Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover
Segui la storia  |      
Autore: Stregatta    26/08/2012    2 recensioni
Trovarlo non è facile. Occorre far parte del giro, per distinguerlo fra le mille porte malmesse tutte uguali di quel distretto malfamato, o arrivarci per caso, guidati dalla mano improvvida e un po' bastarda del Destino.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Alexander Kapranos appartiene a sé stesso, non fa quel che ho scritto e se mi scoprisse mi dedicherebbe qualche caustica canzone che conterrebbe insulti accuratamente celati dietro citazioni omeriche and other weird shit. Lui è figo così. ♥


Credo sia un esercizio di stile, più che altro – così, per riprendere contatto con la mia parte saccente e tutti i paroloni che usavo da piccina. In più, è anche una specie di inside joke ed è anche un esperimento "aperto", nel senso che potrei o non potrei scrivere qualche altro capitolo in stile raccolta... Non lo so, boh. E comunque "pioveva e mi annoiavo" è la giustificazione vera di quel che è scritto qui, in pratica. XD

Ci sono accenni al Matthew Bellamy/Dominic Howard (BellDom, olé) e un sacco di più o meno esplicito Kapranos/Howard (… Kaproward? Ugh). Non è importantissimo ai fini della comprensione della storia, ma se non avete visto Casablanca vi perdete a) i riferimenti e b) un gran bel film. Fangirls avvisate...




Trovarlo non è facile. Occorre far parte del giro, per distinguerlo fra le mille porte malmesse tutte uguali di quel distretto malfamato, o arrivarci per caso, guidati dalla mano improvvida e un po' bastarda del Destino.
Di sicuro, in qualche modo, chiunque ci arrivi si è perso. Dietro un'indicazione farfugliata in fretta e furia dal titolare del chiosco di falafel giù all'angolo o dietro un fantasma o meglio ancora, dietro un'illusione.
Nel caso di Tom, a metterci lo zampino erano stati una giornata di pioggia, un autobus troppo lento ed un colloquio di lavoro andato a puttane per via del ritardo.
La porta era aperta, e da dentro venivano musica swing ed una fioca luce rossastra – quel tanto che bastava a qualificare il luogo come un bar, ossia ciò di cui Tom aveva decisamente bisogno al momento.
Non ricordava granché di quella sera. Aveva posto molte domande al barman – un anacronismo su due piedi che pareva aver votato la propria vita allo scopo di diventare il sosia ufficiale di Humphrey Bogart, dai vestiti ai capelli alla sigaretta che gli pendeva ad un angolo della bocca, e che si era spinto al punto di chiamare il luogo “Rock's Café” cambiando la “i” in “o” forse per evitare di affondare ulteriormente nel ridicolo – e, a fine serata, si era candidato come suo aiutante. Dato che il locale era pressoché vuoto e probabilmente non navigava in acque eccellenti, la sua poteva essere stata una mossa stupida – ma tant'erano la disperazione, e la vodka.
Il proprietario non sembrava pensarla così: gli aveva dato appuntamento il giorno dopo, scribacchiando il proprio nome – ironicamente, Humphrey si chiama davvero Humphrey - data, ora e luogo su un foglietto, e gli aveva chiesto di procurarsi uno smoking o, in alternativa, una camicia bianca ed un papillon nero.
Quindi, eccolo qui che si riaggiusta il farfallino un po' tarmato sulla camicia troppo lunga del frac appartenuto a quel marcantonio di suo nonno, attendendo istruzioni dal suo nuovo datore di lavoro sul da farsi.
In barba al cartello Vietato Fumare, avvolto dal cono d'ombra dell'angolo più oscuro di tutto il bar, l'uomo emerge dalla porticina del retrobottega e tira fuori da un portasigarette in pelle di pitone la sigaretta più lunga che Tom abbia mai visto in vita sua: senza salutare il ragazzo, Humphrey la accende ed aspira una lunga boccata di fumo. Fissa Tom da sotto in su e mormora con voce impostata ed apparentemente un filo annoiata: - Sei dalla parte sbagliata del bancone, ragazzo.
