High Street, Hogsmeade
22 ottobre 2022
Mattina
Quella mattina, quando la
maggior parte degli studenti era uscita dal castello alla volta di Hogsmeade,
il tempo si era rivelato poco propenso alle lunghe passeggiate, quanto più a
delle chiacchiere al caldo davanti ad una Burrobirra.
Il sole era infatti coperto
da una fitta coltre di nubi grigiastre che non promettevano nulla di buono,
anzi, solo una lunga ed estenuante pioggia – tipica, in fin dei conti,
dell’Inghilterra. Tirava anche un po’ di vento, ma Molly non ci aveva fatto
caso: era tornata in Dormitorio per prendere un maglione di sicurezza – tanto
non aveva nessuno che la aspettava, poteva attardarsi quanto voleva – e poi si
era definitivamente mossa.
Era arrivata che la maggior
parte dei ragazzi girava ancora per le strade, chi in coppia e chi in gruppo,
tra mani intrecciate e risate che si perdevano nel vento. In quel momento, al
contrario, poche persone ancora vagavano per la via principale di Hogsmeade:
c’era sì qualcuno, ma la maggior parte della gente si era riversata all’interno
dei locali.
Lei, invece, aveva
preferito la compagnia di un libro sgraffignato a sua madre mesi prima. Aveva
il viso coperto quasi fino al naso dalla sciarpa di Corvonero, mentre leggeva dell’ossessivo
amore di un uomo di nome Heathcliff per Catherine. Fu quando questa Catherine
iniziò a legarsi ad un certo Edgar, che Molly capì che quello non era il libro
per lei.
Perché probabilmente
Catherine si sarebbe sposata con Edgar, e Heathcliff sarebbe rimasto solo. E,
in quel momento, anche lei era da sola, mentre la sua versione maschile di
Catherine – a parte che lei e Michael non erano fratelli, né di sangue né
adottivi – si divertiva con l’altra.
Molly chiuse di scatto il
libro, stringendone la spina dorsale con le mani, il mento alzato e il viso
pulito rivolto al cielo. Sbuffando, si abbandonò mollemente sulla panchina su
cui era seduta, sconfortata.
Davvero, doveva fare
qualcosa. Doveva cambiare qualcosa,
perché di andare avanti così non ne voleva sapere. Crogiolarsi nella
disperazione per un ragazzo… non le importava che si trattasse di Michael, no.
Lei era Molly Weasley Jr. e non si sarebbe lasciata abbattere da una stupida
delusione d’amore.
Lei non era una di quelle
ragazzine – okay, tecnicamente, avendo quindi anni, era una ragazzina – che cadevano in depressione. Lei aveva la forza
di rialzarsi a testa alta, perché non era la Casa di appartenenza ad importare,
ma con quanta intensità si desidera una cosa.
E lei desiderava
ricominciare con tutta se stessa.
« Idiota, che ci fai qui da
sola? »
Molly, nel sentire quella
voce, girò lentamente il viso verso di lei. Era sempre stata tremendamente
melodrammatica, a modesto parere di Lucy. Solo sua sorella avrebbe potuto, dopo
molto tempo passato ad esercitarsi con lei, girare il capo nella sua direzione
così lentamente e senza sembrare un’idiota. Come in uno dei vecchi film di sua
madre, in cui ad un certo punto parte il rallentatore. E Molly riusciva
perfettamente anche in quello.
Perché Molly era perfetta.
La figlia perfetta, la cugina perfetta, la studentessa perfetta, la nipote
perfetta, l’amica perfetta. Era sempre una spanna sopra di lei, perché lei era
perfetta.
Non era più bella di lei,
Molly: erano due gocce d’acqua. Non era più intelligente di lei: semplicemente
si applicava, cosa che Lucy non aveva voglia di fare. Non era più simpatica di
lei, solo che faceva buon viso a cattivo gioco. Eppure, Molly risultava
comunque perfetta, impeccabile.
