eccezionale.”
Makiko stava già facendo bollire delle erbe, quando Aso trasalì e rischiò di cadere sulla schiena. Si avvicinò per capire cosa avesse sconvolto il marito, ma la luce era scarsa.
Aso sentì un brivido devastante corrergli lungo la schiena, il cuore accelerare il ritmo. Riuscì a spiegarsi la strana sensazione avvertita mentre tornava verso casa, ma non gli fu d’aiuto. Avvicinò la lampada per essere sicuro di non sbagliarsi.
“Guarda!”
Percepì la moglie trattenere il respiro e incontrò lo sguardo sconvolto di lei.
“Artigli naturali!”
“Non può essere.” Disse la donna con un filo di voce.
“Chiama i ragazzi!”
Makiko rimase immobile, ipnotizzata da ciò che avevano scoperto. Erano appena accennati ma non poteva trattarsi d’altro. Tre escrescenze ossee emergevano dal dorso della mano del ragazzo, non c’era sangue dove avevano perforato la pelle, dovevano essere dotati di una guaina interna che ne permetteva naturalmente la fuoriuscita.
“Chiama i ragazzi!” Ripeté Aso più forte.
Incapace di distogliere lo sguardo, Makiko obbedì. Aso la sentì correre lungo le scale e al piano di sopra, chiuse gli occhi e cercò di calmarsi, di rallentare i battiti del cuore. Afferrò una spugna e cominciò a pulire il corpo del ragazzo, partendo dal braccio in cui aveva scoperto gli artigli. Aveva un maledetto bisogno di far qualcosa, di non pensare. Makiko tornò seguita dai figli, Aso non li degnò di attenzione. La donna rimase immobile, timorosa e incapace di avvicinarsi al ferito. Fu il giovane Rai a farlo.
“Papà, che succede?”
Aso alzò gli occhi di colpo, come spaventato dalla voce, tanto era concentrato.
“Corri a chiamare il Sommo Danjyo! Digli che è importante!”
Il giovane non chiese spiegazioni e corse via.
“Reira! Va a chiamare i guaritori, che facciano in fretta!”
Anche la figlia minore non discusse gli ordini paterni e sparì dietro al fratello. Aso lacerò quanto rimaneva del kimono del giovane e lo gettò da parte, finalmente Makiko riuscì a farsi abbastanza coraggio da dargli una mano.


Hiki Danjyo amava passeggiare nelle ore notturne, erano i soli momenti in cui poteva farlo senza che cercassero di fermarlo ad ogni passo. In quella zona periferica della città erano quasi tutti semplici e onesti contadini, ma ognuno di loro conosceva il suo volto. Lui e il giovane Rai passarono davanti ad un portone aperto, alcuni uomini bevevano e chiacchieravano sulla soglia. Si mise il cappuccio sulla testa, onde evitare che lo riconoscessero e lo invitassero a unirsi a loro.
Aso Shuzen era stato suo amico d’infanzia, prima di prendere strade molto diverse. Non lo vedeva da tanto tempo, ma il giovane Rai gli ricordava il suo modo di muoversi.
“Prego, Sommo Danjyo.”
Il giovane era corso avanti e gli teneva aperta la porta, entrò a passi misurati. La moglie di Aso e la figlia minore gli diedero il benvenuto prodigandosi in inchini profondi, a cui lui rispose con un sorriso accomodante. Probabilmente, non l’avevano mai visto così da vicino. Si prese alcuni istanti per considerare le due donne. La prima moglie di Aso era morta di parto, dando alla luce un bambino già morto. Per molti anni l’uomo non aveva voluto risposarsi, poi gli era capitata la fortuna di una moglie più giovane, che gli aveva dato due splendidi bambini.
Makiko lo guidò nella piccola lavanderia sul retro. Aso era lì, seguiva con attenzione il febbrile lavoro di un folto gruppo di guaritori attorno al corpo di qualcuno steso a terra. Quando lo vide entrare, gli andò incontro rivolgendogli un rigido inchino.
“Sommo Danjyo, ho trovato…”
Gli fece cenno di tacere, Aso rimase inebetito a osservarlo, mentre passava oltre. I guaritori si prodigarono in inchini, sfiorando il pavimento con la testa, quando si resero conto di chi si trattava. Aso lo vide chinarsi a fianco del ferito, ma non poté vedere cosa faceva, percepì solo i guaritori trattenere il fiato.
“Vieni con me.” Ordinò rialzandosi. Aso non poté fare a meno di obbedire.
...

Si era alzata una brezza piacevolmente fresca che spazzava la strada, Aso poté respirare più liberamente e sciogliere i muscoli contratti.
“Era nel fiume…”
“So già tutto.”
“Ma mio figlio…”
“Tuo figlio non mi ha detto niente.”
Il Sommo Danjyo gli mise un braccio sulle spalle e insieme fecero alcuni passi lungo la strada priva d’illuminazione.
“Alcune notti fa ho fatto un sogno.” Disse. “Ho visto un grande lupo di fuoco venire verso di me e parlarmi. Ha detto che un mio vecchio amico avrebbe salvato dal fiume ciò che attendiamo da tanto tempo. Quando il giovane Rai è venuto a cercarmi, ho capito che il sogno era divenuto realtà.”
“Allora…”
“Sì, amico mio, il Sommo Ookami è di nuovo tra noi.”