Tom si guarda attorno, ridendo nervosamente.
- Sì, be', volevo sapere cosa devo fare...
- Vieni qui dietro, allora.
Il ragazzo quasi incespica, nel raggiungere Humphrey dietro il bancone: attende istruzioni, ma queste tardano ad arrivare. Sta per cercarle attivamente, quando finalmente l'uomo accanto a lui apre bocca non solo per farsi un tiro di sigaretta.
- Guarda di fronte a te.
Tom annuisce vigorosamente, obbedendo.
Di fronte a loro, una platea di tavolini vuoti in metallo cromato e sotto i loro nasi, accanto al ripiano lucido e scuro del bancone, tre sgabelli neri con la seduta di paglia intrecciata.
- Quello che vedi non è ciò che sembra... Un locale in procinto di fallire, uno spreco di tempo e risorse.
Vuole ribattere, Tom, colto dall'istintivo bisogno di precisare che non la pensa affatto così e che, anzi, quel posto sembra così distinto e retrò ma non nella maniera artificiale e vuota di certi bar “giusti”, dove il passato viene esaltato solo perché la sindrome dell'Età dell'Oro è uno dei pochi valori universali esistenti e quindi meritevole di essere sfruttato per far soldi. No, quel posto è... Veramente vecchio, quasi antico, in un modo inspiegabile...
- … questo locale è frequentato da una clientela altamente selezionata, che si ritrova qui per circostanze particolari e richiede un servizio altrettanto particolare.
Tom si volta verso Humphrey, che senza guardarlo specifica con voce piatta: - Non è un bordello. Ho detto “servizio particolare”, e ciò che offre un bordello è quanto di più ordinario e trito esista al mondo.
- Devi solo sapere che in alcune serate arriverà della gente, e che dovrai trattarla in un certo modo.
- E come...?
- Lo saprai quando arriverà. Ogni cliente è fatto a modo suo, e non posso illustrartelo senza che tu l'abbia di fronte. Le persone si studiano dal vivo, ragazzo, non per sentito dire.
Di nuovo Tom annuisce, stavolta più lentamente.
La porta si apre, è arrivato un cliente.
Un uomo alto, biondo, vestito con un completo bianco dalla camicia fino alle scarpe passando per la cravatta dal nodo largo, attraversa la soglia con passo lungo ed aggraziato e si siede su uno sgabello.
Senza proferire parola alza lo sguardo su Humphrey, il quale mormora: - Nottataccia, questa.
- E quando non lo è. - ribatte amaro l'avventore.
Quando Tom lo vede in faccia per bene, trasale.
Cercando di nascondere il proprio stato d'animo al cliente, si avvicina ad Humphrey che sta stappando una bottiglia di quello che sembra champagne piuttosto costoso.
- Ma quello è Alex Kap-
- Quello è il Greco, una vecchia conoscenza del nostro bar. Ogni venerdì sera, per prima cosa, si siede e ordina un flûte di Veuve Clicquot del duemiladue.
Tom si volta a controllare il nuovo arrivato, il quale non sembra aver colto la conversazione fra lui ed il proprietario del bar.
In compenso, sta facendo cenno al ragazzo di venirgli più vicino.
- Sei nuovo, tu. -
- Sì, mhm... Salve. -
- Come ti chiami?
- Tom, signore.
- Tom... Un nome sano, e dimesso seppur dignitoso. Un nome da brav'uomo.
- Uh... Grazie.
- Non era un complimento. Nessun brav'uomo ha mai scritto la storia, caro Tom... E neanche una storia, né tantomeno una storia d'amore.
Il Greco porta di nuovo il bicchiere alle labbra, reclinando il capo appena per sorbire le ultime gocce di champagne rimaste sul fondo. Nel frattempo, Humphrey li ha raggiunti.
- Adesso comincerà a narrarti del Biondo e della Pantegana. - annuncia, a voce bassa.
- … di chi?
- Ascolta.