E Lucy non riusciva a
perdonarglielo.
« Ciao anche a te, stronza
».
Lucy quasi sorrise. Era
divertente come sua sorella sapesse chiamarla semplicemente stronza. C’erano di molto più adatti.
Però doveva dire che anche il suo idiota
era della stessa pasta.
« Non mi hai ancora
risposto » le fece notare, superandola per sedersi accanto a lei. Molly la
seguì con lo sguardo, le labbra strette talmente tanto da sembrare una linea – perfetta.
« Magari non voglio »
ribatté a tono Molly, facendola ridere.
Perché Molly era perfetta
con tutti, eppure con lei non lo era mai.
« Sicura di non essere tu
la stronza? » la prese in giro, frugando nelle tasche alla ricerca del proprio
pacchetto di sigarette.
Molly, anziché ribattere,
restò in silenzio per qualche minuto, tempo che Lucy impiegò per trovare le
sigarette, prenderne una ed accenderla.
« Ti sei mai sentita come
se non fossi abbastanza? » le domandò alla fine, abbassando lo sguardo sul
libro che ancora stringeva tra le mani. Sembrava concentrata: le sopracciglia
aggrottate e le labbra socchiuse, come se stesse cercando da sola una risposta
alla propria domanda.
Spesso – rispose mentalmente Lucy, con una boccata di fumo.
« Perché me lo chiedi? »
« Non volevi forse che ti
rispondessi? » ribatté Molly, voltandosi verso di lei con tutto il viso.
Sembrava… come sul punto di rompersi. Ed era strano, pensare una cosa del
genere di Molly Weasley. « Be’, è quello che sto facendo. E tu non stai facendo
altrettanto ».
Lucy,
ciccando, puntò lo
sguardo sulla parete scostata della casa di fronte a loro. Un tempo la
vernice
doveva essere stata di un bel bianco, e le finestre dovevano essere
piene di fiori, ma in quel momento quella casa era del tutto vuota.
Si riscosse quando pensò
che anche loro, un giorno, sarebbero state come quella casa. La cosa la fece
ridere, mentre Molly la guardava, spaesata. Davanti a quell’espressione
frastornata, Lucy non poté fermarsi dal ridere, perché era la stessa faccia
della Molly di molti anni prima, quando ancora andavano d’accordo e lei
combinava qualcosa.
Non ricordava perché poi si
fosse rovinato tutto, Lucy non se lo ricordava affatto. Semplicemente, prima
andavano d’accordo, si occupavano l’una dell’altra, e poi, puf, avevano cominciato ad evitarsi e lanciarsi frecciatine a
vicenda. Frecciatine che poi erano diventate insulti, che poi si erano
trasformati in litigate.
« Cosa ti dovrei dire,
sorella? » chiese Lucy, dopo aver smesso di ridere.
Molly aggrottò le
sopracciglia. « Sorella? Quindi per te sono ancora tua sorella? »
Lucy rimase basita e restò
a fissarla per dei secondi che le parvero ore. Forse Molly era impazzita del
tutto. Era possibile. Magari il troppo studio le aveva dato al cervello e lei
aveva perso la ragione.
Sì, si disse Lucy, doveva
essere così, perché altrimenti non si spiegava la frase di sua sorella. Certo
che lei era ancora sua sorella, perché non doveva esserlo? Come poteva nonesserlo? Lucy era allibita.
« Ho sempre pensato che
fossi idiota, ma mai fino a questo punto! » sbottò alla fine con il solito
tatto – dopo un po’ nessuno ci faceva più caso, in fondo “Lucy Weasley” e
“tatto” erano due parole che non potevano esistere nella stessa frase. « Come
puoi dire una cosa del genere? »
Molly le sorrise – Lucy non
capì cosa ci fosse da sorridere e si corrucciò.
« Sei stata tu » cominciò Molly,
guardandola. « ad averlo detto. Tre anni fa, precisamente. Durante le vacanze
di Natale ».