Quattro anni dopo

Sakura si massaggiò una dolorosa contusione al fianco sinistro, solo l’ultima fra le tante. Da tempo non le capitava di affrontare ninja di tale abilità. A dire il vero, da tempo non le capitava di combattere. Fuorilegge di bassa lega, ma comunque temibili. Tenten giaceva fra le radici a pochi passi, sfinita, Rock Lee stava cercando di rimettersi in piedi, non le sarebbe stato d’aiuto. Aveva quasi esaurito il chakra, non ne aveva per un altro attacco, le rimaneva soltanto la spada.
Che sta facendo Naruto? Perché non arriva?
L’avversario la osservava, dopo l’ultimo attacco della ragazza non si era più mosso. Era un uomo alto, con la carnagione scura e privo di capelli, l’ultimo rimasto del gruppo di fuorilegge. Sakura sperava che anche lui fosse a corto di energie, altrimenti l’avrebbe sopraffatta con facilità. Fu lei ad avanzare a fatica, le gambe non rispondevano a dovere, i pochi passi per avvicinarsi al nemico le sembrarono non finire mai. Allungò la mano con la quale non reggeva la spada, applicò una leggera pressione al petto dell’uomo con la punta delle dita. Il fuorilegge si schiantò a terra come un albero abbattuto e non si mosse più.
“Molto brava, per essere un Ninja Medico.”
No!
Un uomo avvolto da un kimono azzurro cielo emerse dalla boscaglia, oltre il punto in cui l’ultimo fuorilegge era caduto, o meglio, il penultimo. Sakura sentì il cuore accelerare, mentre brividi infidi le percorrevano la schiena. Cercò di nascondere la paura, di non fargli capire che aveva esaurito le risorse. Poteva anche essere un ninja di scarso valore, ma nelle condizioni in cui erano li avrebbe massacrati senza difficoltà.
Naruto, fai in fretta!
Si mise in posizione di difesa, Rock Lee stava cercando di raggiungerla, ma inciampò in una radice e giacque immobile. Sakura concentrò il poco chakra residuo nell’unica arma che le rimaneva, poteva ancora sperare in un fortunato colpo di decapitazione, ma doveva avvicinarsi e il nemico non l’avrebbe permesso. Sentì le gambe tremare, stava per svenire.
“Cosa pensi di fare con quello spiedino?” La schernì l’uomo.
Come osi? Questa spada è appartenuta al più potente ninja della storia.
Un pensiero stupido in quel momento ma spontaneo. Il fuorilegge fece un passo avanti, non stava usando il chakra, non ne aveva bisogno. Sakura sentì gli occhi faticare a stare aperti, doveva tentare il colpo subito.
Una luce accecante emerse dagli alberi alla sua destra, oltre il punto in cui Rock Lee giaceva svenuto. La ragazza volse lo sguardo in quella direzione, un grande lupo di fuoco entrò nella radura e travolse l’uomo. Lo sbatté contro il tronco di un albero e vi si avvinghiò, l’uomo non ebbe nemmeno il tempo di urlare, il fuoco lo consumò in pochi istanti. Sakura pensò di stare sognando, mentre la vista si offuscava e anche lei cadeva come i suoi compagni.
Non sentì l’impatto con il suolo, avvertì le braccia di qualcuno impedirle di andare giù. Restare cosciente le costò uno sforzo immane, non ci riuscì completamente. Capì che la teneva in braccio, pensò di immaginare un volto oscurato da un cappuccio, in fondo al quale intravide occhi gialli come fiamme. Lo sconosciuto la depose dolcemente a terra. Ebbe l’impressione che le accarezzasse una guancia, poi lui svanì e lei precipitò nell’oblio.


Soma e Rai stavano raccogliendo le loro poche cose, smontando il misero accampamento che avevano dovuto improvvisare, quando lui tornò. Entrò nella radura senza fare rumore, nemmeno le falde del mantello blu notte che gli svolazzavano intorno erano percepibili.
“Dove sei stato?” Domandò la donna, senza interrompere la propria attività.
Rai preferì rimanere in silenzio.
“Non ti riguarda.” Rispose lui.
“Sono la tua compagna di caccia, ho il diritto e il dovere di sapere sempre dove sei.”
“Dal momento che mi avete seguito, perché me lo chiedi?”
Soma sogghignò, tornando a rivolgere l’attenzione al bagaglio.
“Chi è quella ragazza?” Domandò poco dopo, con aria falsamente distratta.
“Ho detto che non ti riguarda.”
“Ha a che fare con il tuo passato?”
L’uomo si mise in spalla la sua parte del bagaglio.
“Io non ho passato.” Rispose in un sibilo.
Soma poté soltanto seguirlo attraverso il bosco, verso casa.

* * *

   
 
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