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Autore: Mannu    23/08/2012    0 recensioni
La libertà di ciascuno termina dove inizia quella altrui. Ma quando due persone decidono di stare insieme le cose si complicano. Aggiungiamo che una delle due persone è Miki, inquieta, incerta, perennemente insoddisfatta di se stessa e che ancora non sa esattamente cosa vuole dalla vita...
Tutto inizia con un capriccio, ma stavolta uno davvero pericoloso. Sfidare il mortale abbraccio di Giove!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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GIOVE CONTRO
11.


Per prima cosa lo stupì il caldo. Il Raja era climatizzato intorno ai diciannove gradi Celsius per non mettere a disagio gli albini, abituati a temperature fresche; aveva visitato navi più calde, come il Coyote. Ma lì si esagerava. Abbandonato il corridoio di approdo la differenza gli era parsa sin troppo evidente per essere normale. Sapeva che lei gradiva il caldo, ma possibile che le avessero concesso di regolare il sistema di condizionamento?
Poi lo colpì il silenzio. Non si udiva nulla. Aveva sentito più volte scricchiolare lo scafo, probabilmente mentre le strutture di ormeggio finivano di assorbire il momento inerziale del Raja. Dopotutto quella stazione non era grandissima, anzi: se si confrontava la parte abitabile era più grande la sua nave.
Rimase solo con i suoi pensieri mentre le gambe lo portavano automaticamente lungo l'interminabile corridoio stretto e scarsamente illuminato. Era una parte poco frequentata della stazione: gli approdi per il carico dell'idrogeno erano infatti dall'altra parte, ovviamente vicini alla gigantesca raffineria automatica. Centinaia di tonnellate di idrogeno, elio e un pugno di idrocarburi, estratti dal sottostante Giove a rischio della vita di alcune decine di pazzi cui non stava a cuore la vita. Pazzi tra cui ora c'era anche lei.
Più di venti giorni erano trascorsi da quando avevano litigato in palestra. Venti giorni nei quali aveva cercato di ignorare i propri sentimenti. Si era sentito ferito, colpito. Umiliato, anche. Non era riuscito a ottenere la sua fiducia, nonostante le apparenze. Si era infuriato al pensiero che lei avesse finto, simulando l'interesse per lui. Aveva pianto pensando che lei avesse volutamente gettato via tutto quello che di buono sembrava ci fosse. Non era convinto che potesse essere così. Non lo era nemmeno in quel momento, non lo era stato mai. Poi era crollato.
Il Comandante si era detto d'accordo. Appena concluso l'ultimo contratto il Raja sarebbe stato a sua disposizione per un paio di settimane. C'erano volute due giornate scarse per preparare la nave e tre giorni di viaggio strizzando un po' i motori. Ma Korti non si era lamentata: le aveva dato una mano lui in sala macchine. Tutto quello che sapeva di motori e sistemi energetici lo aveva imparato da Korti, non poteva certo negarle un piccolo aiuto. Era stato abbastanza fortunato: col telescopio di bordo aveva frugato dalla distanza tutte le stazioni in orbita intorno a Giove fino a individuare la sagoma del Coyote, ormeggiato tranquillamente. Agendo come un sonnambulo aveva atteso con una calma che era parsa innaturale perfino a se stesso. Si era abituato a quel peso nel petto, a quella morsa calda che gli stringeva il cuore. Aveva paura. Paura di lei.
Giunto finalmente al portello in fondo al corridoio notò con distacco che la serratura si accese di verde solo un paio di passi prima che lui raggiungesse il pannello di controllo. Con la medesima indifferenza osservò il pesante portello stagno affondare profondamente e poi rotolare di fianco, lasciandogli libero il passaggio.
Davanti a lui si apriva un nuovo, lungo corridoio solo un po' meno claustrofobico del precedente. Più luminoso, con diversi varchi sia a destra che a sinistra e col soffitto più alto. Varcò la soglia e sentì il portello chiudersi alle sue spalle con metallico raschiare.