Lucy sgranò gli occhi,
presa in contropiede. Lei aveva detto…? No, Molly era uscita davvero di senno.
Okay, Lucy non era la ragazza più gentile del mondo, ma da qui a dire una cosa
del genere…
« Non guardarmi così, è
vero » le disse ancora Molly, annuendo alle proprie parole e accarezzando con i
polpastrelli la copertina del libro. « Non ricordo neanche perché lo hai fatto,
sinceramente » aggiunse, ridacchiando mestamente.
« Io non mi ricordo proprio
di questo » ribatté Lucy, stralunata.
Non riusciva a crederci.
Aveva seriamente detto a Molly di non considerarla sua sorella? Forse l’avevano
drogata, quando aveva pronunciato quelle parole. O magari – cosa più probabile
– era capitato durante uno dei loro tanti litigi. Un litigio più pesante degli
altri, certo.
D’un tratto Lucy capì il
motivo del comportamento che Molly aveva adottato nei suoi confronti negli
ultimi anni. Indifferenza, freddezza, risposte a monosillabi, sorrisi di
circostanza e solo quando era necessario… Tutto tornava a posto, tutto si
posizionava in maniera perfetta in quel grande puzzle.
Forse l’idiota era lei,
Lucy, non Molly.
« Evidentemente non sono
così importante » ipotizzò Molly, calmissima.
Lucy odiava quando Molly faceva così, quando si mostrava indifferente a
tutto. Se il caso fosse invertito, se fosse stata Molly a dirle una cosa del
genere, Lucy le avrebbe gridato in faccia di tutto. Mentre Molly la guardava
con calma e a volte sorrideva. E a Lucy veniva il nervoso, perché in quella
maniera le sembrava di essere lei a
contare poco per sua sorella, e non il contrario.
« Magari è quell’episodio a
non essere così importante » esclamò Lucy con veemenza, la voce alterata e gli
occhi dardeggianti – lei teneva a sua sorella, a modo suo, certo, ma ci teneva.
E non sopportava che Molly lo mettesse in dubbio. « Sei una Corvonero, potevi
arrivarci da sola ».
Forse non avrebbe dovuto
usare il sarcasmo, forse avrebbe dovuto comportarsi da Tassorosso –
sinceramente Lucy non capiva granché perché fosse una Tassorosso, se di quella
Casa aveva solo la lealtà – e chiedere scusa a sua sorella. Ma non sarebbe
stata onesta, o comunque non si sarebbe sentita tale; quello era il suo modo di
affrontare le cose, di reagire e di difendersi. E se sua sorella pensava che
non le importasse nulla di lei, Lucy non vedeva perché avrebbe dovuto
riservarle un trattamento tanto speciale.
Molly, intanto, sbuffò,
continuando a muovere le dita sulla rilegatura del libro. Il sarcasmo pungente
di Lucy non era quel che di cui aveva bisogno, in quei giorni, eppure l’aveva
provocata lei. Perché sì, l’aveva provocata, e l’aveva fatto apposta. Aveva
voglia di sfogarsi, e Lucy era capitata lì. Alla fine Lucy avrebbe potuto
ignorarla e passare avanti come avevano imparato a fare.
E invece si era fermata, e
poi le si era seduta accanto, e si era offesa dalla sua insinuazione.
« Perché dovrei crederti? »
continuò imperterrita, sfogandosi. Sperava di riuscire a calmarsi, in quel
modo; sperava di far fuoriuscire tutta la rabbia. « Noi non ci parliamo mai.
Praticamente non ci conosciamo. Perché dovrei crederti? »
Lucy serrò le labbra, seria
in volto, prima di rispondere: « Perché abbiamo ancora un sacco di tempo per
conoscerci, e perché sono tua sorella ».
Forse, pensò Molly, aveva
sbagliato a valutarla.
Forse.
*
Loro erano riusciti a
trovare un tavolo libero sul fondo, vicino alla finestra, e ormai stavano lì da
un po’, intenzionati ad andarsene solo quando sarebbe stato strettamente
necessario.
