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Autore: ladyme    23/08/2012    7 recensioni
Lo scrittore si voltò e si diresse verso l’ascensore, sculettando sensualmente agli occhi della giovane detective innamorata.
Un altro giorno stava giungendo al termine.
Un altro giorno in cui la parola solitudine aveva perso significato.
Un altro giorno in cui le lacrime furono solo un lontano ricordo.
Un altro giorno insieme.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Sometimes I feel I’m gonna break down and cry (so lonely)
Nowhere to go nothing to do with my time
I get lonely so lonely living on my own *

 

Le parole di Freddie Mercury si perdevano nella stanza, forse addirittura uscivano dalla finestra aperta, faceva  troppo caldo anche solo per pensare di indossare qualcosa di più pesante di una canotta in cotone. La canzone si ripeteva senza sosta, l’iPod era bloccato su quel brano ma non riusciva a riprodurre fedelmente le emozioni.

Aveva scoperto di amare Freddie Mercury quando, all’età di quattro anni, sua madre le aveva fatto ascoltare un brano dei Queen e lei si era messa a ballare.

Katherine Beckett che ballava, era un avvenimento più unico che raro, ma in quel momento tra le mura del dodicesimo distretto dove si stava tenendo una piccola festicciola per il compleanno di Ryan, a cui anche la Gates aveva partecipato con un leggero sorriso in viso, la detective muoveva i piedi a ritmo sotto la sua scrivania.

«Beckett non vieni alla festa?», la voce di Castle la fece sobbalzare e quando i piedi toccarono di nuovo terra il ritmo era andato perduto. «Oh scusa non volevo spaventarti, che fai? Non dirmi che stai lavorando durante una festa. No no, non si fa». Le strappò il foglio che teneva fermo sotto il gomito destro.

«Sai Castle», disse riprendendosi il foglio.  «Qualcuno deve pur giustificare le tue azioni impulsive, stupide e che mettono, senza motivo, in pericolo la tua vita o quella degli altri». Lo scrittore alzò gli occhi al cielo, non si ricordava se quella era la sessantatreesima o la sessantaquattresima volta che glielo diceva, naturalmente aveva calcolato anche tutte quelle volte in cui lo esprimeva con uno sguardo come risposta alla domanda “Che cosa stai facendo?”.

«Dai, beviamo qualcosa, balliamo due minuti di orologio e poi torni qui a… lavorare, anche se so che in realtà ti diverti». Lo scrittore le fece l’occhiolino invitandola ad alzarsi, ma come risposte ricevette solamente un piccolo calcio alla sua sedia da parte di Beckett. «È un invito detective?». Lei annui senza alzare gli occhi dal foglio. «E se io t’invitassi a fare una cosa senza vestiti nell’ufficio della Gates?».

«Beh probabilmente rifiuterei, non volendo rischiare il posto o peggio: il tuo allontanamento dal distretto. Sai cosa vorrebbe dire starti lontano per così tante ore? Vuol dire che ritornerebbe la monotonia, la banalità nelle cose, le quali nello stesso tempo perderebbero colore e tornerebbero grigie come quasi cinque anni fa. Naturalmente tutto questo non lo ripeterò mai più, quindi spero che te lo sia segnato», concluse Kate con un sorriso in volto, sentiva il respiro dello scrittore sul collo, sapeva che era così vicino da poterla baciare, ma che preferiva imporle questa piccola tortura, in modo che sarebbe stata lei a buttarsi su di lui. «Non ci casco Rick, siamo al lavoro, devo mantenere un certo comportamento».

«Sì un certo comportamento… Però guarda che fortuna sono tutti alla festa giù all’obitorio». Fece una pausa, Beckett si girò verso di lui. «Riguardo a questo ti prego non organizzarmi mai una festa in un obitorio, sono d’accordo che sia il luogo più fresco del palazzo, ma è un obitorio, ci sono i morti!». La detective scoppiò a ridere, e la sua risata rimbombò tra quelle mura così stranamente vuote, ma che al prossimo omicidio si sarebbero ripopolate.

«Niente festa in obitorio, promesso. Parola di piccola Detective», rispose Beckett poggiandosi la mano destra sul cuore e alzando la sinistra in segno di giuramento. «Vai giù alla festa io finisco qui e vado a casa».

«Casa mia o casa tua?», chiese Castle interessato più che mai alla risposta che avrebbe svelato il programma della serata, Kate se ne accorse e aspettò qualche secondo in più del solito a dare una risposta. «Alexis è tornata ieri dal college quindi…», continuò l’uomo.

«Perfetto, vuol dire che andremo da te, non vedo l’ora di passare una serata con quella fantastica ragazza, mi chiedo come faccia ad essere tua figlia. È così matura». La detective sorridente terminò la frase sotto gli occhi sbarrati dello scrittore incredulo. «Qualche problema?».

«No, niente, mi sono appena ricordato che devo passare da Gina prima di tornare a casa, sai per l’ultimo romanzo». Beckett si voltò di scatto verso di lui al nome Gina, lo sapeva che quello era un ricatto, ma cadere così in basso era vergognoso. «Qualche problema?». Scosse la testa rileggendo l’ultima frase che aveva scritto. «Ho detto Gina». Kate annuì. «Ma che ti succede, di solito a sentire il suo nome ti alteri come una iena e poi da quando preferisci una serata con mia figlia piuttosto che con me?».