- Benvenuto a bordo! Prego, proceda sempre dritto fino al prossimo portello.
La riconobbe: era la voce del vecchio, l'amministratore della stazione. Fece come gli era stato detto. Gettò sguardi a destra e a sinistra scoprendo locali di servizio, una sala comune, addirittura un osservatorio. Così c'era scritto su ben due portelli alla sua sinistra, chiusi. Il silenzio regnava sovrano tanto da rendere perfettamente udibili i rumori degli impianti del supporto vitale, in particolare i ventilatori.
Raggiunse un altro portello stagno uguale a tutti i precedenti. Quella stazione, Niharra, era stata progettata secondo un ovvio criterio modulare. Tutto era spartano, essenziale, ridotto al minimo. Ed estremamente robusto: doveva sottostare alla forza gravitazionale di Giove, il secondo gigante del sistema solare. Perché andare a cacciarsi in un posto del genere, si chiese sentendo montare dentro di sé un'onda di rabbia. Perché, dopo tutti i discorsi sulla libertà, sulla voglia di navigare, di essere autonoma. Libera. Ma libera da cosa? Non lo capiva e, si rese conto, probabilmente non l'avrebbe mai capito.
Ma con quale animo si stava predisponendo a quell'incontro? Cercò di calmarsi: esitava a premere il pulsante di apertura, illuminato da una sporca luce verde a indicare che la serratura era sbloccata e che attendeva solo lui. Cosa le avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto se l'avesse respinto ancora? Tutti i discorsi che si era preparato, le parole che aveva scelto durante la lunga attesa giacevano bloccati dietro un muro di emozione. Sono emotivo, emotivo come uno scolaretto alle prese con la prima cotta per la compagna di banco, si rimproverò. Strinse i pugni, inspirò profondamente l'aria un po' viziata di quel posto e drizzò la schiena. Il prossimo corridoio l'avrebbe attraversato così: a testa alta, convinto. Sicuro di sé. Anche se dentro non si sentiva sicuro di nulla. Il portello rotolò via tra rumori metallici e di motori idraulici, ma lui non riuscì a oltrepassare la soglia. Era davanti a lui, china sulla rotospazzola che strofinava il pavimento consumato ma già pulito: ci mise un secondo di troppo a riconoscerla, anche dopo che si fu drizzata in tutta la sua altezza per fronteggiarlo.
- Ciao.
Lo guardò priva di un'espressione definibile. Fu come una coltellata al petto per lui. La ricambiò con un lungo sguardo turbato, emozionato. Era... diversa. Non solo perché se ne stava lì come se niente fosse, in un variopinto costume da bagno mai visto prima un po' piccolo per lei, e lo guardava distaccata senza salutarlo. Aveva qualcosa di diverso: era cambiata. Era più... dura.
- Ciao... – finalmente gli rispose, ma atona – come va?
Assurdo, una conversazione fra estranei. Sentiva l'inguine formicolargli alla vista della sua pelle nuda, chiara, e delle sue rotondità dondolanti mal trattenute dal sottile tessuto colorato. Sentì di dover abbattere quel muro prima che fosse completo, prima che diventasse indistruttibile.
- Sono stati i venti giorni più di merda di tutta la mia vita, credo.
- Ah, mi spiace.
Un tatuaggio sulla spalla sinistra. Il contorno di una stellina a cinque punte, dentro c'era iscritto qualcosa. Era troppo lontano per vedere cosa e il tatuaggio era piccolo. Un altro cambiamento: non era mai andata oltre gli orecchini coi quali si era perforata più volte le orecchie, fin sulla cartilagine. Stava diventando un'estranea. E quella freddezza poi! Si tratteneva a stento dall'abbracciarla. Aveva lo stomaco stretto in una morsa e faceva fatica a deglutire. Tutto per colpa di una che lo stava piantando in asso. Che l'ha già fatto, si disse. Tanto vale essere brutali.