Dominique aveva un
appuntamento con Matthew, e James aveva scoperto solo quella mattina che Logan
aveva aggirato Yvonne, invitandola a passare la mattinata con loro, dicendole
che sua cugina aveva dato buca a Matthew all’ultimo minuto. Inutile dire che,
quando la ragazza l’aveva scoperto, era andata su tutte le furie e l’unico
motivo per cui era rimasta è che l’appuntamento con Louis era per dopo pranzo e
lei, non conoscendo affatto il paese, si sarebbe persa.
Perciò si erano mossi
presto, James in mezzo a Logan e Yvonne perché sospettava che altrimenti la
ragazza lo avrebbe picchiato in pubblico – non si doveva mai far arrabbiare una
ragazza con dei geni Veela: quando si arrabbiavano erano terrificanti –, ed
avevano raggiunto il famoso pub. Prima, però, Logan aveva insistito per fare un
salto da Mielandia, dove aveva cercato di attaccare una caramella appiccicosa
tra i capelli biondi di Yvonne – che, quando lo aveva beccato, sembrava stesse
per saltargli alla gola.
In quel momento, invece,
James stava muovendo le dita sulla superficie del bicchiere di vetro della sua
Burrobirra, mentre Yvonne sorseggiava il suo tè con il miele – a quanto pareva,
il clima inglese le aveva fatto venire il mal di gola – e Logan beveva
tranquillamente la sua Burrobirra, poggiato allo schienale della sedia e
osservando apertamente la ragazza.
« Dominique mi ha parlato
molto di te » proruppe Yvonne, per fare conversazione. Evidentemente il
silenzio che si era andato a creare doveva averla messa in soggezione, visto
che, dopo aver posato la ancora un po’ piena, si era guardata attorno, e James
si chiese come avesse fatto a non pensarci prima, a metterla a sua agio.
« Oh? » disse
semplicemente, dando poi un sorso alla sua Burrobirra. Yvonne, davanti a lui,
annuì, mentre una ciocca, che prima era stata fermata con la sciarpa che la
ragazza si era legata al collo, le finiva davanti al viso per poi essere
prontamente accompagnata dietro l’orecchio. « E che dice? »
« Più o meno le solite cose
» rispose, evasiva – era strano, il modo in cui Dominique parlava di James, suo
cugino, e Yvonne non riusciva a capire bene cosa si nascondesse dietro quelle
frasi lunghe quando le scriveva o dietro
a quegli azzurri quando le parlava di lui. « Siete migliori amisci, vero? » sviò infine, virando su un
terreno meno problematico.
« Già » annuì James, mentre
Logan salutava qualcuno che entrava nel locale. « Tu hai un migliore amico? ».
Si rese conto dell’idiozia di quella domanda solo dopo averla pronunciata e nel
vederla trattenere malamente una risata.
« Sì, ne ho uno » gli
rispose dopo pochi secondi, divertita. « Si chiama Félix, è venuto anche lui
qui con la delegasione ».
« Come mai non è venuto? »
le chiese ancora, per cercare di instaurare un rapporto. Dopotutto era la
cugina di Dominique, e comunque non sembrava antipatica.
Yvonne si strinse nelle
spalle, scuotendo appena la testa come a dire non ne ho idea. « Quando gliel’ho chiesto ha detto che preferiva
restare al castello… ».
« Probabilmente il fascino
di Hogwart ha conquistato anche lui » disse Logan d’un tratto, con un sorriso
che assomigliava leggermente ad un ghigno.
« Hogwarts è molto bella »
convenne Yvonne, senza trattenere un sorriso.
« E la compagnia è ancora
meglio, vero, Yvy? » aggiunse lui, ammiccando.
Yvonne scosse la testa e ribatté:
« Tranne la tua, Hopkins », mentre James scoppiava a ridere e Logan sorrideva.
