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Autore: StefanoReaper    26/08/2012    4 recensioni
Impiego svariati secondi, durante i quali resto sdraiato con gli occhi fissi sul cielo privo di nuvole, a capire perché mi trovo a l'aria aperta, su una panchina, a quelle che dovrebbero essere le 5 del mattino.
Pian piano comincio a ricordare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'Il Fumo Uccide, Ma La Vita Mica Scherza.'
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Apro gli occhi e vedo il cielo azzurro sopra di me. Sarebbe perfetto nel suo colore, se non ci fossero gli alberi a reciderne bruscamente la vista.
Impiego svariati secondi, durante i quali resto sdraiato con gli occhi fissi sul cielo privo di nuvole, a capire perché mi trovo a l'aria aperta, su una panchina, a quelle che dovrebbero essere le 5 del mattino.
Pian piano comincio a ricordare.
La sera prima avevo litigato con i miei. Ma era stata una litigata molto pesante.
Dicevano che ero un buono a nulla, capace a far niente. Che non avevo futuro e che non avrei mai combinato niente della mia vita.
Che ero un fallimento.
Con le lacrime agli occhi, ormai incapace di far uscire qualsiasi suono attraverso la gola dolorante e dalle labbra secche, corsi verso la camera e sbattendo al porta mi chiusi dentro, dando una doppia mandata di chiave. Mi sedetti sul letto e organizzai i pensieri.
Non avevo più nulla da fare in quella casa. Non ero gradito, anzi ero considerato un fallimento, una perdita di tempo. Un peso. Allora tanto valeva prendere e andarsene.
Mi guardai intorno e nella penombra scorsi lo zaino di scuola.
Mi alzai e lo afferrai con violenza.
Che schifo di zaino. Vecchio, strappato. Nemmeno uno zaino nuovo potevo avere in quella casa.
Lo svuotai del contenuto per terra. Libri e quaderni, astuccio e diario si rovesciarono sul pavimento di marmo. Andai all'armadio e iniziai a svuotarlo. Non potevo certo prendere tutti i vestiti, ma dovevo portarmene appresso il più possibile..
Fatta una cernita dei vestiti mi fermo e penso a cos'altro possa servirmi. Le lacrime hanno ormai smesso di uscire, e una salda e più forte consapevolezza era fiorita, e una determinazione a mandare avanti la faccenda pulsava come un enorme cuore dentro al mio petto, e quasi mi impediva di respirare.
Per prima cosa apro l'anta superiore dell'armadio e prendo il sacco a pelo. Quello mi sarebbe servito sicuramente. Dai vari cassetti estraggo poi il mio vecchio coltellino serramanico, due penne e una matita, questo diario, il portafoglio, con un po' di soldi e i documenti, e ficco tutto dentro alla tasca davanti dello zaino.
Poi mi volto e vedo la chitarra.
Per un attimo pensai di fermare tutto, ti ripensarci e non andare via solo per non rinunciare alla chitarra.
Poi ho pensato, e chi deve rinunciare alla chitarra? Allora l'afferrai, la infilai nella custodia e me la misi in spalla. Ora, con lo zaino in mano, la chitarra sulla spalla e gli occhi rossi di sangue giravo la chiave nella toppa, aprivo la porta e mi avviavo, lungo il corridoio, alla porta di casa.
A quel punto tutto si fa più sfocato, impreciso.
Ricordo che mia madre mi ha chiesto dove stessi andando, e ricordo di non averle risposto. E ricordo che mentre aprivo la porta mio padre tentava di impedirmelo.
Poi ero per strada.
Appena uscito dal portone mi fermai.
L'aria fresca mi pizzicava la pelle, e mi calmava i nervi.
Mi accesi una sigaretta.
Iniziai a vagare più o meno senza meta, pensando a dove potessi andare.
In un attimo tutte le conseguenze di quella mia decisione mi balenarono in testa.
Primo problema, dove dormire?
Non volevo subito chiedere ospizio a qualcuno dei pochi amici che mi erano rimasti.
Avrei dormito fuori. Tanto ancora non faceva troppo freddo, in quel periodo, anche se l'inverno era ormai alle porte.
Decisi che avrei dormito al parco.
Presi quindi la traversa alla strada dove mi trovavo per poi sbucare sulla via che porta all'entrata del grande parco.
Più volte ero stato lì di notte, e avevo già in mente un buon posto dove andare a dormire, dove non sarei stato disturbato da niente e nessuno.
Arrivai all'entrata una mezz'oretta prima dell'orario di chiusura. Sguisciai all'interno e subito mi distaccai dal sentiero battuto, passando per il prato, e dirigendomi verso la pineta. Appena iniziata la pineta, il terreno sale velocemente, verso uno spiazzo, altrimenti raggiungibile solo dopo un lungo cammino per tutta il parco. Scalai a fatica quella ripida salita e subito trovo il posto designato.
Una panchina si trovava isolata vicino a un gruppo di cipressi.
Mi erano sempre piaciuti i cipressi. Alberi timidi.
Pur essendo molto alti, visibili, non hanno la pretesa di dimostrare la loro maestosità, e si ritraggono, affusolandosi intorno al tronco, quasi a non voler disturbare nessuno.
Arrivai alla panchina e ci poggiai sopra lo zaino con legato il sacco a pelo, e appoggiai la chitarra allo schienale. Mi sedetti e accesi un'altra sigaretta.
Dovevo rimanere lì fermo per un po', finché il guardiano non finiva il giro di guardia e chiudeva il cancello.
Mi sdraiai e guardai il cielo.
Si riuscivano a vedere anche le stelle, da dentro il parco.
Pian piano sentivo gli occhi diventare pesanti, e non riuscivo più a tenerli aperti.
Decisi che avrei dormito senza sacco a pelo.
La luna spuntava da dietro la pineta, e mi rischiarava la vista.
Quel posto mi sarebbe sembrato tetro e spaventoso in un'altra occasione, ma ora mi appariva come il posto più bello del mondo.
L'aria fresca, i cipressi, la luna.
Godendo di queste bellezze, mi addormentai.

È stata una notte orribile.
Ho appena avuto un incubo, ma non ne visualizzo completamente il contenuto.
Ho solo lo strano ricordo, come se avesse lasciato dentro di me una leggera scia, un contorno sfuggevole, una sensazione di solitudine, e di paura.
Probabilmente ho sognato ciò che è accaduto ieri. Scuotendo la testa, come per scacciare via questi pensieri mi alzo in piedi, per attivare la circolazione. Mi sento tutto dolorante, e gli occhi sono impastati, e credo molto arrossati.
Non voglio sapere l'aspetto che ho.
Mi ristendo, con gli occhi al cielo.
Una nuvoletta solitaria cammina lentamente, trasportata dal vento autunnale.
D'ora in poi vagherò solitario, come una nuvola.

***


Tratto da una storia vera.
   
 
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