- Tutto qui? Ti dispiace? - mantenne la calma, controllando la voce per non far uscire il dolore che aveva dentro. Non voleva regalarle tante altre soddisfazioni e si scoprì quasi pentito d'aver fatto tutta quella strada fino a lei. Tutto per nulla.
- Se ti aspettavi di vedermi correrti incontro a braccia aperte, piangendo di gioia magari, beh... hai sbagliato. Non oggi.
Non poteva credere che quelle parole fossero per lui. Si sentì pizzicare gli abiti addosso per il calore che gli stava nascendo dentro il corpo. Un'onda di rabbia calda, caldissima.
- Sono io che apro le braccia... – lo fece. Ma sbatté le mani contro le pareti dello stretto corridoio e il gesto non fu plateale come avrebbe voluto. Forse fu per quell'istante di distrazione che non finì la frase, che perse il filo di ciò che stava per dire. Ebbe il tempo di ricevere da chissà dove quell'illuminazione. Quando se ne rese conto fu grato a Niharra, la stazione spaziale dagli angusti corridoi: gli impedì di perdere Miki per sempre.
- ...se mi vuoi ancora - improvvisò.
- Non torno indietro – disse secca lei, tradendo nervosismo: le sue mani torcevano il manico della rotospazzola.
- Non te lo chiedo.
- Ho la mia vita, la mia nave... i miei amici.
- Puoi avere anche me.
- ...ci devo pensare – fu l'incerta risposta. La osservò bene: non riusciva più a tenere gli occhi dentro i suoi, le guizzava un muscolo della mascella, spostava il peso ora su un piede, ora sull'altro. Era tesa. Era bellissima. Lui si sentì afflosciare, demotivato. Non capiva. Ci doveva pensare? Ci doveva pensare! Si trattenne dal rovesciarle addosso la sua rabbia, abbandonò le braccia lungo i fianchi, pensando di arrendersi. Accennò un dietro-front. Poi cambiò idea.
- Pensare? A cosa devi pensare? - scattò, non trattenendosi più – Devi solo farti una domanda e risponderti. Non è difficile, forza! Quante volte mi hai detto di essere una coi coglioni? Beh, ecco il momento di tirarli fuori!
Nessuna reazione evidente, a parte un lieve tremore del labbro inferiore subito risucchiato tra i denti per mantenerlo fermo. Era una sconfitta. Ampiamente preventivata, ma non per questo era meno dolorosa, meno straziante. Cercò qualche parola per ferirla, per far provare anche a lei il dolore che gli stava lacerando il cuore. Ma non ci riuscì.
- Non pensarci troppo – le sibilò contro, sentendosi ferito a morte. Poi si voltò bruscamente e, azionato il portello, si incamminò a grandi passi lungo il corridoio che l'avrebbe riportato alla nave.
- Ma dove cazzo credi di andare?
Ci mise tre passi per fermarsi. Tre incerti, dolorosi passi. Si voltò in tempo per vederla piantare la rotospazzola magnetica come se fosse una lancia da infilzare nel terreno.
- Vieni qui, scemo.
Aveva vinto lei. Anche stavolta. Ma era quello che sperava. Era ciò che l'aveva spinto fino a Giove.
Tornò verso di lei, prima camminando e poi di corsa. La travolse abbracciandola stretta, intenzionato a toglierle il respiro. La sentì gemere e abbarbicarsi a lui, strettamente come lei sapeva fare per regalargli piacere. Inspirò a fondo l'odore della sua pelle, acre e soave, l'aroma dei suoi capelli ricci e ribelli, raccolti sommariamente per lasciare scoperto il collo, e lasciò che una lacrima gli rotolasse sul viso. L'avrebbe stritolata dalla gioia.
- Hey, Miki... complimenti!