*
Matthew l’aveva aspettata
in Sala Comune, e poi si erano diretti insieme verso le carrozze. Uscendo dalle
carrozze, aveva intravisto sua cugina insieme a James e Logan, ma Matthew non
le diede neanche il tempo di dispiacersene, perché la portò da Scrivenshaft per
vedere le nuove penne da collezione.
Dopo lei lo aveva
accompagnato alla filiale dei Tiri Vispi Weasley, dove il ragazzo aveva comprato
delle caramelle particolari da portare in dormitorio, per poi incamminarsi
verso i Tre Manici.
« Ora però mi devi dire
come sapevi delle piume » stava dicendo Dominique, sorseggiando la propria
Acquaviola. « Insomma, io non te l’avevo detto ».
Matthew sorrise con
allegria, posando la sua Acquaviola sul tavolo e allargando poi le braccia in
aria. « Te l’ho sempre detto, Dominique: ci sono cose che, semplicemente, non
si possono dire ».
« E fammi indovinare,
questa è una di quelle cose » sbuffò Dominique, fingendosi scocciata. In realtà
gli piaceva come Matthew si prendesse gioco di lei senza mai offendere o farla
indispettire.
« Già » ridacchiò il
ragazzo. « Tu non hai cose che non puoi dire? »
Matthew lo chiese senza
pensare, come se fosse una cosa naturale, ma Dominique si irrigidì ugualmente.
Non perché ci fosse qualcosa di strano nella domanda di Matthew, ma perché sì,
lei alcune cose non poteva dirle. A nessuno. Per nessuna ragione al mondo.
Erano… Non erano. Non potevano
essere.
Eppure sono.
Dominique scosse la testa
per scacciare quel pensiero, ma Matthew lo prese come un diniego alla sua
domanda.
Sembrava sorpreso.
« No? Davvero? »
Dominique rialzò gli occhi
su di lui ed inarcò le sopracciglia. “Davvero” cosa? Fece per chiederglielo, ma
lui le risparmiò la fatica andando avanti con il discorso.
« Be’, allora sei
fortunata, penso. Essere sinceri su tutto è una buona cosa » le sorrise, e
Dominique capì. Poi si sentì malissimo, perché lei non era sincera su tutto.
Cercava di esserlo, ma c’erano alcune cose – specialmente una cosa – su cui
doveva mentire.
Si sforzò di sorridere e le
venne naturale, come se non avesse fatto altro che divertirsi anche negli
ultimi minuti. Forse perché aveva la sensazione che Matthew non le avrebbe
fatto domande sul suo comportamento, o sulle cose che gli nascondeva.
Era una bella sensazione,
pensò.
« Ti va di fare un giro,
prima di tornare al castello? » gli chiese, evitando accuratamente di
soffermarsi su ciò che aveva precedentemente detto il ragazzo. « Non ho ancora
voglia di rientrare ».
« Oh, certo ». Matthew le
sorrise e lanciò un’occhiata alla bevanda di Dominique. Finì rapidamente gli
ultimi gocci della propria prima di sorriderle di nuovo. « Vuoi andare ora? »
Lei ricambiò il sorriso,
raggiante, e fece per prendere le monete dalla tasca, ma lui la guardò, scosse
la testa ed andò da Hannah Paciock, la barista, per pagare. Quando tornò, le
disse:
« Hai davvero fatto per
prendere i soldi? ». Non sembrava arrabbiato, solo perplesso. « Dominique, è un
appuntamento, non ti avrei mai fatta pagare ».
« Che cavaliere »
ridacchiò, scostando la sedia dal tavolo ed alzandosi. Prese il proprio
cappotto ed affiancò Matthew per uscire dal pub.
Una volta fuori, l’aria
fredda sferzò loro i visi. Nell’aria c’era odore di pioggia, e le nubi scure di
quella mattina sembravano essersi come raddoppiate. C’era ancora poca gente per
le strade, segno che in molti o erano già rientrati o avevano preferito
rimanere ancora un po’ dentro ai vari locali del villaggio. Pensandoci bene,
anche a Dominique sarebbe piaciuto restare ai Tre Manici. E sempre pensandoci
bene, lo avrebbe fatto, se non fosse uscita con Matthew ma avesse seguito
Yvonne, Logan e James.
