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Autore: jas_    28/08/2012    38 recensioni
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette? Nessuna conoscenza?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi. «Non è che sia una conoscenza - precisai - diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì.»
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Harry e Lennon'
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Prologo

 

21 Dicembre

Harry

 
Odiavo mio padre per abitare a Parigi.
Odiavo mia madre per avermi spedito lì.
Odiavo mia sorella per aver fatto la lagna e aver convinto i miei ad mandarmici nonostante avessi già diciotto anni, continuando a dire “non vale lui è nato a Febbraio”.
La nota positiva era che quello sarebbe stato l’ultimo Natale e l’ultimo Capodanno che avrei passato con lui. O meglio, che avrei passato con Carmela, la sua domestica, visto che lui era sempre occupato con il lavoro.
Mi alzai pigramente dal letto sul quale ero sdraiato da ore e mi stiracchiai leggermente: ero tutto indolenzito. Mi misi i pantaloni della tuta e andai in cucina dalla quale proveniva un odore invitante, probabilmente Carmela stava preparando la cena nonostante fossero soltanto le cinque di pomeriggio.
Mi sedetti su uno sgabello e appoggiai i gomiti all’isolotto guardandola muoversi con destrezza tra i fornelli. Era un bel personaggio, Carmela, e la conoscevo da quando ero nato. Quando i miei stavano ancora insieme faceva anche da babysitter a me e mia sorella, poi quando divorziarono mia madre non poté permettersi una domestica così lei seguì mio padre a Parigi.
«Che fai?» le domandai, facendola sussultare. Non si era accorta della mia presenza.
«Sto preparando la cena, pollo arrosto.»
Annuii guardandomi le mani.
«Ti stai annoiando?» continuò lei.
«Perché?»
Carmela alzò le spalle, «non so, nel caso volessi andare a fare in giro potevi passare anche a prendere il pane...»
Scoppiai a ridere, era ridicolo come mi imponesse gentilmente di fare le cose.
«Così esci anche un po’ di casa che sei sempre chiuso in camera tua» continuò.
Nonostante non fosse mia madre, mi comandava sempre a bacchetta, ma aveva un qualcosa per cui non riuscivo a non obbedirle.
Annuii alzandomi dallo sgabello, nonostante mi allettasse poco l’idea di uscire al freddo pungente di dicembre.
«Non c’è niente di bello da fare qua, è per quello che sto sempre in camera» mi lamentai, mentre mi mettevo la giacca.
«Non ti sforzi nemmeno di trovare qualcosa di bello da fare, è quella la differenza. Se andassi un po’ in giro conosceresti di sicuro qualcuno con questo bel faccino angelico» proclamò Carmela, avvicinandosi a me e dandomi un buffetto sulle guance, «solo che non ti impegni nemmeno a farlo. O meglio, sei talmente impegnato ad odiare tuo padre per vivere qua, per essere così poco presente nella tua vita, che non ti viene nemmeno in mente di farlo. Vero o no?»
La guardai stralunato, come faceva a sapere tutte quelle cose nel giro di in minuto quando il mio psicologo non ne era in grado con una seduta di un’ora a settimana?
Sospirai rassegnato, «esci e trovati una ragazza» continuò lei, spupazzandomi di nuovo le guance come un peluche e facendomi l’occhiolino.
Alzai gli occhi al cielo, «le francesi hanno tutte la puzza sotto il naso.»
Lei scoppiò a ridere, «caro il mio ragazzino, qua i francesi non esistono più, sono tutti immigrati da altri paesi. Se non loro i loro genitori, o nonni, o bisnonni, o…»
«Si okay ho capito» la interruppi.
Lei mi sorrise apprensiva spostandomi indietro riccio ribelle che mi cadeva sulla fronte, «smettila di piangerti sempre addosso e muovi un po’ il culo per cambiare le cose» concluse, prima di tornare velocemente in cucina e togliere una pentola dal fuoco.
Sorrisi uscendo di casa, sempre più convinto che lo stretto contatto con mio papà l’avesse fatta diventare così schizzata. O forse era sempre stata così.
Il freddo polare di Parigi quel giorno mi colpì in pieno viso non appena aprii il portone che dava sulla strada. Subito mi pentii di essermi fatto abbindolare così facilmente da Carmela nell’uscire di casa. Mi strinsi nella giacca e affondai il viso nella sciarpa che avevo avuto la diligenza di indossare mentre mi dirigevo verso la panetteria che ricordavo essere all’angolo della strada. Il sole era già tramontato, il cielo era completamente nero, probabilmente a causa delle fitte nubi che coprivano la luna, ma si poteva vedere chiaramente quasi tutto per i numerosi lampioni ai lati della strada, le vetrine dei negozi ancora aperti ma soprattutto le numerose luci natalizie che addobbavano qualunque cosa.
Dopo alcuni minuti di cammino per le affollate strade parigine aprii la porta del locale rilassandomi leggermente nel sentire il caldo che c’era all’interno. Mi misi in fila cominciando a guardarmi in giro, sentii subito salirmi l’acquolina in bocca. Da un lato c’erano dei contenitori con tutti i tipi di caramelle possibili e immaginabili mentre dall’altra, dietro il bancone, c’erano esposti diversi pasticcini, tipi di torte e pizzette che mi fecero subito venire fame.
«Une baguette s’il vous plait» dissi non appena fu il mio turno.
«Tu dois attendre cinq minutes, comment tu t'appelles?»
Smisi di fissarla quando sentii che mi aveva detto qualcosa, «eh?» domandai confuso.
«Comment tu t’appelles?» ripeté.
Rimasi in silenzio un attimo, perché voleva sapere il mio nome quando io avevo soltanto bisogno di una baguette?
«Harry» risposi comunque, per essere cortese.
Magari era stata incantata dai miei splendidi occhi verdi, o dal mio sorriso perfetto, o dalle mie fossette che le ragazze adoravano tanto – io un po’ meno – e voleva sapere a chi appartenesse cotanta bellezza.
«Ah ma sei inglese!» esclamò lei entusiasta, con un perfetto accento americano, mentre scriveva il mio nome su un foglio.
Annuii senza riuscire a trattenere un sorriso, mi sentivo un po’ meno perso nel sapere che c’era qualcuno che parlava la mia lingua.
«Tu? Stati Uniti?» Avevo riconosciuto l’accento.
La ragazza annuì, «South Carolina, ma i miei si sono trasferiti qua per lavoro quando ero piccola.»
«Capisco...» dissi, cominciando a dondolarmi da un piede all’altro in attesa della mia baguette.
«Le baguette saranno pronte tra cinque minuti, comunque.»
«Ah...» non me lo aspettavo, mi spostai di lato per lasciare passare gli altri clienti.
Mi misi le mani in tasca e osservai con discrezione la ragazza continuare nel suo lavoro, spostando immediatamente lo sguardo altrove quando vedevo i suoi occhi posarsi su di me. Era quasi assurdo come fosse allegra e contenta nell’approcciarsi con le persone e quei suoi “bonsoir” e “au revoir” in un certo senso richiamavano un po’ l’atmosfera natalizia.
Quando vidi un enorme cesto contenente il pane appena sfornato entrare nel negozio feci per avvicinarmi al bancone ma la ragazza chiamò un nome che non era il mio e un signore anziano andò da lei a prendere il pane. Dopo un paio di altri clienti la sentii chiamarmi. Ecco perché voleva sapere il mio nome, pensai.
Presi la baguette e le porsi i soldi.
«Ciao, Harry» mi sorrise, prima che io mi voltassi e uscissi dal negozio.
 