Come anticipato dal barman, il cliente inizia a raccontare.
- Biondo era, e bello e di gentile aspetto, direbbe un poeta italiano di cui probabilmente non conosci neanche il nome, mio piccolo Tom che ad occhio e croce hai appena terminato la scuola dell'obbligo e, mi permetto di azzardare, non hai alcuna fretta di proseguire il tuo percorso di studi. Ad ogni modo, aggiungerei che trattasi di una creatura maliziosa ed astuta, silenziosa ed impertinente al tempo stesso. Lo vedi sorridere, e sei perduto. Lo baci, e sei dannato. Ci fai l'amore, e di essere perduto e dannato senza speranza sei pure felice. È bravo, lui.
Humphrey prende il flûte, lo posa delicatamente nel lavandino sotto il ripiano del bancone.
Si rivolge a Tom: - Fagli una domanda.
Il ragazzo getta un'occhiata al Greco, poi guarda Humphrey.
Alla fine, si schiarisce la gola e chiede con tono casuale: - E... Come vi siete conosciuti, se posso chiedere?
Come se avesse toccato chissà quale tasto segreto il Greco solleva il capo di scatto, battendo le palpebre pesanti sugli occhi grigi.
- Certo, è sempre un piacere rievocare quella sera di cui, in realtà, ricordo poco... La sfumatura ciclamino dei suoi skinnies, ad esempio, è impressa a fuoco nella mia coscienza. Un dettaglio stupido. Anche tra i fumi del dancefloor, e della tequila boom-boom, quella particolare nuance spiccava su tutto come una macchia di marmellata alle fragole su una tovaglia immacolata. È stato creato per essere notato, d'altronde.
- Noi artisti, Tom, siamo una razza particolare: moderni Ulisse senza Itaca e senza Penelope, per sempre rari nantes in gurgite vasto. Nel momento in cui troviamo un appiglio, un qualsiasi dettaglio che ci salvi dalla notorietà, dalla grandezza e ci ricordi che il nostro piccolo mondo dorato è per l'appunto piccolo e fuori c'è altro, grazie al cielo, ci attacchiamo con tutta la forza possibile, fino a ferirci e farci ferire e non ci importa. Succede sempre così. Sanguiniamo, scriviamo, cantiamo. Per voi, per noi, per chi ci ha distrutti.
- Lui mi ha distrutto. Il che è buffo, perché all'inizio doveva solo essere l'incontro di una notte, una di quelle storie che non meritano di essere chiamate tali.
- L'ho incontrato a Parigi... Una città troppo romantica per lui che è in cerca solo di avventure, ed infatti era così fuori posto mentre passeggiavamo per i boulevard, con quella sua aria pragmatica e l'eloquio un po' rozzo e la sua ricorrente risatina sciocca che da allora non sono riuscito più a togliermi dalla testa. Camminavamo ridendo e parlando del più e del meno, come se non fossimo usciti da un locale per andare a scopare in un hotel poco lontano.
- Questo mi ha fatto perdere la testa. Non è seduttivo, non si atteggia, ride, beve mojitos, ti sfila le mutande con i denti senza mai cambiare atteggiamento. Niente è serio, per lui, niente vale la pena di pensarci due volte o di alterarti o di incupirti. “La vita è un ristorante, è come un gran buffet”, mi diceva sempre. “Smetti di farti il sangue amaro per ogni cosa... E se proprio non ci riesci, chiamami e ti aiuterò.”
- Dopo quella prima notte parigina, infatti, l'ho chiamato molte volte. E quando non lo chiamavo, avevo voglia di farlo. Non farsi il sangue amaro era un po' difficile, quando il pensiero di lui non mi faceva dormire la notte. Non è stato un bel periodo, quello della nostra non-relazione... Perché nonostante lo cercassi e ogni tanto trascorressimo lunghissime e piacevoli ore sotto le lenzuola, non stavamo di certo insieme. Arrivare al suo corpo è fin troppo facile, il problema sta nel fatto che al suo cuore tutt'al più puoi girare attorno, in attesa di un segnale di resa che non è mai arrivato, nel mio caso... Un po' per la sua cronica refrattarietà ai legami fissi, ed un po' per lui.