Lanciando un’occhiata al
ragazzo sorridente accanto a lei, però, Dominique non se ne dispiacque affatto.
Piegò anzi gli angoli delle labbra verso l’alto, prima di allungare la mano
verso quella di Matthew e intrecciare le dita alle sue.
Lui si voltò verso di lei,
palesemente colpito. Dominique, mentre rafforzava la stretta e si bloccava per farlo
fermare di rimando, sperò che fosse piacevolmente colpito.
Erano fermi in mezzo al
ciglio destro di High Street, quando Dominique lo fece girare per poggiare le
labbra sulle sue. Erano molto carnose e soffici, le labbra di Matthew, stimò
Dominique mentre gli allacciava le braccia al collo e lui la prendeva
dolcemente per la vita.
Si sentiva la testa vuota,
completamente svuotata, Dominique. Era come se le labbra di Matthew le avessero
cancellato dalla mente tutto quello che non lo – li – riguardava, come se in quel momento non riuscisse a pensare ad
altro che non fosse il quando doversi staccare per incamerare ossigeno.
Ma stava bene, e pensò che
finalmente era sulla strada giusta per porre fine a tutto quanto.
Ora c’era Matthew, nella
sua vita. E lei avrebbe pensato a lui, non più a James.
Mai più.
*
Yvonne è così bella!
Quella non era una gran
scoperta, non per Louis. Sua cugina era, a suo modesto parere, una delle
ragazze più belle che avesse mai incontrato, assieme alle sue due sorelle. Non
c’era bisogno che William glielo ripetesse almeno cinquantadue volte al giorno.
Oh, Yvonne è così simpatica!
La cosa davvero simpatica, per Louis, era il
fatto che William le aveva parlato solo una volta, quando si era presentato, e
lei aveva parlato sempre con Louis.
Ha un così bel sorriso!
Quando, ai Tre Manici,
glielo aveva ripetuto per la milionesima volta, Louis aveva posato il gomito
destro sul tavolo e si era coperto la faccia con la mano, sfiancato. William
era così asfissiante, in quei giorni. E la sua cotta per Yvonne rasentava il
ridicolo, visto che lei era più grande di lui di due anni e, secondo Louis, non
l’avrebbe comunque preso in considerazione.
Secondo te ho qualche possibilità?
Alla fine, stufo di quella
situazione, gli aveva risposto che no, secondo lui qualche possibilità non ce
l’aveva e gli aveva indicato Yvonne, che in quel momento stava entrando assieme
a suo cugino James e a Logan. Fece anche notare a William come Logan ci
provasse spudoratamente e che era meglio se lasciava perdere.
William si era ovviamente
infastidito e gli aveva chiesto cos’avesse Logan Hopkins più di lui. Louis,
colto da uno dei suoi noti attacchi di acidità, aveva ribattuto che faceva
prima a chiedersi cos’avesse lui più di Logan Hopkins.
Non che quel Logan gli
stesse particolarmente simpatico – faceva ridere, ma a Louis sembrava che si
desse troppe arie; il fatto che se le desse anche lui era un futile dettaglio
–, ma non ne poteva più degli sproloqui del suo amico su Yvonne.
Mentre William lo guardava
male, Louis si alzò dal tavolo e se ne andò, salutando la cugina con un gesto
sbrigativo della mano.
Una volta fuori dal locale,
Louis sbuffò sonoramente, alterato. Era una giornata davvero schifosa, vista da
tutte le parti. Tempo orribile, compagnia ancora peggiore e la pazienza che
sembrava essere andata a farsi benedire.
Che si fottessero tutti quanti – pensò,
incamminandosi lungo la strada principale di Hogsmeade. Notò Molly e Lucy
sedute vicine su una panchina, ma non ci badò e tirò dritto per la sua strada.