Rientrai in casa che la tavola era già apparecchiata ordinatamente per due persone, ai lati opposti del tavolo, mi liberai della giacca e della sciarpa e andai in cucina a vedere cosa stesse combinando Carmela.
«Era ora!» mi riprese, non appena mi vide appoggiato allo stipite della porta.
La guardai confuso, «ma se sono andato e tornato!» esclamai sulla difensiva. Sarò stato fuori sì e no un’ora, forse. Non di più di sicuro.
Lei guardò l’orologio, «sono quasi le sette, sai com’è tuo padre» spiegò calma.
Annuii cupo, purtroppo conoscevo tutte le sue stranezze tra cui la sua fissa per la puntualità, il problema era che la pretendeva dagli altri ma lui non era mai in orario. Una delle sue tante regole, però, era la cena alle sette in punto. Non un minuto in più né uno in meno, forse quello era e l’unico orario che rispettava dato che per il resto era una vera e propria frana.
Era sempre mancato sia ai miei compleanni che a quelli di mia sorella, a Natale c’era una volta sì e tre no, anche quando eravamo ancora una famiglia unita, l’anniversario di matrimonio non sapeva che cosa fosse e le ferie nemmeno. Non credo avesse un’amante, anche se ero troppo piccolo per capirlo quando i miei si lasciarono, il problema era che per lui c’era solo il lavoro, lavoro e ancora lavoro. Era ricco sfondato, il lavoro dava i suoi frutti, e dovevo ammettere che anch’io approfittavo di ciò ma metteva sempre la famiglia al secondo posto e ad un certo punto mia mamma cedette.
Non la biasimo per questo, papà riesce a fare innervosire anche me nei pochi giorni all’anno che ci vediamo, soprattutto quando mi dice che dobbiamo uscire a pranzo insieme e poi non si presenta al ristorante per un “imprevisto”, o altri episodi simili.
Forse quell’anno però, essendo probabilmente l’ultimo Natale che avremmo passato insieme, sarebbe cambiato. O almeno speravo.
«Porta questo in tavola per piacere.»
La voce di Carmela mi riscosse dai miei pensieri, alzai la testa e la vidi davanti a me che mi porgeva una ciotola d’insalata, la presi in silenzio e andai in sala da pranzo. Lei mi raggiunse quasi subito con in mano un piatto da portata e un pollo arrosto su di esso, ancora fumante.
Mi sedetti a tavola in attesa di mio padre.
«Allora, mi vuoi dire o no come mai ci hai messo così tanto a prendere una baguette?» mi domandò Carmela, appoggiando le mani sui fianchi.
«Erano finite ed ho dovuto aspettare che sfornassero le altre» spiegai, stringendomi nelle spalle.
Era peggio di un poliziotto quando voleva.
«Nessuna conoscenza?» insistette lei.
Alzai gli occhi al cielo, «no» brontolai.
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi, «anzi, adesso che ci penso sì» mi corressi.
Lei mi guardò con gli occhi che le brillavano, si vedeva lontano un miglio che stava morendo dalla curiosità.
«Non è che sia una conoscenza, diciamo che ho scoperto che la ragazza che lavora lì è del South Carolina.»
Carmela batté le mani entusiasta, risi lievemente chiedendomi se avesse davvero cinquant’anni quella donna perché a volte ne mostrava venti per come si comportava.
Si sedette nel posto accanto al mio scrutandomi seria, «e dimmi, è carina?»
Scoppiai a ridere piegandomi leggermente in avanti, «ma che c’entra! Non la conosco e non sono interessato!» esclamai, «però sì» ammisi.
«E cos’aspetti ad approfondire la conoscenza? Parla pure la tua stessa lingua, cosa puoi pretendere di più?»
La guardai sottecchi aspettando che scoppiasse a ridere da un momento all’altro o che mi dicesse “Harry sto scherzando!”, invece era estremamente seria.
«Tra dieci giorni me ne vado» constatai.
«E quindi? Dieci giorni sono più che sufficienti per innamorarsi!»
Strabuzzai gli occhi, ma cosa stava blaterando? Feci per risponderle ma in quel momento entrò mio padre in casa, le sette in punto.