Al suono di quella voce sbatté le palpebre per liberarle dalle lacrime e inquadrò rapidamente chi aveva parlato. Dai varchi nelle pareti del corridoio stavano uscendo delle persone: evidentemente c'erano delle stanze, lì. Lo sguardo si fissò sulla prima apparsa: la pelle più nera che lui avesse mai visto poco nascosta sotto un top elastico blu che copriva lo scarno seno e sotto un paio di ampi calzoni cachi, corti al ginocchio e senza cintura. Si avvicinava sorridendo con una camminata felina ma naturale, spontanea. Non poté fare a meno di notare i muscoli evidenti, allenati e asciutti. Tutto il fisico di quella donna era asciutto ed essenziale, fatto salvo l'orecchio sinistro il cui lobo era deformato da un anello di metallo tanto grande da poterci infilare un dito.
Dietro di questa veniva una piccoletta dalla pelle rosea e dallo sguardo chiaro e dolce sotto una zazzera bionda. Ma non era tanto meno muscolosa della donna nera. Anzi: a ben guardare era decisamente nerboruta e, in proporzione all'altezza, anche più massiccia. Sapeva che i j-diver erano gente strana, ma non li avrebbe mai immaginati né salutisti, né fanatici della palestra. Ma i suoi pensieri furono deviati dalle mani di Miki che premettero sul suo petto per separarsi da lui.
- Non credere di aver vinto – gli sussurrò lei. Gli occhi erano lucidi ma le guance asciutte.
- Mi hai sconfitto il primo giorno che sei salita a bordo del Raja – le soffiò in un orecchio. Ormai le due donne erano vicine e non voleva essere spiato oltre. Era chiaro che entrambe avevano assistito al loro infuocato scambio di battute stando nascoste nelle camere.
- Proprio un bel maschione, Miki... se l'avessi lasciato andare tu l'avrei rincorso io, stanne certa. Te lo porto giù io se vuole saltare, d'accordo?
Non era giovane come sembrava. Certo era più anziana di Miki e dell'altra ragazza tarchiata che se ne stava un po' in disparte, sorridendo dolcemente.
- Hey, hey! Piano, non corriamo qui, eh! Tu – Miki gli puntò minacciosa un dito contro il petto – se ti becco anche solo a fare gli occhi dolci a qualcuna che non sono io qui dentro... ti butto di fuori, chiaro? E voi state lontane! Passate parola!
L'ultimo geloso avvertimento, che conoscendo Miki era scherzoso solo nel tono, era rivolto alle altre due donne che protestarono ridendo. A sentir loro non era giusto che Miki si tenesse un uomo tutto per sé. In che razza di posto sono finito, si chiese. Ma lei tornò tra le sue braccia, calda e soda.
- Abbiamo un sacco di cose da dirci, noi due.
- Fammi mandare via il Raja: è inutile che stia qui.
- E vai a prenderti qualcosa di comodo... questa temperatura è normale, da queste parti – lo avvisò lei.
Tornò sui suoi passi, diretto al freddo corridoio di approdo. Sentì Miki rivolgersi a Mahmet, l'amministratore della stazione, per chiedergli se aveva qualcosa da obiettare. Si stupì della nota di arroganza nella voce della giovane, come se desse per scontato che ci fosse posto anche per lui. Evidentemente l'economia della stazione poteva permettersi un membro di equipaggio in più poiché il portello alle sue spalle si chiuse troncando una frase che sembrava affermativa.
Era felice. Si sentiva emozionato, leggero, contento. Stava per dire addio ai suoi vecchi compagni, ma pareva impossibile evitare una punta di amaro nella vita. Si sorprese a pensare a Rhina, la sua bellissima ex moglie. L'aveva persa: un viaggio dopo l'altro, piano piano, lentamente. Lui nello spazio a bordo di navi da trasporto, lei su Apollo a fare la donna in carriera. Con un viaggio dopo l'altro aveva trovato Miki, ciò che di più bello avesse mai avuto. Più di Rhina, ammise.
Perché, non se lo seppe spiegare.
   
 
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