- Ho detto che non ama i legami fissi, giusto? Be', lui è l'eccezione. È brutto, davvero brutto, con la r che rulla e la faccia che si corruga tutta quando lo dici. È palesemente instabile dal punto di vista mentale, ha un figlio, una fidanzata. Non ha niente per piacere, niente. Eppure dovresti vederlo quando parla di lui – gli occhi gli brillano e la voce gli si addolcisce. Una scolaretta in calore.
- Potrai dirmi che adesso sembra tutto migliore, è ovvio, perché i colori dei ricordi sono sempre più vividi dei colori nella realtà – lui non è così biondo, i suoi occhi non sono così grandi e non mi parlava davvero d'amore, no. Non parlava neanche di me, magari, vero? Parlava sempre di e alla sua pantegana glabra, la sua schizofrenica zoccola di fogna che un momento lo venera ed il momento più tardi lo tratta come un turnista qualsiasi.
- Ci sono molte cose che possono venirmi rinfacciate, ma non che io non sappia amare. Lo avrei trattato – al diavolo, lo tratterei – meglio di quanto potrebbe mai fare quello sconsiderato, sciatto roditore antropomorfizzato da cartone animato. Bevo per questo: brindo alla nobile stupidità del mio animo, levo il calice verso l'assolata e frigida terra di Hollywood e mi chiedo cos'ha fatto quell'altro per meritarsi ciò che desidero con tutte le mie forze.
- Presto o tardi tutto questo finirà, ma solo per poco tempo... Non so stare distante dai disastri, purtroppo. È il mio modo distorto e romantico di vivere ogni legame che me lo impedisce: sono tutti l'ultimo, unico vero amore della mia vita. Anche lui lo era.
Il Greco tace, il suo racconto è finito.
Tom è confuso da quel flusso di parole che sembra pura coscienza più che una storia organica e completa. Troppi giri di parole, ricordi ed immagini suggeriti da un dolore che si nutre di champagne e buone letture, languido, autoreferenziale, romanzato.
Inizia lo stesso a rassicurare l'avventore: - Senta, sono sicuro che...
- Ragazzo.
Tom si gira verso Humphrey, che scuote il capo silenziosamente.
Il Greco, intanto, chiede ancora da bere – stavolta si tratta di un rude shottino di rum.
Dopo averlo servito, Tom si giustifica con il suo datore di lavoro: - Stavo solo cercando di consolarlo.
- Non vuole essere consolato. -
Humphrey gli indica il cliente con un cenno del mento.
- Guardalo... Bello, ricco, colto. Eppure, è uno degli uomini più soli che tu abbia mai incontrato... E non puoi fare nulla per aiutarlo.
- Allora qual è il nostro compito...?
- Ascoltare, versargli da bere, farlo sentire come se il suo fosse l'unico cuore infranto nella storia dell'umanità.
- Tutto qui?
- Di questi tempi, raccogliere i cocci con calma è un lusso... E comunque, c'è chi su una delusione amorosa si è costruito un'altra vita.
Tom non capisce, non fino in fondo, forse per mancanza di esperienza. Da una parte, spera di non arrivare mai a capire il senso di ciò che è appena accaduto. Dall'altra, sa che prima o poi dovrà succedere.
- Te la sei cavata, comunque. I miei complimenti.
Riscuotendolo dai suoi pensieri, Humphrey gli ha porto la mano.
Stupito, Tom la fissa senza sapere bene cosa fare. Poi ridacchia in anticipo della penosa battuta che sta per pronunciare.
- Quindi... Questo è l'inizio di una bella amicizia?
Sul viso di Humphrey si disegna un insperato accenno di sorriso, forse di superiorità o forse addirittura di genuino divertimento.

La porta si apre, è arrivato un altro cliente.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > MultiBand/Crossover / Vai alla pagina dell'autore: Stregatta