«Oh non ci credo, sei geloso di tua figlia». Kate scoppiò a ridere. «Dai Rick, quanto si fermerà a casa lei? Tutto il weekend? Una settimana? Vuoi davvero passare la serata e la notte a casa mia piuttosto che con tua figlia che non vedi da mesi?». Lo scrittore la stava fissando immerso nei suoi pensieri, non aveva preso in considerazione che il lunedì successivo sua figlia sarebbe ripartita nuovamente per mesi e che invece Kate sarebbe stata vicino a lui tutti i giorni. «Infatti, vai da lei giocate, raccontatevi tutto, io vengo per cena con il dolce».

«Ma a casa c’è mia madre!». Kate alzò gli occhi al cielo, eccolo che tornava il solito bambino. «Devi promettermi che una volta che Alexis sarà ripartita, ti trasferirai da me, non posso vivere da solo con mia madre e allo stesso tempo soffrire per la lontananza che mi divide dalle donne che amo».

«Castle, è un pessimo modo per chiedermi di venire ad abitare con te, sappilo», disse Beckett sbarrando qualche casella nella pagina numero tre del rapporto. «Per questo verrò di prova una settimana e solo se Alexis è d’accordo».

«Alexis di qua Alexis di là, uffa. Sono grande e vaccinato per abitare con chi voglio senza il consenso di mia figlia», borbottò Richard sistemandosi sulla sue sedia.

«Tu forse puoi, ma io no. Io non ho il diritto di possedere una parte di quel posto che era tutto suo, la capirei benissimo se non volesse».

«Stai scherzando? Per Alexis sei come una madre». A quella parola Kate alzò gli occhi verso l’uomo che amava. «Sì una madre, Kate. Pensa che ieri mi ha chiesto se avevamo già in mente di…», lo scrittore abbassò la voce imbarazzato «Beh si di avere un bambino, sai un fratellino o una sorellina».

«Guarda che puoi anche alzare la voce», disse la detective sorridente e per niente imbarazzata.  «È  un argomento di cui comunque avremmo dovuto parlare, prima o poi e il caso ha scelto il prima». Kate fece una pausa cercando di comprendere cosa stesse pensando il suo partner. «Ma il fato ha anche voluto che il bambino fosse già tra di noi». Gli occhi dello scrittore si spalancarono mentre tentava di formulare qualche parola senza riuscirci. «Sei tu il bambini Castle!». Beckett lo vide sciogliersi sulla sedia. «E questo dimostra che è ancora troppo presto per un bambino. Abbiamo ancora bisogno di tempo per noi prima di prenderci cura di un altro essere umano, dobbiamo esserne sicuri. Il pericolo è una costante nelle nostre giornate bisogna sempre tenerlo a mente». Lo scrittore annuì alzandosi dalla sedia per poi chinarsi sulle labbra della detective che sta attendendo quel momento, quel bacio sin dalle otto di quella stessa mattina, quando avevano varcato le porte dell’ascensore del distretto.

 

Saprai che sono

 una favola, un sogno, un ingenuo bisogno di felicità

eppure la cosa più vera che è dentro di te...

 

«Ci vediamo a casa Rick».

«Non vedo l’ora Kate, fino ad allora mi mancherai tantissimo», disse Castle baciandola nuovamente ma questa volta all’angolo delle labbra. «E non ti preoccupare per Alexis, perché sono certa che se avesse potuto avrebbe scelto sin dal principio come madre».

«Ti amo», gli sussurrò mentre lui si stava aumentando la distanza tra di loro.

«Guarda che ti ho sentita», sorrise maliziosamente lo scrittore. Ogni “ti amo” era come il primo, non quello durante il funerale, ma il loro primo vero “ti amo”, quello detto una volta che il muro si era abbattuto. «Ti amo anch’io Kate. Always».

Lo scrittore si voltò e si diresse verso l’ascensore sculettando sensualmente agli occhi della giovane detective innamorata.

Un altro giorno stava giungendo al termine.

Un altro giorno in cui la parola solitudine aveva perso significato.

Un altro giorno in cui le lacrime furono solo un lontano ricordo.

Un altro giorno insieme.

 

 

SPAZIO AUTRICE:

Hello Everybody!!

Appena tornata dal mare eccomi direttamente catapultata in montagna, e cosa posso fare qui dal momento che piove un giorno si e anche altro? Scrivere!

Ed è esattamente quello che sto facendo senza sosta, ed è grazie al temporale della scorsa notte che ho scritto questa oneshot ambientata in una normalissima giornata dopo la quarta stagione.

Mia sorella ha detto che secondo lei è banale, ed io l’ho preso come un complimento, cosa che non farei mai, però in questo caso era proprio la quotidianità che volevo rappresentare.

Spero di esserci riuscita.

 

Grazie Mille per il benvenuto che mi avete dato attraverso la mia prima shot in questo fandom Fifty Shades of Kate non avrei mai immaginato tutto questo.

Grazie davvero

 

Spero di non avervi deluso con questo secondo lavoro.

Grazie e Buona fine delle vacanze

Baci Becky

 

CANZONI CITATE IN ORDINE:

Living on my Own – Freddie Mercury

Il Principe azzurro – Marco Masini

 

   
 
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