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Mi sto tipo suicidando, me lo sento HAHAHA
Ho iniziato a scrivere questa fan fiction non so quanto tempo fa, ma l'idea mi frullava in testa già da un po'. Sono un po' avanti coi capitoli, inoltre non durerà molto, è per questo che ho deciso di postarla nonostante abbia già due storie in corso. Molto probabilmente mi pentirò di averlo fatto, perché tra un po' inizia la scuola - sono in quinta - e magari questo è l'anno buono per iniziare a studiare seriamente :D
Cercherò comunque di fare del mio meglio, devo ammettere che mi sta piacendo quello che ho scritto fino ad ora e spero davvero che possa piacere anche a voi perché ci tengo davvero a questa storia, non so perché.
Sono un po' fuori tema col Natale, lo devo ammettere, ma mi ispirava come cosa :D
Per la cronaca, durerà dieci capitoli, e forse anche l'epilogo, non so. In totale quindi saranno o undici o dodici :)
Dovevo dire qualcos'altro ma non mi ricordo... Ah sì, la tipa che c'è nel banner non ho idea di chi sia, l'ho rubata da un'icon di una ragazza su Twitter e a quanto pare è una delle tante ragazze senza nome le cui foto vagano su Tumblr HAHAHA
La smetto di rompervi le scatole, fatemi sapere che ne pensate :)
Ah no, un'altra cosa! Le frasi in francese pero che le abbiate capite, sono "una baguette per piacere" e "devi aspettare cinque minuti, come ti chiami?". Dato che io sono una capra nello scrivere, ringrazio
 @grownintoamyth per la traduzione.
Adesso ho finito sul serio :D
Jas

 

*fate finta che qua ci sia una gif figherrima di Styles, ho internet lento e non mi si carica Tumblr e io devo andare*

Lei dov'era?
Continuai a guardare a destra e a manca nel caso apparisse da un momento all’altro ma di quella chioma bionda, di quel naso leggermente all’insù e di quegli occhi dal colore insolito neanche l’ombra.


 

   
 
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