Desiderò mentalmente che
Yvonne baciasse Logan Hopkins davanti a William – anche se sapeva che non
l’avrebbe fatto, perché Yvonne continuava a dire che era un idiota e che non lo
sopportava, ma Louis era sicuro che in fondo le facevano piacere tutte quelle
attenzioni, sebbene fossero piuttosto infantili. Subito dopo si rimangiò quel
pensiero, perché dopotutto Yvonne era sua cugina e lui, di Logan, non si fidava
granché.
Però William ci resterebbe di merda – si
disse, ghignando appena e ricordandosi del perché il Cappello Parlante aveva
avuto dei dubbi tra Serpeverde e Corvonero.
« Un nuovo Weasley! Che
piacere, che piacere! » disse una vocina nella sua testa, senza sorprenderlo
poi tanto. Dominique e Victoire gli avevano già detto che sarebbe successo. «
Vedo un gran cervello, ma anche molta ambizione… Non sei una persona molto
coraggiosa, eh? Ti piace vincere facile e sai come ottenere ciò che vuoi…
Saresti senza dubbio un ottimo Serpeverde » continuò la vocina, e questa volta
lo colse alla sprovvista. Non aveva mai davvero pensato a quale sarebbe stata
la sua Casa. « Ma hai anche molto della nobile Casa della cara Priscilla… Sei
molto difficile, Louis Weasley, sai? Ma forse… sì, tentiamo! Corvonero! »
Le parole del vecchio Cappello Parlante galleggiarono
nella sua mente, tornando a galla e facendolo sorridere. Si era trovato bene,
alla fine, trai Corvonero, anche se si era sempre chiesto cosa sarebbe successo
se fosse stato smistato a Serpeverde.
Non che gli dispiacesse di non essere un Serpeverde,
dato che questi avevano la Sala Comune nei freddi sotterranei, mentre loro
Corvonero stavano in alto, in una delle torri. E la loro Sala Comune era
decisamente la più bella, piena di persone sveglie e intelligenti.
Tranne alcune – aggiunse mentalmente, pensando
a William.
Mentre sbuffava di nuovo, Louis calciò un sasso vicino
ai suoi piedi; questo andò a sbattere contro uno dei bidoni della spazzatura
magici. Louis lo seguì con lo sguardo, e, alzando e spostando poi gli occhi dal
sasso ormai fermo, lo notò.
Era seduto su una panchina poco lontana, vicino ad un
lampione, con le gambe allungate e una sigaretta tra le dita – lo si capiva dal
filo di fumo che si sollevava piano dalla sua mano. Aveva un’aria strana, con
la fronte distesa e le labbra serrate; sembrava estremamente concentrato, e
Louis notò che lanciava sguardi ad ogni persona che gli passava davanti.
Spinto da chissà cosa – forse perché, a giudicare da
quanto era contratta la sua mascella, anche quel tipo ce l’aveva con qualcuno
–, Louis si avvicinò alla panchina e ci si sedette sopra senza dire niente. Se
gli diede fastidio, l’altro non lo diede a vedere; gli lanciò appena uno
sguardo, prima di tornare a guardare i pochi passanti e a fumare
tranquillamente.
« Posso averne una? »
domandò, tranquillo, girando il viso verso lo sconosciuto. Teoricamente lui non
avrebbe dovuto accettare cose dagli sconosciuti, figurarsi chiederle, ma
sinceramente in quel momento non gliene importava nulla.
L’altro non rispose né lo
degnò di uno sguardo, e quando furono passati una decina di secondi, mentre
Louis incominciava ad infastidirsi leggermente, si mosse e affondò una mano
nella tasca dei pantaloni, tirandone fuori un pacchetto di sigarette babbane.
Lo aprì e glielo porse, invitandolo a prenderne una.
Louis non si fece pregare e
la prese, accendendola poi con l’accendino all’interno del pacchetto. Dopo aver
rimesso l’accendino dov’era, si portò la sigaretta alle labbra e si appoggiò
allo schienale della panchina.
Quello che calò non era un
silenzio pesante ed opprimente, affatto; era semplicemente pieno di domande e
curiosità. Louis non aveva mai visto quel ragazzo prima di allora, ed era
strano, visto che veniva ad Hogsmeade da tre anni. Doveva essere uno nuovo, e
Louis non capiva perché una persona dovesse scegliere di trasferirsi ad
Hogsmeade anziché negli altri centri abitati magici.
« Ragazzino, perché non te
ne vai? ». Furono quelle le prime parole che lo sconosciuto gli rivolse, e
Louis inarcò le sopracciglia. Non gli piaceva essere trattato in quel modo,
specialmente se la persona che lo faceva neanche lo guardava in faccia.
« Mi chiamo Louis Weasley,
non ragazzino » ribatté lui, ostentando una calma che non possedeva del tutto –
in realtà avrebbe voluto chiedere a quel ragazzo, che non poteva avere più di
sei anni più di lui, chi si credeva di essere.
« Non me ne importa poi
molto » disse l’altro, atono. « Ora, vuoi andartene o cosa? »
« Volevo parlare » ammise
Louis, senza battere ciglio, facendo uscire dalle proprie labbra del fumo.
« Non hai degli amici? »
gli chiese il ragazzo accanto a lui, e dal tono di voce si capiva che non gli
interessava realmente.
« Ti interessa? » domandò
quindi Louis, retorico.
« No » rispose infatti
l’altro, sempre senza guardarlo in faccia. « Ma ti sei seduto qui, mi hai preso
una sigaretta e non te ne sei ancora andato. Ho tutto il diritto di avanzare
domande ».
Louis accusò il colpo,
appoggiandosi allo schienale della panchina ed espirando del fumo per prendere
tempo.
« Poi posso farla anche io
una domanda? » chiese infine con tono leggero.
« Solo se poi mi fai il
favore di sparire » disse lo sconosciuto, atono, con la fronte aggrottata e
appena accarezzata da dei morbidi – almeno alla vista – ciuffi biondi.
L’accento Louis l’aveva riconosciuto: doveva essere francese, perché la
pronuncia delle parole, sebbene il ragazzo parlasse perfettamente inglese,
avevano una pronuncia vagamente francofona.
« Okay » disse Louis –
anche se, in realtà, non pensava che se ne sarebbe andato, visto che non aveva
voglia di tornare al castello né di rivedere William. « Come ti chiami? »
L’altro si girò verso di
lui per la prima volta, mostrando un paio di scettici occhi di un verde
brillante ma cupo. Aveva un viso affilato, con gli zigomi leggermente alti, un
naso dritto e una bocca sottile. A Louis sembrò che avesse qualcosa di…
familiare, già visto.
« Ragazzino, fatti gli
affari tuoi » berciò il ragazzo con gli occhi verdi, stavolta scocciato.
Louis si corrucciò come
faceva spesso; aggrottò le sopracciglia e strette le labbra. Poi ribatté: «
Avevamo un patto ».
« Io non ti conosco, e me
ne frego del patto » lo informò allora l’altro. « E lo avresti fatto anche tu,
rimanendo qui dopo la mia risposta. Mi sbaglio? »
« No, non ti sbagli »
rispose Louis con notevole faccia tosta. « Ma io mi sono presentato, e sarebbe
scortese non fare lo stesso. Quindi ».
Louis pensava che si
sarebbe arrabbiato o come minimo infastidito, ma nello sguardo dello
sconosciuto ci fu un guizzo di curiosità misto a un vago senso di
compiacimento.
« Julien ».
Il colpo di scena alla fine
com’è stato? A me sembra essere andato bene…
Spero che il capitolo sia
piaciuto ai poveri disgraziati che mi seguono, fatemi sapere <3
Un bacio,
Er.